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    Unione europea tra dazi e nuovi equilibri politici: Green Deal a rischio

    Quale sarà l’impatto di Trump sulle politiche climatiche e ambientali dell’Unione europea? Anche i più ottimisti tra i sostenitori del Green Deal, lanciato da Bruxelles nel 2019, ammettono che la situazione da allora si è complicata. La guerra dei dazi dichiarata dal presidente statunitense Donald Trump potrebbe rallentare la transizione energetica del Vecchio Continente, con nuvole che si addensano sulla “rottamazione” dei motori endotermici a partire dal 2035. Mentre i nuovi equilibri politici all’interno dell’Europa potrebbero rimettere in discussione le norme agro-ambientali. “In estrema sintesi”, spiega Mauro Albrizio, che dirige l’ufficio europeo di Legambiente, “si può dire che la Ue sta cedendo sulla parte agricola, mentre tiene il punto sulle politiche energetiche e industriali. Anche se c’è l’incognita del gas naturale di Trump”.

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    Non solo scienza: musica e teatro per difendere l’ambiente

    29 Maggio 2025

    Le semplificazioni alla Politica agricola comune
    Ma vediamo più nel dettaglio. Lo scorso 14 maggio la Commissione europea ha proposto una serie di “semplificazioni” della Politica agricola comune (Pac). Secondo le associazioni ambientaliste, la proposta prevede un indebolimento delle misure di protezione per pascoli, torbiere e zone umide (fondamentali per lo stoccaggio della CO2): “La Commissione europea ha ancora una volta trascurato la protezione della natura e del clima nel bilancio più consistente d’Europa, la Politica agricola comune. Decisioni così miopi non solo ostacoleranno la resilienza delle aziende agricole, ma metteranno anche in discussione la legittimità della Politica agricola comune, allontanandosi ulteriormente dagli obiettivi ambientali e climatici che l’Unione si era data”.

    I protagonisti

    G&B Festival 2025, Milano 5-7 giugno: ospiti e speaker

    23 Maggio 2025

    A spingere per una maggiore flessibilità sono soprattutto Germania e Polonia, i cui governi in carica godono del sostegno delle organizzazioni che rappresentano gli imprenditori agricoli. Ma non si può non cogliere una contraddizione: da una parte si vogliono evitare nelle proprie imprese misure per la prevenzione della crisi climatica, dall’altra si chiede un sostegno pubblico sull’assicurazione contro i rischi da eventi meteo estremi.
    Nonostante il tanto discuterne, non dovrebbe essere stravolto il bando europeo alle auto endotermiche dal 2035. L’unica vera novità è che le multe (per i produttori che non rispettano i limiti di emissioni per le nuove auto vendute dal 2025) non saranno annuali, ma si farà una media triennale delle emissioni.

    I protagonisti

    Elizabeth Kolbert: “E se fosse già iniziata l’era di una nuova estinzione?”

    di Giacomo Talignani

    26 Maggio 2025

    La road map dell’energia.
    Ed è soprattutto sull’energia che può incidere il fattore Trump. Il 6 maggio la Commissione Ue ha presentato la road map per il phasing out dei combustibili fossili e dell’uranio provenienti dalla Russia. Il documento è stato criticato, perché non accelera sulle rinnovabili, l’efficienza energetica e l’elettrificazione. Indica piuttosto una diversificazione delle fonti di approvvigionamento: ci si libera della Russia ma ci si mette nelle mani di altri, principalmente degli Stati Uniti.

    D’altra parte il presidente Donald Trump ha chiesto portare a 350 miliardi di dollari le importazioni europee di gas naturale liquefatto statunitense, tre volte l’attuale valore del mercato mondiale del gnl. Tuttavia, pur di chiudere un accordo sui dazi, l’Unione europea sembra disposta a tagliare le importazioni dal Nordafrica e dai Paesi dell’Est per comprarne 50 miliardi in più dagli Usa. Rallentando la transizione e aumentando la dipendenza dal gas.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Il ciclone negazionista di Trump si abbatte sull’ambiente

    Il 22 aprile, Giorno internazionale della Terra, il sito della Casa Bianca ha pubblicato un post in cui vantava la presenza di un “presidente che finalmente segue la scienza”. “Con il presidente Donald Trump – scrivevano – le politiche ambientali mettono radice nella realtà per promuovere la crescita economica, garantendo acqua e aria pulita per generazioni”. In realtà da quando Trump è tornato alla Casa Bianca sono state smontate tutte le politiche a difesa dell’ambiente, cancellate le agenzie che si occupavano di controlli sugli inquinamenti e affidato i ruoli chiave a manager negazionisti del cambiamento climatico. E tutto questo è avvenuto fin dal primo giorno quando, il 20 gennaio Trump ha firmato l’ordine esecutivo che ha ordinato l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima. È la seconda volta. La prima risale a quando il tycoon è entrato alla Casa Bianca, nel 2017. Poi Joe Biden aveva fatto tornare gli Usa nell’accordo.

    I protagonisti

    G&B Festival 2025, Milano 5-7 giugno: ospiti e speaker

    23 Maggio 2025

    La fine della politica climatica di Biden

    L’amministrazione Trump è andata molto oltre, toccando tutti gli aspetti del settore green, ma non nel modo in cui sognavano gli ambientalisti: il presidente ha proposto un piano che prevede l’abrogazione dei crediti d’imposta per l’energia pulita, la riduzione dei fondi per veicoli elettrici ed energie rinnovabili, la rescissione di sussidi per programma di giustizia climatica e riduzione delle emissioni. Trump ha firmato inoltre un ordine esecutivo con cui ha abolito le misure previste dal suo predecessore, per favorire lo sviluppo dei veicoli elettrici. Tra queste, c’erano i fondi per la realizzazione di 500 mila stazioni di ricarica in tutto il Paese. Il tycoon ha annunciato fin dal primo giorno l’emergenza energetica nazionale, una formula scelta apposta per giustificare l’estrazione di combustibili fossili su terre federali e acque costiere. Era il famoso “drill, baby, drill”, “trivella, baby, trivella”, che aveva galvanizzato la base Maga durante la campagna elettorale, e che Trump ha declinato in molti altri modi, per rendere ancora più eccitante la sua crociata contro l’ambiente: così è nato il “log, baby, log”, legato alla deregulation nell’abbattimento di alberi per fare a meno dei prodotti arrivati dal Canada, e il “drip, baby, drip”, con cui il tycoon ha tolto il limite alla potenza del gettito d’acqua dalla docce. Ha poi licenziato 800 ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA). Un colpo alla ricerca internazionale visto che i dati raccolti vengono utilizzati non solo dagli Stati Uniti, ma da tutta la comunità scientifica nel mondo.

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    Non solo scienza: musica e teatro per difendere l’ambiente

    29 Maggio 2025

    L’agenda anti-green
    L’amministrazione ha oscurato la pagina della National Oceanic and Atmospheric Administration, che mostrava il monitoraggio dei valori dell’anidride carbonica a livello globale e firmato quaranta ordini esecutivi per eliminare le agenzie scientifiche. Ma l’agenda anti-green di Trump non sembra avere limiti: con la firma di un altro ordine esecutivo, il presidente ha sospeso le concessioni federali per nuovi progetti di energia eolica offshore, mettendo fine allo sviluppo di parchi eolici marini e limitando le opportunità di espansione dell’energia rinnovabile. Nel frattempo, Lee Zeldin, il negazionista del clima messo a capo dell’agenzia per la protezione ambientale, ha annunciato l’eliminazione o lo svuotamento di trentuno regolamenti ambientali, tra cui i limiti alle emissioni di gas serra delle centrali elettriche. E se non bastasse, c’è anche lo spazio: Trump ha smantellato le ricerche federali sull’inquinamento nello spazio causato dall’affollamento di satelliti e razzi, dando una mano ai suoi amici e finanziatori Elon Musk e Jeff Bezos, che guidano l’assalto alle stelle e temevano di dover moltiplicare gli investimenti per rispettare le norme a protezione dello spazio, e contro l’affollamento di satelliti.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Marisa Parmigiani: “Le aziende hanno investito molto e andranno avanti”

    Marisa Parmigiani, presidente di Sustainability Makers, l’associazione italiana che riunisce i responsabili aziendali che si occupano di sostenibilità, ha uno sguardo privilegiato su quel che sta avvenendo nel settore. Al netto dei nuovi paradigmi che contraddistinguono l’assegnazione delle funzioni ESG all’interno delle organizzazioni e le costanti attività di formazione dovute anche alle complessità normative, è il costante dibattito nazionale e internazionale a tenere banco. Troppa regolamentazione green? Rischio competitività? E l’abbandono dell’Accordo di Parigi da parte di Trump avrà effetti collaterali? “Intanto distinguiamo il mondo europeo da quello statunitense. Oltreoceano c’è maggiore connessione tra politica e impresa. In Europa i venti politici influenzano meno l’approccio manageriale delle imprese. La deregulation portata dal pacchetto Omnibus della Commissione Ue è comunque all’interno di un contesto molto normato. Il mondo imprenditoriale si divide sostanzialmente in due. Quelli che in questi anni hanno colto il valore strategico della sostenibilità e ne hanno permeato la cultura aziendale, perché di fatto fa rima col concetto di innovazione e quindi poi di competitività. E quelli che hanno aderito solo per compliance e quindi stanno alla finestra nella speranza di cavarsela”.

    Associazioni di categoria e imprese a volte sembrano muoversi in modo differente sui temi della sostenibilità. Le risulta?
    “Le associazioni di categoria si ritrovano a rappresentare una moltitudine diversa di soggetti nelle aziende. Da una parte abbiamo dei leader che su competenze e conoscenze sono anni luce in avanti rispetto alle associazioni, dall’altra queste possono essere conservative per timore di contestazioni interne. Mi viene in mente il caso di dieci delle principali aziende italiane, a partire dai grandi soggetti della produzione alimentare, che hanno firmato un anno fa una lettera aperta alla Commissione chiedendo a gran voce una normativa uguale per tutti sulla due diligence. Come a dire ‘non fermatevi e andate avanti è fondamentale’. Confindustria invece ha avanzato alcune osservazioni alla proposta Ue. Per le aziende alimentari, che riconoscono nel presidio dei rischi ESG un valore per le relazioni con i fornitori, avere un fair play nel contesto di mercato è un tema importante”.

    I protagonisti

    G&B Festival 2025, Milano 5-7 giugno: ospiti e speaker

    23 Maggio 2025

    Quali sono le filiere che si sono distinte di più nel cambiamento?
    “Innanzitutto l’energetica, perché per l’Europa il tema della transizione energetica è chiave non solo per la competitività ma anche per la sopravvivenza del sistema produttivo europeo. E poi di conseguenza le società multiservizi. Un altro blocco importante è quello dei produttori di macchinari per l’industria, poiché lì c’è la tutela delle risorse e quindi un risparmio per i clienti. La domanda è di operare in logica di efficienza, e questo richiede costante innovazione. E poi il real estate, che si è davvero trasformato. Oggi si parla di retrofit, si parla di riuso, è proprio un altro linguaggio. Non è solo una questione dei materiali degli immobili, le città vengono disegnate ponendo la sostenibilità al centro”.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Molti osservatori sostengono che siamo entrati in una fase più matura dove sarebbe il caso di riformulare il linguaggio della sostenibilità. Concorda?

    “Sì, è un dibattito che c’è. E riconosco che dietro alle questioni terminologiche ci sono in realtà delle priorità differenti e sicuramente se da un certo punto di vista, fino a poco tempo fa, il concetto prioritario era quello della responsabilità abbinato a un attivismo civico sottostante, oggi invece è un elemento di competitività. E questo spiega anche il motivo per cui noi siamo il Paese in cui sono più diffusi processi di economia circolare: da noi la materia prima non è mai esistita. Insomma si tratta di un’intelligente reazione a un problema di fondo del sistema produttivo. Quindi abbiamo bisogno di parlare nuovi linguaggi, se parlare nuovi linguaggi ci aiuta a far comprendere concetti aderenti ai bisogni e le priorità di questa fase”.
    Un’indagine di InfluenceMap ha confermato che tra il 2019 e il 2025 il 23% delle 200 aziende Ue più grandi si sono allineate con strategie green, mentre le non-allineate sono scese dal 34 al 14%. Il trend è ancora positivo?
    “Assolutamente sì, gli anni ‘20 del nostro secolo sono stati anni di diffusione dei temi di sostenibilità nei processi di pianificazione aziendale. Basta guardare i piani industriali delle aziende quotate, che a prescindere dal dibattito politico, continuano ad andare per la loro strada. Perché come dimostrano anche i dati dell’ultimo rapporto Istat la sostenibilità è un investimento, che tra l’altro comporta anche non pochi risparmi. Quindi i risultati sono non solo reputazionali, ma anche di efficienza e di crescita economica”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Cina, un nuovo leader della diplomazia del clima

    “Da quando ho annunciato gli obiettivi della Cina per il picco delle emissioni e la neutralità carbonica cinque anni fa, abbiamo costruito il sistema di energia rinnovabile più grande e in più rapida crescita al mondo, nonché la catena industriale di nuova energia più grande e completa», disse Xi Jinping durante una riunione virtuale convocata dall’Onu alla fine di aprile. Il leader cinese ha promesso inoltre di introdurre misure più severe per ridurre le emissioni di gas serra nel prossimo decennio, fissando nuovi obiettivi entro il 2035. La Cina non intende sottrarsi alla lotta, anzi. E il ritiro (di nuovo) degli Stati Uniti di Donald Trump dagli accordi di Parigi sul clima e i tagli ai finanziamenti statunitensi, danno a Pechino pure una ghiotta opportunità sulla scena internazionale.

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    G&B Festival 2025, Milano 5-7 giugno: ospiti e speaker

    23 Maggio 2025

    Maggiore produttore di gas serra, ma leader rinnovabili
    Nonostante rimanga il maggiore produttore mondiale di gas serra e le emissioni del suo settore energetico abbiano raggiunto un nuovo picco lo scorso anno, trainate dall’aumento del consumo di carbone, Pechino è ormai da tempo leader nella produzione di tecnologie verdi in particolare nel settore energetico. La Cina produce e utilizza più pannelli solari, turbine eoliche e veicoli elettrici rispetto al resto del mondo messo insieme. E li può produrre a costi inferiori rispetto ai suoi concorrenti. Diventando il fornitore principale per quei Paesi, specialmente quelli in via di sviluppo, che hanno bisogno di energie rinnovabili.
    Investiti 156 miliardi di dollari
    Secondo Climate Energy Finance, un gruppo di ricerca con sede a Sydney, dall’inizio del 2023 le aziende cinesi hanno stanziato 156 miliardi di dollari in investimenti diretti esteri in oltre 200 operazioni nel settore delle tecnologie pulite.
    Sono cinesi, per fare qualche esempio, le aziende che stanno fornendo attrezzature e know-how per una centrale idroelettrica in Tanzania che raddoppierà la capacità di generazione di energia elettrica del Paese. Pechino sta investendo in diversi progetti di energia rinnovabile in Asia centrale, come i parchi eolici in Uzbekistan. Così come sono cinesi le aziende che stanno assumendo un ruolo sempre più importante nello sviluppo dell’energia pulita nella regione del Golfo.
    “Nonostante l’Europa e gli Stati Uniti continuino a imporre dazi e restrizioni sulle importazioni cinesi e a preoccuparsi dell’eccesso di capacità produttiva, la Cina e la sua tecnologia verde a prezzi accessibili continueranno ad attrarre i mercati dei paesi in via di sviluppo”, sostiene Taylah Bland, responsabile senior del programma China Climate Hub presso l’Asia Society Policy Institute.

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    20 Maggio 2025

    La stampa statale metteva in luce alcune possibilità derivanti dal ritiro americano già nelle scorse settimane. Facendo l’occhiolino all’Europa. “Il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi non solo ha fatto precipitare gli sforzi globali per contrastare il cambiamento climatico in una situazione di maggiore incertezza, ma ha anche messo in evidenza l’urgente necessità per il resto del mondo, in particolare la Cina e l’Ue, di rafforzare la cooperazione in materia di sviluppo verde”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Da food swamp a smart fashion, la sostenibilità prende voce nel nuovo glossario dedicato a cibo e moda

    Dalle paludi del cibo (food swamp) in cui si rischia di rimanere impantanati tra fast food e fornitori di cibo spazzatura, alla smart fashion che creerà un nuovo abbigliamento in grado di monitorare i parametri corporei e al tempo stesso attento alla sostenibilità dei materiali: sono due dei lemmi presenti nel nuovo glossario della sostenibilità, rigorosamente in inglese, con tutti i termini della sostenibilità, in particolare della moda, il primo glossario che si occupa di moda e food sostenibili, pensato per quelle che sono due industrie che hanno fortemente a che fare con la vita quotidiana delle persone; un glossario progetto per la moda e la ristorazione di domani. Il glossario è una vera meta-risorsa di tipo accademico, perché per ogni lemma c’è un’ampia indicazione bibliografica. È pensato non solo per gli studenti universitari, ma per tutta la comunità, in particolare per la cosiddetta “generazione green”, quei giovani che pur professando di vivere sostenibilmente, in realtà non sono veramente consapevoli e partecipi di quali possano essere le scelte sostenibili in fatto di alimentazione e moda.
    Si tratta di uno dei risultati di un progetto di educazione alla sostenibilità guidato da ModaCult-Centro per lo Studio della Moda e della produzione culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha portato, tra il 2023 e il 2024, a curare lo sviluppo e la sperimentazione di strumenti formativi per l’educazione alla sostenibilità nei due settori, oggi disponibili anche su EDUOPEN, piattaforma online che offre corsi universitari gratuiti e aperti a tutti in Italia, realizzata da un network di università e supportata dal Ministero dell’Istruzione. L’iniziativa si è svolta nell’ambito di un progetto europeo che ha coinvolto 8 partner in 6 Paesi dell’Unione Europea, tra università, imprese e realtà del terzo settore e dimostra, come riferito nel contributo curato dalla prof.ssa Silvia Mazzucotelli Salice pubblicato nel volume “Nuevos aprendizajes tecnologizados con aplicaciones culturales y didácticas”, che l’apprendimento collaborativo online oltre a favorire l’acquisizione di nuove competenze possa incidere positivamente sulle attitudini e, in alcuni casi, anche sui comportamenti degli studenti verso la sostenibilità, rafforzando l’apprendimento attivo e consapevole. Si tratta di un progetto COIL (Collaborative Online International Learning), risultato di grande utilità pratica ai fini dell’apprendimento dei temi della sostenibilità.

    Biodiversità

    Lavori green, l’educatore ambientale: “Dalla scuola si crea un mondo più sano e equo”

    di Fiammetta Cupellaro

    31 Marzo 2025

    “Il nostro obiettivo, condiviso con un ampio team internazionale di docenti, ricercatori e professionisti, non era solo trasmettere conoscenze, ma creare le condizioni perché gli studenti potessero confrontarsi con altri punti di vista, rivedere criticamente le proprie abitudini e iniziare a trasformarle. È in questa connessione tra consapevolezza, scelte quotidiane e responsabilità sociale che si gioca oggi l’educazione alla sostenibilità” – sottolinea Mazzucotelli Salice, a nome del gruppo di lavoro coordinato da ModaCult nell’ambito della rete europea del progetto Fashion & Food for Sustainability.

    Il progetto Fashion & Food 4 Sustainability – ha avuto un approccio formativo sistemico, volto a ripensare l’offerta formativa universitaria e rafforzare le competenze di diversi attori nei settori moda e food, spiega Mazzucotelli Salice. Il progetto comprende anche lo sviluppo di materiali didattici, moduli formativi e strumenti innovativi per la sensibilizzazione e la formazione sui temi della sostenibilità nei settori moda e agroalimentare. Finora ha portato a una serie articolata di risultati, tra cui sei moduli didattici interdisciplinari e multilingue sulla sostenibilità (oggi disponibili gratuitamente sulla piattaforma EDUOPEN), il glossario della sostenibilità, una guida metodologica per docenti interessati a integrare questi strumenti nei propri percorsi formativi, materiali formativi pensati anche per target extra-universitari (giovani imprenditori, funzionari pubblici, professionisti locali), spiega Mazzucotelli Salice.
    Nella sua fase iniziale pilota, il progetto ha coinvolto i primi 100 studenti di varie nazionalità da 4 università europee (Italia, Spagna, Paesi Bassi e Polonia) che per sei settimane hanno lavorato insieme su attività didattiche collaborative online e progetti interdisciplinari finalizzati alla riflessione critica sui temi della sostenibilità nei settori della moda e della produzione alimentare, attraverso lavori di gruppo interdisciplinari, forum di discussione, presentazioni finali, tutto tramite web. Gli studenti, attualmente quelli coinvolti sono quasi 400, hanno anche compilato dei questionari sia all’inizio, sia alla fine dello studio. “Ebbene, dai questionari e dai focus group è emerso che, al termine delle sei settimane, una parte significativa degli studenti ha dichiarato di aver maturato una maggiore consapevolezza riguardo all’impatto delle proprie scelte quotidiane in ambito alimentare e di consumo, e di aver compreso meglio come orientarsi verso pratiche più sostenibili. In particolare, il 33% ha affermato di aver cambiato il proprio modo di pensare alla sostenibilità, mentre il 23% ha dichiarato di aver modificato alcuni comportamenti concreti. Inoltre, l’82% degli studenti ha riscontrato un miglioramento delle proprie competenze comunicative in contesti internazionali, e il 79% ha riferito una maggiore flessibilità mentale, dimostrando come l’esperienza abbia favorito anche lo sviluppo di soft skill trasversali”, rileva l’esperta.
    “Molti studenti si riconoscono nella cosiddetta ‘generazione green’, ma il percorso formativo ha fatto emergere quanto questa identificazione sia spesso ancora superficiale. Solo confrontandosi con contenuti e pratiche della sostenibilità in modo strutturato, è stato possibile per loro iniziare a tradurre i valori in scelte quotidiane concrete. Questo ci ricorda che la sostenibilità, per diventare davvero parte della vita, deve essere sostenuta da strumenti culturali e formativi capaci di connettere riflessione critica e cambiamento degli stili di vita” – conclude Mazzucotelli Salice. LEGGI TUTTO

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    Pompa di calore: funzionamento, vantaggi e svantaggi

    La pompa di calore è una tecnologia sempre più utilizzata per riscaldare e raffrescare gli ambienti domestici e aziendali. Ma come funziona, quali sono i suoi vantaggi e quali gli svantaggi? Esploriamo questi aspetti per aiutarti a capire meglio se questo sistema di climatizzazione è adatto alle tue esigenze.

    Cos’è una pompa di calore
    La pompa di calore è un dispositivo che sfrutta l’energia termica presente nell’ambiente (aria, acqua o terra) per riscaldare o raffrescare un ambiente. Funziona in modo simile a un frigorifero, ma al contrario. In inverno, estrae calore dall’aria esterna (anche a basse temperature) e lo trasferisce negli ambienti interni. In estate il processo si inverte, rimuovendo il calore dall’interno per raffreddare l’ambiente.

    Come funziona la pompa di calore
    Il funzionamento della pompa di calore si basa su un ciclo termodinamico creato grazie all’utilizzo di un fluido refrigerante. Il fluido, tramite una serie di passaggi in cui cambia stato (da gas a liquido e viceversa), riesce ad assorbire calore da una fonte esterna e a trasferirlo nell’ambiente interno, o viceversa. Questo processo avviene grazie alla presenza di un compressore, un espansore e uno scambiatore di calore. Esistono diverse tipologie di pompe di calore, a seconda della fonte di energia utilizzata: le pompa di calore aria-aria (utilizzano l’aria esterna per il riscaldamento e il raffreddamento), le pompe di calore aria-acqua (trasferiscono il calore dall’aria all’acqua, sono utili per alimentare impianti di riscaldamento a pavimento o termosifoni) e le pompe di calore geotermiche (sfruttano il calore del terreno, offrendo una soluzione più stabile e ad alte prestazioni).

    Quali sono i vantaggi
    I vantaggi di avere una pompa di calore sono numerosi. Innanzi tutto tali strumenti garantiscono grande efficienza energetica: la pompa di calore è infatti uno dei sistemi più efficienti per riscaldare e raffrescare gli ambienti, potendo produrre fino a 4-5 kWh di calore per ogni kWh di elettricità consumato. Questo la rende una scelta economica a lungo termine e ecologica. Il rispetto per l’ambiente è un altro pro: essendo una tecnologia che sfrutta fonti di energia rinnovabile (aria, acqua, terra), la pompa di calore riduce significativamente le emissioni di CO2 rispetto ai sistemi tradizionali che utilizzano combustibili fossili come il gas. La versatilità è un altro punto forte di tali sistemi: la pompa di calore non solo riscalda, ma può anche raffrescare gli ambienti nei mesi estivi. Questo la rende un sistema ideale per avere comfort tutto l’anno. Per l’acquisto inoltre, in molti Paesi tra cui l’Italia, sono previsti incentivi statali e sgravi fiscali: questo permette di abbattere i costi iniziali di acquisto e di installazione. I costi di manutenzione, poi, sono bassi rispetto ai tradizionali impianti di riscaldamento (come le caldaie a gas): la pompa di calore richiede una manutenzione non solo meno costosa ma anche meno frequente.

    Quali sono gli svantaggi
    Abbiamo parlato di costi di acquisto e di installazione: il costo iniziale elevato è il primo ostacolo che potrebbe far desistere qualcuno dall’acquisto di tale sistema termoregolatore. Una pompa di calore costa di più rispetto ai sistemi di riscaldamento tradizionali. Tuttavia, questo costo viene ammortizzato nel tempo grazie ai risparmi energetici. Un altro fattore da tenere a mente è l’efficacia ridotta a basse temperature: le pompe di calore aria-aria e aria-acqua possono essere meno efficienti in zone con inverni particolarmente rigidi. In questi casi potrebbe essere necessario integrare il sistema con una fonte di calore supplementare, come una caldaia a gas. Le pompe di calore, inoltre, sono ingombranti: per installarle ci vuole spazio. In base al modello, la pompa di calore può richiedere un’area esterna per l’installazione dell’unità esterna (nel caso delle pompe di calore aria-aria) o l’accesso a un sistema geotermico (per le pompe di calore geotermiche). Questo potrebbe non essere pratico in alcuni edifici o in giardini di piccole dimensioni.

    L’ultimo compromesso è il possibile rumore: alcuni modelli di pompe di calore possono emettere suoni, specialmente nelle unità esterne, che potrebbero risultare fastidiosi in ambienti molto silenziosi. È importante dunque valutare bene e scegliere un modello con bassi livelli di rumorosità. La pompa di calore, insomma, rappresenta una soluzione innovativa e vantaggiosa per chi desidera un impianto di riscaldamento e raffreddamento a basso impatto ambientale ed efficiente. Sebbene richieda un investimento iniziale maggiore, i benefici in termini di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di CO2 sono notevoli. Se abiti in una zona con inverni non troppo rigidi o se sei alla ricerca di una tecnologia versatile e duratura, la pompa di calore potrebbe essere la scelta giusta. Se stai valutando di installare una pompa di calore, è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista per un’analisi delle tue specifiche esigenze e per scegliere il modello più adatto alla tua casa. LEGGI TUTTO

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    Ambiente, la sfida delle piccole isole italiane: la transizione ecologica va a rilento

    Le isole minori italiane sono davanti a un bivio: laboratori di sostenibilità ambientale e biodiversità o luoghi fragili sempre più esposti ai rischi della crisi climatica e dell’overtourism, oltre che a una crescente antropizzazione? Il punto interrogativo aleggia su arcipelaghi straordinari, dove gli equilibri sono tuttavia sempre più precari: 26 le piccole isole abitate in Italia, vi ricadono 33 Comuni con una popolazione di 188 mila abitanti.Ed emergono più ombre che luci dal rapporto “Isole Sostenibili 2025”, che Legambiente e l’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Cnr hanno appena presentato a Napoli nell’ambito della fiera “Green Med Expo & Symposium”.

    La sentenza è inequivocabile: la transizione ecologica, in quest’Italia cosiddetta minore, va a rilento. Tanto che l’indice complessivo di sostenibilità – ricavato da variabili come il consumo di suolo, l’uso dell’energia, la gestione dei rifiuti, le risorse idriche e i sistemi di depurazione, la mobilità e la presenza di aree naturali protette – si attesta nel 2025 al 46,8%, con una crescita marginale (+1,3%) in più rispetto al 2024. Quanto basta per auspicare – o meglio, chiedere – “una svolta decisa, valorizzando i progressi fatti – come l’aumento del fotovoltaico e le buone pratiche locali – ma affrontando con urgenza le criticità ancora presenti: dalla dipendenza energetica dai combustibili fossili ai ritardi nella gestione idrica e dei rifiuti, fino alla mobilità”, come sintetizza Francesco Petracchini, direttore del Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente del Cnr.

    “Serve un Piano nazionale integrato, coraggioso e adattabile alle peculiarità insulari, fondato su tre pilastri: energia pulita, tutela delle risorse naturali, innovazione. – sottolinea – Le isole minori possono diventare modelli di sostenibilità per tutto il Mediterraneo”.Ma quali sono le voci più critiche del report? Una su tutte: solo 7 delle 26 isole analizzate interconnesse alla rete elettrica nazionale, con le altre 19 dipendenti ancora da gruppi elettrogeni a gasolio. E non c’è stata l’auspicata crescita nella raccolta differenziata, con una media che nel 2023 si attesta al 58%, appena il 2% rispetto all’anno precedente e dunque ben al di sotto dell’obiettivo europeo del 65%. Non mancano casi virtuosi come Ustica (93%) e Favignana (85%).

    Ci sono poi la questione del consumo di suolo, che tra il 2022 e il 2023 ha raggiunto 7,8 ettari, pari a circa 11 campi da calcio, e il tema delle carenze nella gestione idrica: tra il 2020 e il 2022, secondo Istat, le perdite d’acqua sono salite al 42,3% (11,8 milioni di m³) rispetto al 40,6% di sette anni fa. Segnalati picchi drammatici a Ventotene (77% di dispersione), Capraia (69%), Pantelleria (67%) e ale Pelagie (58%). Ancora: il 22,5% della popolazione delle isole non è ancora servito da rete fognaria, con situazioni critiche a Salina (solo il 2% servito), Ischia (28%) e Pantelleria (45%).

    Ancora troppi veicoli privati, dov’è la mobilità green?
    Ma non v’è dubbio che uno dei temi cruciali per il futuro delle isole sia rappresentato dalla mobilità: ostacolare il processo che trasforma luoghi privilegiati in metropoli in miniatura sarebbe prioritario. Eppure l’uso individuale dell’auto, insieme a una presenza marginale del trasporto pubblico, sembrano ancora predominanti. Secondo i dati Aci sono 186.399 i veicoli privati circolanti, a fronte di circa 188 mila residenti: vuol dire 99 ogni 100 abitanti, un caso limite è Ischia dove il rapporto è addirittura superiore a 1:1. E si parla, generalmente, di un parco auto è obsoleto: in media il 61% dei veicoli è di classe Euro 4 o inferiore, con punte del 73% a Pantelleria e 72% nelle Pelagie e a Salina.

    La ricetta per un futuro sostenibile
    Non mancano esempi virtuosi, però. L’indice di sostenibilità è rassicurante, per esempio, sull’Isola di San Pietro (62%, +8% rispetto al 2024), a Capri (61%, -1%), Sant’Antioco (57%, -3%) e alle Isole Tremiti (55% come nel 2024). E non mancano segnali incoraggianti, in primis il forte incremento del fotovoltaico che, tra il 2021 e il 2023, ha visto crescere la potenza installata del +116% (dati Terna e Legambiente), superando in media il 50% del target fissato dal DM 2017, con casi significativi come Ustica (+153%) e Ventotene (+93%).“Le isole minori italiane sono scrigni di biodiversità e cultura, ma anche territori fragili, esposti agli effetti della crisi climatica e al rischio di spopolamento. – sottolinea Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Questa consapevolezza ha guidato il lavoro che portiamo avanti dal 2018 con il nostro Osservatorio Isole Sostenibili, nato per colmare la scarsa attenzione, in termine di dati e politiche dedicate, nei confronti di questi territori unici, che hanno tutte le carte per essere laboratori avanzati di transizione ecologica. Ma per farlo serve una strategia nazionale coraggiosa, concreta e continuativa, che possa adattarsi alle specificità insulari. La transizione energetica – oggi ostacolata da ritardi normativi, vincoli ambientali e carenze infrastrutturali – insieme alla tutela del patrimonio naturale, devono diventare il cuore di un nuovo modello di sviluppo”.

    A margine della presentazione del report, Legambiente e Cnr hanno ribadito così la necessità di un Piano nazionale dedicato alla transizione ecologica insulare, integrato e strutturato. Prevedendo anzitutto azioni specifiche mirate alla transizione energetica (con la connessione alla rete elettrica nazionale per le isole più vicine alla terraferma e microgrid intelligenti per le isole non interconnesse, sviluppo delle rinnovabili, lo sfruttamento di nuove tecnologie come il moto ondoso e la creazione di Comunità Energetiche Rinnovabili).

    Altro tema cruciale, sottolineano, è la gestione sostenibile delle risorse naturali: garantire l’accesso all’acqua potabile e a servizi di depurazione efficienti tutto l’anno, sfruttando per esempio i fondi del Pnrr Isole Verdi; ridurre le perdite delle condutture, implementare i dissalatori per l’approvvigionamento idrico al posto delle navi cisterna e i sistemi di raccolta e riutilizzo delle acque piovane; un impegno concreto per raggiungere l’obiettivo del 30% di territorio tutelato entro il 2030, valorizzando le aree protette già esistenti e i piani di conservazione delle specie endemiche.

    Ancora: innovazione e digitalizzazione e, altro tema caldo, turismo sostenibile. Auspicando “una governance nazionale e regionale, che tenga conto delle specificità insulari, per garantire servizi e collegamenti tutto l’anno; strategie di promozione che valorizzino identità, tradizioni e produzioni locali, attraverso il coinvolgimento attivo di cittadini, operatori e associazioni”. Lo spettro, qui come altrove, è naturalmente nei flussi incontrollati del turismo di massa. Di qui, per esempio, azioni come quelle del Comune di Capri, che sta promuovendo iniziative per limitare gli approdi e intanto guarda con rinnovato interessa alla creazione di un’area marina protetta. LEGGI TUTTO

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    I vestiti di pelle vegana fatta con i funghi

    C’è necessità di materiali sempre più sostenibili. E la pelle derivata dal micelio dei funghi è una delle innovazioni più promettenti ed innovative, presentandosi come un’alternativa etica ed ecologica alla pelle di origine animale e alle pelli sintetiche derivate dal petrolio. Il micelio è la parte vegetativa del fungo, costituita da una rete intricata di filamenti sottili, chiamati ife. Questa struttura è essenzialmente il sistema radicale del fungo, che si estende nel terreno o in altri substrati organici per assorbire nutrienti. La sua composizione gli conferisce resistenza e flessibilità. Il micelio fa parte di quelli che oggi vengono chiamati “living materials”, una frontiera innovativa nel campo della scienza dei materiali, che mira a integrare organismi viventi o componenti biologici in materiali strutturali per conferire loro nuove funzionalità.

    I living materials sono composizioni che contengono, in tutto o in parte, cellule viventi, come batteri, funghi, alghe, cellule vegetali o componenti derivati da sistemi biologici che mantengono una qualche forma di attività o funzione biologica. L’idea centrale è sfruttare la capacità della natura di autorganizzarsi, rigenerarsi e interagire con l’ambiente circostante. Da qui l’idea di una startup coreana, MyThings, che abbiamo incontrato al Gitex Europe di Berlino, la fiera tech e delle startup che da Dubai, dove è nata la manifestazione, ha fatto il suo primo passo nel Vecchio Continente. Nell’area dedicata al green tech, abbiamo incontrato Lee Sang-ho, la Ceo di questa giovane azienda, che sta usando il micelio del fungo per realizzare pelle vegana da usare nel campo dell’abbigliamento e dell’automotive, al posto di materiali sintetici il cui processo produttivo è altamente inquinante. “La nostra pelle si ottiene dalle radici dei funghi, il micelio, un materiale che si distingue per la sua durabilità, con circa il 90% delle caratteristiche della pelle bovina. Per un periodo di dieci giorni coltiviamo le radici del fungo, dopodiché ne rimuoviamo la superficie. Successivamente, da questa base possiamo creare una lastra adatta per la pelle vegana. Il processo prevede diverse fasi di lavorazione per ottenere il prodotto finale, del tutto simile a un tappeto di pelle”, spiega Lee Sang-ho.

    In effetti il processo di produzione della pelle di micelio, ha inizio con la coltivazione in ambienti controllati, spesso su substrati organici come scarti agricoli o biomassa vegetale. La crescita è rapida, impiegando appena pochi giorni. Una volta che la rete di micelio ha raggiunto la densità e lo spessore desiderati, viene raccolta sotto forma di fogli che vengono trattati e compressi. Possono essere essiccati, pressati e a volte sottoposti a processi di concia (anche se con sostanze molto meno tossiche rispetto alla pelle animale) per migliorarne la durabilità, la consistenza e le proprietà superficiali. Infine la pelle può essere tagliata, colorata e rifinita. MyThings, inizialmente impegnata nell’agricoltura di precisione, è specializzata in tecnologia di piattaforma AioT, che combina l’intelligenza artificiale con l’Internet delle Cose per creare sistemi intelligenti e interconnessi. In questo contesto la startup coreana usa questa tecnologia per controllare con precisione le condizioni ambientali per la rapida crescita del micelio e la trasformazione in prodotti innovativi che potrebbero ridefinire il paradigma dell’abbigliamento.

    L’idea, infatti, è di poterla usare sia nella produzione di vestiti che per rivestire gli interni delle auto. “Abbiamo sviluppato specificamente alcune tipologie di funghi che si adattano perfettamente alla trasformazione in pelle. Il micelio è un materiale relativamente nuovo per la pelle vegana, e non siamo i primi ad utilizzarlo. Oggi esistono pelli vegane derivate dalla frutta, tuttavia, il nostro punto di forza è l’aver sviluppato tipologie di funghi specifiche e un processo proprietario per la produzione di pelle vegana, rendendolo un aspetto distintivo della nostra offerta” racconta la Ceo di MyThings. “Il nostro prodotto è estremamente ecologico, ed attualmente, operiamo su scala di laboratorio perché stiamo cercando investitori per espandere la nostra produzione su larga scala”. Inoltre la produzione tradizionale di pelle richiede sostanze chimiche tossiche usate nella concia, contribuendo in modo importante all’inquinamento ambientale. “Anche noi utilizziamo alcuni processi chimici per la trasformazione dal fungo alla pelle, ma siamo riusciti a ridurre le emissioni di carbonio di oltre il 60% rispetto alla produzione tradizionale di pelle animale”. LEGGI TUTTO