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    Le piante grasse da esterno: resistenti al freddo e al sole

    Ecco le migliori piante grasse da esterno che possiamo coltivare nei nostri giardini per creare un’oasi dai tratti esotici: sono rustiche e ideali anche per la messa a dimora in piena terra.

    Il graptopetalum paraguayense
    Il graptopetalum paraguayense appartiene alla famiglia delle crassulacee e proviene dal Messico. Tra le piante grasse pendenti e con fiori, si contraddistingue per raggiungere delle dimensioni modeste, da alcune decine di centimetro a circa un metro. I suoi rami tendono ad essere curvi e le foglie, raggruppate in rosette, hanno un colore che sfuma tra il grigio e il violetto chiaro. Il graptopetalum regala una bella fioritura, con steli allungati e fiori a forma di stella di colore bianco e giallo. Questa pianta predilige l’esposizione in ambienti luminosi, anche con il soleggiamento diretto per alcune ore al giorno, e può sopportare temperature fino a -10 gradi. Il terreno ideale per la coltivazione è ben drenante e non pesante, idealmente una miscela tra terra per cactacee, torba e un po’ di sabbia. Il graptopetalum richiede annaffiature piuttosto abbondanti, sebbene sia necessario attendere sempre che il terreno asciughi bene tra un’innaffiatura e l’altra. Durante la primavera e l’estate, possiamo concimare la pianta ogni quindici giorni, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. Per riprodurre il graptopetalum, possiamo staccarne una foglia e piantarla semplicemente in terra. Non è necessario potare la pianta, ma è buona regola rimuovere le foglie danneggiate per prevenire attacchi da parte di parassiti. Tra le avversità che toccano il graptopetalum, segnaliamo il marciume radicale (eccesso di irrigazione), nonché le foglie e gli steli sbiaditi e stentati (scarsità di luce).

    L’aloe striatula
    L’aloe striatula – nota anche come aloiampelos striatula – è una pianta grassa che fa parte della famiglia delle asfodelacee, originaria delle aree semidesertiche del Sudafrica, che in condizioni ideali di coltivazione crea cespugli alti fino a 2 metri. La pianta si distingue per le sue foglie ricurve di tonalità verde brillante, con screziature scure, con una leggera dentatura bianca sui bordi. Tra le piante grasse senza spine, l’aloe striatula produce una caratteristica infiorescenza con racemo che raggiunge i 50 centimetri, alla cui sommità si trovano dei fiori giallo-arancioni. L’esposizione ideale è in luoghi ben soleggiati e ventilati, in un terreno ben asciutto e drenante, che può essere una miscela di terra per cactacee e sabbia. L’aloe striatula è nota per la sua rusticità: può sopportare infatti le gelate senza particolari problemi, con temperature fino a -10 gradi ma mal sopporta gli eccessi di acqua e i ristagni idrici: bisogna quindi attendere che il terreno sia ben asciutto prima di innaffiarla, per evitare che possa soffrire di marciume radicale. Possiamo concimare l’aloe striatula nel corso della stagione vegetativa, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua di annaffiatura. La pianta non ha bisogno di potatura, ma dobbiamo tagliare le foglie e i racemi secchi per evitare che i parassiti possano attaccarla.

    L’agave americana
    L’agave americana è probabilmente una delle specie più famose di piante grasse e cactus, appartenente alla famiglia delle asparagacee. Questa succulenta è originaria delle zone desertiche statunitensi, in modo particolare degli stati centro-meridionali, e del Messico. L’agave americana spicca per la rosetta di foglie, dal caratteristico colore verde argentato, che negli esemplari più adulti possono raggiungere anche i due metri di lunghezza. La pianta è particolarmente longeva e rientra a pieno titolo tra le piante grasse perenni, poiché può vivere alcuni decenni. Produce una notevole quantità di polloni basali, ma una sola fioritura nella sua vita, che coincide anche con la successiva morte della pianta. L’agave americana predilige l’esposizione al sole diretto ed è mediamente rustica, poiché sopporta temperature minime attorno ai -10 gradi. Il terreno ideale è ben drenante e leggero, meglio ancora se arricchito con un po’ di sabbia. Se il nostro giardino ha una terra troppo compatta, prepariamo la messa a dimora scavando una buca sufficientemente ampia, mettendo della terra per cactacee e ghiaietto. In questo modo, eviteremo che si possa verificare il ristagno idrico a livello radicale. Le annaffiature non devono essere abbondanti e, soprattutto, è importante attendere che il terreno asciughi prima di bagnarlo nuovamente. Per quanto riguarda la concimazione, possiamo aggiungere mensilmente del fertilizzante liquido all’acqua durante la primavera e l’estate. L’agave americana non dev’essere potata, ma le foglie basali che sono secche vanno eliminate per non favorire l’attacco di parassiti. La pianta può essere colpita dalla cocciniglia, che causa la comparsa di macchie marroni: possiamo rimuoverla con dell’ovatta imbevuta di alcool o con un insetticida specifico. LEGGI TUTTO

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    Viaggio a Terra Madre, in cerca di una nuova “bio-logica” per salvare la nostra agricoltura

    Mangia, pensa, ama, ma soprattutto diversifica. Se c’è una sensazione netta che ti restituiscono immediatamente pochi passi all’interno del Parco Dora di Torino durante Terra Madre Salone del Gusto 2024 è proprio questa: la straordinaria diversità del nostro cibo, la capacità di salvaguardarle gusti e realtà che stiamo perdendo, lo sforzo per ottenere prodotti che sposano il concetto di qualità, più che di quantità. E poi l’idea che pensare di unirsi, fare rete per proteggere ciò che la natura ci offre, sia ormai sempre più obbligatorio.

    Un momento della cerimonia di apertura di Terra Madre  LEGGI TUTTO

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    Piccolissimi e sorprendenti: i tardigradi sanno difendersi dalle microplastiche

    I tardigradi, un gruppo di animali lunghi pochi millimetri di cui fanno parte molte specie diverse, sono famosi per riuscire a sopravvivere in situazioni di carenza di ossigeno, acqua e cibo, e in presenza di radiazioni ultraviolette o di temperature bassissime. Ma, a quanto pare, la lista delle loro incredibili abilità non è ancora finita. Secondo i risultati di uno studio condotto da un team di scienziati dell’Università Federale di Pernambuco in Brasile guidati dalla zoologa Flàvia de Franca e pubblicato su PeerJ Life and Environment, i tardigradi sarebbero gli unici fra gli invertebrati di piccolissime dimensioni analizzati nel corso della ricerca a non essere soggetti all’ingestione di microplastiche.

    Qual è stato il primo animale sulla Terra?

    di Noemi Penna

    23 Agosto 2024

    In laboratorio
    L’obiettivo degli autori dello studio era quello di analizzare gli effetti che le microplastiche hanno sulla meiofauna, ossia gli animali invertebrati di dimensioni comprese fra 45 micron e 1 millimetro che vivono in ambienti marini o d’acqua dolce. Per farlo, i ricercatori hanno raccolto dei campioni di sabbia da una spiaggia di Ipojuca, una città che si trova in Brasile, in un momento in cui la marea era bassa. I campioni sono stati poi trasportati in laboratorio all’interno di contenitori riempiti di acqua marina e sono stati analizzati per identificare le specie presenti. All’interno dei sedimenti di sabbia è stato rilevato un totale di 5.629 organismi appartenenti a dieci gruppi tassonomici che fanno parte della meiofauna: Nematoda, Oligochaeta, Ostracoda, Gastrotricha, Copepoda, turbellari, Nauplii, Acari, Polychaeta e, naturalmente, Tardigrada.

    Inquinamento

    Ogni anno bruciamo 30 milioni di tonnellate di plastica

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Settembre 2024

    A questo punto, i ricercatori hanno suddiviso i campioni in diversi contenitori più piccoli, mescolando in alcuni casi il sedimento di sabbia a microsfere fluorescenti fatte di polistirene, un tipo di plastica che tende ad adagiarsi sui fondali marini poiché ha una densità leggermente superiore a quella dell’acqua. Le microsfere sono state aggiunte in tre concentrazioni diverse: la più bassa e quella di mezzo mimerebbero le concentrazioni di microplastiche che si trovano comunemente nell’ambiente marino; quella più alta supera invece le concentrazioni attualmente riscontrabili in mare, ma, spiegano i ricercatori, potrebbe essere rappresentativa di scenari futuri.

    La scoperta
    In tutti i casi il sedimento è stato poi nuovamente ricoperto di acqua marina e monitorato per nove giorni. Analizzando al microscopio dei campioni presi da ciascun contenitore dopo tre, sei e nove giorni dall’inizio dell’esperimento, i ricercatori hanno osservato che tutti gli organismi prelevati dal contenitore con la più alta concentrazione di microplastiche avevano ingerito le sferette fluorescenti di polistirene, tranne i tardigradi. Questo, spiegano, potrebbe essere legato alla struttura dell’apparato tramite il quale questi animali si alimentano, adatto a “perforare e succhiare piuttosto che ingerire organismi preda interi”, si legge nel testo.

    Obiettivi futuri
    Ma, al di là dei superpoteri dei tardigradi, i ricercatori hanno anche riportato importanti osservazioni dal punto di vista ecologico: l’abbondanza e la diversità delle specie presenti nei campioni di sedimento tende infatti a diminuire in presenza di microplastiche alla due concentrazioni comunemente riscontrabili nell’ambiente marino. Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe, invece, la concentrazione più elevata non sembra avere alcun effetto da questo punto di vista e gli autori sottolineano l’importanza di effettuare ulteriori studi sul tema per comprendere meglio i possibili meccanismi che regolano questo fenomeno. LEGGI TUTTO

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    Nella fabbrica svedese dove nasce lo zaino sostenibile

    STOCCOLMA. Un bosco sulla sponda di un lago, una rete di sentieri a perdita d’occhio, una tenda piantata sotto gli alberi per dormire e un fuoco dove riscaldare la cena. Quando abbiamo chiesto di poter visitare a Stoccolma, il Fjällräven Verkstad, “l’officina” dove nascono i materiali e le idee dell’azienda specializzata nell’abbigliamento e l’attrezzatura sportiva, diventata famosa per la filosofia della “sostenibilità senza tempo” non pensavamo di dover vivere per un giorno e una notte immersi nello “spirito svedese”. Incuriositi dal fatto che per il quinto anno consecutivo i consumatori l’hanno incoronato come il brand più sostenibile della Svezia nella propria categoria, secondo il Sustainable Brand Index 2024, volevamo capire cosa c’è dietro la creazione di abiti e accessori diventati iconici, come lo zainetto colorato Kånken o i pantaloni in Eco-Shell, il materiale impermeabile realizzato senza PFC nocivi. Ed è così che ci siamo ritrovati a vivere all’aperto per 24 ore nel parco di Norra Djurgården a mezz’ora dal centro di Stoccolma. LEGGI TUTTO

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    Felce, l’antica pianta che ama l’umidità: i consigli per coltivarla

    Con il nome generico e comune di felce ci riferiamo solitamente al gruppo di piante vascolari definito delle pteridofite – il cui nome deriva dal greco pteris, appunto felce. A questo gruppo appartengono anche i generi del licopodio nonché dell’equiseto. Le felci sono piante molto antiche, dall’aspetto quasi primordiale, che ben riflette le loro origini: si ritiene infatti che fossero già presenti sul nostro pianeta all’incirca 400 milioni di anni fa. Proprio a causa della sua storia antichissima, esistono diverse interpretazioni e credenze sul significato della felce: per alcuni, sarebbe un simbolo di fecondità. A detta di altri, invece, la pianta rappresenterebbe tutto il fascino misterioso di ciò che è sconosciuto ed oscuro. Secondo alcuni, infine, tra le proprietà della felce ci sarebbe la capacità di purificare l’aria in ambienti domestici.

    L’esposizione ideale della felce
    La felce vegeta bene in luoghi dove non ci siano correnti d’aria e soprattutto con luce soffusa, esattamente come nel sottobosco. Non esponiamo mai la pianta alla luce diretta del sole. La felce non teme il freddo, mentre preferisce le temperature comprese nell’intervallo tra i 15-20 gradi. Al di sopra di questa soglia, accertiamoci che ci sia sempre una buona umidità ambientale. Se coltiviamo la pianta in vaso, ricordiamoci di far girare regolarmente il contenitore affinché la felce non tenda a svilupparsi in modo disordinato a causa del fatto che non trova la luce.

    La coltivazione della felce: in vaso o in piena terra?
    Possiamo coltivare la felce sia in vaso sia in piena terra. Nel primo caso, ricordiamoci dell’importanza di collocare la pianta in un luogo fresco, ventilato e dove non siano presenti delle fonti di calore diretto (come i termosifoni). L’ambiente di coltivazione dev’essere anche costantemente umido: se necessario, ricorriamo ad un contenitore riempito di acqua per favorire la diffusione di umidità. Nel caso della messa a dimora in piena terra, ricreiamo il tipico ambiente boschivo e piantiamo la felce in un luogo sufficientemente ombreggiato. La riproduzione della pianta, nel suo ambiente naturale, avviene tramite le spore (come i funghi). Quando la coltiviamo nei nostri giardini o i vaso, invece, possiamo moltiplicarla tramite la divisione della pianta.

    Il terreno ideale per coltivare la felce
    Per la coltivazione delle felci, il terreno ideale è quello che ricalca le tipiche caratteristiche della terra presente nel sottobosco. Scegliamo quindi un terreno con una buona capacità di drenaggio, una quantità importante di torba, un buon livello di acidità e, infine, non pesante.

    L’innaffiatura, la concimazione e la potatura della felce
    La felce predilige l’ambiente umido tipico della foresta: manteniamo costantemente inumidito il terreno, ma evitiamo che sia fradicio. Per assicurare il giusto livello di umidità, possiamo aggiungere due dita di acqua nel sottovaso e un po’ di ghiaia. Questo accorgimento permetterà di contrastare l’eccessiva secchezza dell’aria. Un’altra soluzione per mantenere umido l’ambiente di coltivazione è quella della nebulizzazione di acqua piovana sulle foglie. Possiamo concimare la felce durante il periodo primaverile ed estivo, con una cadenza quindicinale. Basta aggiungere del fertilizzante liquido (con azoto, fosforo e potassio in quantità equilibrata) all’acqua dell’innaffiatura. La pianta non richiede potature particolari: dobbiamo però eliminare le foglie che si sono seccate e quelle rovinate, poiché potrebbero favorire l’attacco da parte di parassiti.

    I rischi per la felce
    Le felci sono piante particolarmente robuste, che solo in particolari casi sono colpite da alcune specifiche criticità. Ad esempio, la felce può essere attaccata dalla cocciniglia: la presenza di questo fastidioso insetto è causata da un’irrigazione troppo frequente. In questo caso, possiamo porre rimedio al problema diradando l’annaffiatura. Un’altra avversità che può toccare la felce è quella della clorosi da malassorbimento del ferro. Per eliminare il problema, dobbiamo rendere un po’ più acido il terreno di coltivazione, aggiungendo un po’ di torba. Infine, anche l’acqua d’irrigazione troppo calcarea può contribuire alla clorosi: il rimedio è aggiungere un po’ di solfato di ferro. LEGGI TUTTO

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    Le piante grasse da interno per un’oasi domestica

    Con le piante grasse da interno si possono creare delle oasi verdi nelle nostre case. Vediamo quali piante scegliere e come curarle.

    La sansevieria trifasciata
    La sansevieria trifasciata è la regina delle piante grasse da interno: conosciuta anche coi nomi di “lingua di suocera”, “sanseveria” o “spada di San Giorgio” è originaria dell’Africa Subsahariana. Negli ambienti domestici, fa bella mostra di sé grazie alle foglie allungate e sottili, caratterizzate da una screziatura giallognola sui bordi, che possono superare il metro di lunghezza. La sansevieria non richiede la luce solare diretta: può essere collocata in un locale con luce indiretta e una temperatura minima attorno ai 15 gradi. Accertiamoci di scegliere però un ambiente in cui la pianta non sia esposta alle correnti d’aria, che non tollera in alcun modo. Il terreno ideale di coltivazione dev’essere fertile e sufficientemente drenante, per evitare ristagni idrici. Per favorire il drenaggio, possiamo sistemare alcuni cocci di terracotta sul fondo. Possiamo rinvasare la pianta quando le radici hanno esaurito lo spazio a disposizione per crescere: il momento ideale per il rinvaso è all’inizio della primavera. Durante la stagione vegetativa, tra un’innaffiatura e l’altra, attendiamo che il terreno sia ben asciutto: gli eccessi idrici possono infatti compromettere il rizoma della pianta. Tra la primavera e l’estate, possiamo aggiungere mensilmente del fertilizzante liquido all’acqua dell’innaffiatura. In inverno, le annaffiature vanno ridotte ad una volta al mese. La sansevieria non richiede potature, ma solo l’eliminazione delle foglie secche. Se notiamo delle macchie marroni sulle foglie, significa che abbiamo esagerato con l’acqua: in questo caso, dobbiamo levare la sansevieria dal vaso ed eliminare le parti danneggiate del rizoma. Attendiamo una settimana prima di sistemare nuovamente la pianta nel contenitore.

    Il sedum morganianum
    Il sedum morganianum, conosciuto anche come “coda d’asino” o “sedum burrito”, è una pianta succulenta appartenente alla famiglia delle crassulacee, originaria del Messico del sud. Il sedum si contraddistingue per la crescita dal portamento ricadente, una peculiarità che ci permette di coltivarlo anche in vasi sospesi. Il sedum ci regala una bella fioritura a cavallo tra la primavera e l’estate, con piccoli fiori di colore rosso o rosato. Ricordiamoci di non esporlo alla luce solare diretta e di scegliere un luogo con una buona ventilazione, con temperature minime attorno ai 13 gradi. La pianta va annaffiata solo tra la primavera e l’estate, prestando attenzione che il terreno sia sempre ben asciutto tra un’innaffiatura e l’altra. In questo periodo, possiamo anche concimarla una volta al mese, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. Tra l’autunno e l’inverno non è necessario bagnare la pianta. Il sedum non ama i ristagni idrici: accertiamoci quindi che il terreno non sia fradicio e che non rimanga mai dell’acqua nel sottovaso. Possiamo rinvasare la pianta quando le radici non hanno più spazio per svilupparsi. Scegliamo del terriccio ideale per le cactacee, arricchendolo con della sabbia o perlite. Sul fondo del contenitore, sistemiamo dei cocci che favoriscano il drenaggio dell’acqua. Il sedum non richiede potature particolari: dobbiamo però rimuovere le foglie secche o rovinate. Le avversità più comuni sono dovute ad eccessi di irrigazione (macchie di marciume), temperature minime inadeguate (perdita delle foglie) o innaffiatura insufficiente (foglie svuotate e sbiadite).

    La zamioculcas zamiifolia
    La zamioculcas zamiifolia è una pianta che fa parte della famiglia delle aracee, le cui origini sono da ricercare nell’Africa orientale. La zamioculcas si distingue per la brillantezza delle sue foglie, che sono anche molto lucide. Quando trova le condizioni ambientali ottimali per fiorire, la pianta regala un’infiorescenza che ricorda molto quella della calla. La zamioculcas zamiifolia non va esposta alla luce solare diretta e vegeta bene sia in ambienti luminosi sia in penombra. Il terreno ideale per la coltivazione deve assicurare un buon livello di drenaggio ed essere morbido. La pianta va rinvasata solo quando il contenitore non ne consente più lo sviluppo: il rinvaso va effettuato in primavera. La zamioculcas zamiifolia sopporta molto bene il caldo, mentre le temperature minime non devono mai essere al di sotto dei 15 gradi. L’esposizione in ambienti più o meno luminosi determina anche la quantità di acqua da apportare con l’annaffiatura. In ogni caso, ricordiamoci di lasciar asciugare il terreno tra le innaffiature e che la pianta non tollera i ristagni idrici. Durante la primavera e l’estate, possiamo concimarla una volta al mese, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. La zamioculcas zamiifolia non richiede alcuna potatura regolare, ma solo l’eliminazione delle foglie secche o danneggiate. Non dimentichiamoci inoltre di pulire le foglie dalla polvere che si deposita sulle stesse. Se le foglie tendono ad ingiallire o cadere, riduciamo le annaffiature LEGGI TUTTO

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    Riscaldamento, tapparelle, elettrodomestici e pannelli solari: come risparmiare in casa entro fine anno

    Autunno alle porte. È questo il momento migliore per mettere in cantiere quei piccoli interventi che consentono di risparmiare sul riscaldamento, senza spese eccessive e senza rivoluzionare gli impianti di tutta la casa. Mini interventi che hanno comunque un impatto sulla bolletta in termini di riduzione del consumo energetico e che per questo sono agevolati con la detrazione fiscale del 50%. E di qui a fine anno si può ancora abbinare a questa agevolazione il bonus mobili da utilizzare per acquistare elettrodomestici più efficienti con l’aiuto del Fisco.

    Come sfruttare il bonus casa per sostituire i radiatori
    Chi decide di migliorare l’efficienza del proprio appartamento può contare sulla detrazione per ristrutturazione con aliquota al 50% e con tetto di spesa a 96.000 euro. L’agevolazione, infatti, viene riconosciuta per tutti gli interventi che consentono un risparmio energetico, anche quando sono realizzati senza lavori edilizi veri e propri, come chiarito da tempo dall’Agenzia delle entrate. È necessario solo siano presenti elementi di innovazione rispetto alla situazione precedente debitamente certificati, e, ovviamente, che tutte le fatture vengano pagare con il bonifico dedicato. Rispettando queste regole sul fronte del riscaldamento, sono agevolati anche gli acquisti di nuovi radiatori più performanti rispetto ai precedenti, senza la necessità di cambiare la caldaia. Allo stesso modo la detrazione spetta per l’installazione delle termovalvole sui termosifoni, purché la fattura comprenda acquisto e posa in opera.

    Fisco verde

    Riscaldamento, torna il bonus per rinnovare l’impianto con biomassa o pompa di calore

    di Antonella Donati

    11 Settembre 2024

    Nuove tapparelle con la detrazione
    Considerando le finestre, poi, la stessa detrazione è riconosciuta anche per la semplice sostituzione dei vetri con altri di nuova generazione che riducono le dispersioni termiche, senza la necessità di intervenire anche sugli infissi. Rientra a pieno titolo nell’agevolazione anche per la sostituzione di tapparelle e persiane con altre di materiale diverso e a loro volta debitamente certificate a risparmio energetico. Ammessi al bonus anche gli interventi per la coibentazione dei soli cassonetti, sempre a fronte della relativa dichiarazione relativa al risparmio energetico.

    Nel bonus anche i pannelli solari da balcone
    Nell’ambito degli interventi poco costosi ma riducono comunque l’uso dei combustibili fossili e sono quindi agevolati, rientra anche per l’installazione dei pannelli solari da balcone. Si tratta dei pannelli di piccole dimensioni che si possono agganciare alla ringhiera, e che sono in grado di assicurare una produzione di energia che può consentire di risparmiare fino al 20% dei consumi, purché l’energia sia utilizzata nel momento in cui i pannelli la producono, dunque nelle ore di sole. Anche questi pannelli, comunque, possono essere abbinati con le batterie di accumulo per avere a disposizione l’energia solare nell’arco dell’intera giornata. Per la detrazione è sempre necessario che l’installazione sia effettuata da un tecnico autorizzato.

    Bonus mobili per elettrodomestici e lampade a led
    Chi gode della detrazione per gli interventi appena visti può usufruire anche della detrazione del 50% per l’acquisto degli elettrodomestici a risparmio energetico. Il bonus mobili, infatti, è riconosciuto anche per l’acquisto degli elettrodomestici che hanno l’etichetta energetica. Dalla lavatrice al nuovo boiler, dai forni a microonde alla lavapiatti, è possibile ottenere la detrazione del 50% su una spesa massima di 5.000 euro, purché l’acquisto degli elettrodomestici sia successivo a quello dell’intervento di risparmio energetico agevolato. Rientrano peraltro tra gli acquisti che possono essere fatti con il bonus anche le lampade e le relative lampadine a led. Secondo i calcoli dell’Enea scegliere elettrodomestici di classe energetica superiore consente di risparmiare sulle bollette fino al 20%. LEGGI TUTTO

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    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    L’acqua del rubinetto? “Pietra angolare della responsabilità ambientale e della salute pubblica”. Il messaggio arriva dal commento ospitato in questi giorni sulle pagine di BMJ Global Health: in gioco c’è la salute dell’ambiente sì, ma anche quella umana.
    A firmare quello che suona come un rinnovato appello a prediligere borracce e caraffe, sono alcuni esperti della Weill Cornell Medicine del Qatar e del New York Medical College, che mettono sul piatto numeri e ragioni per rinvigorire le azioni contro quello che definiscono senza dubbio un consumo “eccessivo” di acqua in bottiglia. Non c’è un aspetto, nei vari da loro affrontati, in cui il consumo di acqua imbottigliata possa apparire superiore a quella del rubinetto. Parliamo, ovviamente, dei paesi a medio e alto reddito, dove l’acqua del rubinetto è controllata, potabile e generalmente di buona qualità. In Italia, per esempio, quella del rubinetto rispetta largamente i parametri richiesti per legge, come reso noto nei mesi scorsi dal Centro nazionale per la sicurezza delle acque (CeNSiA) dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

    Ambiente

    Dal Giappone, le perle di ceramica per purificare l’acqua del rubinetto e ridurre la plastica

    di Paolo Travisi

    13 Agosto 2024

    L’acqua in bottiglia non conviene quasi mai
    Non certo dal punto di vista energetico, scrivono Amit Abraham e colleghi: è più dispendiosa di circa duemila volte rispetto a quella del rubinetto, e per produrre un solo litro di questa possono servire fino a 35 litri di acqua. E i numeri sono enormi, dal momento che, ricordano gli autori, le stime dicono che ogni minuto al mondo si comprano un milione di bottiglie, che finiscono in buona parte dei casi in giro per l’ambiente: il 12% dei rifiuti di plastica arriva da qui.

    Longform

    Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

    di Paola Arosio

    18 Luglio 2024

    Se non bastasse a preoccupare il problema ambientale – poca la plastica riciclata, molta quella dispersa, con tutti i rischi relativi alla diffusione per l’ambiente, e i problemi per gli ecosistemi – anche sul fronte della salute le bottigliette di plastica sono problematiche. Secondo quanto riferiscono i ricercatori spesso i controlli richiesti per l’erogazione delle acque municipali sono maggiori di quelli che devono ottemperare i produttori di acqua in bottiglia (senza considerare, ricordano, che in alcuni casi, altro non si tratta che di acqua del rubinetto imbottigliata). Ma oltre alle norme, le confezioni di plastica possono rilasciare una serie di inquinanti collegati a diversi problemi di salute, compresi solo in parte.

    Acqua del rubinetto, perché un italiano su tre non si fida (e fa male)

    di Elvira Naselli

    16 Luglio 2024

    Problematici sono in particolare i contenuti di sostanze quali ftalati, microplastiche – fino a centinaia di migliaia per litro, secondo alcuni studi – Pfas, bisfenolo A, alchilfenoli.

    La contaminazione
    Non è chiaro come queste sostanze influenzino la salute, ma sono state correlate a disfunzioni del metabolismo lipidico, dell’equilibrio ormonale ma anche a problemi gastrointestinali, cardiovascolari e neurologici, scrivono gli autori: “La contaminazione diffusa con microplastiche, interferenti endocrini e altre sostanze pericolose tradisce l’immagine pulita dell’acqua in bottiglia”. Il messaggio è per tutti, ma soprattutto per i decisori e i governatori, che possono e devono guidare le politiche per garantire acqua sicura, aiutare a ridurre l’utilizzo della plastica, specie quella monouso, e rinvigorire il messaggio che l’acqua del rubinetto è molto spesso la scelta migliore che si possa fare. LEGGI TUTTO