Due mesi di tempo per uscire da una giungla di contraddizioni e guai. Il 6 novembre a Belem, stato di Parà, in Brasile, ci sarà il vertice dei capi di stato e dei leader mondiali che, di fatto, anticiperà l’inizio dei negoziati per salvare il mondo, quella COP30 (dal 10 al 21 novembre) che è stata indicata come la Conferenza delle parti sul clima cruciale per trovare una soluzione nel tamponare l’avanzata del surriscaldamento globale. Una COP che per volere di Luiz Inácio Lula, presidente del Brasile, si svolgerà in una città simbolo dell’Amazzonia, Belem, nonostante appaia ben poco attrezzata per ospitare un evento di tale portata con almeno 50mila fra delegati e visitatori in arrivo da tutto il Pianeta.
La grande foresta pluviale amazzonica è stata scelta come base perché è un’icona: è il simbolo perfetto della vita, della biodiversità, dei sistemi naturali che plasmano il clima e di come la sua resilienza sia profondamente legata alle nostre esistenze. Insomma, se siamo in grado di proteggerla allora abbiamo ancora chance di salvarci. Eppure, questo simbolo, proprio oggi 5 settembre in cui si celebra la prima edizione del “Rise for the Amazon Day”, di fatto una giornata mondiale dedicata all’azione per l’Amazzonia, è in grado di mostrarci tutte le contraddizioni e le incongruenze che l’umanità sta praticando. Mentre continuano a crescere le emissioni climalteranti, tra le politiche negazioniste di Donald Trump che sta tagliando fondi alla ricerca, puntando sui combustibili fossili e affossando le rinnovabili, buona parte delle potenze mondiali – ad eccezione forse della Cina – sta rallentando le politiche climatiche. Lo stesso Brasile che ospita la COP non solo è entrato nell’OPEC+, cartello dei Paesi produttori di petrolio, ma sta anche pianificando nuove estrazioni lungo il Rio delle Amazzoni. In questo contesto, in cui il clima non fa sconti tra innalzamento delle temperature, ondate di calore e incendi, l’Amazzonia sta inoltre nuovamente inviando segnali preoccupanti dopo che il governo attuale era riuscito a frenare il tasso di deforestazione altissimo della precedente amministrazione Bolsonaro.
Biodiversità
Le aree di foresta amazzonica bruciata restano calde e stressate per decenni
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L’allarme: torna a crescere la deforestazione
Proprio nel cuore verde del Pianeta, simbolo della COP30, le cose non vanno affatto bene. Gli ultimi dati a disposizione da parte dell’Istituto Nazionale Brasiliano per la Ricerca Spaziale (INPE), di luglio, ci dicono infatti che le aree deforestate in Amazzonia sono aumentate del 91% a maggio 2025, il secondo peggior risultato nella serie storica di quel mese, con quasi mille chilometri quadrati di foresta disboscati (come 137 campi da calcio in un solo mese). Tra agosto 2024 e luglio 2025 la deforestazione è aumentata in totale del 4%, mentre per fortuna gli incendi sono calati. L’Amazon Institute of People and the Environment (Imazon) aggiunge poi che il 79% della recente deforestazione si è verificata soprattutto su terreni privati. Deforestazione che continua ad essere legata soprattutto all’agricoltura e all’allevamento di bestiame, ma ci sono anche forti connessioni sia con l’estrazione mineraria e petrolifera e persino con la COP stessa dato che, per permettere la logistica dell’evento, sono stati tagliati diversi alberi a favore di una autostrada.
Deforestazione
Cop30 in Brasile: abbattuti ettari di foresta amazzonica per costruire l’autostrada
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Tutto ciò non fa che aumentare i rischi sia per la nostra salute che per quella degli ecosistemi. In un articolo apparso su Nature Climate Change viene specificato come migliaia di persone abbiano perso la vita in Sudamerica a causa della connessione fra ondate di calore e disboscamento negli ultimi vent’anni, si parla di quasi mezzo milione di vittime se si considerano tutti i tropici. In un altro studio appena pubblicato i ricercatori dell’Università di San Paolo quantificano inoltre per la prima volta l’impatto della perdita di foreste e del cambiamento climatico sul bioma: in Amazzonia si parla di una riduzione delle precipitazioni del 74% e un aumento delle temperature del 16% durante la stagione secca. Nel frattempo, ricorda il Wwf, come se non bastasse, lo scorso mese le autorità brasiliane hanno sospeso la moratoria sulla soia, “una misura chiave per la protezione della foresta amazzonica che dal 2006 ha evitato la deforestazione di circa 17.000 chilometri quadrati in quanto questo legume è un’enorme minaccia per la deforestazione” una decisione “frutto anche della pressione politica della lobby dell’agroindustria” spiegano dall’associazione ambientalista stimando come questa scelta possa portare a “ulteriori 10.000 chilometri quadrati che potrebbero essere deforestati per la produzione di soia”. Un bel paradosso per un Paese che punta a raggiungere il target Deforestazione Zero entro il 2030.
Crisi alloggi e motel dell’amore trasformati in stanze per i delegati
In questo contesto, mentre dall’Europa soffiano venti di riduzione del Green Deal e un possibile indebolimento del Regolamento UE sulla Deforestazione (EUDR) che richiede di garantire tracciabilità e controlli lungo la filiera, la COP30 che inizierà fra due mesi – dove sono attesi centinaia di leader mondiali, dove potrebbe esserci una presenza o un messaggio anche di Papa Leone XIV e dove sicuramente non ci sarà Donald Trump che ha trascinato gli Usa fuori dall’Accordo di Parigi – dovrà riuscire a rispondere con forza a tutto l’affossamento, l’oscurantismo e i passi indietro che negli ultimi mesi hanno colpito le politiche climatiche e la stessa Amazzonia. Per riuscirci, come sempre, sarà necessario un forte multilateralismo, un negoziato dove tutti i Paesi – con ugual peso – dovrebbero essere coinvolti. Questo però rischia di non accadere per un’altra incongruenza: a Belem, dove sono stati investiti milioni di euro per poter ospitare la COP30, è in corso un vero e proprio scandalo alloggi.
I prezzi delle (poche) strutture presenti sono stati aumentati anche di quindici volte e, già esauriti hotel e pensioni, ci sono forti polemiche per la corsa di privati che a costi esorbitanti stanno mettendo a disposizione ogni tipo di alloggio. Siamo arrivati al punto, racconta The Guardian, che persino i motel a ore e quelli che vengono definiti “i motel dell’amore”, i tanti luoghi destinati agli incontri a luci rosse, siano trasformati in alloggi di fortuna. “Le nostre camere sono dotate di sedie erotiche. Vuole che vengano rimosse?” si è visto scrivere in una mail chi ha provato a chiedere informazioni su costi e prenotazione di questi luoghi, spiega il tabloid inglese. Mentre si cercano soluzioni di ogni tipo per gli alloggi, anche a bordo di navi da crociera e strutture galleggianti distanti un’ora dall'”Hangar” che è sede della conferenza, molti Paesi si stanno così tirando indietro.
Ci sono state più lettere degli stati insulari, africani, ma anche dell’Austria (i cui negoziatori hanno annunciato di non andare), di delegati, giornalisti e operatori che hanno invitato a spostare la COP a Rio, un invito respinto al mittente. Di fatto oggi, anziché essere un vertice inclusivo, sta diventando un meeting esclusivo: finora solo il 30% delle 200 nazioni che fanno parte della convenzione quadro Onu hanno infatti già prenotato e assicurato la loro presenza.
Minacce ai giornalisti e rischio fallimento
Criticare o mostrare al mondo quanto sta avvenendo, parlare della crisi alloggi e dei paradossi di un Brasile che celebra l’avvio della COP30 e poi punta sul petrolio per centrare la transizione energetica con ricadute spesso sulle comunità locali, in Brasile sta diventando oltretutto sempre più complesso, denuncia Reporters Sans Frontieres spiegando come “i giornalisti locali affrontano gravi minacce, mancanza di risorse e disinformazione dilagante”.
Fra le voci che stanno provando a raccontare cosa avviene, ricordando per esempio come in Brasile siano in aumento anche le emissioni di metano e parlando di tutte le fragilità dell’Amazzonia, c’è l’Observatorio do Clima. Come molti, anche l’Observatorio ha parlato di chance per il Brasile nell’ospitare la COP, nonostante poca coerenza interna tra l’avanzata dei combustibili fossili e la leadership climatica che Lula si è intestato. La COP30 avrebbe però ancora una forte possibilità di successo se fosse in grado di affrontare, ad esempio, la causa portante del global warming, trovando un impegno mondiale per smarcarsi dalle fonti fossili: per assurdo però, proprio la mancanza di hotel a Belem, potrebbe compromettere tutto. Come dice Márcio Astrini, direttore dell’Observatorio, oggi non dovremmo stare qui a parlare di crisi di alloggi ma di “combustibili fossili che sono il tema chiave che dovremmo avere all’ordine del giorno”. Un tema che dovremo affrontare nelle negoziazioni. “Ma per negoziare – conclude Astrini parlando al Guardian – è necessaria una stanza piena di negoziatori: se non verranno come faranno a negoziare su questi argomenti? Semplicemente non accadrà”.