Ottobre 2025

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    Fao: la deforestazione nel mondo rallenta, ma non basta

    La buona notizia è che la deforestazione globale rallenta, la cattiva è invece che nonostante ciò le foreste del mondo sono ancora troppo sotto pressione. Mancano poche settimane all’inizio della COP30, la grande conferenza sul clima che si terrà quest’anno a Belem, nel cuore dell’Amazzonia e dove la questione deforestazione sarà centrale. In Amazzonia ci sono infatti ancora preoccupanti segnali legati al disboscamento a cui si aggiungono ora annunci da parte del Brasile, che per paradosso arrivano proprio a ridosso della Conferenza, di concessioni a nuove esplorazioni petrolifere (il cosiddetto blocco M-59) alla Foce del Rio delle Amazzoni. In questo contesto di incertezze la FAO ha però appena pubblicato il secondo Global Forest Global Forest Resources Assessment 2025 (FRA), il rapporto che valuta lo stato delle foreste globali in oltre duecento Paesi. Come annunciato durante la presentazione a Bali in Indonesia la deforestazione “ha subito un rallentamento in tutte le regioni del mondo”.

    La conferenza

    A un mese da Cop30, cosa fare per evitare un altro fallimento sul clima

    di Luca Fraioli

    10 Ottobre 2025

    Gli ultimi dati mostrano infatti che le foreste, le quali coprono oggi 4,14 miliardi di ettari, praticamente un terzo della superficie del Pianeta, vedono tassi di deforestazione in declino grazie al fatto che oltre la metà delle foreste è oggi tutelata da migliori piani di gestione a lungo termine e un quinto di queste è oggi all’interno di aree protette.

    Nel periodo 1990-2000 il tasso di deforestazione era arrivato a 17,6 milioni di ettari all’anno. Ora, tra il 2015 e 2025, si è passati a 10,9 milioni. Va tenuto conto però che anche il tasso di espansione forestale è cambiato: nel periodo 2000-2015 era di 9,88 milioni, mentre negli ultimi dieci anni è stato di 6,78 milioni. Anche per questo il rapporto sottolinea che “gli ecosistemi forestali in tutto il mondo continuano ad affrontare sfide e l’attuale tasso di deforestazione di 10,9 milioni di ettari all’anno è ancora troppo elevato”.

    Lo è sia per una questione climatica sia per la sicurezza alimentare dei popoli: le foreste sono infatti l’habitat di gran parte della biodiversità mondiale e contribuiscono al cibo, ai cicli dell’acqua e del carbonio, riducendo rischi di siccità, desertificazione, erosione del suolo o frane. A livello di rigenerazione naturale l’Europa sta dando segnali incoraggianti, di aumento, mentre cali si registrano in Africa e Sud America. Il tasso di perdita delle foreste primarie si è oggi dimezzato rispetto agli anni 2000 mentre sono aumentate, ovunque, le foreste piantate (che rappresentano però appena l’8% della superficie globale).

    Tra i dati positivi indicati dal rapporto c’è poi l’aumento dei piani di gestione: “Più della metà delle foreste in tutto il mondo (2,13 miliardi di ettari, ovvero il 55% della superficie totale) sono oggi soggette a piani di gestione, con un aumento di 365 milioni di ettari dal 1990” si legge nel testo e circa il 20% delle foreste è in aree legalmente protette, un aumento di 251 milioni di ettari dal 1990. Per contro, fra le minacce incombenti ci sono gli incendi che ogni anno colpiscono in media 261 milioni di ettari di cui quasi la metà è appunto coperta da foreste. In questo, il 2020 è stato un anno terribile: 41 milioni di ettari sono stati fortemente danneggiati tra eventi meteo estremi, incendi e malattie degli alberi. Il rapporto FAO, stilato da 700 esperti in tutto il mondo, suggerisce dunque di aumentare gli sforzi per la protezione forestale, anche cavalcando l’onda positiva della decrescita dei tassi di deforestazione. Sforzi che finora trovano risultati altalenanti.

    Il libro

    “La Terra in fiamme” di Sunil Amrith è la nostra storia

    dalla nostra inviata Gaia Scorza Barcellona

    05 Ottobre 2025

    Un altro report, il Forest Declaration Assessment 2024, ci dice per esempio come nel 2023 il mondo fosse ancora lontano da rispettare gli impegni – entro il 2030 – per invertire la deforestazione e ricordava appunto come ciò fosse anche a causa del peggioramento degli incendi. Nel frattempo, poche settimane fa, l’Europa ha nuovamente rinviato i suoi impegni in termini di deforestazione: l’entrata in vigore della normativa europea anti-deforestazione (EUDR) che obbliga le aziende a smettere di usare materie prime prodotte su territori deforestati, infatti è stata posticipata.

    Una ulteriore speranza per incrementare le politiche di protezione e veder scendere ulteriormente i tassi arriverà però presto dal Brasile: alla COP30 ci si aspetta infatti che più Paesi contribuiscano a riempire le casse del Tropical Forest Forever Facility (TFFF), un fondo da 125 miliardi di dollari, per ora finanziato solo con un primo miliardo dal governo di Luiz Inácio Lula, che è stato definito come strumento “senza precedenti” sia per salvare le foreste, sia – visto il loro ruolo di assorbimento del carbonio – per per mantenere vivo l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Questo perché, ricorda chi lo promuove, investire nelle foreste significa investire nell’umanità. LEGGI TUTTO

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    Caccia e pasto in volo, così il pipistrello preda gli uccelli

    Un insospettabile killer spietato. Arriva un nuovo, inedito tassello nella comprensione dell’etologia dei pipistrelli, tra gli animali più sorprendenti e affascinanti in natura. Un tassello che ne rivela un lato sin qui sconosciuto.A rivelarlo è la prima documentazione nella storia di un attacco in volo a un pettirosso, catturato e – letteralmente – divorato da una nottola gigante (Nyctalus lasiopterus), il più grande pipistrello europeo, un’apertura alare che può superare i 45 centimetri e una vita trascorsa principalmente in foreste mature, dove ama rifugiarsi nelle cavità degli alberi più alti.

    Biodiversità e clima

    Fa sempre più caldo, i pipistrelli salgono di quota

    di Pasquale Raicaldo

    19 Agosto 2025

    La predazione è stata integralmente “registrata” grazie a piccoli sensori in grado di catturare suono e movimento su scale temporali inferiori al secondo: speciali “tag” non invasivi di cui sono stati dotati alcuni degli esemplari di nottola gigante di una delle più nutrite colonie al mondo, nel Parco Nazionale di Doñana, vicino Siviglia, in Spagna. Dispositivi ad alta tecnologia in grado di registrare l’altitudine, l’ecolocalizzazione, il movimento 3D e, negli auspici dei ricercatori, il comportamento di caccia dei pipistrelli. E così è stato: la registrazione più “cruda” documenta una picchiata vertiginosa di un pipistrello che – da un’altezza di oltre un chilometro – insegue nel cuore della notte la sua preda – impegnata in una fuga disperata testimoniata da 21 richiami di soccorso – e la raggiunge a 400 metri dal suolo, per poi sferrarle un morso letale. I successivi suoni di masticazione, registrati tra i richiami di ecolocalizzazione, indicano come il pipistrello abbia mangiato l’uccello ininterrottamente durante il volo per 23 minuti consecutivi, senza perdere quota.

    Un comportamento che Laura Stidsholt, coautrice della ricerca (appena pubblicata su Science e docente presso l’Università di Aarhus, definisce “affascinante, in quanto documenta per la prima volta come i pipistrelli non solo siano in grado di catturare gli uccelli, ma anche di ucciderli e mangiarli mentre volano. Ed è accaduto – aggiunge – con una preda che pesa circa la metà del pipistrello stesso: sarebbe come se catturassimo e mangiassimo un animale di 35 chili mentre facciamo jogging”.

    Nyctalus lasiopterus (foto: Elena Tena)  LEGGI TUTTO

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    La “pianta della fortuna”, come coltivare la pachira

    Con il suo tronco spesso intrecciato, il suo fascino e la sua eleganza, la pachira impreziosisce ogni ambiente, donando subito un tocco esotico. Il suo nome scientifico è pachira aquatica ed è considerata sempre un regalo apprezzato, visto che è nota anche come pianta della fortuna o della ricchezza e albero del denaro: secondo alcune credenze dell’Estremo Oriente è di buon auspicio, rappresentando un catalizzatore per il denaro. A questo si aggiunge il fatto che purifica l’aria ed è molto semplice da curare. Nelle zone dal clima mite viene coltivata in giardino, mentre in quelle più fredde come pianta d’appartamento. Scopri come farla crescere rigogliosa e le azioni pratiche per mantenerla in salute.

    Coltivazione in vaso e giardino della pachira
    Pianta tropicale, che affonda le sue origini nelle zone palustri del Brasile e dell’America centrale, la pachira si distingue per il suo aspetto scenografico e il suo tronco magnifico che, secondo la tradizione, intrappola la fortuna. L’albero della ricchezza incanta con le sue caratteristiche foglie palmate, grandi e lucide, considerate simbolo di buon augurio. Oltre a essere molto decorativa è anche longeva, arrivando a durare anni se trattata con le giuste cure.

    Appartenente alla famiglia delle Malvaceae, la pachira è un albero sempreverde che ricorda il baobab, con cui è imparentata, avendo in comune con lui il tronco spesso e le foglie lunghe. Scelta perfetta se si cercano piante di grandi dimensioni da appartamento, è coltivabile sia in vaso che in giardino. La sua semina va effettuata tra la primavera e l’inizio dell’estate, quando le temperature sono più miti.

    Se coltivata in vaso, la pachira va posta in un recipiente di 10-15 centimetri di diametro, da sostituire una volta che le piantine giovani saranno cresciute. Il vaso deve essere dotato di fori di drenaggio e sul fondo deve essere posta dell’argilla espansa per evitare i ristagni d’acqua. I semi vanno posti a un centimetro di profondità in un terriccio drenante, alleggerendolo con ghiaia o sabbia se risulta troppo pesante. Ogni 2-3 anni è necessario occuparsi del rinvaso, ricorrendo a un recipiente più grande.

    Per la coltivazione in giardino i semi vanno collocati a un centimetro di profondità, avendo bisogno di luce per germinare, mantenendo una distanza di 50-70 centimetri tra ciascuno. La germinazione avviene nell’arco di 2-4 settimane. La pachira può essere propagata anche tramite talea. Per questo metodo è necessario ricorrere a talee di 15 centimetri da far radicare in acqua: una volta sviluppate le radici, è necessario immergerle in un prodotto stimolante per poi trapiantarle.

    Pachira e l’esposizione
    Oltre a essere nota come pianta della ricchezza o della fortuna, la pachira è anche conosciuta come pianta delle monete, castagna d’acqua, noce d’India e noce di Saba. Per un crescere rigogliosa, la pianta va posta in un luogo con luce solare indiretta, evitando i raggi solari diretti, soprattutto nelle ore più calde della giornata, che potrebbero bruciare le sue foglie.

    La pachira predilige climi miti, con temperature tra i 12 e i 24 gradi, un ambiente umido e un substrato drenato e ricco di sostanza organica. Negli interni va posta nei pressi di una finestra con luce diffusa, protetta da una tenda e lontano da fonti di calore e correnti d’aria. Bisogna evitare luoghi troppo bui, che ne ostacolano la crescita rallentandola e rendendola esile. La pianta è sensibile agli sbalzi di temperatura e alle correnti fredde.

    Pachira e la sua cura
    Nella cura della pachira, l’irrigazione non deve mai mancare. La pianta richiede annaffiature regolari e più frequenti in estate, riducendole in autunno e inverno. Pur amando l’umidità, è importante non irrigarla in modo eccessivo, per evitare il marciume radicale. La pachira non tollera un terreno troppo bagnato e può resistere per brevi periodi senza l’acqua, tenendo conto che i suoi tronchi la conservano. In caso di irrigazioni eccessive le sue radici potrebbero marcire.

    Una volta al mese è necessario occuparsi della concimazione in primavera e in estate e ogni 2 mesi in autunno e inverno, ricorrendo a un concime liquido, diluito nell’acqua di irrigazione. La potatura non è necessaria, ma è consigliata se si coltiva la pachira come bonsai, eliminando le foglie e i rami secchi per facilitare lo sviluppo di nuovi germogli.

    Problematiche della pachira
    La manutenzione della pachira non è particolarmente impegnativa, richiedendo poche attenzioni, anche se possono emergere alcune problematiche. Questa meravigliosa pianta si distingue per la sua resistenza, ma può presentare criticità connesse alla sua cura e all’ambiente in cui si trova. I tronchi possono ammalarsi per colpa di funghi e batteri, spesso dovuti a irrigazioni eccessive e ristagni.

    Un altro problema sono le foglie gialle e marroni, causate da shock dovuti a cambi di temperatura improvvisi, correnti d’aria, rinvaso ed esposizione a luce insufficiente. Le foglie secche sono dovute a un’umidità troppo bassa, mentre la caduta può dipendere da un eccesso o carenza idrica. Tronco molle e foglie raggrinzite sono sintomo di stress idrici o marciume radicale.

    La pachira può essere attaccata da cocciniglia, ragnetto rosso e afidi, dovendo intervenire prontamente per rimuoverli con soluzioni naturali come l’olio di neem o il sapone molle, oppure con insetticidi specifici. Per mantenere la pianta sempre in salute è necessario irrigarla correttamente, garantirle luce indiretta e monitorare eventuali infestazioni o segni di stress. LEGGI TUTTO

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    Le turbine intelligenti che imparano dal vento e dialogano con la natura

    Portare sul mercato una soluzione modulare, distribuita e silenziosa di energia rinnovabile a km zero, integrabile anche in contesti urbani e complementare al fotovoltaico, per contribuire in modo concreto alla transizione energetica. È l’obiettivo che si è posta la startup Gevi, fondata nel 2022 da tre giovani ingegneri toscani: Emanuele Luzzati (CEO & Head of Engineering), Edoardo Simonelli (Head of Products) e Soufiane Essakhi (Head of Operations). Ha sviluppato la prima turbina microeolica ad asse verticale auto-apprendente, capace di adattarsi in tempo reale al vento grazie a sistemi di intelligenza artificiale che regolano dinamicamente l’angolo delle pale. L’azienda oggi ha un team di dieci persone con una sede che si occupa di Ricerca & Sviluppo a Pisa e uffici commerciali e operativi a Roma.

    Come funziona la turbina che ascolta il vento
    La turbina Gevi è una microeolica ad asse verticale di nuova generazione, progettata per superare i limiti delle soluzioni tradizionali. È caratterizzata da profili palari dinamici, la cui angolazione viene regolata in tempo reale, ogni centesimo di secondo, da un sistema di intelligenza artificiale capace di analizzare continuamente il vento, risolvere complessi sistemi di equazioni fluidodinamiche e ottimizzare la produzione energetica.

    Questa architettura consente maggiore efficienza (fino al +60% di energia annua rispetto alle migliori VAWT – Vertical Axis Wind Turbine – presenti sul mercato), affidabilità e sicurezza (il controllo attivo delle pale riduce fino all’80% i carichi in caso di vento forte, e versatilità, grazie a un design compatto (altezza rotore 3 m, diametro 5,4 m) e silenzioso, che ne consente l’installazione in contesti urbani, industriali e agricoli.

    Le microturbine eoliche di Gevi  LEGGI TUTTO

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    CMCC Award 2025: la lezione dei giornalisti del clima per superare disinformazione e disincanto

    “È la più grande storia del mondo”. Così il Guardian definì anni fa la crisi climatica, e la frase torna spesso nelle parole di chi oggi prova a raccontarla. A Torino, durante il Festival for the Earth, due giornalisti che di quella storia hanno scritto interi capitoli – Damian Carrington, direttore del desk ambiente del Guardian, e Pilita Clark, columnist e già corrispondente ambientale del Financial Times – hanno ricevuto il CMCC Climate Change Communication Award 2025, il premio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici dedicato alla comunicazione scientifica.

    Carrington segue il clima dal 2008. All’epoca, dice, “le domande erano tre: è reale, lo causiamo noi, fa danni?”. Oggi la risposta è ovvia, ma resta una difficoltà di fondo: “Il cambiamento climatico è un disastro a rallentatore. Accade ogni giorno, ma non ha un momento preciso in cui esplode. E i giornali sono abituati a reagire alle emergenze, non a raccontare ciò che cresce lentamente”. Clark racconta di quando, nel 2011, fu nominata corrispondente per l’ambiente del Financial Times: “Ero sola. In redazione quasi nessuno se ne occupava. Oggi invece tutti – banche, assicurazioni, legali – devono fare i conti con il rischio climatico”.

    Raccontare ciò che non si vede
    Per Carrington, il primo ostacolo è la scala del fenomeno, le proporzioni. “Ci sono dati così grandi da essere incomprensibili. Se dici che l’inquinamento in India causa un milione di morti alla nascita l’anno, rischi di perdere il lettore. È troppo enorme per la mente umana. Funzionano le storie piccole, dirette, le voci di chi vive gli eventi”. Durante la COP il Guardian ha pubblicato la serie This is Climate Breakdown, una raccolta di testimonianze personali. “Un pompiere greco che tenta di salvare la propria casa, una famiglia travolta da un’alluvione: sono queste storie che fanno capire la scala del problema meglio di qualsiasi grafico”. Anche per Clark il racconto del clima richiede un equilibrio diverso. “Molti lettori oggi non si disinteressano perché la crisi è lontana, ma perché si sentono impotenti. È la fatica del ‘non cambierà mai nulla’”. Il compito, spiega, è “riconoscere questo sentimento senza fingere che vada tutto bene, ma anche senza cedere al pessimismo assoluto”. Il giornalismo delle soluzioni va bene, aggiunge, “ma solo se resta ancorato alla realtà: e la realtà, nel campo delle rinnovabili, dei veicoli elettrici e delle batterie, oggi è più dinamica di quanto crediamo”.

    Economia, disinformazione e responsabilità
    Pilita Clark è abituata a guardare il cambiamento climatico dal punto di vista dei numeri. Negli ultimi anni ha indagato un tema nuovo: l’ipotesi che il riscaldamento globale possa innescare la prossima crisi finanziaria. “È una possibilità reale. Se le assicurazioni smettono di coprire le case nelle aree più esposte, o se un’alluvione cancella il valore dei beni immobili, le conseguenze arrivano a cascata. I danni lenti, sommati, diventano sistemici”. Un altro fronte è quello della disinformazione. “È l’unico ambito in cui ho visto mettere in dubbio i fatti di base con tanta ostinazione”, ricorda. “Ci siamo trovati a dover rispondere per settimane a chi accusava il Financial Times di faziosità solo per aver riportato i dati dell’IPCC, l’organo Onu che si occupa di studiare il clima”. Da qui l’importanza, ribadisce, di “avere basi scientifiche solide per replicare punto per punto”. Damian Carrington, che ha iniziato la carriera come geologo, aggiunge una riflessione sul linguaggio scientifico. “Il metodo resta la bussola più affidabile che abbiamo per capire il mondo. Ma la scienza deve riuscire a far sentire il suo legame con le persone. Gli scienziati non sono robot: provano paura, frustrazione, urgenza. Farlo vedere non sminuisce il rigore, lo rende più umano”.

    Lezioni di mestiere
    Per giornalisti, comunicatori e divulgatori che si vogliono occupare di clima, i due vincitori danno consigli diversi ma complementari. Carrington usa il consiglio che lui stesso aveva ricevuto da un consigliere comunale di Londra: “Capire che alla politica non bastano i fatti. Serve anche la dimensione emotiva, la capacità di costruire un racconto che parli alle persone”. E ritorna su due temi a lui cari: “La disinformazione – come nasce, chi la diffonde – e la giustizia climatica. Combattere il riscaldamento globale significa anche ridurre le disuguaglianze”. Clark, invece, insiste sull’esercizio: “Scrivere, scrivere, scrivere. Scrivere aiuta a pensare. Non importa per chi, né quanto si venga pagati: l’importante è cominciare. E poi uscire, incontrare le persone, guardarle negli occhi. Nel giornalismo climatico non esistono domande stupide: se qualcosa non è chiaro a voi, probabilmente non è chiaro neanche al lettore”.

    Verso la COP30
    A novembre tornerà la COP, la grande conferenza globale sul clima, in programma a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025. Per Carrington sarà l’ottava da inviato. “È un processo terribile, che non rende felice nessuno. Ma senza le COP saremmo su traiettorie di riscaldamento molto peggiori. È il peggio, tranne tutte le alternative”. L’attenzione quest’anno, dice, sarà sulla finanza climatica. Clark, che è alla sua decima COP, è più scettica sulla logistica. “L’organizzazione brasiliana sembra complicata, i luoghi difficili da raggiungere. E il mondo, come sempre, è distratto da guerre e altre emergenze. Ma a volte le COP sorprendono proprio quando non ce lo aspettiamo, come accadde a Glasgow. E poi c’è il fattore Trump: la sua ostilità verso la diplomazia climatica potrebbe spingere gli altri Paesi a dimostrare che si può andare avanti anche senza di lui”.

    Il futuro del “climate journalism”
    Il CMCC Award è stato consegnato a Torino durante l’apertura del Festival for the Earth, alla presenza del direttore scientifico Giulio Boccaletti e di numerosi rappresentanti del mondo della ricerca e dell’informazione. Accanto ai due vincitori principali, il premio ha assegnato menzioni speciali a Giulia Bassetto di Will Media per i contenuti multimediali, a Matteo Civillini di Climate Home News per il giornalismo digitale, e a Nicola Lagioia e Paolo Benini per il progetto Lucy sulla cultura, riconosciuti per la capacità di unire discipline diverse in un linguaggio comune. La crisi climatica, ricordano Carrington e Clark, non è più un argomento tra gli altri: è la cornice in cui si muovono tutti i temi di attualità – economia, salute, politica, cultura. Raccontarla non significa solo diffondere dati, ma capire come quei dati cambiano le vite. E forse questo è il senso più profondo del loro lavoro: ricordare che il clima non è una sezione dei giornali, è una chiave di lettura del presente. LEGGI TUTTO

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    Una carta da parati elettrica che riscalda le case: la sperimentazione

    In Scozia, quando arriva l’inverno, il freddo si insinua tra le pietre arenarie dei vecchi tenement, le abitazioni popolari costruite all’inizio del Novecento per la classe operaia. Pareti spesse, finestre sottili e impianti a gas ormai datati le rendono difficili da riscaldare: in questo Paese il calore degli edifici si disperde tre volte più rapidamente rispetto alle altre nazioni europee e il riscaldamento genera oltre il 36% delle emissioni di carbonio del Regno Unito.

    Tutorial

    Quali sono i materiali più ecologici per costruire una casa?

    25 Ottobre 2025

    Per invertire la rotta, il governo scozzese ha introdotto nel 2024 il New Build Heat Standard, il quale impone che le nuove costruzioni siano dotate di sistemi di climatizzazione a basso impatto. Inoltre, sta mettendo a punto la legge Heat in Buildings Bill, volta a eliminare gradualmente le fonti fossili dalle case entro il 2045.

    Glasgow, che conta circa 70mila appartamenti in palazzi storici, è una delle città più coinvolte in questa sfida. Proprio qui, l’Università e il Consiglio comunale cittadini, l’Università di Strathclyde, l’associazione West of Scotland Housing Association hanno ideato, con il finanziamento della coalizione accademica Scotland Beyond Net Zero, una speciale carta da parati elettrica riscaldante chiamata NextGen, attualmente in sperimentazione in dodici alloggi sociali, con l’obiettivo di ridurre sia le bollette sia l’inquinamento.

    Come funziona la nuova tecnologia
    Nei sistemi tradizionali, come termosifoni, pompe di calore, impianti a pavimento, il calore si diffonde per convezione, cioè riscaldando l’aria circostante che poi si disperde negli spazi. Il nuovo pannello, dello spessore di pochi millimetri e applicato come una tappezzeria, si basa, invece, sull’irraggiamento. In questo caso, l’effetto percepito, simile al sole sulla pelle in una giornata invernale, è immediato, mentre la temperatura resta uniforme e stabile in tutta la stanza. In concreto, la tecnologia presenta due sottili bande di rame, posizionate ai bordi con funzione di elettrodi, che, una volta collegate all’elettricità, attivano nel dispositivo un foglio di grafene, che emette raggi infrarossi, cioè onde termiche invisibili che riscaldano direttamente superfici, oggetti e persone.

    Tecnologia e Ambiente

    Pittura al grafene per scaldare gli appartamenti: più efficiente dei termosifoni

    05 Agosto 2025

    Un sistema sicuro
    A dispetto del nome, il sistema viene di solito posizionato, tramite un apposito adesivo, sul soffitto, dove può sfruttare la maggiore area libera ed erogare calore in modo omogeneo dall’alto. Il materiale può essere tagliato su misura per adattarsi a lampadari, prese o sensori antincendio. L’impianto è progettato per garantire la sicurezza: il foglio riscaldante è ignifugo e impermeabile e la sua superficie si mantiene tra i 40 e i 50 gradi, evitando rischi di scottatura. Inoltre, la soluzione impiantistica funziona a bassa tensione (24 volt), riducendo il rischio di cortocircuiti e assicurando un funzionamento affidabile. L’app e il termostato non modificano la temperatura del pannello, che resta costante, ma regolano quella dell’ambiente, consentendo di impostare con precisione il livello termico desiderato.

    I vantaggi: in casa aria più salubre e meno manutenzione
    Rispetto agli approcci attualmente usati, l’impianto offre diversi vantaggi. Anzitutto la rapidità: secondo gli sviluppatori, bastano uno-due minuti dall’accensione per avvertire una sensazione di tepore. Una volta raggiunta la temperatura ottimale, il calore viene assorbito e trattenuto da muri e arredi più a lungo rispetto ai sistemi convenzionali: i dati indicano che il calore può durare fino a 30 ore dopo lo spegnimento, grazie all’inerzia termica accumulata. Inoltre, dato che l’apparecchio non produce fumi né sostanze di combustione (come ossidi di azoto o monossido di carbonio), la qualità dell’aria domestica diventa più salubre.

    E ancora, i raggi infrarossi, che penetrano nelle pareti e nei soffitti, aiutano ad asciugare l’umidità eventualmente presente, prevenendo condensa e muffe. Infine, eliminando termosifoni, tubature, caldaie, si recupera spazio nelle stanze e, poiché la configurazione non ha parti meccaniche in movimento come pompe o bruciatori, si riduce la necessità di manutenzione.

    Dal punto di vista energetico, alcuni studi indicano che questi pannelli possono ridurre i consumi fino al 76% rispetto al riscaldamento elettrico a convezione e fino al 14% rispetto a quello a gas.

    Cosa succede al pianeta

    Le soluzioni contro la crisi climatica, così possiamo invertire la rotta

    di Giacomo Talignani

    15 Agosto 2025

    I primi riscontri e le prospettive future
    Gli appartamenti pilota sono monitorati con sensori dedicati e analizzati attraverso l’intelligenza artificiale, per raccogliere dati accurati su efficienza, comfort e durata del calore. I residenti si dichiarano soddisfatti dei risultati, ma non mancano le sfide.

    La principale riguarda i costi di messa in opera, ancora elevati: si stima che per dotare dell’impianto una casa di medie dimensioni servano oltre 4.500 euro, una spesa che rende per ora la tecnologia poco accessibile al grande pubblico. I ricercatori sono, tuttavia, ottimisti: con l’aumento della produzione e il progresso degli studi, i costi potrebbero progressivamente diminuire. LEGGI TUTTO

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    Cosa piantare nell’orto a ottobre: guida pratica per l’autunno

    Con l’arrivo dell’autunno, l’orto si trasforma e si prepara ad accogliere nuove semine e nuovi trapianti. Ottobre è il mese ideale per organizzare le coltivazioni, scegliendo frutta e verdura di stagione che rispettino l’ambiente e il ciclo naturale. Ma c’è di più, perché consumare prodotti locali e autunnali non solo è più sostenibile, ma permette anche di godere dei sapori tipici di questo periodo dell’anno. Il mese di ottobre è anche particolarmente strategico: l’orto si arricchisce di verdure a ciclo breve, perfette da raccogliere prima dei grandi freddi, e ospita trapianti importanti come cavoli, finocchi e lattughini.

    Ottobre in orto: cosa seminare e come organizzarsi
    Con l’abbassarsi delle temperature, l’orto va pianificato con attenzione. La semina in pieno campo tende a ridursi, perché molte piante non tollerano il freddo. Tuttavia, nelle regioni dal clima mite, alcune coltivazioni possono ancora essere avviate direttamente in aiuole. In tutti gli altri casi, la soluzione migliore è il semenzaio: protegge le piantine dal freddo notturno e accelera la germinazione grazie al calore controllato. Gli ortaggi da seminare a ottobre si dividono in due categorie principali:
    Coltivazioni veloci a crescere, come lattuga, lattughino, spinaci e rapanelli;
    Ortaggi resistenti al freddo, tra cui cipolle, aglio, piselli e fave.
    Si possono aggiungere anche rucola, radicchio, scalogno, cime di rapa, cavolo verza e carote, ideali per l’orto autunnale.

    Trapianti a ottobre: le piante da mettere a dimora
    Il trapianto consiste nello spostare in pieno campo piante già sviluppate, una tecnica utile per anticipare la raccolta e aumentare le possibilità di sopravvivenza al freddo. A ottobre, ad esempio, i trapianti più frequenti (e consigliati) riguardano queste verdure:
    Cavoli (cappuccio, broccolo, cavolfiore);
    Biete da coste;
    Cime di rapa;
    Finocchi;
    Porri invernali.
    Per ottenere il massimo dai trapianti (e dalle semine), è fondamentale seguire la rotazione colturale, controllare le temperature e scegliere sementi adatte alla stagione.

    Cosa raccogliere nell’orto in ottobre
    Anche se le temperature scendono, l’orto continua a offrire frutti del proprio lavoro. Ad esempio, questo mese permette ancora di raccogliere gli ultimi pomodori e basilico, che concludono il loro ciclo vegetativo. Non mancano poi i prodotti tipici dell’autunno, come le olive, le castagne, i funghi, le mandorle e le nocciole. E naturalmente, la zucca, protagonista indiscussa delle tavole di ottobre: un evergreen per eccellenza.

    Frutta di stagione a ottobre: mele, pere, uva e altro
    Anche la frutta segue il ritmo delle stagioni. A ottobre di solito si raccolgono grandi quantità di mele, di pere, di uva (periodo ideale perché inizia la vendemmia), i cachi, i kiwi, ottimi alleati della stagione che anticipa l’inverno. Consumare frutta di stagione è sempre un’ottima scelta: significa rispettare i tempi della natura e valorizzare i prodotti locali.

    Orto a ottobre: consigli pratici per semina e coltivazione
    Un orto sano richiede cure quotidiane. Prima di seminare o trapiantare, è importante seguire alcune regole di base. Pur sembrando banali e conosciute già da tutti, in realtà è sempre bene tenerle a mente e rispolverarle a ogni cambio stagione. Qui le principali:
    Luce: le piante necessitano di almeno 7 ore di sole al giorno. Evitare zone d’ombra sotto grandi alberi;
    Disposizione: le piante alte non devono ombreggiare quelle più basse;
    Irrigazione: fondamentale per la crescita, soprattutto nei periodi meno piovosi;
    Concimazione: preferire sostanze organiche che stimolano i microrganismi del terreno, evitando diserbanti chimici.

    Come sistemare le piante nell’orto
    L’altro grande interrogativo che attanaglia la mente di chi deve fare l’orto a ottobre è: dove posiziono le piante e come? Anche in questo caso, bastano davvero piccoli accorgimenti per fare sì che tutto fili liscio senza intoppi. Ad esempio, i pomodori andrebbero posizionati a 40 cm, mentre la lattuga, la bietola e i finocchi, a 25 cm. Dieci i cm per cipolle, porri, aglio e ricola, mentre le carote e i ravanelli stanno a 3 cm. Una disposizione corretta permette alle piante di crescere senza ostacolarsi a vicenda e di ricevere luce e nutrienti in modo equilibrato.

    Altri lavori da svolgere in ottobre
    Oltre a piantare e trapiantare, ottobre è il momento di preparare l’orto per l’inverno e la nuova stagione. Prima di tutto, si dovrebbe ripulire l’orto dagli ortaggi estivi, poi preparare il terreno per le semine future. Step successivo? Organizzare il semenzaio per i trapianti primaverili e, step importantissimo, realizzare il compost che durante l’inverno arricchirà il terreno di sostanze nutritive. LEGGI TUTTO

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    Crisi del clima: “L’IA può essere una soluzione se ci poniamo le giuste domande”

    Se la principale emergenza mondiale che abbiamo di fronte è la crisi del clima, può l’intelligenza artificiale essere una soluzione per risolverla? Oppure, per via dei suoi enormi consumi di elettricità ed acqua per raffreddare i server, rischia di trasformarsi in una ulteriore criticità?
    È la domanda che, alla Dolomites Conference di Venezia organizzata dal think tank Vision, si sono posti diversi fra scienziati, esperti e policy makers in vista del futuro. LEGGI TUTTO