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    Biennale Architettura, così il clima cambierà le nostre case

    Le temperature globali aumentano, mentre la popolazione mondiale diminuisce. È questa la realtà che gli architetti devono affrontare nell’età dell’adattamento al clima che cambia. Ma cosa può fare concretamente l’architettura per il pianeta, se non unire intelligenze diverse, per rispondere alle sfide poste dalla crisi climatica? Ruota intorno a questi concetti il tema della prossima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia da cui parte un invito a lavorare insieme per ripensare gli spazi dove vivere. “Intelligens. Natural. Artificial. Collective” , non a caso è il titolo scelto per la 19esima edizione (dal 10 maggio al 23 novembre 2025) curata dall’architetto Carlo Ratti. Torinese, classe 1971 docente al Massachusetts Institute of Technology di Boston e dirige il MIT Senseable City. Immagina scenari urbani, Ratti dove sono le scelte dei cittadini a determinare lo spazio e le infrastrutture. Questa la sua filosofia che ha riportato anche in laguna: “Mettere le persone al centro dell’innovazione usando la tecnologia non come fine, ma come mezzo”.

    Lo studio

    Siccità, esondazioni, alluvioni: in Italia oltre 350 eventi estremi nel 2024

    di  Luca Fraioli

    30 Dicembre 2024

    “Attingere a tutte le forme di intelligenza”
    L’idea, ha spiegato Ratti nel corso della conferenza stampa di presentazione, è dunque rendere la Biennale “un laboratorio dinamico dove ci saranno più di 750 tra architetti, ingegneri, matematici, filosofi, artisti, scrittori, intagliatori, stilisti”. Parole chiave: inclusività e collaborazione. Perché per Ratti, “nell’età dell’adattamento alla crisi del clima, l’architettura deve attingere a tutte le forme di intelligenza: naturale, artificiale, collettiva”, rivolgendosi a più generazioni e a più discipline, dalle scienze esatte alle arti.

    Acqua alta in piazza San Marco: Venezia soffre l’innalzamento delle temperature  LEGGI TUTTO

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    Tutela degli animali: introdotta nella Costituzione, ma non è sufficiente

    Su 617 atti legislativi definitivamente approvati da febbraio 2022 al 31 gennaio 2024, 91 sono quelli in cui si parla di animali. Appena il 14,7%. Eppure sono tre anni che la tutela degli animali è stata inserita tra i principi fondamentali della Costituzione (l’art.9). Quello che l’11 febbraio 2022 era stato salutato come il “primo passo positivo” per adeguare la legislazione italiana ai principi introdotti dalla modifica costituzionale, tale è restato. Solo un passo. Perché secondo Legambiente di quei famosi 91 atti legislativi approvati in questi tre anni di cui si parla di animali, quasi l’80% non ha dato seguito al principio costituzionale. In particolare, il 67,1% dei provvedimenti non ha tenuto conto di questa novità e il 12,3% è andato addirittura contro, peggiorando la tutela per gli animali. Solo il 20,5% è andato nella direzione indicata dall’art. 9 della Costituzione. Insomma, un’occasione mancata. Per non parlare dello stallo in cui si trovano nuove proposte e disegni di legge: quelli migliorativi (64 proposte di legge e 10 disegni di legge) sono quasi tutti bloccati.

    Biodiversità

    Nel parco di Yellowstone lupi e orsi hanno aiutato a ripristinare l’ecosistema

    di  Giacomo Talignani

    10 Febbraio 2025

    I politici poi, guardando il report stilato da Legambiente sulla base delle banche-dati della Camera dei deputati e del Senato se proprio devono prendere in esame la tutela degli animali preferiscono parlare di quelli d’affezione. “Gli animali selvatici sono invece più quelli ‘sotto attacco’ a causa del bracconaggio e ancora privi di un’efficace e proporzionata tutela penale, a partire dalle specie protette”, si legge nel report.
    Insomma, i nuovi principi fondamentali costituzionali sono riusciti almeno a farsi almeno nelle norme approvate oppure non riescono ancora ad entrare nella consuetudine della vita parlamentare? Per rispondere, Legambiente ha preso in esame atti e norme (proposte o varate) dal 12 febbraio 2022 al 31 gennaio 2024, dai Governi presieduti sia da Mario Draghi che da Giorgia Meloni; dai Gruppi parlamentari, dai singoli parlamentari e da iniziative di legge popolare o dei Consigli regionali. Tra gli atti approvati, ci sono leggi, decreti legislativi, decreti-legge, decreti del presidente del Consiglio dei ministri e decreti ministeriali. Qualche esempio? Tra le leggi migliorative ci sono la legge del 17 maggio 2022, n. 60, la cosiddetta “Salvamare”, che prevede disposizioni per tutelare l’ecosistema marino dall’abbandono dei rifiuti e la legge 25 novembre 2024 n.177, sugli interventi di messa in sicurezza stradale con delega al Governo per la revisione del codice stradale, che prevede pene – come il carcere e il ritiro della patente – per l’abbandono degli animali. Tra le leggi peggiorative, ad esempio, la legge di bilancio 2022 che ha previsto la caccia in parchi, aree protette e zone urbane e la legge di bilancio 2024 che ha aumentato i rischi di caccia a specie in cattivo stato di conservazione e in periodi di migrazione.

    Biodiversità

    Dai cuccioli di tigre alle scimmie: sequestrati 20mila animali vivi destinati al commercio illegale

    di  Giacomo Talignani

    07 Febbraio 2025

    Gli animali d’affezione i più tutelati
    Guardando ai differenti gruppi di animali (d’affezione, da reddito, selvatici) interessati dagli atti legislativi approvati è emerso che per gli animali d’affezione un terzo (il 33,3%) è stato migliorativo, oltre la metà (il 55,5%) non ha tenuto conto della novità costituzionale e solo uno su dieci (l’11,1%) è stato peggiorativo. Per gli animali da reddito, meno di 2 su dieci (il 18,8%) sono stati migliorativi, sette su dieci (il 71,7%) non hanno tenuto conto della novità costituzionale e il 15,3% è stato peggiorativo. Per gli animali selvatici, meno di 2 su dieci (il 16,6%) sono stati migliorativi, quasi sette su dieci (il 69,4%) non hanno tenuto conto della novità costituzionale e il 13,8% è stato peggiorativo.

    Biodiversità

    Lupi avvelenati in Trentino, insorgono gli ambientalisti: “A rischio anche la salute pubblica”

    di  Fiammetta Cupellaro

    03 Febbraio 2025

    La piaga del bracconaggio
    In Italia, ricorda Legambiente, le specie animali selvatiche, anche quando particolarmente protette e a rischio di estinzione, sono prive di efficace tutela penale dal bracconaggio e dai traffici illeciti. Come prevede, invece, la direttiva europea in materia di tutela penale dell’ambiente. Nella Penisola la più grave fattispecie di reato di bracconaggio prevista dalla normativa vigente, ossia l’uccisione dell’Orso bruno marsicano, prevede un’ammenda da 4mila a 10mila euro. Per tutte le altre specie animali protette, a chi commette bracconaggio in Italia, lo Stato “minaccia”, al massimo, ammende da 1.000 e 2.000 euro. Nel resto mondo, sono diversi gli Stati che fanno meglio dell’Italia in fatto di tutela di animali selvatici: l’Indonesia per bracconaggio prevede condanne fino a 12 anni di pena detentiva, il Sudafrica fino a 29 anni di reclusione e la Thailandia addirittura fino a 40 anni di carcere.

    Biodiversità

    Droni, trovato un sistema per tenere lontani gli orsi dalle case

    di  Mara Magistroni

    30 Gennaio 2025

    “L’Italia in fatto di tutela degli animali – sottolinea Antonino Morabito, responsabile nazionale benessere animale di Legambiente – con il voto parlamentare all’unanimità nel 2022 ha dato un bellissimo segnale all’Europa e al mondo intero: l’ha pienamente integrata nei principi fondamentali della Costituzione, accendendo il faro che deve illuminare la strada da seguire per tutta la produzione legislativa. Purtroppo, sino ad oggi, non stato così e i dati che emergono da questa ricerca lo dimostrano. A tutte le forze politiche chiediamo un’assunzione di responsabilità per la piena attuazione del principio costituzionale richiamato dall’art.9, a partire dal ridurre l’enorme divario esistente tra noi e altri Paesi nel deciso contrasto normativo al bracconaggio e alle organizzazioni criminali che vi lucrano. L’effettiva ed efficace tutela degli animali coincide anche con la tutela della salute delle persone e dell’ambiente”. LEGGI TUTTO

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    Come si coltiva e come prendersi cura della sassifraga

    La sassifraga è una scelta molto diffusa per dare un tocco di colore a giardini, balconi e interni. Si tratta di una splendida pianta erbacea dalle tonalità delicate, apprezzata per la sua bellezza e la sua grande resistenza, visto che si adatta anche alle condizioni più avverse. Estremamente robusta e avvolta in un fascino unico, la sassifraga è semplice da coltivare e richiede una bassa manutenzione.

    Dove piantare la sassifraga?
    Parte della famiglia delle Saxifragaceae, la sassifraga è originaria delle regioni montuose dell’Asia, del Nord America e dell’Europa e il suo nome botanico è saxifraga. Nota anche come spacca sasso, i suoi fiori colorati danno vitalità a luoghi freddi e aspri e proprio da questo deriva il suo nome, dal latino saxifraga, che significa “pianta che spacca le rocce”.

    Questa pianta si presta per decorare interni e balconi e donare colore in aiuole e giardini rocciosi, vista la sua capacità di crescere tra le fessure delle rocce. Presente in tantissime specie differenti, alcune annuali mentre altre perenni, tutte le varietà della sassifraga si sviluppano al meglio in ambienti dal clima fresco.

    Per quanto riguarda il luogo dove coltivarla, è bene sceglierne uno dalla parziale esposizione solare e che sia riparato dal vento: la luce solare indiretta stimola la fioritura della pianta e la rende rigogliosa. Proprio per questo, un’ottima soluzione è collocare la sassifraga all’esterno sotto piante più alte, in modo da filtrare i raggi solari diretti, mentre negli interni è indicato sistemarla su un davanzale che sia rivolto a nord, per un’esposizione moderata, oppure a est, consentendo di contare su una luce delicata al mattino. La pianta si adatta anche all’ombra, ma questa determina una sua minore crescita, e le temperature che preferisce vanno dai 7 ai 18 gradi. Nelle zone con estati calde è consigliato fare in modo che la pianta si trovi in un luogo ombreggiato al pomeriggio per proteggerla dalle temperature alte, tenendo conto che non tollera bene il caldo intenso, a differenza del freddo che non teme. La resistenza della sassifraga la rende capace di prosperare in molteplici ambienti anche se predilige un terreno ben drenato e fertile.

    Coltivazione in giardino e in vaso della sassifraga
    La sassifraga ha un portamento tappezzante o strisciante, è bassa, compatta e presenta foglie pelose e fiori di piccole dimensioni, che di solito sono raggruppati in grappoli e i cui colori vanno dal rosa, al rosso, al giallo per giungere al bianco.

    Tendenzialmente la pianta fiorisce durante la primavera, anche se alcune delle sue specie sbocciano durante l’estate o l’autunno. Il periodo ideale per piantarla è la primavera oppure l’autunno. Prima di procedere con la semina in giardino, è necessario preparare il terreno, eliminando eventuali detriti ed erbacce per poi aggiungere del compost decomposto allo scopo di rendere il terreno più fertile: visto che la pianta ama i terreni rocciosi, si può inserire nel substrato della ghiaia in modo tale da renderlo ancora più drenante. I semi vanno piantati a 1-2 centimetri di profondità, premendoli sul terreno, lasciando tra ciascuno 30 centimetri di distanza.

    La sassifraga è adatta anche alla coltivazione in vaso: la pianta è molto scenografica se posta sul balcone in cesti appesi, con rami pendenti. Prima di procedere con la semina, è necessario porre sul fondo del vaso scelto uno strato di argilla espansa in modo da drenare l’eventuale acqua in eccesso, e ricorrere a un terriccio per pianta da fiore. Ogni 2 settimane si può aggiungere del fertilizzante liquido all’acqua impiegata per l’irrigazione. Per quanto riguarda il rinvaso, questo va eseguito ogni anno all’inizio della primavera, ricorrendo a un contenitore un po’ più grande di quello precedente.

    La sassifraga può essere prorogata durante la primavera tramite varie tecniche, tra cui la talea, metodo semplice che prevede di tagliare le punte di stoloni sani con giovani gruppi di foglie, per poi farle radicare in un terreno drenato e umido, garantendo luce indiretta e un’irrigazione adeguata.

    Come irrigare la sassifraga e quali altri interventi eseguire
    La manutenzione della sassifraga è facile e richiede poche e semplici azioni. Dalla crescita vigorosa, nella sua cura l’irrigazione riveste un ruolo cruciale, dovendo essere svolta regolarmente e in modo abbondante: se è fondamentale che il terreno sia sempre umido e non risulti mai asciutto, dall’altro lato è altrettanto importante non renderlo neanche zuppo, evitando così i ristagni idrici responsabili del marciume radicale. Nel corso dell’inverno le irrigazioni vanno moderate, assicurandosi che tra una e l’altra il terreno sia effettivamente asciutto, aumentando la frequenza delle annaffiature in primavera e in estate, periodi in cui dare da bere alla pianta più volte alla settimana.

    In merito alla concimazione, questo intervento può essere eseguito durante il periodo vegetativo, in primavera o in estate, ricorrendo a del fertilizzante liquido contenente azoto, fosforo e potassio, da aggiungere nell’acqua di irrigazione.
    La sassifraga non richiede particolari operazioni di potatura, dovendosi limitare a rimuovere i fiori appassiti e le foglie all’inizio della primavera, in modo tale da stimolare la formazione di nuovi fiori. Qualora la pianta diventi molto grande nel corso del tempo, in autunno e primavera può essere divisa: per svolgere questo intervento è necessario sollevarla in modo delicato per poi dividerla con un coltello in diverse sezioni, da piantare in un altro luogo.

    Cura della sassifraga: malattie e parassiti
    Nella cura della sassifraga è importante tenere conto di come possa essere incline a diverse problematiche tra le quali il marciume radicale, criticità da prevenire assicurandosi sempre un terreno drenato e non irrigandolo mai in modo abbondante.
    Inoltre, la pianta è soggetta all’attacco di afidi, che succhiano la sua linfa vitale, come anche le cocciniglie: i primi vanno trattati con antiparassitari sistemici per rimuoverli, mentre le seconde ricorrendo a un batuffolo di cotone imbevuto con alcol oppure a un prodotto ad hoc. Tra i rimedi naturali per eliminare i parassiti ci si può affidare all’olio di neem, da nebulizzare sulle foglie, oppure a uno spray con pomodoro o aglio o ancora a pesticidi a base di sapone biologico. Nel caso di infestazioni gravi è necessario usare pesticidi specifici. LEGGI TUTTO

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    Se aumentano le temperature le piante assorbono più nanoplastiche

    Le alte temperature aumentano l’assorbimento delle nanoplastiche da parte delle piante. La notizia arriva da uno studio dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Plant Physiology and Biochemistry che per la prima volta ha analizzato l’effetto amplificatore dei cambiamenti climatici sull’inquinamento da nanoplastiche. La ricerca è stata condotta dal gruppo di Botanica della professoressa Monica Ruffini Castiglione, e da quello di Fisiologia Vegetale della dottoressa Carmelina Spanò, in collaborazione con le colleghe Stefania Bottega e Debora Fontanini.

    La sperimentazione nei laboratori dell’Università di Pisa ha impiegato come pianta modello Azolla filiculoides Lam, una piccola felce acquatica galleggiante con radici fluttuanti e sottili che assorbono le sostanze disciolte nell’acqua. Come inquinante sono state utilizzate nanoplastiche di polistirene, una delle materie plastiche più comuni e diffuse con cui si realizzano ad esempio posate e piatti usa e getta, imballaggi, contenitori da asporto e seminiere per l’ortoflorovivaismo.

    Biodiversità

    Alberi più piccoli ed elefanti senza zanne: così la natura si adatta all’uomo

    di  Giacomo Talignani

    07 Gennaio 2025

    Dai dati è emerso che a 35° la presenza di nanoplastiche aumenta apprezzabilmente all’interno della pianta rispetto alla situazione ottimale a 25°. Questo provoca il deterioramento dei parametri fotosintetici e l’aumento dello stress ossidativo e della tossicità nelle piante. L’impiego di nanoplastiche fluorescenti ha inoltre permesso alle ricercatrici di tracciarne con precisione l’assorbimento e la distribuzione nei tessuti e negli organi vegetali. LEGGI TUTTO

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    In Gran Bretagna arriva la carne “coltivata” per i cani

    Il futuro del cibo per animali domestici potrebbe essere nella carne coltivata. Mentre in Italia resta vivace il dibattito sulla versione sintetica prodotta in laboratorio con un processo di coltivazione cellulare che parta dalle cellule staminali embrionali di un animale, nel Regno Unito arriva sul mercato, per la prima volta al mondo, pet food di origine animale coltivato in laboratorio, in vasche industriali. Si tratta, nella fattispecie, di bocconcini di pollo – testualmente chick bites – prodotti da Meatly. L’obiettivo, spiega l’azienda, è spingere perché si arrivi “a eliminare l’uso degli animali fattori per l’industria alimentare per gli animali domestici”. Venerdì scorso la sperimentazione in un negozio di Brentford, un distretto di Londra. “Il procedimento è semplice, le cellule vengono ricavate dal singolo uovo di una gallina. – spiega Owen Ensor, founder dell’azienda – Nel giro di una settimana siamo in grado di raccogliere del pollo da destinare agli animali domestici. Da un singolo uovo siamo potenzialmente capaci di ricavare una quantità infinita di carne”. Numeri non marginali: del resto, viene calcolato che circa il 20% della carne consumata in tutto il mondo è destinata agli animali domestici.

    “I proprietari dei cani? Ancora un po’ schizzinosi”
    Ma il mercato è pronto? “I proprietari di animali domestici sono un po’ schizzinosi”, ammette Ensor. Del resto il tema continua a essere divisivo su scala globale: se Singapore è stato, nel 2020, il primo Paese ad autorizzare la vendita di carne coltivata in cellule per il consumo umano, seguito dagli Stati Uniti tre anni dopo, l’Italia ha espressamente vietato – con un disegno di legge del novembre 2023 – la “produzione e immissione sul mercato di alimenti prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”. Al solito, il dibattito è polarizzato su due posizioni estreme: chi sottolinea i benefici alimentati, denunciando come l’impatto ambientale – in termini di produzione di anidride carbonica e consumo di acqua – della carne da allevamento sia, oggi, uno dei fattori più distruttivi per la salute del Pianeta e chi, invece, punta l’indice sui costi dell’alternativa da laboratorio e sulle ricadute sull’industria zootecnica.

    Per esempio, la British Veterinary Association – come dichiarato alla Bbc – chiede più ricerche su sicurezza e la sostenibilità della carne coltivata. Il prodotto di Meatly, ribadisce l’azienda, è approvato dagli enti di regolamentazione alimentare (ottenendo l’approvazione normativa dopo un processo di verifica di 18 mesi, condotto con la collaborazione della Food Standards Agency, del Department for Environment & Food Affairs e dell’Animal and Plant Health Agency) e non contiene ormoni, steroidi e altre sostanze chimiche, che viceversa sono talvolta presenti nella carne da allevamento. Resta il nodo dei costi: “Ad oggi il procedimento è effettivamente dispendioso, ma abbiamo fatto grandi passi avanti riducendo drasticamente i costi negli ultimi due anni e continueremo a farlo”.

    “L’Italia non resti indietro”
    E in Italia? “Da noi, il mercato del pet food ha superato i 3 miliardi di euro, con una crescita continua sia in termini di valore sia di volume, come mostrato dai dati di Circana, numeri che ormai evidenziano l’importanza strategica ed economica del settore”, spiega Filippo Maturi, presidente di Assopets, la prima associazione a tutela dei consumatori proprietari di animali domestici. “La priorità indiscussa rimane la salvaguardia della salute degli animali, ma qualora non emergano evidenze scientifiche che dimostrino problematiche legate alla salute, come sembra, ritengo cruciale – proprio mentre in Inghilterra l’esperimento è avviato – considerare l’opportunità di non rimanere indietro dal punto di vista industriale. Un approccio più proattivo consentirebbe all’Italia di allinearsi con la crescente sensibilità verso una dieta non basata sull’uccisione degli animali e di contribuire al rispetto dell’ambiente. È urgente, quindi, anzitutto spingere per una comunicazione più positiva – privilegiando per esempio il termine carne ‘coltivata’ a carne ‘sintetica’ – e poi, soprattutto, aprire un tavolo di confronto basato su evidenze scientifiche per discutere seriamente la possibilità di integrare la carne coltivata nel mercato del pet food italiano. Questo – conclude Maturi – consentirebbe non solo di mantenere la competitività del nostro sistema industriale, ma anche di rispondere alle nuove istanze etiche e ambientali emergenti”. LEGGI TUTTO

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    San Francisco in testa alla classifica della mobilità sostenibile. Indietro le italiane

    Parigi ha cinque chilometri di pista ciclabile per km quadrato contro, per esempio, ai 2 circa di Milano e agli 0,2 di Roma: “Parigi ha tracciato la strada della rivoluzione urbana. Dopo anni di congestione e inquinamento, la città ha operato una trasformazione radicale sotto la guida della sindaca Hidalgo – commenta Federico Ucci, partner della società di consulenza strategica globale Oliver Wyman -. La simbolica rue de Rivoli, un tempo completamente dedicata alle auto, oggi ospita tre corsie per biciclette, con centinaia di ciclisti che la attraversano quotidianamente. Il traffico automobilistico è significativamente diminuito, lasciando spazio a forme di mobilità più dolce e rispettose dell’ambiente. Un cambiamento che non è solo infrastrutturale, ma rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale nella concezione degli spostamenti urbani”. Non è quindi un caso che la capitale francese si sia aggiudicata quest’anno il secondo posto nella nuova edizione della classifica Urban Mobility Readiness Index, stilata dall’Oliver Wyman Forum, il think tank di Oliver Wyman.

    Lo studio ha considerato 70 metropoli nel mondo, analizzando 71 indicatori numerici tra i quali il numero di chilometri di piste ciclabili, lo stato dei trasporti pubblici, l’innovazione del sistema di trasporto, l’efficienza e i collegamenti aeroportuali e altri. A guidare la classifica è San Francisco, seguita da Parigi e Singapore. Le altre città europee in top ten sono Monaco, Amsterdam, Stoccolma, Berlino, Zurigo e Londra. Secondo il report, Milano (14esima su 19 città europee) ha lavorato bene per limitare le emissioni e ha un sistema di trasporto pubblico efficiente e green, ma la densità di stazioni è ancora inferiore rispetto ad altre città europee e – come il resto d’Italia – è molto indietro nell’adozione dei veicoli elettrici e degli spostamenti in bici ed e-bike. “A Milano serve solo la volontà di compiere il passo successivo – commenta l’esperto -. I francesi non sono secondi a nessuno nel ribellarsi e le resistenze sono state enormi, ma l’amministrazione ha avuto il coraggio di andare avanti. Milano, in particolare, è pronta: città contenuta, piatta, con un sistema di trasporto pubblico già molto efficiente. Oggi è ancora troppo sbilanciata, ma ha le potenzialità per diventare un modello di mobilità urbana”. E aggiunge: “Dobbiamo offrire piste ciclabili e aria respirabile, limitando gli spazi per le auto. Siamo stati pionieri con Area C, la prima zona a traffico limitato in Europa. L’associazione Via Libera ha recentemente mappato 60.000 auto in sosta irregolare a Milano, segno che la qualità dell’aria deve migliorare. Le amministrazioni temono spesso che le persone non siano pronte al cambiamento, ma abbiamo dimostrato con il Covid di saper adattarci. Perché non dovremmo poter trasformare la mobilità per il bene comune?”. Milano possiede un sistema di trasporto pubblico efficiente con circa 250 autobus a zero emissioni e punta a convertire l’intera flotta di 1.200 bus all’elettrico entro il 2030. Questo è un esempio convincente di come Milano stia adottando modalità di trasporto sostenibili per diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Il piano del 2020 di Milano include un limite di velocità di 30 chilometri orari per migliorare la sicurezza. L’attuazione a livello cittadino ha subito ritardi, ma l’obiettivo resta quello di completare la realizzazione di 100 strade scolastiche a 30 chilometri orari nel 2025.

    Mobilità sostenibile

    Da Ferrara a Pesaro, così cambia la mobilità urbana grazie alle piste ciclabili

    di  Fiammetta Cupellaro

    07 Febbraio 2025

    Roma si trova invece nella seconda metà della classifica, al 40esimo posto. La capitale, che in Europa “batte” solo Lisbona e Istanbul, ha dalla sua un trasporto pubblico conveniente, uno dei più economici d’Europa; inoltre, può diventare pioniera nella mobilità aerea urbana grazie al vertiporto di Fiumicino. “Fiumicino è un aeroporto molto efficiente e premiato e con un traffico in significativa crescita che sicuramente migliorare con l’ingresso di Ita in Lufthansa – spiega Ucci -. Inoltre è uno dei primi ad aver implementato un modello di urban air mobility”. L’uso massiccio delle auto private e la scarsa infrastruttura ciclabile, però, la rendono ancora dipendente da modalità di trasporto tradizionali, con un impatto significativo sull’ambiente e sulla qualità della vita urbana. “La mobilità pubblica a Roma necessita di un profondo ripensamento. Sviluppare trasporti più diffusi ed efficienti non è semplice, ma rappresenta una sfida cruciale. Il potenziale delle biciclette, soprattutto elettriche, è enormemente sottovalutato. La mobilità condivisa sta già dimostrando di funzionare e può essere la chiave per una trasformazione urbana sostenibile”.

    Inquinamento

    “Mal’aria di città”: migliora, anche se di poco, l’inquinamento. Cosa fare entro il 2030

    di  Giacomo Talignani

    04 Febbraio 2025

    Da San Francisco, prima in classifica, dovremmo mutuare la capacità di investire in innovazione e startup per il bene della città e dei suoi cittadini. La città infatti ha ottenuto ottimi risultati soprattutto in innovazione e classificandosi al primo posto nel sotto-indice di adozione tecnologica. San Francisco ha ingenti investimenti pubblici e privati nella mobilità, inclusi acquisti di veicoli elettrici e installazione di stazioni di ricarica. L’obiettivo è raggiungere il 25% di nuovi veicoli elettrici entro il 2030 e installare oltre 1.500 colonnine pubbliche, alcune delle quali gratuite. San Francisco sta promuovendo le tecnologie di guida autonoma e punta a essere un’anticipatrice delle nuove soluzioni di mobilità aerea urbana come i taxi volanti. Nell’agosto 2023 ha autorizzato per la prima volta operazioni commerciali di robo-taxi. Alcune aziende stanno progettando reti di mobilità aerea con veicoli elettrici a decollo verticale che potrebbero collegare San Francisco con altre città della Bay Area già entro la fine del 2025, riducendo i tempi di viaggio da 1-2 ore a 10-20 minuti.

    L’Europa è avanti rispetto agli altri continenti in termini di mobilità efficiente e sostenibile: 7 delle prime 10 città dell’Urban Mobility Readiness Index sono europee. In Asia ci sono eccellenze come Tokyo o Singapore, ma in generale le altre città si collocano in basso nella classifica: “Molte sono caratterizzate da una in fase di costruzione: la loro crescita economica va di pari passo con quella di sistemi di mobilità più efficienti”, conclude Ucci. LEGGI TUTTO