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    Il caffé a “deforestazione zero”, in Ecuador si coltiva il futuro

    “In Ecuador anche la più piccola pianta è una responsabilità collettiva“, spiega Patricio Almeida, agricoltore ecuadoriano, a capo di PROAmazonía, la rete di piccoli produttori che coltivano caffé 100% senza deforestazione. “Le nostre piante non sono solo una fonte di sostentamento, ma anche la chiave per garantire prodotti sostenibili e di qualità per tutti. L‘Ecuador si trova nel cuore del mondo ed esporta frutta, verdura e chicchi di caffé ovunque”. Il progetto è nato nel 2019 e coinvolge oggi centinaia di piccoli produttori, che hanno visto i loro guadagni aumentare senza che il loro lavoro abbia intaccato le risorse naturali. In una parola: sostenibilità. Su tutti i fronti: ambientale, economico e sociale, raggiunta grazie a una una collaborazione tra agricoltori locali, governi e organizzazioni internazionali. Almeida dà i numeri dell’iniziativa: “Il 34% delle coltivazioni sono fianco a fianco con la foresta, il 90% delle aziende è a conduzione familiare, il 26% dei lavoratori è donna”. Lanciato cinque anni fa, il programma è frutto di una partnership tra il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), il governo ecuadoriano e la Fondazione Lavazza, con l’obiettivo di proteggere la foresta amazzonica e garantire prosperità alle comunità locali. Sono già stati salvati dalla deforestazione 16 mila ettari. Proprio nella sede di Lavazza, a Torino, in occasione dell’evento per i 20 anni della Fondazione, si sono ritrovati i principali attori coinvolti nel progetto.

    Il paese con la Natura nella Costituzione
    “L’Ecuador, piccolo ma importante Paese dell’America Latina, ospita una delle aree di foresta amazzonica più vulnerabili”, spiega il ministro dell’Ambiente Danilo Palacios. “Ogni anno grandi aree vengono sacrificate a favore di coltivazioni intensive, spesso per produrre beni destinati ai mercati internazionali”. La pressione agricola e la deforestazione costituiscono una minaccia non solo per la biodiversità, ma anche per la capacità di queste comunità di prosperare e proprio le piccole comunità indigene sono maggiormente a rischio. “L‘Ecuador è stato il primo Paese al mondo a riconoscere i diritti della Natura nella sua Costituzione, nel 2008”. Questo cambiamento legislativo ha rivoluzionato la visione del paese riguardo alla protezione dell‘ambiente, riconoscendo che la Natura ha diritti propri e inalienabili. “Le politiche pubbliche ecuadoriane, infatti, mirano a bilanciare lo sviluppo economico con la conservazione dell‘ambiente, puntando sulla resilienza delle comunità che dipendono dalle risorse naturali”. Il ministro spiega che il rispetto per la natura non è calato dall’alto al basso, ma che la riforma della Costituzione è nata per la spinta dei cittadini. “La foresta però è ancora minacciata”, spiega, citando i casi delle miniere illegali, della criminalità e dello sfruttamento delle risorse senza autorizzazione.

    Deforestazione, l’Ue vuole rinviare la legge. Esultano le imprese, la rabbia degli ambientalisti

    di  Giacomo Talignani

    04 Ottobre 2024

    Il caffè “deforestation free”
    Dal 2019, la Fondazione Lavazza ha collaborato con oltre 50 produttori di caffè in Ecuador per garantire che il loro caffè sia prodotto senza abbattere alberi e distruggere habitat preziosi. Attraverso programmi di formazione e supporto tecnico, gli agricoltori hanno imparato tecniche di coltivazione sostenibile e hanno ottenuto certificazioni che attestano la loro produzione come “deforestation-free”. Per garantire l’efficacia e la trasparenza del progetto, l’Undp ha sviluppato un protocollo rigoroso. La certificazione si basa su un attento monitoraggio delle piantagioni, con verifiche periodiche condotte da enti indipendenti per assicurare che non venga praticata alcuna forma di disboscamento. I produttori devono rispettare linee guida precise che includono l’uso di tecniche agroforestali, che favoriscono la biodiversità e proteggono il suolo dall’erosione. Questo approccio non solo preserva le foreste, ma migliora anche la qualità dei raccolti e la resilienza delle colture. Questo protocollo, che ha anticipato le normative europee in materia di deforestazione, è oggi considerato un modello a livello globale. “Grazie a queste collaborazioni pubblico-private, siamo riusciti ad aumentare i nostri guadagni del 60% e a ridurre la deforestazione del 95%“, ha spiegato Cristina Recalde, vice ministra della Transizione Energetica dell‘Ecuador. “È fondamentale avere sempre politiche pubbliche chiare che supportino i piccoli e medi produttori, così che possano competere sul mercato globale”.

    Il costo del cambiamento climatico
    Nonostante questi progressi, il cambiamento climatico resta una sfida cruciale per l‘Ecuador e per i suoi agricoltori. Gli eventi meteorologici estremi stanno diventando sempre più frequenti e sempre più imprevedibili. Il ciclo delle piogge è mutato, con periodi di siccità alternati a piogge più intense della media storica. Negli ultimi due anni il riscaldamento globale si è sommato al fenomeno ciclico de El Niño, che ha provocato inondazioni sulla costa e siccità nelle regioni orientali e settentrionali.

    Negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha avuto un impatto devastante sulle risorse naturali dell‘Ecuador. “Le temperature sono state le più basse degli ultimi 61 anni e le risorse idriche per le centrali idroelettriche sono state colpite duramente”, ha affermato Danilo Palacios, sottolineando la necessità di una gestione più resiliente delle risorse naturali. Eventi come le tempeste tropicali Ota e Iota del 2020 hanno devastato vaste aree di coltivazioni di caffé, riducendo drasticamente la produzione. La coltivazione del caffè dipende da un equilibrio climatico preciso e fragile. Secondo le proiezioni dell’Onu, entro il 2025, l’Ecuador potrebbe perdere fino a 5,6 miliardi di dollari a causa di eventi meteorologici estremi. Per questo motivo, è fondamentale rafforzare la resilienza delle comunità locali: nei programmi di formazione offerti dalle istituzioni ci sono anche specifici corsi su come reagire alle variazioni del clima.

    La collaborazione tra pubblico, privato e Onu
    Uno dei principali ostacoli affrontati dai produttori è l’investimento iniziale richiesto per adattarsi alle pratiche sostenibili. Tuttavia, attraverso il supporto tecnico e i finanziamenti offerti dal progetto, molti agricoltori sono riusciti a superare queste difficoltà. La formazione ricevuta ha permesso loro di applicare tecniche come l’uso di fertilizzanti organici e l‘agroforestazione, una tecnica che prevede la convivenza tra diverse piante, fondamentale per il caffè che necessita di alberi che ne garantiscano l‘ombra. L’iniziativa del caffè libero da deforestazione ha prodotto un risultato significativo anche per noi che stiamo dall’altra parte del mondo. In commercio troviamo un’edizione speciale della linea ¡TIERRA! di Lavazza con chicchi di arabica certificata “deforestation-free“. Come spiega Michelle Muschett, direttrice dell’area latino-americana dell’UNDP: “Quando vediamo i risultati concreti, sappiamo che stiamo andando nella giusta direzione“. La collaborazione tra pubblico e privato ha infatti permesso di coniugare la qualità di un prodotto pensato per il mercato internazionale e un impegno concreto verso la salvaguardia delle foreste.

    Un modello esportabile
    L‘impatto positivo del programma in Ecuador ha suscitato l‘interesse di altri Paesi produttori di caffè. Attualmente, sono in corso discussioni per esportare questo modello di produzione sostenibile in paesi come Colombia e Honduras, dove il caffè rappresenta una risorsa economica fondamentale. Ma l‘iniziativa non si limita all‘America Latina. “Pensiamo di replicare questo modello anche in Africa, dove diversi Paesi sono grandi produttore di caffé”, ha aggiunto Muschett. Questa visione globale dell’iniziativa riflette la consapevolezza crescente dell‘importanza di proteggere non solo le foreste amazzoniche, ma anche altri ecosistemi sensibili nel mondo. “Le lezioni apprese in Ecuador possono essere utilizzate come punto di partenza per promuovere un modello di sviluppo che ponga la natura e le persone al centro”, spiega Muschett. Il progetto del caffè a deforestazione zero è solo un primo passo. “La chiave, alla fine, è semplicissima: se mettiamo lo sviluppo umano sostenibile al centro delle nostre priorità, possiamo davvero fare la differenza“. Il passo più importante per ripensare il nostro futuro. LEGGI TUTTO

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    Start Cup Puglia 2024, vince Beadroots e il suo sistema per combattere la siccità

    Continua la competizione delle finali tra le Start Cup regionali 2024. Con un’idea per combattere la siccità attraverso l’utilizzo di polimeri superassorbenti naturali, la startup Beadroots è la vincitrice della Start Cup Puglia 2024 – Premio regionale per l’Innovazione.
    Gli idrogel, applicati alle radici delle colture, permettono un forte risparmio idrico e, degradandosi, hanno un effetto biostimolante sulle piante aumentandone la produttività e rigenerando il suolo grazie all’aumento di batteri benefici. Il team composto da Angela Bonato, Valerio Vincenzo De Luca, Paolo Pezzolla è stato il più votato tra i dieci progetti in gara durante la Finale della 17esima edizione che si è svolta presso lo Spazio Murat a Bari lo scorso 16 ottobre. La competizione tra nuove iniziative imprenditoriali innovative è organizzata da ARTI, Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione, in collaborazione con Regione Puglia, Comitato Promotore e PNI, Premio nazionale per l’Innovazione.

    Menzione speciale Green&Blue a NeoGeo
    La menzione speciale Green&Blue offerta dal Gruppo Gedi, media partner del PNI, per il miglior progetto di impresa ad impatto sul cambiamento climatico, è stata vinta da NeoGeo, progetto che combatte il contrasto all’erosione costiera, attraverso due tecnologie brevettate: il masso artificiale “RICCIO” per dighe foranee portuali e la barriera antierosione e ripascente “WaVe Filter” per spiagge sabbiose ad alta valenza turistica. Il team è composto da Sergio Sozzo, Elisabetta Pellegrino, Maria Barbara Galati, Daniele Mazzotta, Dario Golia, Tommaso Elia.

    Tutti i vincitori

    A conquistare il secondo posto è QSENSATO che ha progettato chips atomico-fotonici e sensori atomici integrati per soddisfare la crescente richiesta di applicazioni in sensoristica e metrologia quantistica. Il team è composto da Vito Giovanni Lucivero, Annalisa Volpe, Domenico Tulli, Vincenzo Mazzilli, Sabino Sernia.
    Terzo classificato B-ME Biobased Materials for Energy che intende sviluppare materiali ed elettrodi per una nuova generazione di dispositivi elettrochimici per l’accumulo di energia. Il team è composto da Chiara Mongiovì, Lorenzo De Giovanni, Massimo Trotta, Alberto Perrotta, Matteo Grattieri, Paolo Stufano.
    Quarto posto infine per Cranial Device, un dispositivo diagnostico medico innovativo e non invasivo progettato per misurare con precisione la mobilità cranica. Il team è composto da Michele Genga, Nina Marangi, Simone Bennani, Vito Nobile, Massimo Rosato.

    I quattro vincitori di questa 17esima finale della Start Cup Puaglia si sono aggiudicati premi in denaro rispettivamente di 10mila, 7mila, 5mila e 3mila euro oltre all’accesso di diritto al PNI, il Premio nazionale dell’innovazione in programma il 5 e 6 dicembre a Roma.
    Al vincitore assoluto della Start Cup 2024 anche la menzione speciale di “Premio regionale per l’innovazione” .

    Prossimi passi della competizione
    Ma le sfide per i vincitori pugliesi non finiscono qui. Dopo la Start Cup Puglia, i quattro vincitori e il vincitore del Premio Green&Blue partecipano al PNI – Premio nazionale per l’innovazione che quest’anno si svolge a Roma il 5 e 6 dicembre. Prima dell’appuntamento del PNI, inoltre, i vincitori della Start Cup parteciperanno ad un’altra competizione, questa volta per la regione Campania: l’Innovation Village Award (il 15 novembre). Soddisfatto per il valore delle idee presentate in questa 17esima edizione il commissario straordinario di ARTI Cosimo Elefante che ha commentato: “La competizione della Start Cup Puglia non è solo un palco per lanciare nuove idee innovative, ma una vera e propria fucina di startup di successo, che anno dopo anno continua a valorizzare le idee e i progetti più promettenti a livelli e con risultati sempre più alti, supportando startupper o aspiranti imprenditori nel trasformare le loro visioni in realtà. Oggi abbiamo premiato l’innovazione, la creatività e l’imprenditorialità della nostra regione attraverso i futuri innovatori della Puglia”.

    Le startup pugliesi Preinvel e Foreverland
    La Start Cup Puglia ora prosegue con il bootcamp dei finalisti in preparazione della sfida del PNI dove l’anno scorso la Puglia si è aggiudicata due premi nazionali su quattro categorie: Cleantech & Energy per Preinvel, startup che si pone l’ambizione obiettivo di risolvere il problema dell’inquinamento industriale attraverso una tecnologia di filtraggio fluidodinamico brevettato ad aria. La sua innovativa tecnologia si rivolge ad aziende che producono emissioni in atmosfera come acciaierie, termovalorizzatori, cementifici, etc. Il sistema può essere usato anche per la purificazione di aree urbane ed in campo militare per decontaminare aree bombardate da armi chimiche o batteriologiche. Il team è composta da: Angelo di Noi, Francesco Ribezzo, Rocco Rizzo, Gaetano Di Bari, Gioele Rampinelli, Laura Aquaro.

    Il premio Industrial è stato vinto da Foreverland, startup fondata a Conversano, in provincia di Bari, a maggio 2023 da Massimo Sabatini, Riccardo Bottiroli, Giuseppe D’Alessandro e Massimo Brochetta, impegnata nel democratizzare il cioccolato creando alternative sostenibili e rispettose del pianeta, senza alcun compromesso sul gusto. Ha infatti creato Choruba, un ingrediente rivoluzionario a base di carrube italiane, che offre un’alternativa eco-consapevole al cioccolato tradizionale e protetta da due brevetti. Choruba viene venduta in gocce o liquido, in diverse varianti ed applicazioni, ad aziende del settore alimentare e già nei prossimi mesi saranno in commercio prodotti che utilizzano l’ingrediente innovativo.
    Foreverland ha da poco concluso un round di investimento da 3.4 milioni di euro che permetterà all’azienda la realizzazione del primo impianto produttivo in Puglia, a Putignano (BA), operativo da gennaio, e la commercializzazione del suo ingrediente innovativo, Choruba. LEGGI TUTTO

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    Così la microalga bioluminescente sopravvive negli abissi

    Per mare si viaggia in tanti modi. Tralasciando i motori, pinne, muscoli e tentacoli la fanno da padrone. Ma chi non ha niente di tutto questo si deve ingegnare a chiedere un passaggio, affidarsi alle correnti o a trovare altre soluzioni. La microscopica Pyrocystis noctiluca, una specie di fitoplancton (un’alga non mobile, nel dettaglio), ci […] LEGGI TUTTO

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    Uno studio rivela: i delfini respirano microplastiche

    Sono ovunque: sull’Everest e nella neve artica, nella placenta e, naturalmente, nei nostri mari, in quantità stimate in quasi due milioni di tonnellate all’anno. Ora, però, per la prima volta le microplastiche compaiono nel respiro dei delfini, che finiscono fatalmente con inalarle quando salgono in superficie. Con conseguenze potenzialmente nocive sulla loro salute. È quanto certificato da uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. I delfini non sono gli unici animali a “respirare” microplastiche.

    Ricerche precedenti, in Giappone, ha certificato la presenza di microplastiche nei polmoni degli uccelli selvatici. Ma sono proprio i cetacei, che popolano i mari di tutto il mondo, a toccare anche le aree costiere più trafficate: per questo sono considerati dai ricercatori un potenziale indicatore importante sull’inquinamento da plastica.

    Biodiversità

    Anche i delfini sorridono (mentre giocano). E il sorriso è contagioso

    di  Pasquale Raicaldo

    03 Ottobre 2024

    Nello studio in questione, Leslie B. Hart, co-direttrice del Center for Coastal Environmental and Human Health presso il College of Charleston, nella Carolina del Sud, ha raccolto – insieme alla biochimica Miranda K. Dziobak, campioni di aria espirata da undici tursiopi nella baia di Sarasota, in Florida, e nella baia di Barataria, in Louisiana. Per farlo hanno posizionato una capsula di Petri, piccolo recipiente di forma cilindrica, sullo sfiatatoio di ciascun esemplare, durante la fase dell’espirazione. Alla ricerca ha collaborato il Brookfield Zoodi Chicago, che conduce da anni studi sulla salute dei delfini, in particolare quelli catturati e poi rilasciati.

    Biodiversità

    Pesci e tartarughe: nei mari rifiuti e plastica continuano a uccidere gli animali

    di Pasquale Raicaldo

    12 Agosto 2024

    La ricerca ha preso le mosse da alcune evidenze emerse in studi precedenti, che avevano rivelato – nei delfini della baia di Sarasota – la presenza di ftalati, sostanze chimiche utilizzate nella plastica, interferenti endocrini dagli effetti nocivi per la salute umana. Una presenza attestata su livelli sensibilmente superiori a quelli riscontrati negli esseri umani. Forse, naturalmente, il sospetto che si trattasse degli effetti del marine litter, l’inquinamento da plastica.

    I delfini più esposti dell’uomo

    E il campionamento ha confermato in pieno l’ipotesi: l’analisi da laboratorio ha infatti rilevato particelle di microplastica nel respiro di tutti i delfini testati, con presenza di più tipi di polimeri plastici, tra i quali il polietilene tereftalato (PET) e il poliestere, uno dei polimeri più comuni utilizzati nel campo dell’abbigliamento. “E in effetti per ogni bucato i nostri vestiti rilasciano milioni di minuscole fibre di plastica, in grado di viaggiare facilmente nell’acqua e nell’aria”, spiega Dziobak. Fatale che gli animali, come l’uomo, vi siano esposti: “Proprio così. – annuisce Hart – E i delfini, secondo la nostra ipotesi, li respirano in superficie, mentre vengono disperse dalle onde”.

    Longform

    Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

    di Paola Arosio

    18 Luglio 2024

    Di più: “l’apnea prolungata dei tursiopi li renderebbe più esposti dell’uomo, in virtù della grande capacità polmonare, all’assunzione involontaria delle microplastiche condotte dall’aria”, annota ancora Hart.

    Quanto alle conseguenze, le microplastiche sarebbero collegate a potenziali infiammazioni e danni a livello cellulare. E, soprattutto, veicolerebbero sostanze chimiche a loro volta direttamente nocive. Ma – spiegano i ricercatori – sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio l’entità delle microplastiche inalate, nonché per esplorarne con maggiore precisione gli impatti, dati i potenziali rischi per la funzionalità polmonare e la salute.Non mancano, nel recente passato, studi sull’inalazione di microplastiche da parte dell’uomo. Che potrebbe respirare circa16,2 frammenti all’ora, l’equivalente di una carta di credito in una settimana, secondo studio condotto dai ricercatori della University of Technology Sydney, della Western Sydney University, della Urmia University, della Islamic Azad University, della University of Comilla e della Queensland University of Technology, pubblicato sulla rivista Physics of Fluids.

    La sfida è comprendere con quali conseguenze, a breve e lungo termine, si muovano nel sistema respiratorio, degli esseri umani come degli animali, delfini compresi. La plastica come vettore di agenti nocivi“Il problema della diffusione delle microplastiche, e in generale delle plastiche, è – con i cambiamenti climatici e la distruzione diretta degli habitat, una delle tre grandi questioni che minacciano la biodiversità. – spiega Antonio Terlizzi, che da direttore del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione zoologica Anton Dohrn si occupa quotidianamente degli effetti dell’impatto antropico sugli organismi marini –

    Nel Mediteranneo stimiamo un quantitativo di 500 milioni di tonnellate di plastica, l’85% dei quali a noi invisibili, trovandosi soprattutto nei fondali. E troviamo costantemente microplastiche nei mammiferi, nei pesci e in diversi invertebrati, per esempio crostacei, spugne ed echinodermi: le nostre preoccupazioni non sono legate solo agli effetti diretti della plastica ingerita o respirata, quanto a quelli indiretti. Gli animali, delfini compresi, che ingeriscono o respirano microplastiche hanno a che fare con quello che in gergo definiamo ‘carrier’, vale a dire portatori di agenti chimici e sostanze tossiche che penetrano negli organismi attraverso la plastica e influiscono negativamente sulla salute degli animali”. LEGGI TUTTO

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    L’inquinamento da azoto e CO2 distrugge la biodiversità delle praterie

    Una pericolosa combinazione di inquinamento da azoto e di emissioni di anidride carbonica (CO2) sta seriamente mettendo a rischio diverse specie vegetali nelle praterie Usa. È quanto emerge da uno studio guidato dall’Università del Michigan e pubblicato su Nature. La ricerca è durata 24 anni ed è stata condotta su 108 appezzamenti di prateria in […] LEGGI TUTTO

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    In Colombia 115 comunità indigene diventano “autorità ambientali”

    Deforestazione, degrado ambientale, perdita di biodiversità. Il legame tra tutela della popolazioni indigene e quello del loro territorio è uno dei grandi temi delle politiche ambientali a livello globale. Alla vigilia della Conferenza internazionale sulla biodiversità dell’Onu, Cop16 che dal 21 ottobre e fino al 1° novembre si terrà a Cali, in Colombia, il governo […] LEGGI TUTTO

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    Rapporto ASviS: “L’Italia in ritardo sull’Agenda 2030, peggiora la povertà”

    “L’Italia procede su un sentiero di sviluppo insostenibile e, nonostante gli impegni presi a livello internazionale anche con la firma del Patto sul Futuro, le scelte del Paese risultano insufficienti per raggiungere i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030. Non solo. Dei 37 obiettivi legati a impegni sia europei che nazionali, solo otto sono raggiungibili entro il 2030; 22 non lo sono e per altri sette il risultato è incerto”. È quanto emerge dal nono Rapporto ASviS, dal titolo “Coltivare ora il nostro futuro” presentato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile che come ogni anno fa il punto sull’avanzamento degli Obiettivi dell’Agenda 2030, che in Italia non sembrano godere di buona salute. E i dati lo dimostrano. Siamo in drammatico ritardo.

    Target lontani: l’Italia su un sentiero insostenibile

    In particolare, spiega il report redatto da decine di esperti (con la collaborazione della società di consulenza Prometeia), tra il 2010 e il 2023, il Paese ha registrato peggioramenti per cinque Goal: povertà, disuguaglianze e qualità degli ecosistemi terrestri, governance e partnership. Limitati miglioramenti si rilevano per altri sei: cibo, energia pulita, lavoro e crescita economica, città sostenibili, lotta al cambiamento climatico e qualità degli ecosistemi marini. Va meglio su salute, educazione, uguaglianza di genere, acqua e igiene, innovazione. Unico miglioramento molto consistente interessa l’economia circolare.

    Enrico Giovannini  LEGGI TUTTO

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    Mughetto, come coltivarlo in giardino o in vaso

    Emblema della primavera, il mughetto presenta fiori bianchi a forma di campanella, eleganti e profumati, e foglie ovali di color verde chiaro. La pianta è contraddistinta da una grande versatilità, adattandosi a molteplici condizioni. Coltivabile sia a terra in giardino, sia nel vaso in terrazzo, si tratta di una pianta montana che tollera bene il freddo, a differenza del caldo e dell’afa che non apprezza.

    Mughetto: caratteristiche
    Il mughetto fa parte della famiglia delle Asparagaceae e appartiene al genere Convallaria. Il suo nome scientifico è Convallaria majalis: la pianta cresce in ambienti ombrosi e umidi, riempiendo in particolare boschi e prati tra la primavera e l’inizio dell’estate, periodo della sua fioritura. Piccola pianta erbacea, perenne, velenosa e rizomatosa, raggiunge altezze tra i 15 e i 20 centimetri. Per quanto riguarda i suoi significati, il mughetto è considerato un simbolo della primavera, ma anche di buona sorte, ritorno della felicità, verginità e innocenza.

    Come coltivare il mughetto
    Pianta boschiva, che cresce spontaneamente, il mughetto oltre che piantato a terra, dà soddisfazioni anche in vaso: con la sua raffinatezza intrinseca dona un tocco di grazia in ogni spazio in cui viene collocato. Tuttavia, può non essere facile da coltivare in terrazzo in quanto richiede un vaso di grandi dimensioni, in modo tale da consentire alle sue radici di estendersi quanto necessario. Oltre che ampio, il contenitore deve presentare dei fori di drenaggio per scongiurare possibili ristagni d’acqua. Il terreno deve essere ben drenato e, pertanto, si possono aggiungere delle biglie di argilla, da porre sul fondo del vaso, e del concime granulare.

    Per la coltivazione in vaso quando si piantano i semi, questi vanno posizionati a una profondità di 4-5 centimetri per poi essere coperti con uno strato di terra: la germinazione è lenta e può richiedere diversi mesi. Una volta piantati i bulbi è bene lasciare il vaso all’aperto per i primi mesi: si potrà spostare all’interno solo quando la pianta raggiungerà una dimensione più grande idonea per sboccare.

    Se si opta per la coltivazione del mughetto in giardino in piena terra si dovrà scegliere un terreno umido, drenato e ombreggiato. Si procede piantando i rizomi del mughetto, posizionandoli a una distanza tra i 10 e i 15 centimetri l’uno dall’altro e a una profondità di 5 centimetri. È molto importante assicurarsi di collocare la parte concava dei rizomi verso l’alto e di mantenere il terreno sempre umido anche durante la sua crescita, senza esagerare per scongiurare i ristagni d’acqua. I bulbi devono essere interrati nel periodo tra marzo e maggio oppure tra settembre e dicembre.

    Dove posizionare il mughetto?
    Per quanto riguarda il luogo dove collocarlo, il mughetto predilige una posizione soleggiata o semi-ombreggiata, evitando quindi i raggi solari diretti che potrebbero comprometterne le foglie. La pianta ha bisogno della luce indiretta e in caso questa manchi potrebbe non fiorire. Inoltre, per una sua fioritura rigogliosa un ambiente fresco e umido è l’ideale. In merito alle temperature la pianta non patisce il gelo, resistendo anche sotto i -15 gradi, mentre durante le estati molto torride può soffrire: proprio per questo, nel caso si pianti in giardino a dimora in piena terra dovrà essere collocata nella parte più all’ombra.

    Il mughetto richiede un terriccio soffice, calcareo, ben drenato, sabbioso, fertile e ricco di sostanze organiche dal ph neutro: se il substrato deve essere sempre mantenuto umido, bisogna evitare i ristagni d’acqua che potrebbero far patire la pianta. Inoltre, bisogna prestare attenzione se si vive con bambini oppure animali in quanto si tratta di una pianta velenosa e ingerirne anche una piccola porzione è molto pericoloso.

    Mughetto e annaffiatura: cosa sapere
    In merito alla cura del mughetto, è necessario dedicarsi con particolari accorgimenti all’annaffiatura, che deve essere regolare e intensificata durante il periodo estivo e quando il clima è secco. Prima di dare da bere alla pianta è importante controllare che il terreno sia asciutto per scongiurare i ristagni d’acqua: per mantenerla in salute il terreno deve essere leggermente umido, ma non zuppo. L’annaffiatura va evitata nel periodo autunnale, quando la pianta è priva di foglie e in inverno va ridotta, interrompendo la concimazione. Durante la crescita attiva è necessario fertilizzare la pianta una volta mese.

    Potatura del mughetto e altri aspetti da considerare
    Altro aspetto da tenere a mente è la potatura che dovrà essere effettuata durante la primavera, momento in cui il mughetto si trova ancora in stato di dormienza e, pertanto, è perfetto per non stressarlo, riparando eventuali danni generatisi durante il periodo invernale. Si può anche potare la pianta durante la fine dell’estate al termine della sua fioritura. Intervenendo in questi due periodi ci sono più possibilità di mantenere inalterata la forma del mughetto, evitando di rimuovere i suoi meravigliosi fiori. Ogni due anni è necessario effettuarne il rinvaso. Essendo una pianta velenosa, il mughetto è repellente a diversi parassiti e, pertanto, non richiede cure particolari. A metterla in pericolo sono i ristagni idrici che possono generare marciumi radicali e muffa grigia e malattie fungine, come la ruggine, responsabile della comparsa di pustole giallastre sulle foglie e il conseguente disseccamento di quelle maggiormente colpite. LEGGI TUTTO