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    Dopo i fuochi il problema dell’acqua contaminata: i rischi che corre Los Angeles a causa dei roghi

    Dopo il fuoco, ora a far paura è l’acqua. Nel bel mezzo di quello che è stato definito “il più grande incendio di sempre della California” ai residenti che erano riusciti a salvare la propria casa il Dipartimento idrico di Los Angeles ha mandato un messaggio, scritto in stampatello: “Non bere o cucinare con l’acqua del rubinetto”. L’avviso consigliava sia di non bere l’acqua, sia di non sprecarla per le docce. Ancor prima, l’8 gennaio, veniva generalmente consigliato di “bollirla”. Mentre ancora si stanno spegnendo gli ultimi roghi e in attesa di conoscere l’enorme stima dei danni – già ipotizzati oltre i 250 miliardi di dollari – la California devastata dagli incendi nell’area di Los Angeles si prepara ora alla possibilità di un nuovo e gigantesco problema: la contaminazione dell’acqua potabile. La domanda è: quanto l’acqua californiana è stata contaminata? E inoltre in quali comunità dovranno scattare severe restrizioni?. E ancora: il sistema idrico di Los Angeles già allo stremo, in un contesto caratterizzato da siccità e terreni bruciati, reggerà nelle prossime settimane?.

    Domande che si è posto per esempio Andrew Whelton, professore di ingegneria della Purdue University, che dopo aver studiato le conseguenze di incendi recenti negli Usa lancia l’allarme sulla possibile contaminazione dell’acqua a Los Angeles, invitando le autorità ad affrontare la questione come problema primario. Nel passato recente, sia nel 2017 a Santa Rosa sia a Paradise nel 2018, dopo alcuni grandi incendi boschivi erano stati trovati elevati livelli di benzene, sostanza chimica in più casi associata al cancro. Questa è una delle peggiori ipotesi a cui i californiani potrebbero andare in contro, ma per fortuna attualmente i rischi sono limitati. Durante gli incendi boschivi infatti l’acqua potabile generalmente viene contaminata in due modi: o tramite la fonte idrica o per il sistema che la distribuisce. Nel caso di Los Angeles è meno probabile che ad essere colpita sia direttamente la fonte dato che i bacini idrici principali si trovano a nord e a est della contea in luoghi risparmiati dalle fiamme. In generale la cenere può depositarsi sui serbatoi, ma anche in questo caso tramite trattamento e depurazione si può ovviare al problema.

    Focus

    Vento secco, caldo e siccità: la “tempesta perfetta” di fuoco in California

    di  Luca Fraioli

    08 Gennaio 2025

    Più complesso però se a essere colpito risulta il sistema di distribuzione dell’acqua composto dalla gestione delle acque locali, i serbatoi di stoccaggio dell’acqua e le tubature che riforniscono case e aziende. Quando viene colpito il sistema allora c’è possibilità di contaminazione. Dopo un incendio di tale portata come quello di Los Angeles la fuliggine e l’inquinamento atmosferico degli alberi e degli edifici bruciati possono di fatto essere risucchiati nel sistema idrico attraverso per esempio idranti aperti, sfiati dei serbatoi di stoccaggio dell’acqua oppure tubi danneggiati. “Quel vuoto risucchia i contaminanti, come i gas di combustione, nel sistema di distribuzione e questo causa una contaminazione chimica del sistema di distribuzione, di cui è molto difficile liberarsi” ha dichiarato Jackson Webster, professore di ingegneria della California State University, ricordando che anche l’infrastruttura del sistema idrico stesso può sciogliersi, soprattutto le parti in plastica, e contaminare l’acqua. In quest’ultimo caso alcune plastiche possono anche assorbire le sostanze chimiche come una spugna e rilasciarle lentamente nell’acqua potabile pulita, rendendola non sicura nel tempo. Il ricercatore forestale dell’Università Statale di Milano Giorgio Vacchiano ricorda inoltre a Green&Blue che “subito dopo un incendio, i nutrienti come azoto e fosforo presenti nelle ceneri vengono trasportati dalle piogge nei corsi d’acqua, aumentando il rischio di eutrofizzazione. Oltre ai nutrienti, gli incendi rilasciano nell’ambiente composti chimici pericolosi derivanti dalla combustione di materiali naturali e artificiali. I composti organici volatili (VOC) e i metalli pesanti possono contaminare gravemente le acque, come dimostrato dai 5.000 campioni raccolti dopo il Camp Fire del 2018 in California, che hanno evidenziato livelli significativi di sostanze tossiche”.

    Per Vacchiano “questi contaminanti rappresentano una seria minaccia non solo per gli ecosistemi, ma anche per le riserve di acqua potabile, perché le sostanze chimiche derivate dalla combustione di strutture e materiali sintetici possono alterare la qualità dell’acqua a lungo termine. Le elevate concentrazioni di carbonio organico disciolto (DOC), nitrati e altri inquinanti possono rimanere rilevabili per oltre un decennio, alterando in modo significativo gli equilibri ecologici”. Per la popolazione i rischi nell’assunzione di acqua contaminata dopo i roghi vanno dalla possibilità di infezioni intestinali sino a malattie a lungo termine dovute per esempio all’esposizione a sostanze chimiche cancerogene. Bollire l’acqua, come richiesto in un primo avvertimento, può essere utile per eliminare virus e batteri ma “non protegge dai comuni contaminanti chimici introdotti dagli incendi” ricorda Daniel McCurry, professore di ingegneria civile e ambientale dell’Università della California del Sud. Per Los Angeles è ancora presto per avere stime reali sulla contaminazione dell’acqua ma la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che un insieme di indicazioni – dai divieti di bere alla depressurizzazione, sino allo scioglimento di alcune tubature plastiche – possano essere un segnale di contaminazione. Quando i pompieri devono estrarre enormi quantità d’acqua al minuto in poco tempo per fronteggiare i muri di fuoco si verificano infatti eventi di depressurizzazione: a quel punto la pressione dell’acqua crolla e il sistema “diventa vulnerabile a batteri o sostanze chimiche che entrano nel sistema dall’ambiente circostante”. Se le acque sono contaminate, quando le aziende dei servizi idrici locali “provano a ripressurizzare, ricominciano a spingere quell’acqua contaminata attraverso l’infrastruttura” ricorda il professor Whelton.

    Vivendo ancora una fase emergenziale per la comunità di Los Angeles la questione acqua rimane tutt’ora un punto interrogativo e i prossimi giorni e settimane saranno cruciali per comprendere la portata del problema: verranno eseguiti test e, una volta valutati i danni, saranno riparate tubature, pompe e serbatoi, un lavoro che potrebbe richiedere anche un mese di tempo. Detto ciò, secondo esperti come Whelton, che su The Conversation ha scritto una lettera su rischi ed esempi passati di contaminazione, è importantissimo agire con urgenza e informazione nel tentativo di preservare l’acqua potabile e salvare vite. “Dopo un incendio – spiega il professore – l’acqua potabile può essere ripristinata, ma le comunità che si riprendono più rapidamente sono quelle che lavorano insieme”, diffondendo le “corrette informazioni” per aiutare tutti a fare attenzione e prendere le dovute precauzioni prima di bere o usare acqua del rubinetto. LEGGI TUTTO

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    Inquinamento da farmaci: una ricerca svela l’impatto sugli ecosistemi marini

    Gli effetti dei farmaci vanno ben oltre il nostro corpo. Spesso infatti gli impianti fognari e di depurazione non sono in grado di eliminare completamente i residui dei medicinali che contaminano e inquinano le acque del pianeta, innescando un effetto a cascata su interi ecosistemi marini. Per questo motivo, sono considerati “contaminanti emergenti”. Per la prima volta una ricerca dell’Università di Pisa, appena pubblicata sul Journal of Hazardous Materials, ha esaminato l’impatto di diverse concentrazioni di ibuprofene, un comune antinfiammatorio molto utilizzato durante la pandemia di Covid-19, sulle angiosperme, cioè le piante marine.

    Le conseguenze sull’ecosistema
    “Le angiosperme marine svolgono ruoli ecologici cruciali e forniscono importanti servizi ecosistemici, ad esempio proteggono le coste dall’erosione, immagazzinano carbonio e producono ossigeno, supportano la biodiversità, e costituiscono una nursery per numerose specie animali”, spiega la professoressa Elena Balestri del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano che insieme ai dipartimenti di Farmacia e di Scienze della Terra, il Centro per l’Integrazione della Strumentazione scientifica (CISUP) e il Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) hanno condotto la ricerca scientifica.

    Biodiversità

    Entro il 2100 potremmo perdere alghe e foreste marine

    di  Pasquale Raicaldo

    02 Novembre 2024

    Danneggiato l’apparato fotosintetico
    In particolare, la ricerca si è focalizzata su Cymodocea nodosa (Ucria) Ascherson, una specie che cresce in aree costiere poco profonde, anche in prossimità della foce dei fiumi, zone spesso contaminate da molti inquinanti, farmaci compresi. La sperimentazione è avvenuta in mesocosmi all’interno dei quali le piante sono state esposte per 12 giorni a concentrazioni di ibuprofene rilevate nelle acque costiere del Mediterraneo. Così è emerso che la presenza di questo antinfiammatorio a concentrazioni di 0,25 e 2,5 microgrammi per litro causava nella pianta uno stress ossidativo, anche se non irreversibile. Se invece la concentrazione era pari a 25 microgrammi per litro, le membrane cellulari e l’apparato fotosintetico erano danneggiate, compromettendo in tal modo la resilienza della pianta a stress ambientali.

    Lo studio

    Microplastiche nelle acque reflue: nascondono virus e batteri

    di  Fiammetta Cupellaro

    08 Novembre 2024

    “Nuove tecnologie per ridurre la contaminazione”
    “Il nostro è il primo studio che ha esaminato gli effetti di farmaci antiinfiammatori sulle piante marine – spiega ancora Elena Balestri – Attualmente, si stima che il consumo globale di ibuprofene superi le 10.000 tonnellate annue e si prevede che aumenterà ulteriormente in futuro, e poiché gli attuali sistemi di trattamento delle acque reflue non sono in grado di rimuoverlo completamente anche la contaminazione ambientale aumenterà di conseguenza”.

    “Per ridurre il rischio di un ulteriore aggravamento del processo di regressione delle praterie di angiosperme marine in atto in molte aree costiere – conclude Balestri – sarà quindi necessario sviluppare nuove tecnologie in grado di ridurre l’immissione di ibuprofene e di altri farmaci negli habitat naturali, stabilire concentrazioni limite di questo contaminante nei corsi d’acqua e determinare le soglie di tolleranza degli organismi, non solo animali ma anche vegetali”. LEGGI TUTTO

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    Eurostat: emissioni gas serra diminuite nella Ue del 7% nel 2023

    Sarà per la crescita delle energie rinnovabili, oppure, per la politica di sostenibilità intrapresa dai grandi gruppi industriali, ma secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, l’ufficio di statistica della Ue, qualche progresso per diminuire l’impatto delle emissioni di gas serra c’è stato. Nel 2023 infatti nei Paesi dell’Unione europea famiglie e attività produttive hanno […] LEGGI TUTTO

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    “Ogni giorno salvo il mondo e non sono da solo”, i consigli green di Nicola Costanza

    Nicola Costanza, 27 anni, guida ambientale e divulgatore scientifico, ha appena pubblicato il suo primo libro 30 giorni per salvare il pianeta (Giacovelli Ecofriendly, 2024), una guida sui comportamenti più sostenibili da attuare in un mese. “Sono nato e cresciuto nella città di Bari, una terra – racconta Costanza- ricca di tradizioni e bellezze naturali che hanno contribuito a formare il mio legame profondo con il pianeta. La mia passione per la natura ha radici profonde e inaspettate, piantate dai miei genitori quando ero bambino, anche se forse non se ne rendevano conto. Ricordo ancora le domeniche mattina passate con mio padre davanti alla televisione, entrambi incantati dai documentari sulle foreste pluviali. Quelle immagini vibranti e misteriose hanno piantato in me un seme che mia madre ha poi coltivato con amore, riempiendo la mia infanzia di libri sugli animali e sulla natura. Oggi porto con me quei ricordi come un tesoro prezioso, un punto di partenza che ha dato forma al mio percorso. Raccontare il mondo, le sue meraviglie e i suoi delicati equilibri, non è solo il mio lavoro: è la mia missione. Credo profondamente che condividere conoscenza e ispirare le persone a prendersi cura del nostro pianeta sia uno dei modi migliori per lasciare un segno positivo nel mondo”.Lo scorso luglio Nicola ha conseguito la laurea magistrale in Scienze della Natura e dell’Ambiente, curriculum Conservazione, all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. “Studiare mi ha aperto gli occhi, mi ha fornito letteralmente le chiavi del mondo. Oggi sono in grado di riconoscere piante e raccontare le foreste, leggere la storia scolpita nelle montagne e comprendere il ruolo vitale degli oceani. Ogni lezione e ogni scoperta mi hanno avvicinato sempre di più alla meraviglia e alla complessità della natura che ci circonda. Il mio sogno è ‘salvare’ il pianeta. Da qui è nato il mio progetto di divulgazione scientifica sui social, dove racconto la natura che ci circonda, condividendo curiosità, conoscenze e riflessioni. E c’è Alba, l’associazione che ho fondato nel 2021, attraverso la quale organizzo attività che permettono di toccare con mano la natura: scalate alpine, trekking, surf, esperienze pensate per chiunque desideri esplorare, scoprire e connettersi con il pianeta”.

    Nel suo libro Costanza accompagna il lettore in un percorso di 30 giorni con centinaia di consigli utili e concreti per proteggere l’ecosistema. Dalle sue riflessioni emerge un concetto importante: da soli possiamo fare poco, ma insieme possiamo davvero cambiare il mondo.“Il pianeta non ha bisogno di essere salvato. Ha già superato estinzioni di massa, asteroidi e cataclismi planetari, e la vita ha continuato a evolversi. Quello che va protetto è il mondo così come lo conosciamo oggi: le nostre comunità, la nostra storia, la nostra esistenza come specie su questo pianeta. Dobbiamo accompagnare l’umanità verso il cambiamento. Ed è proprio questo l’obiettivo del mio libro: donare speranza, strumenti e conoscenze per costruire un futuro migliore. La scelta più efficace per contribuire alla salvaguardia del pianeta è innanzitutto ridurre, o laddove possibile eliminare, il consumo di carne dalla propria alimentazione. L’industria della carne rappresenta una delle principali cause di emissioni di gas serra e contribuisce massicciamente alla distruzione delle foreste pluviali, abbattute per fare spazio a pascoli e coltivazioni destinate ai mangimi. L’impatto non si ferma qui: i suoli e le acque di falda vengono spesso contaminati da escrementi carichi di antibiotici e altre sostanze nocive, mentre il consumo di risorse idriche raggiunge livelli insostenibili”. LEGGI TUTTO

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    Sequoia, alla scoperta della pianta più longeva al mondo

    Appartiene alla famiglia delle Taxodiaceae, è originaria delle coste del Nord America ed è letteralmente l’albero più grande esistente al mondo. La sequoia è un albero dal fusto dritto e molto alto. Le sue foglie sono a forma di ago e portano coni sia maschili, sia femminili su specie differenti, ma a colpire sono le dimensioni: la sequoia può raggiungere anche più di 100 metri di altezza. Affascinante e da sempre considerata simbolo di resilienza, la sequoia resta una meraviglia per gli occhi: gigante e sempreverde, vederla dal vivo regala emozioni.
    Le caratteristiche della sequoia
    Quando si parla di questa pianta è impossibile non soffermarsi su quelle che sono le sue peculiarità più note, oltre che oggettive. Anzitutto, la sequoia è l’albero più longevo che ci sia: può vivere oltre 2000 anni, diventando osservatrice del mondo e della sua evoluzione. È perfettamente in grado di adattarsi a terreni diversi, anche se la sua preferenza va a quelli ben drenati e ricchi, ma in ogni caso riesce a crescere facilmente in aree eterogenee.
    Per quanto riguarda la riconoscibilità oltre l’altezza, la sequoia è semplice da identificare: le sue foglie sono molto simili ad aghi, anche se piatte. Il loro colore è verde scuro nella parte superiore e verde un po’ più chiaro in quella inferiore. I fiori (maschili e femminili), invece, si distinguono per i loro colori vivaci e la loro forma ovoidale dei coni femminili. Possono assumere una forma differente a seconda sia delle condizioni ambientali, sia della loro posizione sui rami. Anche la luce incide nella forma delle foglie: tutte quelle maggiormente esposte al sole tenderanno a essere più piatte rispetto alle altre che, lasciate in ombra, assumeranno una curvatura molto leggera.
    Dove si trova la sequoia: distribuzione e longevità
    La sequoia ama il clima oceanico e proprio per questo la vediamo crescere in modo del tutto spontaneo lungo la fascia costiera che dalla California arriva all’Oregon. Questa pianta maestosa, infatti, tende a diffondersi fino ad altitudini di 1000 metri sul livello del mare, ma tendenzialmente la si trova ad altitudini inferiori ai 300 metri. Per vedere le sequoie più alte al mondo si deve viaggiare fino al Parco Nazionale di Redwood, in California, ma queste meravigliose piante sono sparse anche in Italia.
    Dove si trovano le sequoie in Italia
    Forse non tutti lo sanno, ma anche l’Italia è un Paese ricco di sequoie secolari. Le regioni in cui è possibile ammirarle sono: Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Toscana ed Emilia-Romagna. In realtà di sequoie maestose se ne vedono anche al Sud: è il caso della Calabria, sulla Sila, della Basilicata e della Sardegna, sul Monte Limbara. Rispetto alle zone extraeuropee, in Italia e in altri paesi d’Europa l’altezza delle sequoie arriva di solito fino ai 50 metri. Inoltre, molte sequoie sono state piantate negli anni o per scopo prettamente “decorativo”, o per scopo “forestale”. In questa “semina” compare anche l’Italia.
    Quanto vivono le sequoie
    Conosciuta per essere la pianta più longeva al mondo, la sequoia affascina soprattutto per la sua corsa alla vita. Essa, infatti, può vivere fino a 2000 anni e oltre. Pensate infatti che una delle sequoie giganti più antiche del mondo è quella denominata “President”, sita nella Sierra Nevada in California. Questo magnifico esemplare ha la bellezza di quasi 3200 anni.
    Sequoia sempreverde e sequoia gigante
    Nonostante appartengano alla stessa famiglia, la sequoia sempreverde (tecnicamente sempervirens) e la sequoia gigante hanno delle differenze. Intanto, provando a mettere a paragone due esemplari adulti, ci si rende immediatamente conto che la prima distinzione riguarda la grandezza. La sequoia gigante, infatti, è decisamente più maestosa della sempervirens. Il suo volume è maggiore e il tronco è a forma conica, caratteristiche non appartenenti alla sempreverde, che però può raggiungere altezze superiori, mentre il cono è dritto e più snello.
    In realtà entrambe le sequoie in questioni sono sempreverdi; la sempervirens, però, ha foglie piatte e aghi morbidi, mentre la sequoia gigante ha gli aghi “a grappolo”, più corti e a punta.
    Coltivazione della sequoia
    La sequoia cresce bene in terreni profondi, umidi e particolarmente drenati. Ama le posiziono riparate ed è amica dei climi oceanici. Per far sì che cresca libera e maestosa senza essere indebolita, è bene tenerla lontana sia dalle temperature gelide dell’inverno, sia dall’inquinamento. Si consiglia di svolgere la messa a dimora nel periodo d’autunno o in primavera.
    Dove piantare la sequoia: coltivazione in casa
    La coltivazione da semi in casa è possibile durante l’arco di tutto l’anno. Il modo migliore per coltivarle è lasciare la zona alla luce; solo in questo modo i semi riusciranno a germinare. In tutta questa fase iniziale è importante tenere il terreno umido ed evitare temperature troppo fredde. Ricordiamo, infatti, che il recipiente di coltivazione dovrebbe avere una temperatura tra i 15° e i 20°. Le prime piantine cominceranno a vedersi dopo circa sette settimane.

    Viene da sé che trattandosi di alberi sempreverdi a lunga durata che richiedono molto spazio e un clima specifico, curarli al di fuori del loro habitat non è impossibile, ma è comunque molto difficile.
    Irrigazione e potatura
    Se posizionata in zone dove le piogge sono abbondanti, la sequoia non ha bisogno di irrigazione. L’albero, infatti, riceverà la giusta quantità di acqua necessaria per stare in salute. In caso di periodi di siccità, invece, si consiglia un’irrigazione più frequente. Per quanto riguarda la potatura, non è obbligatoria. O meglio, la si consiglia solo per eliminare i rami secchi.
    Concimazione
    Durante la fase dell’impianto, una delle più importanti, è consigliabile inserire nel terreno del concime granulare. In questo modo il terreno nel quale la sequoia crescerà sarà ben nutrito delle giuste sostanze. Questa operazione è da intendersi annualmente verso la fine della stagione invernale. LEGGI TUTTO

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    Cosa piantare nell’orto d’inverno, dall’aglio ai piselli

    È vero, dicembre e gennaio potrebbero sembrare mesi di totale riposo per l’orto, ma in realtà non è totalmente così. Infatti, sebbene il clima diventi più rigido e il rischio gelate si fa sentire, ci sono comunque alcune piante che, se piantate in questo periodo dell’anno, possono ancora attecchire con discreto successo. Affinché questo avvenga, però, è necessario preparare il terreno e sapere che cosa fare passo dopo passo. Tra qualche semina e qualche lavoro, l’orto di dicembre non andrà in letargo.

    Orto d’inverno: che cosa piantare
    Data la stagione fredda, le semine nell’orto di dicembre sono nettamente limitate. Non azzerate, solo limitate. Infatti, ci sono ancora alcuni ortaggi che possono resistere ai freddi dell’inverno, ma laddove il terreno è già stato colpito da gelate si dovrà comunque attendere la primavera. Le uniche verdure in grado di sopportare l’inverno sono: piselli, fave, valerianella e spinaci, ma solo se la semina avviene in zone in cui il clima è abbastanza mite (minime di almeno 8°). Questi ortaggi si possono piantare all’aperto nell’orto, ma sempre e solamente se le temperature non sono troppo basse. Tuttavia, per quanto riguarda la valeriana, la lattuga e il radicchio da taglio, sarebbe meglio puntare su una serra protetta. In questo modo si offrirà loro maggiore protezione dal freddo e la semina andrà a buon fine. Infine, ma non per importanza, l’orto del mese di dicembre e gennaio si potrebbe arricchire anche di ravanelli, pronti per essere seminati.

    Piantare i piselli: consigli
    I piselli restano una delle colture migliori da seminare a dicembre e gennaio nell’orto. In particolare, questa semina è gettonatissima nelle zone del Sud Italia, dove nonostante la stagione invernale le temperature riescono a mantenersi piuttosto miti. Sapevate che una volta attecchita la coltura resiste anche a -10°? Questo è uno dei motivi per cui i piselli sono perfetti per l’orto invernale.

    Cosa trapiantare nell’orto d’inverno
    Per quanto riguarda invece i trapianti, nei mesi invernali l’orto offre alcune possibilità interessanti. Intanto, nel mese delle vacanze di Natale sarà possibile trapiantare tutte le cipolle invernali in piantina o bulbillo, ma anche il tanto amato scalogno, l’aglio e gli asparagi. Dicembre e gennaio possono essere un valido momento anche per i carciofi, il cui trapianto è possibile in presenza di cassoni o di aiuole adeguatamente riparate.

    Orto d’inverno: l’aglio è il migliore alleato
    Tra tutte quelle citate, l’aglio è sicuramente la coltura più adatta da piantare in questo periodo con temperature più rigide. Intanto, la sua crescita è molto rapida e riesce ad adattarsi molto bene anche ai climi più freddi. Poi, e non è poco, l’aglio richiede poco spazio nell’orto: basta piantare uno spicchio soltanto che formerà un nuovo bulbo. Per coltivarlo al meglio è bene ricordarsi di non piantarlo in una zona dell’orto dove in precedenza è già stato coltivato altro aglio.

    Che cosa raccogliere nell’orto d’inverno
    Se nel mese di novembre i raccolti nell’orto sono ancora abbastanza ricchi, quelli del mese di dicembre e gennaio lo sono decisamente meno. Tuttavia, in caso di serre protette, anche dicembre può diventare fruttifero: all’interno di questi spazi, infatti, sarà possibile continuare a raccogliere lattughe da taglio, cicoria catalogna, ravanelli e valeriana. Resistono al freddo anche il cavolo nero toscano e la verza, da raccogliere solitamente immediatamente dopo la prima gelata. Sì, anche ai raccolti di bietole, broccoli, cavolfiori, cavoli, cavolini di Bruxelles, carote, finocchi e scarola.

    Quali lavori fare nell’orto d’inverno
    Molte persone pensano che l’orto invernale abbia bisogno di meno attenzioni a causa delle temperature rigide: non è esattamente così. Infatti, nonostante il freddo pungente, l’orto a dicembre ha comunque bisogno di essere curato. I lavori da svolgere in questo periodo dell’anno sono diversi e tra questi la concimazione detiene il primo posto. È fondamentale preparare il terreno alla nuova stagione e per farlo è necessario che questo non sia troppo gelato (se lo sarà bisognerà attendere qualche mese).

    Concimare il terreno: come fare
    Per concimare il terreno in vista della nuova stagione i passaggi da seguire sono pochi ma essenziali. Intanto, bisognerà procurarsi una vanga per potere lavorare la terra e renderla sia più impermeabile, sia più ariosa. Una volta fatto questo, si passerà alla concimazione vera e propria: a dicembre si prediligono fertilizzanti organici come il compost e il letame maturo, da interrare leggermente.

    Gli altri lavori da fare nell’orto d’inverno: la pacciamatura
    Tra gli altri lavori da svolgere nell’orto nel mese di dicembre e gennaio c’è anche la pacciamatura. Si tratta di un’operazione tipica del mondo del giardinaggio che consiste nella copertura del terreno con uno strato leggero di materiale (paglia, foglie, erba o pezzi di corteccia). In inverno è utile per proteggere la terra dell’orto dalle piogge, dal freddo e dalla neve, capaci sia di dare vita ai tanto temuti ristagni idrici, sia di rendere il terriccio troppo duro o troppo poco fertile. Il materiale che si utilizzerà, infatti, col tempo tenderà a decomporsi e fungerà a sua volta da fertilizzante: una strategia utile e sana in un colpo solo.

    Dicembre segna la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, con le settimane a seguire, e le semine sono limitate rispetto al resto dell’anno. Eppure, nonostante le quantità ridotte di ortaggi da piantare, l’orto non si riposa neppure d’inverno, ma al contrario ha bisogno di attenzioni. Chiarite le modalità di semina (piena terra all’aperto, semenzaio protetto) e chiariti i lavori da svolgere a dicembre, ora non vi resta che iniziare: un buon raccolto è frutto di una buona gestione, dove amore e dedizione regalano sempre una soddisfazione in più. LEGGI TUTTO

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    Un nuovo tessuto elettronico indossabile e biodegradabile che impatta meno sull’ambiente

    I tessuti elettronici indossabili, in inglese e-textiles (electronic-textiles), hanno una vasta gamma di applicazioni: possono essere utilizzati per monitorare parametri come la temperatura corporea e il battito cardiaco, possono aiutare gli atleti ad analizzare le loro performance e sono quelli che ci consentono per esempio di avere sedili riscaldabili nelle auto. La sfida odierna è rendere questa promettente tecnologia più ecologica, dato che la presenza di componenti elettronici rende i tessuti più difficili da riciclare. Proprio con questo obiettivo, un gruppo di ricercatori e ricercatrici coordinato da Shaila Afroj e Nazmul Karim della University of the West of England di Bristol (Regno Unito) ha messo a punto un tipo di e-textile in grado di decomporsi ad una velocità relativamente elevata. Secondo i risultati dello studio, pubblicato su Energy and Environmental Materials, il nuovo tessuto avrebbe anche un impatto ambientale circa 40 volte inferiore in termini di emissioni di CO2 per la sua produzione rispetto ai tessuti elettronici indossabili “classici”.

    Com’è fatto il nuovo e-textile
    Uno dei problemi del riciclo di questo tipo di tessuti è legato alla presenza di metalli che servono per il funzionamento della componente elettronica, come per esempio l’argento, e che non sono facilmente biodegradabili, spiega Karim. La parte elettronica del tessuto ideato dal gruppo di ricerca è invece costituita da grafene, una molecola composta da anelli di atomi di carbonio, e da un polimero noto come PEDOT:PSS, che non contiene metalli ma solo atomi di ossigeno, zolfo, carbonio e idrogeno. La base del nuovo tessuto è invece fatta di un materiale ricavato dal legno, chiamato Tencel.

    Ricerca

    Un nuovo tessuto con polimero e lana ci salverà dal caldo riflettendo le radiazioni

    di Sara Carmignani

    19 Ottobre 2024

    Gli autori dello studio hanno testato questo design su cinque volontari, inserendo dei campioni di tessuto all’interno di guanti che sono poi stati collegati a dispositivi di monitoraggio e indossati dai partecipanti. Dalle analisi è emerso che il nuovo e-textile consente di monitorare il ritmo cardiaco e la temperatura corporea in modo paragonabile ai tessuti elettronici indossabili già presenti in commercio.

    “Il raggiungimento di un monitoraggio affidabile e conforme agli standard industriali con materiali ecologici è una pietra miliare significativa – commenta Afroj – Dimostra che la sostenibilità non deve necessariamente andare a scapito della funzionalità, soprattutto in applicazioni critiche come quelle sanitarie”.

    Biodegradabile e meno impattante sull’ambiente
    Come anticipato, il gruppo di ricerca ha inoltre testato la capacità del materiale di biodegradarsi. In particolare, gli autori hanno sotterrato dei campioni di tessuto all’interno di vasi contenenti terriccio e hanno osservato che dopo quattro mesi la loro massa si era ridotta di circa il 48%, ad indicare che la comunità microbica presente nel terreno riesce a decomporli.

    (foto: Marzia Dulal/University of Southampton)  LEGGI TUTTO

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    Caldo record 2024, i medici: “Gravissimi gli effetti sulla salute”

    L’aumento delle temperature sta diventando un problema non solo per la tenuta del pianeta e il riscaldamento globale ma anche per le ricadute dirette sulla salute umana e l’ambiente. La crisi climatica sta infatti incrementando il rischio di malattie trasmesse tramite il cibo, gli insetti e i parassiti. Non solo. Alterando l’ecosistema e provocando alluvioni, siccità e caldo estremo minaccia gli elementi essenziali della vita umana con ripercussioni su tutta la catena alimentare. Il nuovo allarme è arrivato dagli esperti della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), commentando l’ultimo dossier di Copernicus, l’agenzia dell’Unione europea, che ha confermato i dati che aveva anticipato a dicembre: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato ed è anche stato il primo anno in cui la temperatura media globale ha sforato il limite di 1,5 gradi sopra i livelli pre-industriali previsto dall’Accordo di Parigi.

    Scienza

    Dal clima alle pandemie, cosa ci aspetta nel 2025 secondo “Science”

    di  Giacomo Talignani

    04 Gennaio 2025

    Secondo Copernicus la temperatura media globale nel 2024 sulla superficie terrestre è stata di 15,10 gradi Celsius, 0,12 gradi sopra la media del 2023, considerato in precedenza l’anno più caldo della storia.

    I medici: “L’ambiente ideale per gli agenti patogeni”
    Spiega Sima: “L’aumento delle temperature medie crea le condizioni ideali per la trasmissione di molteplici agenti patogeni: grazie alla maggiore umidità proliferano ad esempio zecche, zanzare e parassiti che diffondono malattie anche gravi come il virus Zika, la febbre dengue e la malaria. Ma a crescere è anche il rischio di malattie idrotrasmesse: piogge intense e alluvioni, eventi direttamente connessi al cambiamento climatico, fanno straripare corsi d’acqua e mandano in tilt le reti fognarie, diffondendo tra la popolazione agenti virali quali virus delle epatiti A ed E, Enterovirus, Adenovirus, Norovirus, Rotavirus, contaminando anche la catena alimentare.

    E proprio sul fronte alimentare, le temperature più alte danneggiano le coltivazioni in determinate aree del mondo, provocando un taglio alle produzioni di materie prime indispensabili e un fortissimo aumento dei prezzi al dettaglio, come sta avvenendo a livello globale ad esempio per il caffè e il cacao.

    Salute e ambiente

    Virus dell’aviaria, il salto di specie che fa paura. “Rischio basso ma attenzione alta sui bovini”

    di  Giacomo Talignani

    10 Gennaio 2025

    L’impatto della crisi climatica sulla salute mentale
    ” A tali fenomeni si associa quello psicologico, che non deve essere sottovalutato – afferma il presidente Sima, Alessandro Miani – di recente è stato coniato il termine ‘solastalgia’ per indicare proprio l’angoscia provocata dal drastico cambiamento del clima: gli eventi climatici estremi provocano uno stato di stress e ansia tra i cittadini più vulnerabili che può sfociare in disturbi post-traumatici e addirittura in suicidi”. LEGGI TUTTO