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    Green City Network, la sindaca Bugetti: “Così Prato è cambiata tra nuove idee e ricerca”

    Il museo del Tessuto, i tesori di Lippi, Metastasio e Botticelli, ma anche un polo manifatturiero di 30 mila addetti, impianti ottocenteschi da tutelare e perfino un centro di ricerca per studiare e analizzare materiale proveniente da Marte, campioni che arriveranno dall’Agenzia spaziale italiana. Siamo a Prato, punto di riferimento per stilisti di tutta Europa che qui vengono a cercare nuove idee, una città dalle tante anime. “Più o meno conosciute” la descrive la sindaca Ilaria Bugetti, la prima donna a ricoprire questa carica a Prato. “Sono duecento anni che qui ci occupiamo di sostenibilità. Basta pensare alla lana rigenerata che ha fatto la fortuna del territorio riutilizzando scarti e avanzi. Fino ad arrivare alla collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna, con cui abbiamo creato il marchio Cardato recycled”.

    Davvero tante anime racchiuse in una sola città, come si protegge e si valorizza un patrimonio ambientale come questo?
    “Lavorando tutti insieme, il ché significa trovare soluzioni che vadano bene sia al distretto economico, che ai cittadini. Qui siamo abituati a pensare ai progetti collaborando tra pubblico e privato. Come è accaduto quando abbiamo costituito una società per azioni tra Comune, Confindustria Toscana Nord e il Gruppo Consiag. Grazie a GIDA, un distretto industriale energivoro come quello tessile riesce a non impattare sulle risorse idriche, perché separa le acque reflue civili da quelle industriali e le ricicla rimettendole in produzione”.

    L’impatto delle emissioni di CO2 è notevole a causa del distretto del tessile. Come state gestendo la transizione visto che dovete raggiungere la neutralità climatica entro il 2030?
    “Abbattere l’inquinamento in un distretto vivace come il nostro non è semplice. Ci lavoriamo ogni giorno. Continuamente monitoriamo la nostra capacità di stoccaggio e assorbimento di CO2. Tutta la città è coinvolta su questo impegno, non soltanto le aziende, perché se si vogliono raggiungere gli obiettivi bisogna intervenire anche sulla mobilità e edilizia. Ci siamo presi l’impegno e lo rispetteremo. Abbiamo approvato il “Contratto di Città sul Clima” firmato da 51 partner che provengono dai più diversi settori economici, sociali, ambientali e culturali. Dobbiamo ridurre dell’83% le emissioni entro il 2030, ma si potrebbe arrivare anche al 96,4%. Stiamo lavorando per decarbonizzare i consumi termici ed elettrici. Prato entro quest’anno avrà una sua Comunità energetica promossa direttamente dal Comune, ma ce ne saranno altre in zona industriale. Eravamo pronti, ma aspettavamo i decreti attuativi. Siamo anche rimasti delusi per non essere stati inseriti ad aprile scorso nel Decreto bollette”.

    Ossia?
    “Il distretto pratese aveva chiesto in vista della conversione in legge di poter essere inserito nella misura decisa dal governo per contrastare il caro energia. Ma le nostre imprese industriali, allacciate solitamente alla media tensione (c’era un emendamento che lo prevedeva), sono state ritenute di non avere i requisiti. Peccato, sarebbe stata una boccata d’ossigeno per gli imprenditori di questo settore che sta comunque soffrendo un momento di crisi”.

    Parliamo di mobilità: la vicinanza a Firenze con il pendolarismo che ne deriva è sempre stato un problema per Prato. Ci sono progetti per alleggerire il peso del traffico?
    “Abbiamo completamente rivisto il Piano urbano della mobilità sostenibile ripensando ad una nuova viabilità tra la stazione ferroviaria e altre zone della città. Non solo. Con i fondi del Pnrr, circa 8 milioni stiamo acquistando autobus urbani elettrici. Piano piano rinnoveremo tutta la flotta del trasporto pubblico locale. Ci sono i progetti delle piste ciclabili che riguardano soprattutto l’area della stazione e la connessione con il polo industriale e con la Ciclovia del Sole. Tutto questo senza toccare la splendida area del Parco agricolo, che ci divide proprio dal centro urbano di Firenze”.

    Con Firenze avete in corso una polemica in Regione per l’allungamento della pista dell’aeroporto. Perché siete contrari?
    “Perché impatta proprio su questa zona verde che non vogliano sia toccata. Consideriamo sia anche un progetto inutile. Firenze non ha uno scalo di dimensioni come Bologna o Pisa, noi invece perderemo una zona ambientale ricca. La mia è una posizione politica che arriva da lontano, ma anche i cittadini di Prato non vogliono che quel luogo si trasformi in aeroporto”.

    Cosa sogna per la sua città?
    “Il suo riscatto. Siamo una grande realtà non sono nel tessile, qui si fa ricerca avanzata scopriamo nuovi materiali. Nascono startup. Ora studieremo perfino Marte”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Green City Network – Viterbo, la sindaca Frontini: “Ora troppe auto per una mobilità sostenibile”

    l 25 aprile l’ha detto chiaramente nella piazza principale di Viterbo mentre si svolgevano i festeggiamenti: “I partigiani di oggi sono i ragazzi che si battono per il clima”. Chiara Frontini, classe 1989 è la prima sindaca donna del capoluogo della Tuscia. Eletta nel 2022 con una lista civica, ha messo in cima al suo programma elettorale la riqualificazione urbana della città. “Intesa soprattutto come percorso verso una sostenibilità sociale e ambientale”, spiega. Frontini amministra una città di 70 mila persone residenti in un polo agricolo e turistico importante alle porte di Roma. Molte le questioni aperte che sta affrontando la prima cittadina sul fronte della tutela del territorio e per migliorare la qualità di vita dei concittadini. Tra le priorità, la mobilità, la riconversione energetica degli edifici pubblici, l’uso del suolo agricolo.

    Partiamo dalla mobilità e dai collegamenti con Roma, snodo cruciale per i viterbesi e per la salvaguardia ambientale: un’ora e mezza di treno significa che tanti pendolari sono costretti a prendere l’auto?
    “È così, perché non esistono collegamenti diretti. Infatti ci sono 78 auto ogni 100 abitanti. Troppe. Per questo abbiamo messo subito mano al Piano sulla mobilità sostenibile. Non potendo incidere sulla rete extraurbana di competenza della Regione abbiamo incentivato la rete dei bus locali che collegano le stazioni alle frazioni, in modo da agevolare il passaggio treno-bus. Fondamentali i 30 chilometri di ciclabili stazione-centro storico-università”.

    Bisogna convincere dunque gli abitanti di Viterbo a lasciare a casa l’auto. Ci riuscirà?
    “Ci sono stati incontri pubblici per spiegare sia il percorso delle piste ciclabili sia l’uso del bike sharing. Ma i cittadini stanno anche assistendo alla sostituzione dei mezzi pubblici, su cui abbiamo fatto un grosso investimento utilizzando i fondi del Comune per acquistare mezzi elettrici e ibridi. Sono convinta che tutto questo creerà una mentalità nuova. Certo, come amministrazione dobbiamo collaborare con la Regione per avere finalmente i collegamenti ferroviari diretti con la capitale. Ci sono molti pendolari che vanno a Roma per studiare o lavorare. Per noi è un tema cruciale”.

    Appena eletta è riuscita a finanziare impianti fotovoltaici sulle scuole. È stato complicato?
    “C’erano fondi che potevamo utilizzare. Oltre ai pannelli solari nelle due scuole abbiamo realizzato altri interventi sempre per ridurre il consumo di energia. Ci sono pannelli anche sugli impianti sportivi comunali e la piscina. Ma quello che davvero inciderà sulla transizione energetica a Viterbo è il Centro di ricerca dedicato a Piero Angela”.

    Di che si tratta?
    “La nostra idea è che dovrà diventare il punto di riferimento per tutte le aziende della Tuscia. Obiettivo: supportare gli imprenditori che devono affrontare le fasi della transizione energetica. Siamo riusciti a finanziare il progetto utilizzando alcuni investimenti stanziati addirittura dal Governo Gentiloni per le periferie, ma mai spesi. Di tutto quel pacchetto di progetti era rimasto ben poco, anche perché nel frattempo i prezzi sono lievitati. Così abbiamo deciso di convogliare 13 milioni sulla sostenibilità”.

    Sul fronte della gestione dei rifiuti, Viterbo ha sofferto, anche su questo punto, la vicinanza con Roma. Ora come stanno le cose?
    “Voglio subito dire che la nostra è una provincia virtuosa: noi chiudiamo l’intero ciclo dei rifiuti rimanendo nel nostro territorio. Abbiamo ancora problemi sulla raccolta differenziata, ma ci stiamo impegnando per rispettare quel 65% chiesto dall’Unione europea. Purtroppo, abbiamo dovuto spesso supportare altre province come Rieti e soprattutto Roma. Dopo la chiusra della discarica a Malagrotta, molti rifiuti dalla capitale sono arrivati a Viterbo”.

    E poi c’è l’agricoltura, altro settore importante di questo territorio. In che modo gli imprenditori agricoli stanno affrontando un percorso di sostenibilità?
    “Una leva fondamentale è quello della riduzione dei consumi energetici, su cui hanno tutto il nostro appoggio. Ma sia ben chiaro la nostra posizione è quella di evitare di installare pannelli solari direttamente sui campi. Gli impianti fotovoltaici devono stare sui tetti delle stalle, dei capannoni agricoli e delle cantine, ma non sui terreni che devono essere lasciati all’agricoltura. Per la tutela del suolo e del paesaggio. Ce ne sono già troppi di impianti a terra e pale eoliche. Ci siamo consultati anche con i colleghi dell’Anci e con la Regione. E poi stiamo cercando di fare il possibile per sensibilizzare i viterbesi a consumare i prodotti del territorio. La filiera alimentare può essere corta e i pannelli per terra rubano la terra. Meglio in alto”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green&Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    Quali sono le erbe aromatiche migliori da avere in giardino

    Scegliere le giuste erbe aromatiche per il proprio giardino è importante se si vuole ottenere un risultato estetico, pratico e benefico dal punto di vista sensoriale. Queste erbe, infatti, oltre ad arricchire le zone verdi attorno alla propria abitazione, sprigionano profumi avvolgenti in grado di trasformare un semplice giardino in un piccolo paradiso terrestre degno di questo nome. Non solo, perché molte di queste erbe aromatiche possono essere utilizzate anche in cucina, offrendo quel pizzico di originalità alle ricette. Quali sono, a questo punto, le piante aromatiche da potere piantare in giardino? Vediamo le più gettonate e le più facili da coltivare.

    Quali sono le principali tipologie di piante aromatiche?
    Esistono tantissime varietà di piante aromatiche, ma ognuna di esse ha caratteristiche differenti l’una dall’altra. Sceglierle può richiedere tempo, ma prima di tutto richiede informazione. Se dovessimo fare una classificazione per “categorie”, potremmo dire che le erbe aromatiche da giardino possono dividersi in: piante aromatiche perenni e piante aromatiche ornamentali, anche se nel mezzo possono incastrarsi molte variabili.

    Le migliori erbe aromatiche da coltivare in giardino
    Non si può non iniziare la lista delle erbe aromatiche da giardino senza citare il trittico per eccellenza: basilico, rosmarino e salvia. Queste sono tra le piante aromatiche più apprezzate e soprattutto più semplici da coltivare.

    Rosmarino
    Pianta perenne sempreverde, è simbolo della macchia mediterranea. Le sue foglie aghiformi emanano un aroma intenso, ideale per insaporire carni, patate e focacce. Quest’erba aromatica, evergreen da avere in giardino, predilige posizioni soleggiate e terreni ben drenati. Resiste bene alla siccità e al freddo, richiedendo poche cure una volta stabilizzata.

    Salvia
    Anche la salvia è un’altra erba aromatica perenne sempreverde dalle foglie vellutate e aromatiche. Utilizzata in numerose ricette, dalla pasta ai piatti di carne, ha anche proprietà medicinali, tra cui importanti effetti antinfiammatori e digestivi. Ama il sole e i terreni ben drenati, tollerando bene sia la siccità, sia le basse temperature.

    Basilico, timo e menta: erbe aromatiche dal profumo intenso
    Con le sue foglie dal profumo inebriante e il suo gusto riconoscibile, il basilico è indispensabile in cucina, specie quella italiana. Questa pianta aromatica ama il sole e i terreni ricchi e ben drenati, richiede irrigazioni regolari e non ama particolarmente i ristagni d’acqua. Essendo sensibile al freddo, si consiglia sempre di seminarlo a primavera inoltrata.

    Oltre a quelle appena descritte, sono anche altre le erbe aromatiche pronte a rendere giustizia a ogni giardino. Per ottenere un tocco leggermente esotico e trasportarsi direttamente dentro il caldo dell’estate, la menta e il timo sono la soluzione perfetta.

    La menta, notoriamente vigorosa, è una pianta perenne dalle foglie profumate e riconoscibili, utilizzata in cucina per tè, dessert, piatti salati e naturalmente il mojito. Essa predilige terreni umidi e fertili, con esposizione a mezz’ombra e tende a espandersi in tempi molto rapidi, motivo per il quale si consiglia di coltivarla in vaso o delimitare bene l’area di crescita nel giardino.

    Il timo, invece, è un’erba aromatica perenne a crescita bassa, con piccole foglie e fiori delicati. Ideale per insaporire carni, zuppe e verdure, ha un profumo che ricorda l’estate e la freschezza dell’aria. Predilige posizioni soleggiate e terreni leggeri e ben drenati. Grande resistente alla siccità e al freddo, richiede poche attenzioni, quindi è perfetta anche per chi è alle prime armi.

    Le altre aromatiche da avere obbligatoriamente in giardino
    Il giardino non è mai stato così profumato: assieme alle erbe aromatiche descritte finora, non possono non essere incluse anche lavanda, coriandolo, origano e prezzemolo. Il cerchio si chiude con altrettanti profumi e altrettanti sapori pronti a impreziosire ricette e disperdere aromi in tutta la casa. La lavanda, la regina delle piante aromatiche, con il suo profumo calmante e i suoi colori è perfetta per decorare bordure e giardini solitari. Richiede un suolo ben drenato e abbondante luce del sole. Si può utilizzare in cucina, ma i suoi fiori possono anche essere raccolti per creare i simbolici sacchetti profumati o oli essenziali speciali.

    Il coriandolo, invece, è una pianta annuale che ama gli ambienti (e le temperature) freschi. Nonostante sia conosciuto principalmente per i suoi semi utilizzati in cucina, le foglie fresche del coriandolo sono selezionate per molti piatti della cucina asiatica e latino-americana. Anche questa pianta aromatica, come la maggior parte, ama i terreni ben drenati e può anche beneficiare di ombra parziale nelle ore più calde del giorno. In questo modo la sua crescita sarà prolungata nel tempo.

    Origano e prezzemolo viaggiano insieme. L’origano è una pianta perenne molto apprezzata nella cucina mediterranea, soprattutto per pizze e sughi. Le sue foglie ovali emanano un aroma intenso e caratteristico. Ama il sole pieno e i terreni ben drenati, richiedendo irrigazioni moderate. È resistente al freddo e alla siccità. Anche il prezzemolo è molto amato in cucina: si utilizza soprattutto per insaporire e dare quel “tocco in più” ai piatti, che subito acquistano unicità e magia. Preferisce terreni fertili e umidi, con esposizioni a mezz’ombra, richiede irrigazioni regolari per mantenere il terreno sempre leggermente umido. Coltivato soprattutto in giardino, può anche crescere tranquillamente in vaso e tenuto lì.

    Coltivazione e cura delle erbe aromatiche in giardino
    Come si scelgono le piante aromatiche per il proprio giardino? Per farlo al meglio, bisogna considerare vari fattori, tra cui:
    Clima: alcune piante preferiscono climi caldi e soleggiati, mentre altre tollerano meglio l’ombra e le temperature più fresche.
    Tipo di terreno: è fondamentale conoscere le esigenze specifiche di ogni pianta riguardo al drenaggio, alla fertilità e al pH del suolo.
    Spazio disponibile: alcune erbe crescono in modo compatto, mentre altre tendono ad espandersi; considerare lo spazio è essenziale per evitare sovraffollamenti. LEGGI TUTTO

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    Green City Network, la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero: “Rigenerando, regaliamo bellezza”

    “La capitale verde del Piemonte” per i suoi parchi, le valli e il turismo naturalistico. Per Legambiente è la prima città della regione per sostenibilità ambientale e dodicesima per la qualità della vita. Un bel traguardo per Cuneo, che non c’è dubbio si distingue in fatto di tutela dell’ambiente e della biodiversità. La sindaca, Patrizia Manassero, un’esperienza da senatrice e dal 2022 a capo della giunta, è considerata dai concittadini un caposaldo di questo percorso. E forse non è un caso che l’intera provincia ha conquistato il primato nazionale per il numero dei Comuni virtuosi nel 2024. E ora si prepara a replicare il successo per il 2025. Un esempio di contagio delle buone pratiche.

    Sindaca, ma più di cosi cosa potete fare?
    “Il nostro programma green non si ferma. Ad esempio, abbiamo varato il “Piano strategico per lo sviluppo sostenibile 2030” dove prevediamo di realizzare nuove piste ciclabili, di allargare i marciapiedi soprattutto davanti alle scuole. L’obiettivo è dare priorità ai pedoni e incidere sulla mobilità, limitando il più possibile la circolazione delle auto private. Il Piano prevede anche un grande lavoro sui parchi e le aree verdi, mentre gli edifici pubblici saranno ristrutturati secondo i parametri ambientali”.
    È vero che avete perfino calcolato le emissioni risparmiate grazie ai cittadini che hanno lasciato l’auto a casa e preso la bici?
    ”Certo, grazie alle 900 persone che hanno aderito all’iniziativa con il loro un milione e 200 mila chilometri percorsi, hanno prodotto un risparmio di CO2 pari a 400 voli Roma-New York. Un esempio di cosa possono fare i gesti dei singoli accanto ai grandi interventi per migliorare la qualità della vita di tutti”.
    La vostra città ha dovuto affrontare il problema della riconversione delle tante caserme sparse sul territorio. Ci racconta come sta andando?
    ”Credo che riuscire a riqualificare un’area o un edificio per restituirli rinnovati ad un uso che favorisce più socialità, più bellezza, regala sicurezza ai cittadini, favorisce il commercio e le attività sociali. Cuneo è città di grandi caserme che stiamo via via rigenerando per aprire quegli spazi ad una nuova socialità. Come l’area Ex Foro Boario, un mercato bovino nel cuore storico che sorge accanto ad una grande caserma. Oggi è un luogo centrale per il tempo libero, giochi per bimbi, manifestazioni e tanto altro”.
    Lei sottolinea l’importanza della tecnologia per la rigenerazione urbana. Perché?
    ”Sono convinta che la tecnologia abbia davvero un ruolo strategico nell’accompagnare la rigenerazione urbana anche delle piccole città come Cuneo. Molto spesso pare nascosta, ma voglio richiamare come esempio l’installazione delle paline intelligenti, prevalentemente installate vicino a fermate dei bus, hanno una duplice funzione, la sicurezza, sono infatti dotate di telecamere e permettono la chiamata diretta alle forze dell’ordine e l’informazione, sia quella relativa sui passaggi degli autobus, sia quella delle iniziative in città o notizie ai cittadini”.

    Che cosa è il Bando periferie che avete promosso?
    “Uno strumento che abbiamo utilizzato quando hanno messo a disposizione dei capoluoghi risorse indirizzate alla rigenerazione urbana, intendendo come periferie tutte quelle aree anche urbane che soffrono desertificazione e marginalizzazione, le abbiamo ottenute anche noi. Con quelle risorse si è potuto così realizzare il grande parco Parri, un spazio verde cittadino realizzato in un’area conosciuta come una piazza, ma che in realtà era solo un “vuoto” urbano. Oggi il parco sta maturando e crescendo ed è molto vissuto da ragazzi e famiglie per il play ground e l’area gioco-bimbo nel verde”.
    Cosa altro può fare Cuneo per essere più sostenibile di così?
    ”Non dimentichiamo il ruolo del nostro Parco Fluviale dove da anni ci si occupa dei cambiamenti climatici. Capofila del progetto Alcotra nato per studiare e monitorare i cambiamenti climatici sulla città e sull’area fluviale che ci circonda, è utile per assumere, come amministrazione le migliori politiche. I principali risultati sono stati studi di approfondimento su specie animali e vegetali, materiale divulgativo, eventi e attività di comunicazione per i cittadini e di laboratorio per le scuole e i ragazzi. Inoltre sono stati eleborati due importanti documenti: l’Assessment climatico della Provincia di Cuneo e la redazione del Piano di Azione per l’energia sostenibile e il clima per il nostro comune. Vogliamo essere protagonisti della tutela del nostro Pianeta”.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green&Blue (Milano, 5-7 giugno) LEGGI TUTTO

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    G&B Festival, le nostre città soffocano di smog: è ora di cambiare aria

    Un quadro allarmante. Città italiane e inquinamento atmosferico: l’inversione del trend sembra lontana. Numeri impietosi “fotografano” le concentrazioni di polveri sottili e biossido di azoto: nessun Paese, in Europa, conta più decessi prematuri all’anno riconducibili all’inquinamento rispetto ai 50 mila dell’Italia. L’ultima denuncia arriva dall’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (Isde Italia), che ha ricavato e diffuso i dati dell’inquinamento in Italia dall’attività dell’Osservatorio sulla mobilità urbana sostenibile promosso da Clean Cities Campaign e Kyoto Club, che monitora la situazione della mobilità nei 14 comuni capoluogo di città metropolitana e nelle 9 città che partecipano alla “Missione: 100 città climaticamente neutre e intelligenti entro il 2030” della Commissione Europea. Pubblicando tutti i giorni notizie relative alla mobilità urbana nelle 18 città monitorate, ricavate dai media e dalle informazioni di amministrazioni locali, agenzie e aziende di mobilità: un “termometro” puntuale dell’inquinamento su e giù per Stivale.

    Unione Europea

    In Europa ridotto l’inquinamento atmosferico, ma i livelli restano alti

    di Fiammetta Cupellaro

    03 Marzo 2025

    L’impatto del traffico
    Il focus è sulle medie giornaliere relative alle polveri sottili ed al biossido di azoto, inquinanti per i quali le linee guida dell’Oms del 2021 e una nuova direttiva europea (la numero 2881 del 2024) individuano limiti più restrittivi da non superare. Dai dati del primo trimestre del 2025 emerge, in particolare, che per le polveri sottili le criticità sono sostanzialmente concentrate nella Pianura Padana ma che, per quanto riguarda il biossido di azoto, valori elevati sono stati rilevati, complici i problemi legati alla mobilità, anche in molte città del Sud. Nel dettaglio, a Padova, Brescia, Milano, Torino, Vicenza, Bergamo, Modena, Parma i livelli di polveri sottili (PM2.5) hanno già superato i limiti annuali previsti dalla nuova direttiva Ue, mentre il biossido di azoto – strettamente legato alle emissioni del trasporto stradale e di quello navale – si trova in una situazione analoga a Napoli, Palermo, Messina, Genova, Torino, Catania, Milano e Vicenza.

    Le città

    Green City Network, la sindaca di Cuneo Patrizia Manassero: “Rigenerando, regaliamo bellezza”

    di Fiammetta Cupellaro

    02 Giugno 2025

    Un rischio per la salute
    «Dati che confermano una realtà preoccupante, e cioè che in molte aree urbane italiane la qualità dell’aria resta lontana dagli standard raccomandati dall’Oms e dai nuovi limiti introdotti dalla direttiva europea. – sottolinea Roberto Romizi, presidente di Isde Italia – Limiti che entreranno in vigore a gennaio 2030, vero, ma i cittadini di oggi devono avere lo stesso diritto dei cittadini del 2030 a respirare un’aria che non li faccia ammalare». Già, perché le conseguenze dirette dell’inquinamento atmosferico, denuncia l’Isde – si traducono in un rischio diffuso per la salute di milioni di cittadini, in particolare quella di bambini, anziani e persone con patologie croniche. «Proprio così – annuisce Romizi – l’inquinamento atmosferico è un killer silenzioso. Per questo ribadiamo l’urgenza di un cambio di passo: occorre rafforzare le politiche di prevenzione primaria, ridurre il traffico veicolare nelle città, potenziare il trasporto pubblico elettrico, eliminare progressivamente i combustibili fossili, vietare la combustione domestica della legna nelle aree già critiche e promuovere città più verdi e più sane. Serve una risposta politica all’altezza della crisi ambientale in corso, con interventi strutturali, equi e tempestivi. La transizione ecologica deve partire dalla difesa della salute, a cominciare proprio dall’aria che respiriamo».

    Inquinamento

    “Mal’aria di città”: migliora, anche se di poco, l’inquinamento. Cosa fare entro il 2030

    di Giacomo Talignani

    04 Febbraio 2025

    Il report di Legambiente “Mal’Aria 2025”
    Non dissimili i risultati del report “Mal’Aria 2025” di Legambiente, che ha analizzato nei capoluoghi di provincia le concentrazioni di polveri sottili e biossido di azoto: 25 città, su 98 di cui si disponeva del dato, hanno superato i limiti di legge per il PM10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo). Rispetto ai nuovi target europei, sarebbe fuorilegge, oggi, il 71% delle città per il PM10 e il 45% per l’NO2. “Con soli 5 anni davanti a noi per adeguarci ai nuovi limiti europei al 2030, dobbiamo accelerare il passo. – dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Servono azioni strutturali non più rimandabili: dalla mobilità, con un trasporto pubblico locale efficiente e che punti drasticamente sull’elettrico e più spazio per pedoni e ciclisti, alla riqualificazione energetica degli edifici, fino alla riduzione delle emissioni del settore agricolo e zootecnico, molto critico nel bacino padano. Le misure da adottare sono chiare e le tecnologie pronte: manca il coraggio di fare scelte incisive per la salute dei cittadini e la vivibilità delle nostre città”. LEGGI TUTTO

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    Il gender gap dell’inquinamento

    Un’automobile in corsa, una bistecca al sangue, un volo prenotato senza pensarci due volte. La crisi climatica è anche una questione di genere, visto che gli uomini inquinano più delle donne. Lo dimostrano vari studi internazionali che collegano stili di vita, consumi, impatto ambientale, tracciando un gender gap che passa anche dalla tavola e dai trasporti.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Secondo una ricerca recentemente condotta dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment di Londra su circa 15mila persone, le abitudini maschili generano in media 5,3 tonnellate di emissioni e quelle femminili 3,9, cioè il 26% in meno. Un divario che dipenderebbe soprattutto da comportamenti socialmente e culturalmente consolidati, che incidono sull’equilibrio ambientale complessivo. Anche dopo aver considerato altri fattori che possono contribuire a generare tale scostamento, la differenza si riduce ma non scompare: resta un 18% di discrepanza, di cui il 6,5-9,5% attribuibile in modo specifico all’assunzione di proteine animali e all’impiego quotidiano dell’auto.

    “È sorprendente che il gap tra uomini e donne nelle emissioni sia paragonabile a quello osservato tra le persone agiate e quelle svantaggiate”, osserva Marion Leroutier, economista al Center for Research in Economics and Statistics dell’École nationale de la statistique et de l’administration économique di Parigi e coautrice del lavoro. Chi dispone di maggiori risorse economiche tende, infatti, a mangiare più spesso fuori casa, ad avere un’alimentazione più ricca di carne e pesce, a spostarsi più frequentemente con mezzi privati. Il confronto suggerisce che, al pari delle disuguaglianze di reddito, anche le differenze di genere possono influire sull’impatto individuale. “Politiche ambientali elaborate senza tener conto di queste diversità rischiano di ignorare le reali fonti di inquinamento e di risultare, quindi, meno efficaci”, osserva Ondine Berland, economista della London School of Economics and Political Science e coautrice del documento.

    I protagonisti

    G&B Festival 2025, Milano 5-7 giugno: ospiti e speaker

    23 Maggio 2025

    A risultati simili era giunto anche uno studio pubblicato nel 2021 sul Journal for Industrial Ecology e condotto da ricercatori svedesi che hanno analizzato l’impatto sul Pianeta dei consumi di uomini e donne. Ebbene, i primi emettono il 16% in più di gas serra rispetto alle seconde. Ciò è principalmente dovuto al fatto che, a parità di cifra sborsata, la popolazione femminile investe di più in prodotti e servizi a basse emissioni, come assistenza sanitaria, arredamento della casa, abbigliamento, mentre quella maschile spende maggiormente per beni ad alte emissioni, tra cui carburante, alcol, tabacco.

    Una prospettiva interessante è anche quella offerta da uno studio pubblicato nel 2024 su Scientific Reports. In questo caso, gli esperti hanno analizzato i dati di oltre 20mila persone in 23 Paesi distribuiti in quattro continenti, rilevando che gli uomini tendono a consumare carne più frequentemente rispetto alle donne, con il maggiore impatto che ne consegue in termini di cambiamento climatico, rischio di pandemia, carenza di acqua pulita, ingiustizia verso gli animali da allevamento. Significativo il fatto che, rispetto a questo trend, facciano eccezione Cina, Indonesia, India. “Nelle culture che offrono maggiore libertà alle donne, la popolazione femminile tende a consumare una quantità ridotta di proteine animali», commenta Christopher J. Hopwood, docente del dipartimento di Psicologia dell’Università di Zurigo, in Svizzera, e coautore della ricerca. “E questo perché nelle nazioni in cui lo sviluppo e l’uguaglianza di genere sono più elevati, potrebbero esserci più opzioni per soddisfare i bisogni nutrizionali senza mettere nel piatto la carne e minori aspettative che le donne si adeguino alle stesse preferenze alimentari degli uomini”.Va anche rilevato che, in generale, l’universo femminile mostra più attenzione alla sostenibilità rispetto a quello maschile. Non a caso, una ricerca?pubblicata sul Journal of corporate finance nel 2022?ha messo in luce che le imprese che hanno più donne ai vertici riducono l’inquinamento del 5% in più circa rispetto a quelle in cui prevalgono manager uomini. Inoltre, le banche con più donne nei consigli di amministrazione tendono a indirizzare una maggiore quantità di fondi verso investimenti sostenibili. E ancora, i Paesi con una rappresentanza femminile più consistente nei Parlamenti hanno più probabilità di ratificare trattati internazionali riguardanti questioni ambientali.

    Sono molte, insomma, le analisi che sottolineano che il genere può effettivamente avere un impatto significativo sugli equilibri ecologici. Nonostante ciò, non mancano figure pubbliche che tendono a minimizzare queste evidenze. È il caso di James D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, o di alcuni influencer, come Andrew Tate, che arrivano perfino ad accusare gli uomini progressisti di essere deboli e poco mascolini.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)
    La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO

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    Migranti climatici, quando partire è obbligo e non scelta

    Ci sono espressioni percepite come nuove, ma che raccontano storie antiche come il mondo. “Migranti climatici” è una di queste. È una definizione che si sta facendo spazio nel dibattito pubblico, ma che spesso arriva a noi in silenzio, senza immagini o titoli in prima pagina. Eppure, riguarda milioni di persone, e forse, tra non molto, anche intere comunità europee. Ma chi sono davvero i migranti climatici? Non è facile dare una risposta univoca. Non c’è – almeno per ora – una definizione ufficiale in ambito giuridico internazionale. I trattati che regolano lo status di rifugiato, come la Convenzione di Ginevra del 1951, parlano di chi fugge da persecuzioni per motivi politici, religiosi, etnici. Ma non dicono nulla – ancora – su chi fugge perché la terra su cui viveva è diventata arida, o la propria casa è stata distrutta da un ciclone. Così, in assenza di una cornice legale, usiamo un termine ampio: “migranti climatici”.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Secondo i dati dell’UNHCR, nel 2023 oltre 33 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro abitazioni a causa di disastri legati al clima. Frane, alluvioni, siccità prolungate, incendi. Tutti eventi naturali, certo, ma sempre meno “naturali” in un mondo in cui l’impronta umana sul clima è evidente e crescente. E questi sono solo gli sfollati interni, cioè coloro che si sono spostati all’interno del proprio Paese. Ma cosa succede quando questi fenomeni diventano ricorrenti? Quando si perde la casa, il lavoro, il futuro? Quando il clima diventa invivibile, spesso l’unica scelta possibile è partire. Ma dietro a ogni numero – per quanto utile a delineare la portata del fenomeno – ci sono storie, volti, famiglie. Motivo per cui, è importante soffermarsi anche sul linguaggio che usiamo. Chiamarli “migranti” può suggerire una decisione ponderata, una scelta volontaria. Ma la realtà è spesso diversa. Si tratta di spostamenti forzati, progressivi, che avvengono quando vivere, dove si è nati, non è più sostenibile. In molti casi, queste persone si avvicinano di più alla condizione di “rifugiati climatici”, sebbene questa categoria, per ora, non sia riconosciuta dal diritto internazionale. Una lacuna normativa che lascia milioni di individui in una zona grigia, senza lo status né la protezione che servirebbero a garantirne i diritti fondamentali.

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    Non solo scienza: musica e teatro per difendere l’ambiente

    29 Maggio 2025

    Eppure, il fenomeno esiste e cresce. La Banca Mondiale stima che, entro il 2050, potrebbero esserci fino a 216 milioni di sfollati climatici interni nei Paesi più vulnerabili. Ma la questione non riguarda solo aree lontane: il Mediterraneo, e quindi l’Italia, saranno sempre più coinvolti. Le crisi idriche, l’aumento del livello del mare, l’inaridimento dei suoli sono già oggi realtà nel nostro sud. Allora, cosa possiamo (e dobbiamo) fare? Anzitutto, bisogna partire da una nuova consapevolezza: il cambiamento climatico non è solo una questione ambientale, ma umana. Richiede politiche migratorie aggiornate, nuovi strumenti giuridici, ma anche uno sforzo culturale. Riconoscere che la persona che bussa oggi ai nostri confini potrebbe essere – domani – qualcuno che ci somiglia più di quanto pensiamo. Perché quando parliamo di migranti climatici, in fondo, parliamo di un’umanità che si muove. Non perché vuole, ma perché deve. E sta a noi, oggi, decidere se ignorare questa realtà o trasformarla in un’occasione di giustizia e coesione. Serve uno sguardo più lungo e più giusto, capace di leggere le migrazioni non solo come emergenze ma come processi strutturali legati a trasformazioni climatiche, economiche e sociali.

    Gli spostamenti di interi popoli al momento in corso (come nell’arcipelago delle Tuvalu o in Sudan) non sono mai improvvisi, ma sono migrazioni lente, spesso invisibili, che si sommano anno dopo anno e si trasformano in flussi più ampi. Il punto è che, se non impariamo a leggere il clima come moltiplicatore di minacce, capace di esasperare tensioni latenti e amplificare crisi già in atto, continueremo a interpretare le sue conseguenze come anomalie isolate. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per riconoscere la correlazione tra degrado ambientale e instabilità sociale, tra siccità e conflitti, tra perdita di biodiversità e movimenti umani. Quello che manca, spesso, è il coraggio politico di dirlo con chiarezza.E forse anche il linguaggio. Perché dare un nome a qualcosa significa riconoscerla. E riconoscere i migranti climatici non vuol dire solo registrare un fenomeno: vuol dire assumerci la responsabilità di un cambiamento di rotta.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)

    La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO

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    Pfas nel vino 100 volte superiori rispetto all’acqua potabile

    Tra i filari che disegnano le colline toscane, sui terrazzamenti che accompagnano le anse della Mosella, nelle vigne ordinate distese nelle pianure del Tokaj, il vino racconta da secoli una storia fatta di terra, cultura, memoria. A gettare un’ombra sul comparto enologico è ora il report Message from the bottle del Pesticide action network (Pan) Europe, che ha analizzato 49 vini, di cui 10 antichi, cioè commercializzati prima del 1988, e 39 recenti, prodotti tra il 2021 e il 2024, dei quali cinque biologici. Le bottiglie esaminate provengono da dieci Paesi europei, ovvero Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Spagna e anche Italia.

    I vini austriaci sono i più contaminati

    Se nei vini più vecchi non sono stati rintracciati contaminanti, in quelli immessi sul mercato negli ultimi anni è stato rilevato acido trifluoroacetico (Tfa), un composto derivante dalla degradazione di pesticidi contenenti Pfas (Perfluorinated alkylated substances, sostanze perfluoroalchiliche) e di gas fluorurati, utilizzati nei refrigeranti industriali. La concentrazione media delle sostanze si è attestata a 122 microgrammi per litro, con un picco di 320 microgrammi, un valore circa cento volte superiore rispetto ai livelli medi, già elevati, presenti nelle acque potabili.

    I vini più contaminati sono risultati quelli austriaci, con una media di 156 microgrammi di Tfa per litro, seguiti nell’ordine da quelli francesi e belgi. Non sfuggono alle impurità alcuni vini della nostra penisola, tra cui il Chianti con 120 microgrammi di Tfa per litro, il Prosecco con 69 microgrammi e il Kalterersee, con 43 microgrammi. E non sono esenti da contaminazione neppure le bottiglie biologiche, visto che tutte contengono il composto.

    Sicurezza alimentare

    Un filtro per l’acqua potabile che rimuove anche i PFAS

    04 Maggio 2025

    La ricerca precedente

    Il nuovo report ha, di fatto, confermato e aggiornato uno studio condotto nel 2017 dai ricercatori del Laboratorio del Cvua (Chemisches und Veterinäruntersuchungsamt, Ufficio di ricerca chimica e veterinaria) di Stoccarda, in Germania, per conto della Commissione europea. All’epoca furono analizzati 27 vini, nei quali venne rilevata una concentrazione mediana di 50 microgrammi di Tfa per litro, con un picco di 120 microgrammi.

    Danni anche per la salute

    Sin dall’introduzione del Tfa in ambito industriale, le imprese hanno strenuamente sostenuto che fosse innocuo sia per l’ambiente sia per la salute. Un mito sopravvissuto per decenni, ma ora infranto da alcune analisi che evidenziano gli effetti negativi sul pH del suolo e sulle piante, soprattutto considerando la sua persistenza e l’accumulo a lungo termine. Inoltre, una ricerca pubblicata nel 2021 ha dimostrato che questo contaminante ha causato gravi malformazioni nei feti di coniglio, che hanno colpito sia lo scheletro sia gli occhi. Da allora, il sospetto è che possa rappresentare un rischio anche per la riproduzione umana.

    Pfas: che cosa sono e perché sono pericolosi per la salute

    di Valeria Pini

    21 Maggio 2025

    Nel 94% dei vini sono presenti pesticidi

    Nel documento sul Tfa compare anche un approfondimento sui pesticidi in generale. Ebbene, nel 94% dei vini prodotti tradizionalmente sono stati trovati fino a otto antiparassitari, mentre l’insieme delle analisi ha identificato 18 principi attivi distinti. Va meglio per i vini biologici: quattro su cinque erano, infatti, privi di agrofarmaci.

    Helmut Burtscher-Schaden, chimico ambientale dell’organizzazione Global 2000 e ideatore dello studio, definisce i risultati “allarmanti”, mentre Salome Roynel, responsabile delle politiche di Pan Europe, aggiunge: “I dati sono preoccupanti, perciò le sostanze che rilasciano Tfa devono essere ritirate dal mercato senza indugio”.

    Rincara la dose Cristina Guarda, eurodeputata di Europa Verde, che commenta: “La grande industria chimica sta avvelenando anche il vino, oltre al cibo che arriva sulle nostre tavole. E dato che il nostro Paese è il primo produttore di vino a livello globale, dovremmo considerarla un’emergenza nazionale. Chiediamo, inoltre all’Unione europea azioni urgenti per proteggere gli agricoltori, la nostra salute e quella dei consumatori di tutto il mondo”. LEGGI TUTTO