La strada verso Belém è piena di buche. Però c’è, ed è questa la buona notizia. Fra circa due settimane in Brasile, alle porte dell’Amazzonia, inizia la Cop30, la Conferenza delle parti sul clima. Quest’anno, dopo tre diverse edizioni che si sono svolte nei petro-stati, c’è una forte aspettativa per una Cop che possa risultare più pragmatica nel difficile percorso della riduzione delle emissioni climalteranti.
Così, mentre gli occhi del mondo sono puntati sull’occhio del ciclone – quell’uragano Melissa destinato a impattare su una Giamaica già fragile davanti alla crisi del clima – lo sguardo della diplomazia climatica è rivolto al percorso per riuscire ad abbassare le emissioni, ovvero la presentazione dei vari Paesi dei loro Ncd, i piani climatici per centrare l’obiettivo che vengono diffusi prima della Cop.
Assemblea Onu
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Questi piani sono stati riassunti all’interno del nuovo Synthesis Report dell’UNFCCC che guarda ai traguardi del 2035. Il report ci dice che le emissioni globali stanno iniziando a diminuire e che quest’anno è stata presentata dalle nazioni la serie più completa di impegni climatici fatta finora rispetto al passato, piani che coprono circa un terzo delle emissioni globali.
La buona notizia è che c’è appunto una strada: l’88% degli Ndc sono risultati nuovi o aggiornati e l’89% include obiettivi a livello economico che riguardano tutti i principali settori emissivi. Circa il 78% include inoltre sforzi legati agli oceani, ben il 39% in più rispetto ai precedenti impegni.
Ambiente
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Solo un terzo dei Paesi ha presentato obiettivi per il clima
La cattiva notizia è che però anche se tutti i Paesi che hanno presentato i loro Ndc li rispettassero totalmente, si andrebbero a ridurre le emissioni di appena il 10% (rispetto al 2019) entro il 2035. Una percentuale decisamente ancora troppo bassa vista l’avanzata della crisi del clima. Di fatto, dunque, i piani presentati da oltre 60 Paesi all’Onu sono insufficienti a scongiurare il collasso climatico che incombe perché coprirebbero soltanto di un sesto la riduzione necessaria il 60%) di emissioni per riuscire a limitare il riscaldamento a 1,5 gradi e rispettare l’Accordo di Parigi.
Lo studio
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Per Simon Stiell, segretario esecutivo dell’United Change Conference dell’Onu, “grazie alla cooperazione climatica organizzata dalle Nazioni Unite e agli sforzi nazionali, l’umanità sta ora chiaramente piegando la curva delle emissioni verso il basso per la prima volta, anche se ancora non abbastanza velocemente. Sebbene la direzione di marcia migliori di anno in anno, abbiamo bisogno di una maggiore velocità e di aiutare un maggior numero di Paesi a intraprendere azioni climatiche più incisive”.
Il report
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Il segretario chiede dunque una accelerazione dell’ambizione, quella che dovrebbe partire soprattutto dalle realtà più sviluppate e responsabili delle emissioni, come per esempio Cina e Ue, che però devono ancora fornire dettagli sui loro piani climatici.
I ritardi della Ue e l’assenza degli Usa
Tra i ritardi dell’Europa, l’assenza degli Stati Uniti che con le politiche negazioniste di Donald Trump si sono sfilati dall’Accordo di Parigi e un 10% di riduzione delle emissioni che appare ancora troppo basso, è evidente dunque come la strada per Belòm sia davvero piena di buche. Nonostante il cammino tortuoso una luce di speranza – come ha detto Laurence Tubiana, Ceco di European Climate Foundation – potrebbe arrivare da “i cittadini, le comunità e le imprese che continuano ancora oggi a spingere l’economia reale verso un futuro sostenibile e più verde”.
Guterres: “Il superamento di 1,5 °C più breve possibile”
Ma senza decisioni concrete dall’alto, chiosa il segretario generale dell’Onu António Guterres in una intervista al The Guardian, sarà comunque impossibile “cambiare rotta”, quello che davvero servirebbe in questo mondo bollente.
Per Guterres infatti l’umanità “non è riuscita a limitare il riscaldamento globale” e si prospettano “conseguenze devastanti. Alcune di queste conseguenze devastanti sono punti di non ritorno, che si tratti dell’Amazzonia, della Groenlandia, dell’Antartide occidentale o delle barriere coralline” per cui a partire dalla Cop30 “è assolutamente indispensabile cambiare rotta per garantire che il superamento di 1,5 gradi sia il più breve possibile e di minore intensità e per evitare proprio i punti di non ritorno che incombono”.

