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CMCC Award 2025: la lezione dei giornalisti del clima per superare disinformazione e disincanto

“È la più grande storia del mondo”. Così il Guardian definì anni fa la crisi climatica, e la frase torna spesso nelle parole di chi oggi prova a raccontarla. A Torino, durante il Festival for the Earth, due giornalisti che di quella storia hanno scritto interi capitoli – Damian Carrington, direttore del desk ambiente del Guardian, e Pilita Clark, columnist e già corrispondente ambientale del Financial Times – hanno ricevuto il CMCC Climate Change Communication Award 2025, il premio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici dedicato alla comunicazione scientifica.

Carrington segue il clima dal 2008. All’epoca, dice, “le domande erano tre: è reale, lo causiamo noi, fa danni?”. Oggi la risposta è ovvia, ma resta una difficoltà di fondo: “Il cambiamento climatico è un disastro a rallentatore. Accade ogni giorno, ma non ha un momento preciso in cui esplode. E i giornali sono abituati a reagire alle emergenze, non a raccontare ciò che cresce lentamente”. Clark racconta di quando, nel 2011, fu nominata corrispondente per l’ambiente del Financial Times: “Ero sola. In redazione quasi nessuno se ne occupava. Oggi invece tutti – banche, assicurazioni, legali – devono fare i conti con il rischio climatico”.

Raccontare ciò che non si vede

Per Carrington, il primo ostacolo è la scala del fenomeno, le proporzioni. “Ci sono dati così grandi da essere incomprensibili. Se dici che l’inquinamento in India causa un milione di morti alla nascita l’anno, rischi di perdere il lettore. È troppo enorme per la mente umana. Funzionano le storie piccole, dirette, le voci di chi vive gli eventi”. Durante la COP il Guardian ha pubblicato la serie This is Climate Breakdown, una raccolta di testimonianze personali. “Un pompiere greco che tenta di salvare la propria casa, una famiglia travolta da un’alluvione: sono queste storie che fanno capire la scala del problema meglio di qualsiasi grafico”. Anche per Clark il racconto del clima richiede un equilibrio diverso. “Molti lettori oggi non si disinteressano perché la crisi è lontana, ma perché si sentono impotenti. È la fatica del ‘non cambierà mai nulla’”. Il compito, spiega, è “riconoscere questo sentimento senza fingere che vada tutto bene, ma anche senza cedere al pessimismo assoluto”. Il giornalismo delle soluzioni va bene, aggiunge, “ma solo se resta ancorato alla realtà: e la realtà, nel campo delle rinnovabili, dei veicoli elettrici e delle batterie, oggi è più dinamica di quanto crediamo”.

Economia, disinformazione e responsabilità

Pilita Clark è abituata a guardare il cambiamento climatico dal punto di vista dei numeri. Negli ultimi anni ha indagato un tema nuovo: l’ipotesi che il riscaldamento globale possa innescare la prossima crisi finanziaria. “È una possibilità reale. Se le assicurazioni smettono di coprire le case nelle aree più esposte, o se un’alluvione cancella il valore dei beni immobili, le conseguenze arrivano a cascata. I danni lenti, sommati, diventano sistemici”. Un altro fronte è quello della disinformazione. “È l’unico ambito in cui ho visto mettere in dubbio i fatti di base con tanta ostinazione”, ricorda. “Ci siamo trovati a dover rispondere per settimane a chi accusava il Financial Times di faziosità solo per aver riportato i dati dell’IPCC, l’organo Onu che si occupa di studiare il clima”. Da qui l’importanza, ribadisce, di “avere basi scientifiche solide per replicare punto per punto”. Damian Carrington, che ha iniziato la carriera come geologo, aggiunge una riflessione sul linguaggio scientifico. “Il metodo resta la bussola più affidabile che abbiamo per capire il mondo. Ma la scienza deve riuscire a far sentire il suo legame con le persone. Gli scienziati non sono robot: provano paura, frustrazione, urgenza. Farlo vedere non sminuisce il rigore, lo rende più umano”.

Lezioni di mestiere

Per giornalisti, comunicatori e divulgatori che si vogliono occupare di clima, i due vincitori danno consigli diversi ma complementari. Carrington usa il consiglio che lui stesso aveva ricevuto da un consigliere comunale di Londra: “Capire che alla politica non bastano i fatti. Serve anche la dimensione emotiva, la capacità di costruire un racconto che parli alle persone”. E ritorna su due temi a lui cari: “La disinformazione – come nasce, chi la diffonde – e la giustizia climatica. Combattere il riscaldamento globale significa anche ridurre le disuguaglianze”. Clark, invece, insiste sull’esercizio: “Scrivere, scrivere, scrivere. Scrivere aiuta a pensare. Non importa per chi, né quanto si venga pagati: l’importante è cominciare. E poi uscire, incontrare le persone, guardarle negli occhi. Nel giornalismo climatico non esistono domande stupide: se qualcosa non è chiaro a voi, probabilmente non è chiaro neanche al lettore”.

Verso la COP30

A novembre tornerà la COP, la grande conferenza globale sul clima, in programma a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025. Per Carrington sarà l’ottava da inviato. “È un processo terribile, che non rende felice nessuno. Ma senza le COP saremmo su traiettorie di riscaldamento molto peggiori. È il peggio, tranne tutte le alternative”. L’attenzione quest’anno, dice, sarà sulla finanza climatica. Clark, che è alla sua decima COP, è più scettica sulla logistica. “L’organizzazione brasiliana sembra complicata, i luoghi difficili da raggiungere. E il mondo, come sempre, è distratto da guerre e altre emergenze. Ma a volte le COP sorprendono proprio quando non ce lo aspettiamo, come accadde a Glasgow. E poi c’è il fattore Trump: la sua ostilità verso la diplomazia climatica potrebbe spingere gli altri Paesi a dimostrare che si può andare avanti anche senza di lui”.

Il futuro del “climate journalism”

Il CMCC Award è stato consegnato a Torino durante l’apertura del Festival for the Earth, alla presenza del direttore scientifico Giulio Boccaletti e di numerosi rappresentanti del mondo della ricerca e dell’informazione. Accanto ai due vincitori principali, il premio ha assegnato menzioni speciali a Giulia Bassetto di Will Media per i contenuti multimediali, a Matteo Civillini di Climate Home News per il giornalismo digitale, e a Nicola Lagioia e Paolo Benini per il progetto Lucy sulla cultura, riconosciuti per la capacità di unire discipline diverse in un linguaggio comune. La crisi climatica, ricordano Carrington e Clark, non è più un argomento tra gli altri: è la cornice in cui si muovono tutti i temi di attualità – economia, salute, politica, cultura. Raccontarla non significa solo diffondere dati, ma capire come quei dati cambiano le vite. E forse questo è il senso più profondo del loro lavoro: ricordare che il clima non è una sezione dei giornali, è una chiave di lettura del presente.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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