13 Novembre 2025

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    L’intelligenza artificiale per prevenire i disastri climatici

    Dati, algoritmi, mappe geospaziali. E poi alberi, radici, suolo, biossido di carbonio. Markus Reichstein, direttore scientifico del dipartimento di integrazione biogeochimica del Max Planck Institute for Biogeochemistry di Jena1 e direttore della ELLIS Unit Jena2 per l’intelligenza artificiale applicata al clima, è tra gli scienziati che più si stanno spendendo per integrare le nuove tecnologie nei sistemi di monitoraggio e previsione dei rischi ambientali. Il suo lavoro parte da un’intuizione potente: ogni evento estremo, ogni perturbazione che colpisce un ecosistema lascia tracce. Sta all’IA imparare a leggerle. Lo ha spiegato a margine dell’AIS25, il summit sull’intelligenza artificiale svoltosi a Copenaghen il 3 e 4 novembre sotto l’egida della Presidenza danese dell’UE, in collaborazione con la Commissione europea e l’Università di Copenaghen.

    Dalla previsione del meteo all’impatto sul territorio
    Reichstein ha presentato una serie di progetti che mostrano come l’uso integrato di AI, dati satellitari e modelli fisici possa anticipare eventi climatici complessi e fornire alle istituzioni strumenti per intervenire prima che i danni diventino irreversibili. “L’intelligenza artificiale è già stata molto efficace nel migliorare le previsioni meteorologiche. Ma il nostro punto è che può fare molto di più”, ha spiegato dal palco. “Possiamo passare dalla previsione del meteo all’allerta precoce sugli impatti, ovvero capire cosa il clima fa davvero agli ecosistemi e alle persone”. Un esempio arriva dalla Germania. Due eventi identici di pioggia intensa: 200 millimetri d’acqua in 24 ore. Uno, nel 2021, causa centinaia di vittime e danni enormi nell’ovest del Paese. L’altro, nell’est, non provoca disastri. “Stesso evento meteorologico, ma impatti completamente diversi. In un caso, il terreno argilloso e il paesaggio collinare hanno canalizzato l’acqua, creando onde distruttive. Nell’altro, suoli sabbiosi e rilievi dolci hanno assorbito l’acqua: l’evento ha addirittura aiutato a ricaricare le falde. Serve capire come il paesaggio reagisce al meteo”.

    L’IA come interprete della complessità ecologica
    “Prevedere l’impatto è più difficile che prevedere il tempo: l’atmosfera segue equazioni fisiche consolidate. Ma quando scendiamo al suolo entriamo in un sistema con alberi, erbe, animali, suoli molto complessi, e qui un modello fisico puro non basta”. L’obiettivo è una previsione a 10 o 20 metri di risoluzione, “per sapere cosa accadrà nel tuo campo, nel tuo giardino, alla tua casa”. Qui l’IA diventa fondamentale. Grazie ai dati dei satelliti Sentinel, è possibile osservare con continuità il comportamento dei territori. “Possiamo vedere come reagiscono a diversi climi e meteo, e creare modelli guidati dall’intelligenza artificiale che ci dicono quali saranno gli impatti”. Alcuni sono già operativi: “Abbiamo già ottime previsioni per la vegetazione e per le inondazioni, usando approcci puramente data-driven”.

    Visualizzare il rischio per reagire meglio
    Un altro ambito promettente è la comunicazione del rischio. “Nel caso dell’alluvione in Germania, la previsione era precisa, ma gli allarmi non sono stati presi sul serio. Le autorità non riuscivano a immaginare cosa significassero 200 millimetri o sei metri d’acqua. L’IA può dare avvisi più intuitivi: immagini fotorealistiche di strade allagate, case sommerse. L’idea è che le persone reagiscano meglio se il messaggio è più visivo”. L’IA generativa può addirittura superare i limiti umani: “Quando le persone sono sotto stress, possono avere pregiudizi, sottovalutare o esagerare. Se addestrata con attenzione, l’IA può produrre avvisi migliori di quelli umani”. Il prossimo passo? “Due, in particolare. Primo: integrare nei modelli anche i dati economici, censuari, sociali, per capire davvero gli impatti sulla società. Secondo: anticipare i rischi sistemici e composti, come siccità, incendi e ondate di calore che si sovrappongono. Per farlo servono modelli fondativi, in grado di integrare tutti questi dati diversi e restituire risposte immediate”.

    RAISE e la sfida della coesione europea
    In questo contesto si inserisce anche RAISE (Resource for AI Science in Europe), la nuova piattaforma virtuale lanciata il 3 novembre dalla Commissione europea durante AIS25. “È positivo che l’Europa abbia una strategia chiara e in accelerazione sull’AI. RAISE è un buon primo passo verso una maggiore competenza, ma saprà creare una vera coesione tra Paesi? Per ora, è un inizio promettente”. L’IA è uno strumento, non un fine La sfida è far sì che questi strumenti non restino confinati nei laboratori. “Serve una governance globale. L’accesso alle informazioni ambientali e alla capacità di agire non può essere un privilegio”. LEGGI TUTTO

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    Il problema delle tigri siberiane: sempre più affamate in un habitat ridotto, ora fanno più paura

    In Siberia le tigri fanno sempre più paura. Perché, a quanto pare, si sono avvicinate ai margini dei villaggi. Arrivando a “minacciare” sempre più i residenti. Accade dal 2020, le conseguenze ora fanno notizia: lo scorso gennaio un pescatore è stato sbranato nel cuore della notte, poche settimane dopo una tigre ha ucciso un guardaboschi, a marzo un nuovo attacco. Per quello che è passato agli archivi come l’inverno più mortale per attacchi di tigri agli esser umani da diversi decenni a questa parte. Con alcune regioni che registrano un aumento del 1000% degli incidenti tra essere umani e tigri. Un fenomeno che porta, immancabilmente, anche a una recrudescenza dei fenomeni di repressione e prevenzione: tra ottobre 2024 e settembre 2025, 17 tigri sono state uccise e 27 catturate, spesso emaciate o disidratate (a conferma di progressive difficoltà di alimentazione), non di rado già con ferite per armi da fuoco o traumi da incidente stradale.

    Un equilibrio sembra dunque essersi rotto: qui, nella provincia russa che comprende la maggior parte dell’Asia del Nord, le tigri dell’Amur o tigri siberiane, una sottospecie nota con il nome scientifico di Panthera tigris altaica Temminck, erano a lungo state presenze elusive, quasi avvolte nella leggenda. Difficile incontrarle. E poi, cosa è accaduto? Perché si sono fatalmente avvicinate ai centri abitati, anzitutto ingolosite dal bestiame, cavalli e bovini su tutti, e infine attaccando le persone? Tra i ricercatori l’ipotesi più diffusa, evidenziata da un recente articolo del The Guardian, è che la peste suina – che in questi anni, a partire dal 2018, si è diffusa in Siberia – abbia colpito un gran numero di cinghiali, tra le prede predilette per le tigri, portando in generale a un consistente disastro ecologico, con enormi ripercussioni sugli ecosistemi e su altre specie.

    Anche perché contestualmente hanno agito il bracconaggio incontrollato (con una drastica riduzione delle popolazioni di cervi) e il progressivo disboscamento negli areali di distribuzione delle tigri: una sorta di “tempesta perfetta”, che impone oggi serie riflessioni. Riflessioni che rischiano di ricadere su un terreno particolarmente scivoloso: già nel 2008, il presidente russo Vladimir Putin aveva sostenuto con forza gli sforzi per la conservazione della tigre dell’Amur, impegnandosi ad aumentare il numero di esemplari anche attraverso l’istituzione di un ente ad hoc, l’Amur Tiger Center. Ufficialmente gli esemplari in natura sarebbero 750, con una ripresa della specie significativa rispetto agli anni ’40 del secolo scorso, quando la sottospecie rischiò l’estinzione. Ma non tutti i ricercatori sono così ottimisti.

    E sulle cifre, naturalmente, ci sono posizioni discordanti. Di attacchi mortali agli esseri umani parla Sergey Aramilev, direttore generale dell’Amur Tiger Center, che prova a minimizzare le preoccupazioni per un fenomeno che “resta molto raro, con un totale di 20 attacchi dal 2010 al 2024, che hanno causato 13 feriti e 7 morti”.

    E, sulla scia peraltro di quanto avvenuto qualche mese fa in Nepal (“In un paese così piccolo, abbiamo più di 350 tigri, sono troppe, non possiamo lasciare che divorino gli umani”, sbottò il primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli), anche qui – ai confini tra Russia e Cina, tensioni e preoccupazioni sono già “esplosi”: i cittadini di alcuni villaggi chiedono a gran voce più protezione dagli attacchi delle tigri. Basterebbe forse, spiegano gli esperti, ridurre l’impatto del disboscamento sugli habitat delle tigri, che farebbero volentieri un passo indietro. Peste suina permettendo. LEGGI TUTTO

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    In Cina scoperta una nuova specie di rana “kung fu”

    Una nuova specie di rana è stata scoperta nella città di Foshan, nella provincia del Guangdong, nella Cina meridionale. Le è stato dato il nome di Leptobrachella kungfu, ispirato all’arte marziale cinese, in onore dell’eredità culturale di Foshan, rinomata “Città del Kung Fu”. Questa scoperta, realizzata congiuntamente dai ricercatori del Politecnico di Ingegneria per la […] LEGGI TUTTO