Ottobre 2025

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    Da eolico e solare offshore quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050

    E se la nuova frontiera dell’energia pulita fosse il mare? L’idea non è nuova e il rapido sviluppo delle tecnologie la rende sempre più attuabile. Secondo uno studio globale pubblicato sulla rivista Science Advances l’energia prodotta in mare aperto da impianti eolici e fotovoltaici potrebbe coprire quasi un terzo del fabbisogno elettrico mondiale entro il 2050. Ciò ridurrebbe drasticamente le emissioni di anidride carbonica e anche l’inquinamento atmosferico, un problema sempre più grave a livello mondiale. Il lavoro, condotto da un team internazionale guidato dalla National University of Singapore e dalla Sichuan University, ha mappato le aree marine più promettenti per lo sviluppo di parchi eolici e solari galleggianti, valutandone il potenziale tecnico, economico e ambientale.

    Trovare però il luogo giusto dove costruire gli impianti è difficile. Per poter essere considerate idonee all’installazione di impianti energetici offshore, le aree dovevano avere una profondità inferiore a 300 metri, trovarsi entro 200 chilometri da un centro abitato, non includere aree protette, non essere coperte dal ghiaccio per più del 50% dell’anno e non avere una velocità media del vento inferiore a 5 metri al secondo né una radiazione solare annuale inferiore a 1.000 kilowattora per metro quadrato.

    Secondo lo studio solo il 3% circa della superficie marina globale è realmente adatto a ospitare impianti di questo tipo. Ciononostante, sfruttarne anche solo l’1% basterebbe a generare oltre 20.000 terawattora di elettricità l’anno — pari a quasi il 30% della domanda globale prevista per metà secolo. Le conseguenti riduzioni di CO? supererebbero i 9 miliardi di tonnellate l’anno, una cifra paragonabile alle attuali emissioni complessive di Stati Uniti e India.

    Le turbine eoliche e gli impianti fotovoltaici esistono sia onshore che offshore. Questi ultimi però presentano un vantaggio per entrambe le tecnologie. Il vento è più forte sull’oceano, fornendo più energia alle turbine. L’acqua raffredda i pannelli fotovoltaici, aumentandone l’efficienza. Senza contare che sarebbe possibile spostare pannelli e pale eoliche dai nostri campi, dalle creste delle nostre montagne, in mare aperto.

    Le potenzialità maggiori emergono in paesi costieri con ampie zone economiche marine: Stati Uniti, Canada, Australia e Cina per l’eolico offshore; Indonesia e Australia per il fotovoltaico galleggiante, grazie alla forte insolazione tropicale. In molti casi, l’energia ottenuta dal mare potrebbe superare la domanda interna di elettricità, come accade per la Danimarca e la Malesia.

    Lo studio evidenzia inoltre una complementarità stagionale e geografica tra vento e sole: alle alte latitudini prevale l’olico, mentre nelle regioni equatoriali domina il solare. D’estate il fotovoltaico compensa la minore intensità del vento, in inverno avviene il contrario. Combinare le due tecnologie in impianti ibridi consentirebbe una fornitura più stabile e prevedibile di energia.

    Lo studio pubblicato sulla nota rivista scientifica è stato fatto in uno scenario di zero emissioni nette di carbonio, concetto che nasce dall’evoluzione delle politiche climatiche e scientifiche sul riscaldamento globale secondo cui per stabilizzare il clima sarebbe necessario portare le emissioni nette di CO? a zero, cioè bilanciare le emissioni prodotte con quelle rimosse. Dall’Accordo di Parigi del 2015, l’obiettivo net-zero è diventato il punto di riferimento per governi, aziende e istituzioni che mirano alla neutralità climatica entro il 2050.

    Sebbene l’eolico marino abbia già raggiunto una certa maturità, con costi in forte calo, il fotovoltaico offshore è ancora agli inizi e affronta sfide ingegneristiche legate a onde, corrosione e costi elevati. Secondo gli autori, però, l’integrazione di sistemi eolici e solari condividendo infrastrutture e connessioni alla rete potrebbe rendere queste soluzioni sempre più competitive.

    Se poi si guarda il caso del Mare Mediterraneo, il futuro è probabilmente nell’eolico galleggiante, e non in quello ancorato al substrato marino, come è invece per i mari del Nord. “Questo a causa delle batimetrie del Mediterraneo, che sono molto profonde. E se l’eolico su pale è già abbastanza avanzato, quello galleggiante è una tecnologia ancora in divenire”, spiega Giuliana Mattiazzo, del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) del Politecnico di Torino. “Abbiamo visto che in teoria il Mediterraneo potrebbe fornire 210 gigawatt equivalenti a circa 540 teravattore anno, che sono due volte la domanda energetica nazionale. Tolti però i limiti dovuti alla batimetria e altri legati alla capacità infrastrutturale potremmo produrre intorno ai 70 gigawatt”.

    Secondo Mattiazzo, questo studio è più di un esercizio accademico: “È fattibile, ma di mezzo ci sono ci sono le politiche di regolamentazione, di incentivazione, quelle di zonizzazione e bisogna ancora costruire l’intera catena di approvvigionamento [l’insieme di processi, persone, tecnologie e organizzazioni coinvolte nel percorso che un prodotto o servizio compie dall’origine fino al consumatore finale, ndr]”, spiega l’esperta. “Le potenzialità ci sono e vediamo che è fattibile ma ha bisogno di un quadro regolatorio stabile”, dice ancora, sottilneando che le rinnovaibli ci servono anche per ridurre la nostra dipendenza energetica.

    Il mare si avvicina sempre di più a diventare un alleato nella corsa alla neutralità climatica, offrendo una via per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili senza intaccare risorse e territori terrestri. LEGGI TUTTO

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    Søren Jessen, la crisi climatica spiegata ai ragazzi: “Ma loro sanno già tutto”

    C’è una graphic novel che racconta ai ragazzi la crisi climatica e il rischio – crescente – dei fenomeni estremi, alluvioni in primis. Un libro straordinariamente attuale che indaga anche il peso delle responsabilità dell’antropocene, che a volte sommergono e travolgono anche i più piccoli. Si intitola La ragazza pesce, un libro edito da Camelozampa scritto e illustrato da Søren Jessen, con traduzione italiana di Eva Valvo. LEGGI TUTTO

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    No, il Green deal non è stato bocciato dal Consiglio europeo

    “Cosa è successo nel Consiglio europeo di ieri riguardo alla crisi climatica? Stando ai resoconti di molti media l’Unione europea avrebbe ridimensionato il Green deal. Ma c’è una versione secondo cui le cose sarebbero andate il modo molto diverso. “I colloqui sul clima, una delle questioni più spinose in vista del vertice, sono stati affrontati […] LEGGI TUTTO

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    Il buon esempio del Parma Calcio per l’ambiente

    Settantamila bottiglie di plastica (equivalenti a sette tonnellate di anidride carbonica) risparmiate in un anno solo nel centro tecnico del Parma Calcio; quasi tre quarti di rifiuti indifferenziati abbattuti negli uffici del club; e da domani, in occasione della partita Parma-Como, l’inaugurazione della raccolta differenziata in tutto lo stadio Tardini. I numeri della sostenibilità ambientale non fanno scalare la classifica in campionato, ma parlano di un futuro diverso e possibile anche in un mondo apparentemente immutabile come quello del calcio. E il Parma, unico club italiano assieme alla Juventus ad aver ottenuto la certificazione internazionale Iso 14001 per i sistemi di gestione ambientale, ora si offre come modello da seguire per tutta la serie A.

    Allo stadio Tardini il nuovo progetto “Play Green” indica la via: “Vogliamo portare anche fuori dal club le buone pratiche che abbiamo introdotto nella nostra attività quotidiana“, spiega l’ad Federico Cherubini. Detto, fatto: a partire dalla sfida Parma-Como i tifosi troveranno in tutto il Tardini 35 nuovi contenitori per la raccolta differenziata, un salto epocale nella gestione dei rifiuti in un luogo per sua natura ambientalmente disattento come lo stadio, “un primo passo – spiega il ceo dei Ducali – verso un ulteriore impegno in ambito sociale assieme alle comunità con cui entriamo in contatto“.

    Il progetto parte da lontano: nel 2020, con l’acquisto da parte della proprietà americana di Kyle Krause, il Parma ha avviato un percorso di efficientamento energetico, ottimizzazione degli acquisti e investimenti ambientali che hanno messo a sistema un vero e proprio modello, ora riconosciuto anche dal marchio Iso 14001, di cui solo dieci club in Europa, tra i quali Manchester City e Liverpool, possono fregiarsi. La patente Iso non è mai regalata: per ottenerla, occorre dimostrare virtuosità in ogni settore della vita aziendale, compresi partner e fornitori. “Il traguardo Iso – spiega Stefano Perrone, direttore operativo del club – è solo il punto di partenza: avere buone pratiche significa disporre di un metodo condiviso con tutti i dipendenti, ed è sinonimo di buone abitudini quotidiane acquisite, che passano non solo dal settore energetico e dal risparmio di risorse, ma anche dalla razionalizzazione degli sprechi di cibo, una catena in cui collaboriamo attivamente con associazioni locali in ogni evento sportivo. Abbiamo l’ambizione di contagiare più persone possibile in queste buone abitudini“.

    E così, a partire da domani, lo stadio Tardini diventerà il laboratorio di un nuovo modo di fruire lo stadio alla domenica. I giovani di due scuole superiori di Salerno e di Parma si offriranno come guide per i tifosi più distratti. “Questo non sarebbe stato possibile se non avessimo cominciato noi, a partire dal centro tecnico di Collecchio – prosegue Perrone -, dall’utilizzo di erogatori d’acqua che hanno fatto risparmiare 70.000 bottiglie di plastica, all’efficientamento energetico dello stadio con luci Led, passando per l’eliminazione dei cestini dei rifiuti negli uffici, che ha portato all’abbattimento del 70% di materiale indifferenziato. E questa attitudine si riverbera in tutte le attività del club: fornitori, sponsor e partner sono tutti attenti all’impatto ambientale e lo dimostrano concretamente. Il rapporto si estende anche a dipendenti e calciatori, anche loro sempre più coinvolti in veste di testimonial nelle buone abitudini ambientali. La strada è lunga, ma vorremmo che fosse seguita da tutta la serie A per fare davvero sistema“. LEGGI TUTTO

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    La sostenibilità ‘sfila’ sulle passerelle di moda

    Il mercato globale della moda sostenibile vale oggi circa 8 miliardi di dollari, e secondo le proiezioni raggiungerà oltre 33 miliardi entro il 2033, con una crescita annua superiore al 20%. Tuttavia, in termini relativi si tratta ancora di una nicchia, che rappresenta circa il 5–6% del mercato complessivo dell’abbigliamento, stimato intorno a 1,8 trilioni di dollari nel 2025.

    Sono i dati riferiti da Patrizia Catellani, professore ordinario del dipartimento di Psicologia della Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, autrice insieme a Valentina Carfora dello studio “Advertising innovative sustainable fashion: Informational, transformational, or sustainability appeal?”, pubblicato di recente sulla rivista Sustainability e centrato sull’impatto che messaggi sulla sostenibilità di un prodotto possono avere sulla scelta d’acquisto dei consumatori.

    “Negli ultimi anni la sostenibilità è diventata un elemento sempre più presente nella comunicazione pubblicitaria, ma il suo utilizzo è tutt’altro che uniforme – spiega Catellani. Molti brand, soprattutto quelli del lusso e della moda giovane, hanno iniziato a incorporare riferimenti all’impatto ambientale, ai materiali riciclati o all’etica produttiva come parte della loro identità di marca. In alcuni casi, l’attenzione all’ambiente è diventata una vera e propria strategia narrativa: non solo un’informazione aggiuntiva, ma il cuore del racconto pubblicitario”, aggiunge Catellani.

    LO STUDIO
    “Il nostro esperimento ha mostrato che le donne reagiscono positivamente ai messaggi che mettono in evidenza la sostenibilità nella comunicazione di moda, anche quando si tratta di un dettaglio tecnico del prodotto.”
    Le ricercatrici hanno presentato un prototipo di borsa con una catena realizzata attraverso un’innovativa tecnologia di rivestimento (Physical Vapor Deposition, PVD), che consente di ridurre l’impatto ambientale e aumentare la durata del materiale.
    Le partecipanti – oltre 500 donne italiane – sono state esposte a tre versioni diverse dello stesso annuncio pubblicitario: una che enfatizzava la qualità e la resistenza (appello informativo), una che puntava su esclusività e immagine (appello trasformazionale), e una che sottolineava il basso impatto ambientale della produzione (appello sostenibile).
    Il risultato è stato chiaro: il messaggio con l’appello sostenibile è risultato il più coinvolgente e il più efficace nel generare intenzione d’acquisto, rispetto a quelli focalizzati su estetica o funzionalità. Questo indica che le consumatrici non sono indifferenti ai temi ambientali, anche quando la sostenibilità è presentata in modo tecnico o circoscritto a un aspetto specifico del prodotto.
    Inoltre, il fatto che la sostenibilità sia risultata più persuasiva perfino rispetto a un messaggio centrato su esclusività e stile suggerisce un cambiamento culturale: le donne non rinunciano all’estetica, ma iniziano a integrarla con valori di responsabilità e coerenza etica. Il bello e il giusto, nella moda, non vengono più percepiti come opposti.

    “Col nostro studio abbiamo anche mostrato che questa sensibilità può variare in base allo stile decisionale: le consumatrici più perfezioniste e attente alla qualità dei prodotti sono risultate particolarmente ricettive ai messaggi che sottolineano resistenza, durata e utilizzo di materiali innovativi, anche se questo tipo di messaggio, definito “informativo”, ha generato in generale un minore coinvolgimento complessivo rispetto agli altri due messaggi sperimentati. Le consumatrici più “green” hanno reagito meglio al messaggio sostenibile – sottolinea l’esperta. In entrambi i casi, la sostenibilità diventa un criterio di fiducia, un modo per valutare il valore complessivo del prodotto”.
    Nella scelta d’acquisto, precisa l’esperta, l’estetica resta un elemento importante, ma non sufficiente: funziona meglio quando si intreccia con valori di responsabilità e autenticità. La resistenza e la qualità continuano a contare, ma oggi non bastano più da sole a motivare la scelta.

    “I nostri risultati riflettono un’evoluzione in corso nel modo in cui le persone valutano i prodotti di moda. Anche un riferimento tecnico e circoscritto alla sostenibilità – nel nostro caso la catena della borsa realizzata con una tecnologia a minore impatto ambientale – è stato sufficiente per suscitare interesse e coinvolgimento.
    Questo suggerisce che la sensibilità verso la sostenibilità non è più confinata a un gruppo ristretto di consumatori, ma sta entrando nel modo comune di attribuire valore ai prodotti. Tuttavia, si tratta di un processo graduale, non di un cambiamento radicale: la moda continua a essere guidata anche da estetica, identità e piacere, anche se questi elementi sembrano oggi convivere sempre più spesso con considerazioni etiche e ambientali”.
    La sostenibilità diventa una componente credibile e desiderabile dell’esperienza di consumo, non più solo un tema comunicativo o un argomento di nicchia, rileva la Catellani
    La sostenibilità di un prodotto, quindi, non è più un tema marginale, ma un elemento competitivo e identitario per i marchi che guardano al futuro. Per questo è necessario aumentare la trasparenza del settore e smascherare le strumentalizzazioni: negli ultimi anni sono emersi, infatti, diversi casi di greenwashing, ossia di aziende che comunicano un’immagine ecologica senza che i loro processi lo siano davvero, conclude Catellani. LEGGI TUTTO

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    Shelfy, il purificatore da frigo che fa durare più a lungo frutta e verdura

    Si può ridurre lo spreco alimentare in casa e di conseguenza anche risparmiare? Probabilmente sì, sfruttando la tecnologia di Shelfy, un piccolo purificatore d’aria, per frigoriferi, capace di prolungare la vita di frutta e verdura. L’abbiamo testato per settimane, per di più all’interno di un modello di frigo evoluto – probabilmente con un pezzo di modernariato sarebbe stato più facile confermare ogni promessa.

    Il tema di fondo è che Shelfy, giunto alla seconda versione e lanciato circa un mese fa, attua una strategia semplicissima: rende la condizione ambientale dei vani più sana e pulita. E in un ambiente di questo tipo soprattutto la frutta e la verdura rallentano il loro consueto deperimento. Per di più l’app Vitesy Hub, che dialoga con il dispositivo, non solo consente una corretta gestione e manutenzione dell’unità, ma attua un’adeguata divulgazione su come andrebbero conservati gli alimenti. Il risultato di tutto questo impegno è che in effetti gli alimenti mantengono più a lungo la loro consistenza, gusto e aspetto, e gli sprechi si riducono.

    Come funziona la tecnologia di Shelfy
    Il segreto di Shelfy si chiama fotocalisi, ovvero “un processo naturale che viene attivato dai led a luce visibile posti sopra il filtro, rivestito con un nanomateriale (triossido di tungsteno)”. In pratica viene indotta una trasformazione delle sostanze chimiche presenti nell’aria (interna al frigo). Nello specifico il nuovo led blu, come hanno confermato diversi studi realizzati da università e laboratori italiani, promette di ridurre la presenza di batteri del 99% ed eventuali odori dell’80%. LEGGI TUTTO

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    Sotto attacco dall’ultra fast fashion, la moda italiana difende la sostenibilità

    VENEZIA — “Il sistema moda e tessile italiano ed europeo è sotto attacco”. Non usa mezzi termini Luca Sburlati, presidente Confindustria moda, nel suo intervento al Venice Sustainable Fashion Forum, curato da TEHA Group con il contributo di Sistema Moda Italia e Confindustria Veneto Est.
    Più o meno felice che sia di questi tempi la metafora bellica, i numeri snocciolati da Sburlati sono eloquenti: export -4,5%, import +4,3%, un dato questo del tutto inaspettato e con un solo “colpevole”: la Cina, che da sola ha fatto registrare un +9%. Ma è soprattutto il modo che preoccupa: le piattaforme innovative e la vendita punto a punto, che si traduce nell’alluvione di centinaia di migliaia di pacchi sotto i 150 euro al giorno nelle nostre case.
    “Pacchi che non pagano dazi, né dogane e, spesso, neppure l’Iva” denuncia Sburlati.

    Luca Sburlati, presidente Confindustria Moda.  LEGGI TUTTO

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    La foresta come cappotto termico: l’esempio di Poggio Tre Cancelli

    L’ultimo taglio di un albero nella foresta di Poggio Tre Cancelli in Toscana risale alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Oltre vent’anni dopo è designata riserva statale integrale, un’area naturale dove non si può nemmeno passeggiare ma dove piante e animali si evolvono in assenza di disturbo umano. È la seconda del genere […] LEGGI TUTTO