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    Fotovoltaico, al via i nuovi incentivi per l’autoconsumo e i sistemi di accumulo

    Al via dal 3 giugno le domande per i nuovi incentivi al fotovoltaico. La procedura, prevista dal decreto FERX in versione transitoria, riguarda sia gli impianti dei privati di piccola taglia, sia quelli di più grandi dimensioni. I privati possono presentare la domanda per ottenere una tariffa incentivante sull’energia prodotta entro il prossimo 24 giugno. Il supporto favorisce l’autoconsumo e l’abbinamento degli impianti a fonti rinnovabili con i sistemi di accumulo.

    Il rapporto

    Italia rimandata in materia di transizione: bene le rinnovabili male la decarbonizzazione

    di Luca Fraioli

    22 Aprile 2025

    Contributi e decarbonizzazione
    Il decreto FERX prevede un meccanismo transitorio di supporto per impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività di mercato ha la finalità di sostenere la produzione di energia elettrica di impianti a fonti rinnovabili con costi di generazione vicini alla competitività di mercato. Definito per questo di un meccanismo di supporto che ne promuova l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità in misura adeguata al perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, coerentemente con gli obiettivi di sicurezza e adeguatezza del sistema elettrico. Il decreto cessa di applicarsi il 31 dicembre 2025.

    Fisco Verde

    Reddito energetico 2025: come funziona e limiti di accesso

    Antonella Donati

    06 Maggio 2025

    Accesso diretto per impianti inferiori a 1 MWPer gli impianti fotovoltaici con potenza nominale inferiore a 1 MW, vale a dire quelli che rientrano nella categoria “di piccola taglia”, l’accesso è diretto, senza necessità di partecipare a bandi competitivi. L’unico requisito richiesto è quello di aver avviato i lavori successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, ossia non prima del 28 febbraio 2025. Gli impianti acquisiscono il diritto di accedere al meccanismo a fronte della presentazione della comunicazione di inizio lavori. Tutti gli interventi devono essere realizzati utilizzando componenti nuovi. Rientrano nell’ambito di applicazione del decreto anche gli interventi di rifacimento integrale e parziale e di potenziamenti di impianti esistenti, fermo restando che, per questi ultimi, l’accesso al meccanismo di supporto è consentito limitatamente alla nuova sezione di impianto che corrisponde al potenziamento.

    La tariffa incentivante
    Per gli impianti fino a 1 MW l’incentivo viene riconosciuto attraverso una tariffa fissa omnicomprensiva sulla produzione netta immessa in rete. La tariffa, calcolata secondo i criteri ARERA, oscilla tra 85 e 95 €/MWh, a seconda della taglia e della tecnologia. L’incentivo viene erogato per 20 anni, a partire dalla data di entrata in esercizio dell’impianto. Il valore dei prezzi di aggiudicazione può essere aggiornato annualmente tenendo conto delle analisi svolte dal GSE. Nel documento Regole operative per la comunicazione di avvio lavori, reperibile sul sito del GSE, sono disciplinate le modalità di accesso diretto al meccanismo di supporto e i requisiti e le condizioni per l’erogazione dei prezzi di aggiudicazione.Come presentare domandaLe domande si presentano esclusivamente attraverso il portale FER-X del GSE, accessibile con SPID, CIE o CNS. È necessario allegare la scheda tecnica dell’impianto; la dichiarazione di possesso del titolo abilitativo; l’eventuale documentazione sull’area idonea e sul punto di connessione.

    Energia

    Comuni Rinnovabili 2025, i premi alle migliori CER d’Italia

    di Luca Fraioli

    27 Maggio 2025

    Il GSE ha fissato un termine massimo di 45 giorni per l’istruttoria, al termine della quale – in caso di esito positivo – il soggetto richiedente riceverà il contratto da firmare digitalmente. Il criterio applicato è quello cronologico. Ciò significa che le domande saranno ammesse in ordine di arrivo fino a esaurimento delle risorse, con priorità per gli impianti più rapidi nell’attivazione. La tariffa sarà riconosciuta a partire dalla data effettiva di messa in esercizio, verificata attraverso i dati di Terna. LEGGI TUTTO

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    Lettera degli scienziati al governo: “Tagliare il 90% dei gas serra al 2040”

    Alla cortese attenzione
    della Presidente del Consiglio dei ministri, On. Giorgia Meloni,
    e del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, On. Gilberto Pichetto Fratin,

    Noi, studiosi impegnati nella ricerca scientifica sui cambiamenti climatici, sulle politiche di mitigazione e adattamento e sui sistemi complessi come il clima, desideriamo esprimere la nostra preoccupazione per il futuro del Paese e per le persone e specie viventi che abitano il pianeta rivolgendo un appello ai rappresentanti politici.

    I dati più recenti confermano la pericolosa realtà del surriscaldamento globale: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e le temperature negli ultimi decenni sono cresciute con una rapidità che non ha eguali almeno negli ultimi 2000 anni. Tale riscaldamento sta compromettendo gli equilibri climatici, ecologici ed economici in molte aree del pianeta. L’Italia è tra i paesi minacciati e sta già sperimentando numerosi impatti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici, con proiezioni che indicano un aggravamento delle condizioni nei prossimi decenni: aumento delle ondate di calore, con impatti sulla salute pubblica, in particolare per le persone vulnerabili come anziani e bambini; riduzione delle precipitazioni nevose e ritiro dei ghiacciai; stress idrico crescente; incendi sempre più vasti e con comportamento estremo; innalzamento del livello del mare ed erosione costiera.

    La preoccupante realtà del surriscaldamento globale non può più essere negata. Per questo è necessario che tutti facciano la loro parte per ridurre le emissioni climalteranti, in particolare quei Paesi come l’Italia e l’Europa che hanno una chiarissima responsabilità storica.

    In questo contesto, accogliamo con favore la proposta dell’ESABCC (European Scientific Advisory Board on Climate Change) che ha indicato come per l’Unione Europea l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 90-95% nel 2040 (rispetto ai livelli del 1990) sia una tappa imprescindibile per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, obiettivo già incardinato nella Legge europea sul clima e comunicato nell’ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici. Tale riduzione rappresenta un’opportunità per l’Europa, poiché comporta numerosi vantaggi: maggiore sicurezza energetica e riduzione della dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili; miglioramento della salute pubblica e riduzione dei costi sanitari; stimolo all’innovazione tecnologica e creazione di posti di lavoro verdi; minimizzazione dei rischi ambientali e sociali.

    Il raggiungimento di questo obiettivo intermedio al 2040 sarebbe infine una scelta strategica per il presente e il futuro della nostra economia. La chiarezza e la coerenza degli obiettivi climatici sono infatti fondamentali per orientare gli investimenti dell’industria e della finanza verso soluzioni sostenibili e innovative. Solo con una rotta ben definita e supportata da evidenze scientifiche, oltre che da solide motivazioni politiche strategiche, possiamo evitare di rallentare la transizione energetica e quindi mettere a rischio la competitività del nostro sistema produttivo, e nel contempo fare la nostra parte nella lotta al surriscaldamento globale.

    Per questo, chiediamo al Governo di sostenere con convinzione l’obiettivo europeo del -90% al 2040. Si tratta di una scelta che richiede coraggio politico, ma che sarà ricordata come un atto di responsabilità verso le future generazioni.

    Con rispetto e fiducia,

    Primi/e firmatari/ie
    Stefano Caserini, Professore associato, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici, Università di Parma
    Antonello Pasini, Primo ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), docente di Fisica del clima all’Università Roma Tre
    Giorgio Parisi, Professore emerito di Fisica Teorica presso la Sapienza Università di Roma, Premio Nobel per la Fisica 2021
    Nicola Armaroli, Direttore di Ricerca presso l’Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività (ISOF) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) a Bologna
    Valentina Bacciu, Ricercatrice presso l’Istituto per la BioEconomia (IBE) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Sassari
    Vincenzo Balzani, Professore emerito di Chimica, Università di Bologna
    Carlo Barbante, Professore di Paleoclimatologia presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, Presidente del Centro di Studio e di Ricerca Internazionale sui Cambiamenti Climatici, Venezia
    Roberto Buizza, Professore Ordinario di Fisica, Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna, Pisa
    Carlo Cacciamani, Direttore Agenzia Nazionale per la Meteorologia e Climatologia-ItaliaMeteo
    Carlo Carraro, Professore di Economia dei Cambiamenti Climatici, Universita’ Ca’ Foscari Venezia
    Susanna Corti, Dirigente di Ricerca presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
    Claudio Cassardo, Professore associato di Fisica dell’atmosfera, meteorologia e clima, Dip. di Fisica, Università di Torino
    Maria Cristina Facchini, Direttrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
    Paola Faggian, Ricercatrice esperta in meteorologia e climatologia presso Ricerca sul Sistema Energetico (RSE) S.p.A.
    Davide Faranda, Direttore di ricerca al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS), Parigi-Saclay
    Michela Gallo, Professore associato di Ingegneria Sanitaria ed ambientale, Docente del corso di Mitigation and Adaptation to climate change, Università di Genova
    Mario Grosso, Professore associato di Ingegneria sanitaria-ambientale, Docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici, Politecnico di Milano
    Silvio Gualdi, Principal Scientist Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) – Direttore della Divisione di Modellistica del Sistema Terra e Data Assimilation
    Piero Lionello, Professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
    Luigi Moccia, Primo ricercatore presso l’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni (ICAR) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
    Paola Mercogliano, Presidente della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC), Principal Scientist presso la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
    Mario Marcello Miglietta, Dirigente di Ricerca, CNR – Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (CNR-ISAC)
    Elisa Palazzi, Professoressa associata di fisica del clima, Dip. di Fisica, Università di Torino
    Claudia Pasquero, Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra (DISAT) dell’Università di Milano-Bicocca
    Gianluca Ruggieri, Ricercatore e Docente di Fisica Tecnica Ambientale, Università dell’Insubria
    Silvia Torresan, Direttrice della Divisione “Risk Assessment and Adaptation Strategies” (RAAS) presso la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC)
    Giorgio Vacchiano, Professore associato in gestione e pianificazione forestale all’Università di Milano, presidente di Climate Media Center Italia
    Dino Zardi, Professore Ordinario di Fisica dell’Atmosfera presso l’Università di Trento LEGGI TUTTO

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    Clima e ambiente, quanto ne sai davvero?

    Quanto sta cambiando davvero il nostro pianeta? L’uso dei combustibili fossili aumenta o diminuisce? Qual è il ruolo di oceani e foreste nell’assorbimento dell’anidride carbonica? Tutte domande cui risponderemo dal palco del Festival di Green&Blue, in programma dal 5 al 7 giugno a Milano, con l’aiuto di scienziati, associazioni, attivisti, imprenditori, amministratori. Ma nell’attesa abbiamo […] LEGGI TUTTO

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    Crisi climatica, per le nostre città ora la vera sfida è l’adattamento

    Cominciamo da quattro numeri: 3, 55, 75, 80. Queste cifre hanno plasmato per anni il modo in cui parliamo delle città. Le città occupano solo il 3% della superficie del pianeta. Ospitano oltre il 55% della popolazione globale. Consumano il 75% di tutta l’energia e producono l’80% delle emissioni di anidride carbonica.È il modello standard. Spesso viene usato per giustificare l’importanza delle città – perché renderle più efficienti potrebbe avere un impatto globale sproporzionato. E per molto tempo, questa è stata la logica guida: ottimizzare la città, e il Pianeta seguirà.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Ma c’è un altro insieme di numeri di cui dobbiamo iniziare a parlare:

    1.5 – i gradi Celsius che con ogni probabilità supereremo nei prossimi decenni.
    2035 – l’anno in cui, secondo alcune proiezioni, la barriera del MOSE a Venezia potrebbe non reggere più.
    3,6 millimetri all’anno – l’attuale ritmo di innalzamento del livello medio globale del mare.
    150.000 – le morti stimate ogni anno legate al clima entro la fine di questo decennio.

    Questi non sono numeri che richiedono ottimizzazione. Chiamano l’adattamento. Per anni, come architetti, urbanisti e progettisti, ci siamo concentrati sulla mitigazione. Abbiamo parlato di ridurre le emissioni, rimpicciolire l’impronta ecologica, abbassare le soglie. Abbiamo progettato edifici con un migliore isolamento, sistemi più efficienti, materiali più intelligenti. Al MIT, abbiamo sviluppato tecnologie per riscaldare o raffreddare direttamente le persone, evitando di sprecare energia per stanze vuote. A Singapore, abbiamo scoperto che la domanda di mobilità privata si poteva soddisfare con una frazione del parco auto attuale – se le persone erano disposte a condividere. Ma anche se implementassimo ognuna di queste soluzioni, la realtà è questa: il clima è già cambiato. Il danno non è più teorico. Il mare si alza. Il caldo aumenta. E le infrastrutture che abbiamo costruito – fisiche e concettuali – non sono pronte. L’adattamento diventa, così, la vera frontiera del progetto.

    Cosa significa progettare per l’adattamento? Significa immaginare edifici e città capaci di convivere con l’acqua, invece di respingerla. Significa abbracciare la flessibilità al posto della permanenza, la ridondanza invece della precisione. Significa guardare ai sistemi ecologici – barriere coralline, zone umide, colonie microbiche – non solo come metafore di resilienza, ma come veri modelli da cui apprendere. Significa anche cambiare i parametri con cui misuriamo il successo. Se 2, 50, 75 e 80 hanno definito il capitolo precedente dell’urbanistica, quali numeri dovrebbero guidare il prossimo? Quanti edifici riescono ad assorbire calore senza ricorrere a sistemi meccanici? Quante infrastrutture sono progettate per cedere senza collassare? Quanti ambienti urbani riescono a sostenere più di una specie?

    Alla Biennale Architettura 2025, abbiamo usato spesso un termine latino: intelligens – non semplicemente intelligenza come qualcosa che si possiede, ma inter-legere: la capacità di leggere tra le righe. Tra il naturale e l’artificiale. Tra le discipline. Tra umani e non umani. Questo spirito del “leggere tra” è essenziale per l’adattamento. Perché adattarsi non è un esercizio solitario. È un atto collettivo. Ci chiede di lavorare oltre i compartimenti stagni, oltre i confini, oltre le specie. Di attingere all’intelligenza naturale, ai sistemi artificiali e alla creatività umana – non in isolamento, ma in dialogo.

    Sì, i numeri contano ancora. Ma i numeri da soli non bastano a farci orientare in ciò che ci aspetta. Per questo, dobbiamo cambiare il modo in cui progettiamo, collaboriamo e immaginiamo. Una volta progettavamo le città per resistere all’ambiente. Ora, la vera sfida è imparare a viverci insieme.

    La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO

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    Carne coltivata, il grande rebus: pro e contro

    Perché sì: “Questione di etica e sostenibilità”
    “Quella che chiamiamo eufemisticamente carne sono in verità pezzi di cadaveri, di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero?”, chiedeva provocatoriamente lo scrittore Tiziano Terzani. Il tema dell’etica e della compassione è uno dei motivi per cui i ricercatori hanno avviato la sperimentazione di carne coltivata, ottenuta da cellule staminali sviluppate in laboratorio, quindi senza la necessità di allevare e macellare polli, bovini, suini. Poi c’è la sostenibilità.“I cambiamenti climatici in atto e l’elevato tasso di inquinamento impongono di trovare alternative all’industria della carne tradizionale, una filiera basata sugli allevamenti intensivi, che hanno un rilevante impatto ambientale”, sostiene Luciano Conti, professore del dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’Università di Trento. Un’alternativa, la carne “sintetica”, che permetterebbe a tutti di beneficiare delle proteine animali diverse rispetto a quelle vegetali, contenute, per esempio, in legumi, avena o frutta secca. Alla luce di tali benefici, gli esperti stanno lavorando per risolvere le sfide relative a questo alimento, ovvero l’alto costo e la complessità produttiva. “Per ovviare a entrambe le criticità sono ora in commercio, a Singapore e negli Stati Uniti, solo prodotti ibridi, costituiti cioè, oltre che da cellule animali, in particolare di pollo, anche da fibre”, spiega il biologo.Nel frattempo, in altre aree del mondo, come Australia, Hong Kong, Regno Unito, Svizzera, Israele, stanno valutando l’ingresso sul mercato di questi preparati. “In Europa sono state avanzate due richieste di approvazione: la prima da parte dell’impresa francese Gourmey, che produce foie gras, una sorta di patè a base di materiale cellulare d’oca; la seconda da parte dell’azienda olandese Mosa Meat, che crea grasso di manzo da colture bovine”, prosegue l’esperto. Solo in caso di esito positivo i prodotti potranno essere commercializzati, ma ciò non implica un’immediata distribuzione nei supermercati. La palla dovrà, infatti, passare al Parlamento europeo, che analizzerà gli aspetti commerciali.

    “«Quando un nuovo prodotto ottiene l’approvazione, occorre svolgere alcune analisi per valutare l’impatto sul mercato”, continua Conti. “Nel caso della carne coltivata, poiché il prodotto più prossimo è la carne tradizionale, bisogna effettuare un confronto con l’industria degli allevatori, che costituiscono una lobby potente. Si tratta di valutare in quale misura il nuovo processo industriale potrebbe creare posti di lavoro e indotto economico, oltre a essere più etico e sostenibile”. In ogni caso, nel momento in cui la cultivated meat ottenesse il via libera in Europa, l’Italia non potrà opporsi. “Il nostro Paese ha varato nel 2024 una legge in antitesi con la normativa europea, nella quale vieta la commercializzazione di carne coltivata”, stigmatizza il professor Conti. “Del resto, bandire un prodotto a priori, attraverso norme preventive, è un controsenso, significa guardare al passato e non al futuro, sostenendo gli interessi di pochi a scapito di benefici per tutti”.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    20 Maggio 2025

    Perché no: “Sarà sicura per la nostra salute?”
    Nel maggio 2012, durante la trasmissione televisiva Quello che (non) ho su La7, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, aveva pronunciato un monologo. “Appartengo alla Terra”, disse. “E come me tutta l’umanità e ogni forma di vita. Animali d’ogni specie e tutto ciò che il lavoro umano ha plasmato e trasformato nel tempo”. Bisognerebbe forse partire da qui per comprendere la posizione dell’associazione sul tema carne coltivata. “I consumi di carne in Occidente sono insostenibili”, dice la presidente Barbara Nappini. “E questa impennata della produzione è correlata allo sviluppo degli allevamenti intensivi, che provocano più del 30% delle emissioni di CO? nel Pianeta, inquinano il suolo e l’acqua, causano la sofferenza del bestiame e, infine, compromettono la nostra salute”. Secondo Slow Food, quest’ultimo settore è oggi controllato da poche multinazionali, come Virgin Group, Jbs, Cargill, Tyson Foods, le stesse che stanno finanziando la ricerca sui prodotti di origine cellulare.

    Gli ospiti

    Antartide, Boston, New York, Losanna: scienza senza confini al Festival di Green&Blue

    di Sandro Iannaccone

    19 Maggio 2025

    “Ora che il settore dell’allevamento inizia ad avere prospettive più incerte, i grandi gruppi aziendali si sono concentrati su un altro business, applicando gli stessi strumenti, come brevetti e monopoli”, incalza Nappini. Due le principali criticità che la presidente ravvisa nei nuovi preparati a base di cellule. La prima: l’elevato impatto ambientale, visto che “al momento gli impianti necessari alla produzione consumano una rilevante quantità di energia”. La seconda: l’incognita della salubrità, dato che “nei processi produttivi vengono impiegati sia ormoni sia lieviti geneticamente modificati, realizzando così alimenti iperprocessati”. Un’ulteriore considerazione riguarda le ricadute negative sui piccoli allevatori, che usano un modello estensivo e che, in seguito all’introduzione degli alimenti innovativi, “rischierebbero di scomparire”, sostiene la rappresentante dell’associazione, che non fa sconti nemmeno sulla denominazione: “Il nome attribuito ai sostituti della carne e la loro etichettatura non devono generare confusione nel consumatore. Perciò questi nuovi prodotti non potranno essere definiti carne, ma neppure si potranno usare termini come salame, latte, prosciutto per riferirsi ai derivati”.

    Alla luce di tutto ciò, conclude Nappini, “il problema di un’eccessiva produzione di carne non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori, ma si affronta analizzando e modificando il modello che ha originato la distorsione. È, dunque, imprescindibile ridurre il consumo di proteine animali e puntare su un allevamento sostenibile”. Per cercare di raggiungere questi obiettivi, l’organizzazione ha realizzato varie iniziative di comunicazione. Tra queste, Slow Meat, la campagna internazionale “Diamoci un taglio” mirata a sensibilizzare i consumatori sulla necessità di diminuire il consumo di proteine animali. È, invece, rivolta anche ai cuochi, oltre che ai cittadini, la campagna “Meat the change”, che invita i professionisti dei fornelli a promuovere menù amici del clima. LEGGI TUTTO

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    Valeria Barbi: “Un milione di specie a rischio estinzione e ci stiamo abituando”

    “Oggi 1 milione di specie sono a rischio estinzione: di queste, il 50% potrebbe scomparire entro la fine del secolo. Rischiamo di veder sparire specie che non abbiamo ancora scoperto. E i fattori alla base di questa debacle sono connessi tra loro e dipendono tutti dalle attività umane: perdita di habitat, crisi climatica, sovrasfruttamento, inquinamento e diffusione di specie aliene”. Valeria Barbi è una naturalista e giornalista ambientale: autrice di Che cos’è la biodiversità oggi (Edizioni Ambiente) e di WANE – We Are Nature Expedition, un reportage con cui ha documentato il rapporto uomo-natura lungo la Panamericana. “Mi inquieta – dice – che ci si abitui alla perdita di biodiversità quasi sia nel naturale stato delle cose assistere all’estinzione di una specie per colpa nostra. Non sappiamo, ad oggi, il numero di specie animali che popolano la Terra: circa 2,2 milioni sono quelle catalogate, ma potrebbero essercene miliardi, nelle profondità oceaniche o negli angoli remoti delle foreste pluviali. Dall’inizio di questa intervista, è possibile che una specie si sia estinta ancor prima di essere stata scoperta”.

    Partiamo dalla crisi climatica.
    “Gli effetti sulla biodiversità sono diffusi in ogni angolo del Pianeta: si traducono nella fisiologia di diverse specie – alcuni uccelli migratori diventano più piccoli e con ali più grandi – e nella rottura di connessioni spaziali e temporali tra specie diverse, per esempio tra insetti impollinatori e fioriture o fra predatori e prede . Ma si registrano anche variazioni negative sul successo riproduttivo”.

    I temi

    Festival di Green&Blue, sul palco la ricchezza della biodiversità

    di Sandro Iannaccone

    22 Maggio 2025

    Quali sono le specie più a rischio?
    “Un numero importante riguarda gli endemismi terrestri: l’84% potrebbe scomparire entro il 2100. A rischio soprattutto specie d’alta quota come lo stambecco: ha sviluppato caratteristiche evolutive che gli consentono di resistere a temperature rigide, controproducenti nell’era del global warming. Tra le conseguenze, una maggiore attività di notte che lo rende più vulnerabile alla predazione del lupo, e la riduzione dell’habitat – che potrebbe dimezzarsi entro il 2100 – con la necessità di spostarsi a quote sempre più alte, dove il foraggio ha minore qualità, il che influenza negativamente le cucciolate”.

    Il tema del sovrasfruttamento è sempre attuale, in particolare con la pesca.
    “Un terzo delle specie conosciute di squali e razze sono sull’orlo dell’estinzione: di alcune ci nutriamo, spesso inconsapevolmente. Oggi la criticità non è nella pesca artigianale delle piccole comunità ma nella pesca commerciale. La prima è anzi, se ben gestita, funzionale alla conservazione e alla definizione di aree marine protette: in Messico ho incontrato comunità di pescatori di squali che si sono trasformate in guide turistiche”.

    Altro tema: come conciliare la tutela della biodiversità con l’overtourism?
    “Alle Galapagos ho trovato un paradiso preso d’assalto dai turisti. Oggi, complici i social, anche aree remote come l’arcipelago caro a Darwin rischiano l’assedio dei turisti. Il problema è ancor più sentito nei Paesi dove la popolazione vive in condizioni di fragilità sociale: per mantenere la famiglia si è disposti a dare in pasto il proprio patrimonio naturale al turismo di massa. La parola chiave, ovunque, è educazione: va cambiato il paradigma secondo cui sia un diritto vedere il giaguaro o l’orso, nei loro habitat. Il turismo va regolamentato, soprattutto nelle aree protette, e alcune zone devono restargli precluse. Un caso virtuoso? Nel parco nazionale Madidi, in Bolivia, le comunità native hanno dato vita a un’offerta di turismo sostenibile che sta aiutando a frenare deforestazione e bracconaggio”.

    Si parla molto di convivenza con le specie selvatiche.
    “Ci troveremo sempre più a condividere gli spazi con le specie selvatiche: ne abbiamo eroso i confini, abbiamo cementificato i loro habitat. Dobbiamo educarci alla presenza della fauna selvatica. Senza pregiudizi. E questo vale anche per i grandi carnivori, da sempre stigmatizzati, come il lupo. A proposito: in Europa il lupo preda 65 mila capi di bestiame l’anno su circa 279 milioni di animali allevati per il consumo umano. L’errore è che sia la politica ad occuparsi di scienza, strumentalizzando le questioni, incapace di visioni a lungo termine. Come nel caso del declassamento del lupo: un contentino per pochi, non la soluzione ideale. L’abbattimento selettivo delle specie è selettivo quasi sempre solo sulla carta”. LEGGI TUTTO

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    Le foreste sono in crescita ma non abbassiamo la guardia

    Vietato fare gli “addormentati” nel bosco. O meglio, vietato abbassare la guardia su tutto ciò che riguarda le nostre aree forestali perché la buona notizia, ricorda il ricercatore Giorgio Vacchiano che sarà sul palco del Festival di Green&Blue la mattina del 5 giugno, è che in Italia sono più del previsto e stanno “offrendo un importante contributo nell’assorbimento di CO?, anche se non sufficiente rispetto alle emissioni dell’uomo”, ma la cattiva notizia è che se non ce ne occupiamo possono facilmente tornare a rischio nel volgere di pochi anni.

    Il programma

    G&B Festival 2025, dal 5 al 7 giugno a Milano: il programma

    31 Maggio 2025

    Si stima infatti che ogni 10 anni il 3% della biomassa europea sia a rischio di essere distrutta da tempeste di vento, incendi e attacchi di insetti, e la vulnerabilità a questi disturbi è in aumento. Per fortuna però attualmente, in un generale contesto negativo di crisi climatica, incendi e perdita di habitat e biodiversità, le foreste italiane stanno dando segnali incoraggianti. Lo stato delle nostre foreste è infatti in costante crescita, “abbiamo ormai raggiunto 11 milioni di ettari tra foreste e altre terre boscate” spiega Vacchiano, ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano, ricordando l’importanza di implementare “una gestione attiva di questi ettari”.“Inoltre – continua il professore – gli ultimi inventari nazionali delle emissioni ci mostrano, al 2023, come le foreste italiane assorbono 53 milioni di tonnellate di anidride carbonica, in pratica il 14% delle emissioni. Un dato quasi raddoppiato rispetto alle ultime rilevazioni, anche se in realtà va considerato il fatto che sono cambiate modalità di conteggio e sono stati aggiornati i dati di base. Però sappiamo comunque che l’espansione forestale è superiore rispetto a quella simulata finora dai modelli e che anche il servizio di assorbimento di CO? è di conseguenza cresciuto. Un dato più confortevole di quanto pensavamo”. Questo prezioso eco-servizio offerto dai boschi, fondamentale per le vite di tutti noi, va però preservato con molta attenzione.

    Giorgio Vacchiano, Ricercatore dell’Università Statale di Milano ed esperto di gestione forestale  LEGGI TUTTO

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    Dalla transizione non si torna indietro

    Nei dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile possiamo distinguere due fasi: la prima, nella quale hanno dominato le spinte economiche, politiche e culturali dirette a metterla in pratica per raggiungere gli obiettivi da essa indicati. La seconda, nella quale si sono affermati orientamenti politici e culturali opposti, con il rafforzamento delle spinte nazionalistiche e degli oligopoli economici, l’indebolimento dei sistemi di dialogo multilaterale, l’uso generalizzato della disinformazione, le guerre e la violenza come strumenti per la risoluzione delle controversie. Se a dividere in modo netto le due fasi è stata la pandemia da Covid-19, negli ultimi sei mesi chi spera che quei valori guidino le scelte dei leader politici ed economici ha subito una “doccia fredda”.

    L’avvio dell’Amministrazione Trump ha determinato cambiamenti profondi nelle relazioni internazionali e nel funzionamento del sistema economico e politico statunitense, con evidenti ricadute sulle priorità dell’Unione europea, e quindi del nostro Paese. Tra l’altro, la parola “sostenibilità” non può essere usata dalle agenzie federali e il rappresentante degli Stati Uniti all’ONU ha detto che “gli sforzi globalisti come l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile […] sono contrari ai diritti e agli interessi del popolo americano [e che] pertanto, gli Stati Uniti respingono e denunciano l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”.A livello europeo la situazione appare contraddittoria: con il “Patto per l’industria pulita” proposto dalla Commissione è stato confermato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e il taglio del 55% delle emissioni al 2030 e del 90% al 2040. D’altra parte, in nome delle “semplificazioni” la Commissione ha proposto (pacchetto Omnibus) modifiche significative delle Direttive sulla rendicontazione di sostenibilità e sul dovere di diligenza delle imprese, nonché del Regolamento sulla tassa sul carbonio alle frontiere e della Tassonomia degli investimenti ecosostenibili.

    A fronte dell’accoglienza positiva espressa da diverse associazioni imprenditoriali, molte grandi imprese, organizzazioni della società civile e perfino la Banca Centrale Europea hanno espresso dubbi e critiche sul pacchetto Omnibus, la cui adozione determinerebbe un forte indebolimento dei quadri normativi finalizzati a promuovere comportamenti responsabili sul piano sociale e sostenibili su quello ambientale da parte delle imprese. Peraltro, visto che le banche continueranno a domandare dati relativi ai fattori Environment, Social and Governance (ESG) al fine di valutare i rischi finanziari ad essi connessi, la messa in pratica delle proposte della Commissione minerebbe comparabilità, qualità e trasparenza dei dati, senza parlare del fatto che molte imprese hanno già attivato investimenti rilevanti in questo campo, anche per ottenere vantaggi reputazionali sia nei mercati dei loro prodotti che nelle relazioni con la filiera e con il sistema finanziario.

    Quanto brevemente ricordato ha fatto dire ad alcuni che “la sostenibilità è passata di moda”, ennesima fake news messa in giro da chi si batte contro la trasformazione del sistema economico promossa dall’Agenda 2030. Ovviamente, le difficoltà nella sua attuazione sono cresciute enormemente e la scelta europea di aumentare le spese per la difesa drenerà risorse destinabili a migliorare la competitività e la giustizia sociale, fronteggiare la crisi climatica e favorire il ripristino degli ambienti degradati. Ma la sostenibilità è sempre più al centro delle scelte delle imprese e della società civile non solo perché è l’unica strada per un futuro di benessere, ma anche perché conviene sul piano economico.Il successo del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025, con gli oltre 1.300 eventi (+45% rispetto al 2024) organizzati in tutta Italia, testimonia che la società civile crede nei valori dell’Agenda 2030 e si impegna per realizzarli. D’altra parte, i dati citati nel Rapporto indicano chiaramente che le imprese italiane che hanno scelto la sostenibilità aumentano produttività e competitività. In particolare, tra le imprese che hanno investito sulla sostenibilità ambientale (il 34,5% delle unità con 3-9 addetti e il 73,8% di quelle con 250 e più addetti) quelle manifatturiere con un profilo di sostenibilità «alto» (7,1% del totale) hanno una crescita addizionale del valore aggiunto pari al 16,7% rispetto a quelle non sostenibili. Inoltre, per il 92% delle imprese familiari e per l’89% delle non familiari integrare la sostenibilità comporta benefici: per questo, la sostenibilità è uno degli obiettivi prioritari delle imprese nel prossimo futuro. Infine, solo il 21% delle imprese indica il rafforzamento delle normative climatiche come un rischio, mentre più del 50% di quelle manifatturiere ha già investito nell’efficientamento energetico.Insomma, la sostenibilità conviene già ora e può accelerare la futura crescita economica del Paese. Dunque, essa deve restare la stella polare dei comportamenti individuali e collettivi, concetto che la politica italiana stenta ancora ad abbracciare. E i risultati di questo scetticismo si vedono.

    *Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), parteciperà al G&B Festival 2025.

    L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)
    La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione. LEGGI TUTTO