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    Le Atp Finals si tingono di verde: un giardino verticale al Fan Village

    Il campo azzurro, arancioni i tifosi di Sinner, ma il cuore delle Nitto Atp Finals di Torino è verde. Anzi, sempre più verde. Il messaggio di Fitp, Atp e Nitto è chiaro: il futuro dello sport passa attraverso la sostenibilità. Come spiega Marco Martinasso, direttore generale della Federazione Italiana Tennis e Padel: “Abbiamo scelto di dedicare sempre più impegno alla sostenibilità perché è un imperativo globale, ma anche per rimanere rilevanti con il nostro pubblico e i nostri partner, che ci chiedono attenzione e innovazione“.

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    Drosera, come curare la pianta carnivora semplice da coltivare

    Capolavoro della natura, la drosera è una pianta carnivora davvero unica che si fa notare in ogni ambiente in cui è collocata. Appartenente alla famiglia delle Droseraceae, è particolarmente diffusa in Africa, Australia e Sud America e in quantità inferiore in Asia, Nord America ed Europa. Presente in più di 150 specie, tutte sono accomunate da lunghe foglie verdi, o rosse, ricoperte di tentacoli colorati su quali sono presenti delle goccioline di una sostanza collosa, prodotta dalle sue ghiandole e in grado e di catturare piccoli insetti come zanzare, ragni e moscerini.

    Come si coltiva la drosera
    La drosera è una delle piante carnivore più semplici da coltivare: il periodo migliore per la sua semina coincide con la primavera. Il vaso in cui coltivarla non dovrebbe essere troppo grande, e preferibilmente in plastica, procedendo riempiendolo metà con la torba e metà con la perlite, per poi versare al suo interno anche dell’acqua distillata. I semi della drosera sono davvero piccoli e, proprio per questo, vanno maneggiati con grande cautela, ponendoli su un foglio bianco per non perderli di vista: successivamente si aggiungono nel vaso senza coprirli con il terriccio visto che necessitano di tanta luce per svilupparsi. Ci vorranno tra i 15 e i 20 giorni per far sì che le piantine facciano la loro comparsa. La pianta carnivora cresce in modo molto lento e va rinvasata ogni 3 anni, meglio se durante la primavera.

    Qual è l’esposizione migliore per drosera
    La drosera è originaria delle zone calde e, proprio per questo, richiede un ambiente mite, con temperature tra i 18 e i 25 gradi. La pianta tropicale non apprezza il freddo e necessita di tanta luce: i raggi solari diretti non rappresentano un problema, ma anzi l’esposizione in pieno sole rende il colore delle sue foglie ancora più rosso brillante. Malgrado questo, è importante tuttavia proteggere la pianta nelle ore centrali delle giornate estive più calde in quanto potrebbe soffrire. La drosera sopravvive anche nelle zone di mezz’ombra, ma è importante sapere che se non riceve abbastanza luce solare (minimo 4 ore al giorno) tende a decolorarsi, la sua crescita si indebolisce, il suo ciclo di vita diventa breve e la produzione della sua sostanza appiccicosa è messa in difficoltà.

    Se la drosera si trova in giardino, durante l’inverno non bisogna ritirarla in casa, visto che va in riposo vegetativo, lasciandola bensì all’esterno, al massimo proteggendola sotto un portico. Per la coltivazione della drosera il luogo migliore è quindi soleggiato e all’aperto, a fronte del fatto che il vento combatte le eventuali infezioni. Qualora si desiderasse far crescere la pianta in casa dovrà essere collocata su un davanzale che sia soleggiato. Per quanto riguarda il terreno richiede un substrato acido e frutto della miscela tra la torba e la perlite.

    Prendersi cura della drosera: quando eseguire le innaffiature
    La drosera vive in luoghi paludosi e proprio per questo richiede un elevato livello di umidità: pertanto, è necessario assicurarsi che nel sottovaso siano presenti 3 o 4 cm di acqua distillata. Per mantenere l’ambiente umido possiamo vaporizzare la pianta ogni giorno. L’irrigazione di questa pianta carnivora richiede attenzioni particolari: oltre a essere eseguita di sovente, bisogna anche ricordare come il calcare sia mal sopportato dalla drosera, che quindi non va bagnata con l’acqua del rubinetto (potenziale nemico per le sue radici), ma bensì ricorrendo all’acqua demineralizzata oppure distillata. La pianta si nutre di insetti vivi tramite le sue trappole e per questo non va fertilizzata.

    Drosera: altri aspetti da tenere in considerazione
    La potatura della drosera non deve essere eseguita costantemente. Tuttavia, dopo la fioritura è bene rimuovere le foglie danneggiate oppure morte e i fiori vecchi, mentre durante la crescita bisogna intervenire sulle foglie malate. Nel caso in cui si desideri soltanto sfoltire la pianta è necessario non rimuovere più del 30% del suo fogliame, iniziando il processo dalle foglie più esterne per poi procedere dall’interno. Un aspetto da non sottovalutare sono i parassiti che possono attaccare la pianta soprattutto durante l’estate, dovendo intervenire quanto prima con un insetticida apposito. Altro problema che potrebbe insorgere sono le malattie fungine, come la muffa grigia, che colpiscono la pianta soprattutto quando c’è uno scarso riciclo dell’acqua. LEGGI TUTTO

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    Euphorbia, come curare la pianta dalle mille varietà

    Il genere dell’euphorbia è veramente molto ampio, giacché comprende non solo piccoli arbusti e piante erbacee, bensì anche rampicanti e piccoli alberi. Non mancano, poi, anche piante succulenti, simili alle cactaceae. Vediamo come prendersi cura di queste piante.

    Le varietà
    Quando si parla dell’euphorbia non si può fare a meno di pensare alle oltre 2000 varietà che si trovano in natura. Ogni pianta è contraddistinta da forme, dimensioni e caratteristiche differenti a seconda della varietà e dell’habitat in cui si trova. Proprio per questo, è necessario considerare quelle varietà che si possono trovare più comunemente nei vivai, così da potersi prendere cura nel modo migliore della pianta.

    Qui di seguito ecco una lista di quelle che si possono acquistare facilmente:
    · Euphorbia milii: questa pianta, nota anche con il nome di spina di cristo, è un arbusto semi-succulento che troviamo nel Madagascar. Raggiunge i 70-90 cm di altezza con i suoi fusti eretti e spinosi e con fiori di colore rosso.
    · Euphorbia trigona: nota anche come cactus africano o albero africano può raggiungere i 3 metri di altezza, anche se è una pianta succulenta.
    · Euphorbia characias: questo arbusto che raggiunge i 120 cm si presenta con foglie lanceolate di colore verde-azzurro e fusti che emettono un lattice irritante.
    · Euphorbia pulcherrima: è conosciuta più comunemente come stella di Natale ed è originaria del Messico. Questa pianta è caratterizzata da fiori rossi, anche se è possibile trovarne specie con fiori bianchi, rosa e variegati.
    · Euphorbia helioscopia: è una pianta annuale che si trova facilmente nel nostro continente e può arrivare a un massimo di 40 cm di altezza. Si presenta con un fusto rossastro e cilindrico, foglie a spirale e piccoli fiori verdi.

    La cura dell’euphorbia
    Prendersi cura dell’euphorbia non è così complicato, giacché spesso vi sono alcune caratteristiche comuni tra le varie specie. Naturalmente è importante conoscere bene l’esemplare che si è acquistato, così da evitare qualunque problematica. Per esempio, la cura dell’euphorbia suppone la scelta di un buon terreno, di una posizione accogliente e di un clima abbastanza temperato e soleggiato, facendo attenzione all’esposizione diretta ai raggi solari. Inoltre, è importante rammentare che alcuni esemplari presentano un lattice bianco irritante che può uscire quando si effettuano dei tagli. Per questo è importante utilizzare guanti e non toccarsi gli occhi.

    Dove posizionarla
    Per quanto riguarda l’esposizione è sempre necessario considerare che vi sono delle differenze a seconda dell’euphorbia che si acquista. Per esempio, l’euphorbia milii va preservata dalla luce solare diretta delle ore più calde del giorno, ma ha comunque bisogno di molta luce per poter
    crescere bene. L’euphorbia characias, invece, predilige posizioni ben soleggiate e si può coltivare con facilità in qualunque giardino. La stella di Natale, invece, ama la luminosità e quindi la si può collocare vicino a una finestra o in veranda, facendo attenzione alla luce diretta dei raggi solari. L’euphorbia helioscopia è una pianta che può ricordare il girasole per via del gradimento all’esposizione: infatti, i suoi fiori si volgono verso il sole.

    Qual è il terreno migliore per l’euphorbia?
    Tutte le varietà di euphorbia gradiscono un terriccio drenante: come succede molto spesso, le piante hanno bisogno di un terreno dove non possono presentarsi dei ristagni idrici. In questa maniera, si evita la comparsa del marciume radicale.

    Come e quando annaffiare
    A seconda della varietà di euphorbia si ha a che vedere con annaffiature moderate e sporadiche. La maggior parte degli esemplari che ricordano proprio i cactus richiedono meno acqua, mentre le altre la gradiscono, ma in quantità controllata. Il suggerimento è di controllare sempre lo stato del terreno: in caso di secchezza è importante annaffiare per evitare la comparsa di parti gialle.

    Come e quando concimare
    Per la concimazione è importante selezionare un prodotto idrosolubile che si può sciogliere con l’acqua dell’irrigazione. Questo tipo di prodotto è perfetto per le piante succulente, ma anche per tutte le altre varietà e va dato circa ogni 15 giorni durante la primavera-estate. Durante l’autunno-inverno si può ridurre la dose ogni 30 giorni.

    La potatura dell’Euphorbia
    Le diverse varietà non hanno bisogno di potature particolari: infatti, è importante eliminare le parti secche o troppo sporgenti che possono rovinare la forma della pianta.

    Malattie e parassiti
    Anche in tal caso è necessario considerare che le piante possono incorrere in problemi differenti. Per esempio, quelle che hanno fiori e foglie possono incorrere in parassiti o problemi che li fanno cadere. Poca acqua, ma anche temperature troppo fredde, sono delle ulteriori cause della caduta di queste parti. Le malattie fungine, poi, sono un altro comune problema dell’euphorbia ed è spesso causata da un’eccessiva irrigazione che porta alla comparsa di foglie macchiate di nero. La cocciniglia, ovvero degli insetti bianchi immobili sulla pianta, possono attaccare facilmente l’euphorbia. In tal caso, è necessario acquistare un prodotto apposito per la rimozione della cocciniglia. LEGGI TUTTO

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    Le microplastiche trasformano le nuvole e il clima

    Le microplastiche sono ormai diffuse ovunque, tanto da essere rinvenute in alcuni degli ambienti più incontaminati della Terra, dalle profondità della Fossa delle Marianne alla neve del Monte Everest, fino alle nuvole sopra le montagne di Cina e Giappone. Ma non solo, particelle di plastica sono state rilevate anche nel cervello umano, nel ventre delle tartarughe marine e nelle radici delle piante. Ora, una nuova ricerca pubblicata su Environmental Science and Technology: Air, rivela che le microplastiche nell’atmosfera possono facilitare la formazione di ghiaccio nelle nuvole e potrebbero, perciò, avere un impatto anche sul clima.

    Lo studio

    Microplastiche nelle acque reflue: nascondono virus e batteri

    di  Fiammetta Cupellaro

    08 Novembre 2024

    Il team di scienziati, della Penn State, ha scoperto che la temperatura di congelamento di gocce d’acqua contenenti quattro tipi di microplastiche, ovvero polietilene a bassa densità (LDPE), polipropilene (PP), cloruro di polivinile (PVC) e polietilene tereftalato (PET), è più elevata di circa 5-10 gradi rispetto alle gocce senza microplastiche. In genere, una goccia d’acqua atmosferica congela a circa -38 gradi Celsius. Tuttavia, eventuali difetti come polvere, batteri o microplastiche, possono facilitare la formazione o “nucleazione” del ghiaccio intorno ad essi. “Nel caso delle nostre microplastiche, il 50% delle gocce era congelato a meno 22 gradi Celsius”, afferma Heidi Busse, autrice principale del lavoro.

    Longform

    Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

    di Paola Arosio

    18 Luglio 2024

    Il ghiaccio è tipicamente presente, insieme all’acqua, nelle nuvole a fase mista, comuni in atmosfera, che comprendono formazioni come le nubi nimbus e le nuvole a forma di “incudine” che possono formarsi durante i temporali.

    “Quando l’andamento dell’aria è tale che una goccia viene sollevata nell’atmosfera e si raffredda, è allora che le microplastiche potrebbero influenzare l’andamento meteorologico e formare ghiaccio nelle nuvole”, spiega Miriam Freedman, docente di chimica alla Penn State. In sostanza, in un ambiente inquinato con molte più particelle di aerosol, come le microplastiche, l’acqua disponibile si distribuisce e forma goccioline più piccole che, in teoria, generano meno pioggia. Per ‘cadere’ dal cielo devo diventare molto grandi e, quindi, nel frattempo la nuvola raccoglie molta acqua. È chiaro, quindi, che quando le goccioline sono sufficientemente grosse per far piovere, la quantità di precipitazioni che ne consegue è molto abbondante.

    Benché le nuvole tendano a riflettere le radiazioni solari, raffreddando così il pianeta, a determinate altitudini possono avere un potere riscaldante, contribuendo a intrappolare l’energia emessa dalla Terra. I due effetti sono legati alle percentuali di acqua e ghiaccio presenti nelle nubi. Se le microplastiche ne influenzano la formazione, è probabile che influenzino anche il clima, ma è estremamente difficile determinare la portata del loro impatto.

    “Sappiamo che il fatto che le microplastiche possano nucleare il ghiaccio ha effetti di vasta portata, ma non siamo ancora sicuri di quali siano”, precisa Busse. “Possiamo pensare a questo su molti livelli diversi, non solo in termini di tempeste più potenti, ma anche attraverso cambiamenti nella diffusione della luce, che potrebbero avere un impatto molto più ampio sul nostro clima”.

    I ricercatori hanno anche scoperto che l’invecchiamento ambientale, ovvero i processi fotochimici naturali che le particelle di aerosol subiscono nel corso del tempo, può cambiare significativamente il modo in cui le microplastiche interagiscono con i gas e i vapori dell’atmosfera, influenzando la loro capacità di formare il ghiaccio. Esponendo le microplastiche alla luce, all’ozono e agli acidi, il team ha rilevato una capacità di nucleazione minore per LDPE, PP e PET, mentre nel caso del PVC è risultata maggiore. Nonostante gli interessanti risultati ottenuti dalla nuova ricerca, gli scienziati ritengono che siano necessari ulteriori approfondimenti che permettano di comprendere meglio come le materie plastiche comunemente utilizzate influenzano l’atmosfera terrestre. LEGGI TUTTO

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    Perché piantare alberi nell’Artico potrebbe peggiorare il riscaldamento globale

    Gli alberi, con la loro capacità di assorbire grandi quantità di anidride carbonica dall’atmosfera, possono aiutare in modo efficace ed economico a contrastare i cambiamenti climatici. Per questo motivo, diversi governi e aziende stanno sostenendo progetti di piantumazione, che, con l’aumento delle temperature, sono arrivati a coinvolgere anche le regioni artiche. Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, avverte tuttavia che piantare alberi alle alte latitudini potrebbe accelerare, anziché decelerare, il riscaldamento globale. Le regioni artiche e subartiche, con i loro ecosistemi unici, non sono, infatti, adatte alla piantumazione.

    Crisi climatica

    La fusione dello strato di ghiaccio sull’Artico potrebbe influenzare le correnti oceaniche

    di Sara Carmignani

    01 Novembre 2024

    “I suoli dell’Artico immagazzinano più carbonio di tutta la vegetazione terrestre”, dichiara Jeppe Kristensen, professore dell’Università di Aarhus in Danimarca. “Questi terreni sono vulnerabili alle perturbazioni, come le coltivazioni forestali o agricole, ma anche alla penetrazione delle radici degli alberi. La luce diurna semi-continua durante la primavera e l’inizio dell’estate, quando la neve è ancora al suolo, rende anche il bilancio energetico di questa regione estremamente sensibile all’oscuramento della superficie, poiché gli alberi verdi e marroni assorbono più calore dal sole rispetto alla neve bianca”.

    L’Artico, infatti, svolge un ruolo cruciale nel riflettere la luce solare, molto più importante dell’accumulo di carbonio per il bilancio energetico totale. “Il dibattito sul clima è molto incentrato sul carbonio, perché il modo principale in cui l’uomo ha modificato il clima della Terra nell’ultimo secolo è attraverso l’emissione di gas serra dalla combustione di combustibili fossili”, spiega Kristensen. “Ma alla base, il cambiamento climatico è il risultato di quanta energia solare entra nell’atmosfera e quanta ne esce di nuovo, il cosiddetto bilancio energetico della Terra”.

    Biodiversità

    Le piante “emigrano” e si spostano verso Ovest

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    15 Ottobre 2024

    A causa del riscaldamento globale, inoltre, incendi e siccità sono sempre più frequenti nelle regioni che circondano il Polo Nord in Nord America, Asia e Scandinavia. Gli alberi non solo alimenterebbero questi fenomeni, ma il carbonio immagazzinato al loro interno potrebbe essere rilasciato in atmosfera entro pochi decenni. Si tratta, pertanto, di un tema complesso, che richiede un approccio più olistico, che tenga in considerazione anche le ragioni “non climatiche” che spingono a piantare alberi, come la produzione di legname.

    “La silvicoltura nell’estremo Nord dovrebbe essere considerata come qualsiasi altro sistema di produzione e compensare il suo impatto negativo sul clima e sulla biodiversità”, sottolinea Marc Macias-Fauria, dello Scott Polar Research Institute dell’Università di Cambridge. “Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca e non si può ingannare la Terra. Vendendo l’imboschimento del nord come una soluzione per il clima, inganniamo solo noi stessi”.

    Biodiversità

    Un albero su tre è a rischio estinzione, come l’abete delle Madonie

    di  Fabio Marzano

    04 Novembre 2024

    Secondo gli autori, una possibile soluzione climatica alle alte latitudini è quella di lavorare con le comunità locali per gestire in modo sostenibile le popolazioni di grandi erbivori che vivono in quelle zone, come i caribù. Questi animali, infatti, possono mitigare la perdita di biodiversità causata dal riscaldamento globale, continuando a rappresentare un’importante risorsa alimentare per gli abitanti.

    “È ampiamente dimostrato che i grandi erbivori influenzano le comunità vegetali e le condizioni della neve in modo tale da provocare un raffreddamento netto”, afferma Macias-Fauria. “Questo avviene sia direttamente, mantenendo aperti i paesaggi della tundra, sia indirettamente, attraverso gli effetti del foraggiamento invernale degli erbivori, che modificano la neve e ne diminuiscono la capacità isolante, riducendo le temperature del suolo e il disgelo del permafrost”. LEGGI TUTTO