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    Dove vivete ci sono abbastanza alberi? Per scoprirlo c’è la regola del “3+30+300”

    Ovunque voi siate provate a guardare fuori dalla vostra finestra: riuscite a vedere almeno 3 alberi? E secondo voi, all’incirca, la copertura arborea ombreggia almeno il 30% del quartiere in cui vi trovate? E ancora: c’è un parco a 300 metri di distanza?. Se a tutte queste tre domande la risposta è “sì” allora potrebbe esserci speranza – nel vostro contesto urbano – di una buona e necessaria presenza di alberi. In tempi di crisi climatica e perdita della biodiversità, sappiamo benissimo quanto le “chiome” siano importanti per le nostre vite: dalla loro funzione di mitigazione e di assorbimento della CO2, sino alla capacità di mantenere i nostri quartieri più freschi e più ricchi di specie, gli alberi insieme ad oceani ed impollinatori sono elementi naturali indispensabili per la vita sul Pianeta.

    Nonostante ciò però per anni abbiamo continuato a deforestare, a prediligere solo determinate specie e a cementificare laddove prima spopolavano tronchi: il risultato, ci dice una recente report dello IUCN, Unione internazionale per la conservazione della natura, è che ad oggi nel mondo una specie su tre di alberi è a rischio estinzione. Dati che – nella Giornata nazionale dell’albero che si celebra il 21 novembre – dovrebbero farci riflettere sull’importanza di lavorare di più per la conservazione delle piante.

    Ad oggi è difficilissimo trovare città per esempio, nel mondo, con il giusto equilibrio di alberi presenti. Attraverso il metodo “canopy tree”, quello delle tre domande anche conosciuto come “3+30+300” e che stabilisce uno standard minimo per ottenere benefici per la salute urbana, una recente indagine di The Conversation ha mostrato come su otto grandi città esaminate solo una aveva il corretto rapporto di alberi presenti. Esaminando la copertura arborea di Melbourne, Sydney, New York, Denver, Seattle, Buenos Aires, Amsterdam e Singapore solo quest’ultima è risultata soddisfacente nel rispondere alla formula stabilita nel 2022 dal professore olandese Cecil Konijnendijk, colui che ha ideato questo parametro oggi sempre più utilizzato soprattutto in Europa.

    Il sondaggio

    Un italiano su tre non sa che gli alberi assorbono CO2 e non solo

    di redazione Green&Blue

    19 Novembre 2024

    Singapore è la metropoli che è riuscita a rispondere con più “sì” alle tre domande e l’analisi ricorda che per rispettare la regola 3+30+300 servono solitamente alberi “più grandi, più sani e più longevi” piantati vicini tra loro. Serve anche differenziare le specie, così come è necessario investire nella pavimentazione permeabile che consente alla pioggia di infiltrarsi nel terreno, oppure ragionare sulla gestione delle radici. Ma soprattutto serve distribuzione: gli alberi devono essere presenti in tutti i quartieri, non solo quelli più ricchi o centrali. Ed è fondamentale la tecnologia per pianificare: nella stessa Singapore, dove la copertura arborea è intorno al 50%, tramite tecnologie come la startup Greehill per esempio fanno modelli digitali dei quartieri e simulano scenari su come le piante messe a dimora risponderanno nel tempo. Per proteggere gli alberi e di conseguenza la nostra salute, ogni formula tecnologica può dunque essere utile se si considera che attualmente il 38% degli alberi al mondo è a rischio estinzione, ci dice la Global Tree Assessment della Lista rossa IUCN.

    “Una valutazione completa che presenta il primo quadro globale dello stato di conservazione degli alberi e che ci consente di prendere decisioni di conservazione più consapevoli e di agire per proteggere gli alberi dove è urgentemente necessario” ha spiegato Malin Rivers, responsabile della valutazione globale degli alberi del Botanic Gardens Conservation International, ricordando che spesso è sulle isole dove si trova il più alto numero di alberi minacciati d’estinzione.

    Biodiversità

    Un albero su tre è a rischio estinzione, come l’abete delle Madonie

    di  Fabio Marzano

    04 Novembre 2024

    In Italia, ci ricordano infine i dati del report Ecosistema Urbano 2024 di Legambiente, sono solo 9 le città capoluogo che possono vantare più di 100 mq di verde urbano pro capite. Ad oggi le realtà più verdi sono “Isernia, Rieti, Trento e Sondrio con oltre 300 metri quadri” mentre quelle con minore superficie verde sono “Savona e Imperia in Liguria insieme a Lecce, Bari, Foggia, Chieti, Siracusa, Trapani, Messina e Crotone”. Per tutte le città italiane, anche per soddisfare i criteri 3+30+300, serve però più programmazione e più consapevolezza sulla necessità della gestione degli alberi nei territori. Conoscenza che si potrà approfondire in dozzine di eventi che la stessa Legambiente, in occasione della Festa dell’Albero, organizzerà in questi giorni in tutta Italia (qui la mappa degli eventi) con lo scopo finale di piantare almeno 5000 nuovi alberi. LEGGI TUTTO

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    Un italiano su tre non sa che gli alberi assorbono CO2 e non solo

    Nelle grandi città italiane cresce il desiderio degli abitanti di avere più alberi, ma quanto ne sanno dei benefici che questi apportano? Purtroppo, non abbastanza. Quasi 3 intervistati su 4 (73%) sanno che gli alberi abbassano la temperatura laddove sono piantati, limitando la formazione delle cosiddette “isole di calore”.

    Quasi un italiano su 5 non sa che gli alberi sono in grado di mitigare gli effetti della pioggia intensa e limitare gli allagamenti, mentre 1 su 3 non sa che gli alberi nelle città sono in grado di assorbire la CO2.

    Questi sono solo alcuni dei dati emersi da un’inedita ricerca elaborata dalla divisione Annalect di Omnicom Media Group per Prospettiva Terra, il progetto non-profit fondato dal professor Stefano Mancuso, accademico e divulgatore scientifico e da Marco Girelli, CEO di Omnicom Media Group Italia – con la partecipazione di realtà quali McDonald’s, Henkel, Ricola, Acone Associati, Publitalia’80 ed il contributo di Pnat, come partner scientifico e BAM – Biblioteca degli Alberi di Milano, come Botanical Partner – con l’obiettivo di fare rete contro la crisi ambientale grazie agli alberi. L’indagine, realizzata su un campione di 1.000 intervistati residenti in cinque grandi città italiane, Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, ha l’obiettivo di investigare il grado di conoscenza dei cittadini sul ruolo che gli alberi ricoprono nel contrastare e mitigare gli effetti del cambiamento climatico in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi (21 novembre).

    Biodiversità

    Un albero su tre è a rischio estinzione, come l’abete delle Madonie

    di  Fabio Marzano

    04 Novembre 2024

    I giovani meno preparati sulle foreste
    Andando ad approfondire i dati della ricerca, si scopre che 6 italiani su 10 affermano che le foreste molto estese nel mondo sono in grado di assorbire grandi quantità di CO2, consapevolezza che cala – a sorpresa – sul target dei giovani 18-24enni (58%), sempre attenti ai temi ambientali, rispetto a quello dei 55-64enni (65%).
    “Sappiamo ancora troppo poco del nostro pianeta e questa ricerca ce lo dimostra – afferma il professor Stefano Mancuso – Il disastro di Valencia o le alluvioni in Emilia-Romagna e in Sicilia, tanto per citare i gravi fatti più recenti, ci impongono un’azione forte e non più rimandabile. Il 2024 sarà l’anno più caldo di sempre ed il primo con una temperatura media globale di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali. Per questo bisogna educare le persone, fare formazione e informazione su come proteggere il nostro pianeta e limitare i danni: questo è l’obiettivo di Prospettiva Terra, con cui stiamo costruendo un modello cooperativo e diffuso, simile alle reti vegetali, in cui delle imprese private decidono di farsi carico del futuro che ci aspetta, lavorando nell’unica direzione possibile, ossia la partecipazione diretta a progetti di innovazione scientifica”.

    Tutorial

    Conifere, una guida per curare pini e abeti

    19 Novembre 2024

    Centro e periferie: come cambia la percezione della presenza arborea nella città
    Tre abitanti su 4 dichiarano che nel proprio quartiere gli alberi sono molto o abbastanza diffusi (75%). Tuttavia, i dati sono molto diversi da città a città: a Torino e a Roma la percentuale è del 90%, a Milano dell’80%, a Palermo del 63% e a Napoli soltanto del 51%. In effetti, Torino ha la più alta percentuale della superficie comunale occupata da aree verdi (18,2%), mentre Palermo si ferma al 4,8%.
    Inoltre, la percezione cambia anche in base alla zona della città in cui si vive: il dato è più forte man mano che dal centro (72%) ci si avvicina al semi-centro della città (75%), fino alla periferia (77%). In particolare, la percezione della forte presenza degli alberi cresce – anche fino al 30% – in periferia, mentre nelle aree centrali e semi-centrali si attesta intorno al 20%.

    Sostenibilità

    Alla Biblioteca degli Alberi di Milano il premio LivCom Award for SDGs

    di redazione Green&Blue

    13 Novembre 2024

    Nove cittadini su 10 chiedono più alberi
    Napoli e Palermo sono le città in cui gli alberi sono più desiderati (rispettivamente 93% e 87%). Sebbene nelle altre città gli alberi sono percepiti come più presenti, le percentuali restano alte: a Torino e a Milano la percentuale di chi vorrebbe più verde in città si attesta intorno al 75% e a Roma al 69%. L’altro dato molto rilevante è quello della posizione rispetto alla città: il desiderio di avere più alberi, senza differenze sostanziali tra nord, centro e sud, è molto più sentito nel centro della città (87%) rispetto al semi-centro (80%) e, soprattutto, rispetto alla periferia (68%) dove la presenza degli alberi è tipicamente più forte.

    La quercia è l’albero più noto come alleato contro la crisi climatica
    Scelta da oltre 6 italiani su 10, la quercia risulta essere l’albero che più di tutti, nell’immaginario collettivo, è in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico, superando nettamente l’abete (39%) ed il pino (37%). Fuori dal podio sono i tigli (25%), i cipressi (24%) e i frassini (23%).
    “Le piante sono vere e proprie macchine in grado di stoccare CO2 nei propri tessuti legnosi e assorbire alcuni inquinanti atmosferici, come il monossido di carbonio ed il particolato atmosferico – afferma Camilla Pandolfi, CEO e R&D Manager Pnat – La farnia, ovvero la quercia più conosciuta (Quercus robur), è un albero in natura molto longevo ed è in grado di apportare numerosi benefici nell’arco della sua vita. Anche tigli e frassini sono in realtà molto performanti per quanto riguarda la rimozione degli inquinanti, grazie a particolari caratteristiche delle foglie e dei rami che permettono alle particelle fini di depositarsi sulla loro superficie, rimuovendole così dall’atmosfera. Non dimentichiamoci però delle specie sempreverdi (abeti, pini e cipressi) che, a differenza degli alberi caducifoglie, mantengono la chioma fogliata tutto l’anno e apportano notevoli benefici ambientali anche nei mesi in cui le altre piante sono meno attive, ovvero durante la stagione invernale”.

    Alberi alleati anche del benessere mentale
    Una cosa sicuramente mette tutti d’accordo da nord a sud: l’idea che essere circondati da alberi possa donare benessere mentale, serenità e gioia, per la quasi totalità del campione (96%). Napoli, una delle due città che lamentano una scarsa presenza di alberi, è quella in cui viene associata di più agli alberi l’idea di maggior aiuto per il benessere mentale e la serenità. E quando agli italiani viene chiesto quali pensieri e stati d’animo associano agli alberi, in generale, la risposta è un sentimento di serenità e di leggerezza: la prima idea, infatti, è quella del relax (33%), seguita dalla purezza (22%) e dai concetti di forza (17%), spiritualità (9%) e gioia (7%). LEGGI TUTTO

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    “Il cambiamento c’è già. L’accordo sull’aiuto ai Paesi vulnerabili si troverà”

    “Come finirà Cop29? Con un accordo che innalzerà a 200 o 300 miliardi di dollari, dagli 100 attuali, il contributo dei Paesi ricchi alla finanza climatica. Con un meccanismo volontario di contribuzione per i Paesi in via di sviluppo ma economicamente forti, in modo da allargare la base dei donatori. E penso anche con un contributo specifico alle piccole isole, le nazioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici”. Francesco La Camera dal 2019 è direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena). Conosce bene la Cina, dove negli ultimi anni eolico e fotovoltaico hanno registrato un boom senza eguali. Ma anche i petrostati del Golfo: Irena ha il suo quartier generale negli Emirati Arabi Uniti. Ed ha una certa dimestichezza con la diplomazia climatica che va in scena nelle Conferenze delle parti sul clima: “L’anno scorso, in quella di Dubai, abbiamo supportato la presidenza emiratina di Sultan Al Jaber”, ricorda La Camera. “Gli impegni presi a Cop28 su triplicazione delle rinnovabili e raddoppio della efficienza energetica si basavano sulle analisi di Irena”.

    Direttore La Camera, torniamo alla Cop29 di Baku: l’esito che lei prevede è conseguenza del G20 appena conclusosi a Rio de Janeiro?
    “Non credo. L’impegno dei Grandi a sostenere la presidenza della Cop29 e a portare a termine con successo i negoziati a Baku, potrebbe al contrario voler dire che in Brasile non è stato raggiunto un accordo su questi temi e che si rimanda la soluzione alle trattative in corso qui”.

    Soluzione che verrà trovata?
    “Penso proprio di sì. Anche se i veri cambiamenti, più che in questi consessi, si manifestano nel mondo reale”.

    Si riferisce alle energie rinnovabili?
    “L’agenzia che dirigo si occupa di quello. La crescita a livello globale è evidente e irreversibile. Si va verso una trasformazione del mercato energetico che ruoterà intorno a eolico, fotovoltaico, biomasse e idrogeno verde”.

    Ma l’impegno sottoscritto a Dubai di triplicazione entro il 2030 è alla portata?
    “All’inizio di quest’anno la Presidenza di Cop28 ha chiesto a Irena di monitorare i progressi fatti. Purtroppo i nostri datti confermano che, fatta eccezione per il solare fotovoltaico, le nuove installazioni di energie rinnovabili a livello globale sono ben al di sotto del livello necessario a centrare l’obiettivo. E lo stesso si può dire per l’efficienza energetica. Insomma, il processo è avviato ma procede troppo lentamente”.

    La rielezione di Donald Trump frenerà ulteriormente la transizione energetica e il boom delle rinnovabili Usa?
    “Potrà rallentarlo, ma non fermarlo. Già durante il suo primo mandato le centrali a carbone americane chiudevano mentre le rinnovabili crescevano. L’Amministrazione Biden ha dato una ulteriore spinta e ora sarà davvero difficile per il nuovo presidente invertire la tendenza, soprattutto in alcuni “red states”, roccaforti repubblicane come il Texas che stanno investendo in eolico”.

    Dal G20 di Rio assist alla Cop29 di Baku: più fondi per il clima, paga anche la Cina

    di  Luca Fraioli

    19 Novembre 2024

    Si torna a parlare di nucleare. Negli Stati Uniti dove le grandi compagnie tecnologiche hanno fame di elettricità per alimentare i loro server, ma anche in Italia.
    “Rispondo con alcuni dati. Grazie ai costi inferiori e alla maggiore efficienza, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) afferma che le energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, sono dieci volte più efficaci del nucleare nel ridurre le emissioni di anidride carbonica. Secondo la Stanford University, le nuove centrali nucleari costano da 2,3 a 7,4 volte di più dell’eolico o del solare terrestre per kilowattora di elettricità, impiegano dai cinque ai 17 anni per essere installate e producono da nove a 37 volte le emissioni per kilowattora dell’eolico. Le nuove centrali nucleari in un anno aggiungono la stessa quantità di elettricità che le energie rinnovabili ne aggiungono ogni pochi giorni: la Cina, per esempio, sta installando una capacità eolica e solare equivalente a cinque nuovi reattori nucleari alla settimana”.

    A proposito di Pechino, che ruolo giocherà nella transizione energetica?
    “In quel Paese hanno il 50% di tutte le rinnovabili installate nel mondo. E se prima i cinesi erano ritenuti bravi solo a copiare le tecnologie altrui, ora si dimostrano grandi innovatori”.

    Ma la Cina può davvero prendere la leadership della transizione ecologica, nel vuoto lasciato dagli Usa di Trump?
    “Potrebbe. Ma, nonostante la simpatia che nutro per i cinesi, grazie anche al loro impegno nelle rinnovabili, penso che non sia mai positivo avere un solo Paese al comando”.

    Nei giorni scorsi il meccanismo delle Cop è stato criticato e definito inadeguato: troppo lento per risolvere una crisi urgente come quella climatica. Che ne pensa?”
    “Ho trovato inopportuno un rilievo del genere con una Cop in corso. Si rischia di indebolire un processo già debole di suo. E non condivido le critiche sulla scelta dei Paesi ospitanti: Baku non è stata imposta, è stata votata. Così come Dubai. E se la Cop28 si fosse fatta in un Paese europeo anziché negli Emirati, produttori di petrolio, probabilmente non avrebbe portato agli stessi risultati, a loro modo storici: la transition away dai combustibili fossili, la triplicazione delle rinnovabili, la duplicazione dell’efficienza energetica”. LEGGI TUTTO

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    Gladiolo, come coltivarlo per una super fioritura

    In qualsiasi ambiente si trovi il gladiolo infonde eleganza e dona un tocco di colore. Questa pianta è dotata di un’incredibile bellezza, una grande resistenza e presenta dimensioni importanti, tanto da raggiungere anche il metro di altezza. I gladioli, per via della loro forma allungata e affilata, sono noti anche con il nome di spade di gladiatore. Coltivarli in giardino o terrazza è semplice, ma richiede particolari accorgimenti e cure, ripagando tuttavia con grandi soddisfazioni.

    Coltivazione in giardino e in vaso del gladiolo
    I gladioli consentono di abbellire giardini e terrazzi e sono anche piuttosto facili da coltivare. Per quanto riguarda la coltivazione in giardino bisogna in primo luogo preparare il terreno che deve essere ben drenato e privo di sassi e detriti, rimuovendo anche eventuali grumi di terra, per assicurare alla pianta una crescita rigogliosa. Si procede interrando i bulbi con l’estremità appuntita verso l’alto, a una profondità di semina di 10-15 centimetri e distanziandoli di almeno 15 centimetri tra di loro, in modo tale che abbiano tutto lo spazio necessario per espandersi. Le semine possono essere effettuate tra marzo e aprile anche a intervalli di circa 2 settimane per ottenere una fioritura prolungata.

    In merito alla coltivazione in vaso del gladiolo, si tratta anche in questo caso di un’operazione semplice: è necessario ricorrere a un contenitore con del terreno drenato e ricco di sostanze nutritive, ponendo sul fondo dell’argilla espansa e in seguito collocando i bulbi a circa 10 centimetri di profondità. Il periodo migliore per eseguire questa operazione è tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, anche se può essere effettuata durante l’autunno in quelle zone dove il clima è mite. Prima della fioritura, la pianta va concimata ogni 15 giorni. Oltre che ricorrendo ai semi, i gladioli si possono riprodurre tramite i bulbilli presenti alla base del bulbo: questi vengono raccolti nel momento in cui i bulbi sono estratti dal terreno durante la stagione autunnale.

    Gladiolo: l’esposizione giusta e quando piantarlo
    Originari dell’Africa meridionale, i gladioli sono contraddistinti da fiori molto decorativi dalla forma a trombetta. I loro petali sono tubolari e larghi e si trovano in molteplici colori quali azzurro, blu, lilla, giallo oro o bianco, a seconda della varietà. Il gladiolo ama i luoghi soleggiati, essendo abituato a crescere in zone calde, tanto da svilupparsi spontaneamente in Italia lungo le coste del Mezzogiorno. Pertanto, il clima ideale per coltivarlo è asciutto e caldo. Bisogna anche sottolineare come il gladiolo tema il freddo e il vento: il periodo migliore per piantarlo è dopo l’inverno quando le temperature si sono stabilizzate intorno ai 15 gradi e le gelate ormai non possono più fare la loro comparsa, come anche i cambiamenti repentini di temperatura e i venti freddi.

    In merito al luogo in cui posizionare la pianta, per ottenere una fioritura rigogliosa, è importante sceglierne uno soleggiato o di mezz’ombra, evitando punti ombreggiati che potrebbero limitarne la crescita. Altro aspetto da considerare è l’ampiezza dell’area in cui andremo a collocarla, in quanto richiede tanto spazio per crescere. In merito al terreno questo dovrebbe essere fertile, leggermente acido e ben drenato, evitando i ristagni d’acqua, responsabili dell’insorgere di malattie fungine. Questa pianta perenne e bulbosa, appartenente alla famiglia delle Iridaceae, fiorisce a partire da giugno. Per quanto riguarda la raccolta dei fiori del gladiolo deve essere eseguita in estate, quando i fiori si sono sviluppati, ma non sono aperti totalmente, meglio se di primo mattino. I fusti vanno tagliati con delle forbici da giardinaggio oppure un coltello affilato, lasciando delle foglie sulla pianta. I fiori raccolti vanno posti nell’acqua e mantenuti in un luogo ombreggiato, per preservare la loro freschezza e farli durare a lungo.

    Ogni quanto innaffiare la pianta?
    Da quando viene messo a dimora fino all’estate, è necessario dare da bere al gladiolo con regolarità. Questa operazione va eseguita ogni settimana, ma se necessario anche ogni 2 o 3 giorni: è importante, infatti, mantenere sempre il terreno umido. Tuttavia, malgrado la pianta richieda di essere bagnata con costanza, è davvero importante evitare i ristagni idrici responsabili dei marciumi radicali, che possono contribuire alla presenza di muffe e di parassiti. Nel corso dell’inverno, grazie alle piogge soventi, le annaffiature vanno ridotte notevolmente. L’irrigazione può essere interrotta nel momento in cui le foglie diventano appassite durante l’autunno.

    Prendersi cura del gladiolo: altri aspetti da tenere in considerazione
    Nell’ambito della cura del gladiolo, non è necessaria una potatura vera e propria. È importante ricordarsi di tagliare gli steli sfioriti alla base dopo la fioritura della pianta per mantenerla in salute. Dopo l’estate, stagione in cui si sviluppa in modo rigoglioso, le foglie diventano naturalmente secche e gialle con l’autunno: quando foglie e fiori sono totalmente appassiti si possono rimuovere, recuperando i bulbilli da conservare in un luogo e asciutto per poi trapiantarli durante la primavera successiva. Pur essendo resistente, il gladiolo sfiorisce in fretta e, inoltre, è soggetto a malattie fungine, come per esempio il marciume dei cormi e la muffa grigia. Quest’ultima si presenta sulle foglie e fiori con macchie grigie: per rimuoverla bisogna agire sulle parti infette ricorrendo a fungicidi ad hoc. I funghi nel terreno possono portare al marciume dei cormi, dovendo rimuovere quelli colpiti e occupandosi di migliorare il terreno a livello del drenaggio. Per scongiurare questa problematica si possono applicare dei fungicidi sui cormi prima del trapianto. Il gladiolo è soggetto anche all’attacco di parassiti come gli afidi, che succhiano la linfa dei fiori e danneggiano le foglie. Per contrastarli è necessario ricorrere prontamente a trattamenti specifici. LEGGI TUTTO

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    Conifere, una guida per curare pini e abeti

    Il mondo delle conifere raccoglie una vasta quantità di piante che in Italia vivono in alta montagna o sul litorale, dove è presente un clima freddo o mite. Diamo uno sguardo nel dettaglio per conoscere meglio le conifere, i loro nomi e la differenza con le piante latifoglie.

    Che cosa sono le conifere?
    Le conifere sono piante arboree, contraddistinte proprio da foglie dalla forma di un ago e devono il loro nome al fatto che producono pigne, dette anche coni. Questi arbusti sono caratterizzati da una struttura che è in grado di resistere alle temperature rigide, con un fusto alto tra i 20-30 metri con al suo interno resina. I rami delle conifere si innescano nel fusto e, man mano che si va verso l’alto diventano più corti. In questa maniera, si nota la forma a cono, utile proprio per far scivolare facilmente la neve. Le foglie delle conifere sono aghi verdi di lunghezza massima 2 cm e sono distribuite a ciuffi lungo i rami. Come si può ben immaginare, le conifere sono delle piante sempreverdi ovvero che hanno un continuo ricambio degli aghi, così che i rami sono sempre coperti, ad eccezione del larice che è l’unica conifera che perde gli aghi.

    La differenza tra conifere e latifoglie
    Le conifere hanno un tronco cilindrico regolare, slanciato verso l’alto, mentre le latifoglie si presentano anche loro con un tronco cilindrico che in un certo punto si dividere per dare vita a più rami che danno la tipica forma rotondeggiante alla pianta. Un altro aspetto che differenzia le conifere dalle latifoglie riguarda l’altezza: infatti, le prime possono arrivare fino a 20-30 m, mentre le altre riescono addirittura a superare questa soglia diventando molto più maestose.

    L’elenco delle conifere
    Non tutti conoscono le conifere più comuni sul territorio italiano. Ecco allora una lista utile che consente proprio di individuarle e riconoscerle. Tra le varietà più comuni, ne indichiamo qui di seguito:
    · Abete rosso
    · Abete bianco
    · Larice
    · Pino marittimo
    · Pino domestico
    · Pino d’Aleppo
    · Pino silvestre
    · Cedro
    · Tasso
    Conosciamo da vicino alcune delle conifere più diffuse sul nostro territorio che si possono coltivare anche in vaso. In tal caso, è da considerare che la pianta non raggiuge l’altezza massima che arriva ad avere generalmente la conifera.

    1. L’abete rosso
    Quando si parla di abete rosso, in realtà ci riferiamo proprio al classico albero di Natale, caratterizzato da una corteccia tendente per l’appunto alla tonalità del rosso. Questa conifera si presenta con foglie appuntite distribuite densamente sui rami. I coni pendono proprio dai rami e, una volta maturi, cadono a terra interi. È una pianta che raggiunge anche i 45 metri d’altezza e troviamo comunemente tra i 1000 e 2000 metri di quota sulle Alpi e richiede un terreno fertile, leggermente acido, ma ben drenato. Nonostante ciò, il terreno deve essere umido per offrire la giusta umidità alla pianta, ma mai saturo di acqua, giacché in questo modo si rischia il marciume dell’apparato radicale o la comparsa di malattie fungine. In merito all’esposizione, invece, l’abete rosso ama zone soleggiate o parzialmente ombreggiate. Per quanto riguarda i pericoli per questa pianta, oltre ai ristagni idrici già accennati, vi è il bostrico. Questo insetto si presenta come un coleottero che danneggia in maniera pesante la flora boschiva. Anche gli afidi possono attaccare l’abete rosso, specie se è indebolito da annaffiature eccessive. Questi insetti succhiano a livello degli aghi e fanno ingiallire gli aghi vicini al tronco.

    2. Larice
    Un’altra delle piante classificate come conifere è il larice. Le foglie di questa pianta si presentano anch’esse come degli aghi raggruppati sui rami, di un verde chiaro. Come accennato in precedenza, si tratta di una conifera particolare, poiché è l’unica che con il sopraggiungere dell’autunno ingiallisce e resta priva di aghi durante la stagione fredda. Anche questa pianta si trova comunemente sulle Alpi tra i 1000 e 2000 metri, anche se è possibile vederla a 450 metri ed a un massimo di 2600 metri. Il larice, che può raggiungere i 45 metri d’altezza, può essere coltivato in qualunque terreno, anche se apprezza particolarmente quelli sabbiosi o ghiaiosi. L’esposizione preferita è a mezz’ombra, mentre per quanto riguarda l’irrigazione è meglio fare attenzione. Infatti, questa conifera deve essere irrigata moderatamente e più di frequente durante la stagione calda. Il larice è una pianta particolarmente resistente alle malattie, anche se può comunque incorrere in dei problemi. Per esempio, la ruggine del larice causa la perdita delle foglie ed è importante trattare correttamente la pianta per evitare qualunque problema. Anche in tal caso, parassiti e coleotteri rappresentano un pericolo per la pianta, dato che possono indebolire rami e foglie della conifera, portando addirittura alla morte.

    3. Pino marittimo
    Il pino marittimo è una pianta tipica della macchia mediterranea che si presenta con un fusto dritto che raggiunge i 20 metri e una chioma che ricorda vagamente un ombrello rovesciato. A differenza dell’abete, non deve far scivolare la neve, giacché questa pianta vive in climi miti e temperati. Gli aghi di questa pianta sono lunghi e riuniti a due a due. Questa pianta si adatta molto al clima, tanto che riesce a vivere in aree dove le temperature raggiungono i 35°C. Questa conifera tollera bene l’esposizione all’aria salmastra e gradisce il pieno sole. Per quanto riguarda la tipologia di terreno preferita dal pino marittimo, possiamo dire che gradisce suoli poveri ed aridi. Per quanto riguarda l’irrigazione, invece, il pino marittimo non ha particolari problemi: ha bisogno di più acqua con l’arrivo dell’estate e, se si presenta un periodo privo di piogge, è necessario annaffiare una volta alla settimana. Questa conifera, come tutte le altre, può essere attaccata dai parassiti: in particolare, la cocciniglia può attaccare il pino marittimo nella parte della corteccia, succhiando la sua linfa. Inoltre, i pini sono soggetti alla processionaria, ai distruttori di gemme e ai coleotteri. LEGGI TUTTO

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    Pandemie, cosa hanno a che fare gli animali spazzini e il Ginkgo biloba con la diffusione dei virus

    Ginkgo biloba, albero primitivo quasi estinto in natura, il Covid e una serie di carnivori notturni che nelle tenebre si nutrono di carcasse e marciumi di vario genere. Piante, animali e virus sono coinvolti in prima linea nella diffusione delle malattie. È un circolo antico, che risale a un periodo remoto nella storia dell’evoluzione. Un buco nero che poi emerge, in tutta la sua violenza, con le pandemie umane.

    È nella dieta disgustosa di alcuni mammiferi elusivi delle foreste dell’estremo Oriente che oggi viene ricercata l’origine dello spillover, il salto di specie dagli animali agli umani di virus come la SARS e il Covid-19. Una delle portate principali di questi menù sono i semi di Ginkgo o meglio l’involucro carnoso e maleodorante in cui sono avvolti. In termini botanici si chiama sarcotesta ed è un contorno rivoltante per la maggior parte degli animali ma pietanza ricercata per questi mammiferi che poi rilasciano il seme con le feci contribuendo così alla propagazione della specie. Questo menù esclusivo, perché destinato a pochi, nel corso di milioni di anni avrebbe trasformato questi animali in ordigni biologici a orologeria.

    Una tesi affascinante, che invita ad altre domande, proposta sull’ultimo numero della rivista scientifica internazionale Plants, People, Planet da Peter Del Tredici, decano dell’arboreto della Harvard University e uno dei maggiori conoscitori di questo albero leggendario. Gli imputati dello spillover, oltre al Ginkgo, sarebbero la civetta mascherata della palme (Paguma larvata), lontana parente dello zibetto, e il procione asiatico (Nyctereutes procyonoides). Entrambi gli animali sono allevati in Cina sia per la pelliccia che per il consumo di carne ed erano un piatto forte dei wet market, dove si vendevano animali vivi e dove si ritiene sia avvenuto il salto di specie del Covid.

    Salute

    Gli allevamenti di animali da pelliccia sono un possibile veicolo di pandemie: lo studio

    di Sandro Iannaccone

    16 Settembre 2024

    Nel 2003 la civetta è stata identificata come ospite intermedio per la trasmissione della SARS mentre il procione è considerato uno tra i possibili vettori animali della diffusione del Covid agli esseri umani nel 2019. In realtà, almeno per il Covid, non è mai stata chiarita del tutto l’origine animale del virus e non è stata ancora esclusa del tutto l’ipotesi della fuga di laboratorio dal Wuhan Institute of Virology, a poco più di dieci chilometri di distanza dal mercato epicentro della pandemia. LEGGI TUTTO

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    La Danimarca verso una carbon tax sugli allevamenti: “Primo paese al mondo”

    Il governo danese ha annunciato un accordo tra i partiti di maggioranza sull’introduzione di una carbon tax sugli allevamenti nel 2030, che sarebbe una prima mondiale, come parte di un piano per rendere l’agricoltura più verde. I partiti di maggioranza in parlamento hanno concordato i dettagli di un accordo per tassare le emissioni di metano, il secondo gas serra più potente nell’atmosfera, causate dalle flatulenze dei bovini e dei suini danesi a partire dal 2030, ha dichiarato il ministro in conferenza stampa.

    “Saremo il primo Paese al mondo a introdurre una carbon tax sull’agricoltura”, ha dichiarato il ministro del Clima Lars Aagaard presentando l’accordo, denominato ‘’Tripartito verde’’. A partire dal 2030, le emissioni di metano provenienti dagli allevamenti saranno tassate con un’aliquota di 300 corone (40,2 euro) per tonnellata di CO2 equivalente, che salirà a 750 corone per tonnellata nel 2035.

    Economia e ambiente

    Incentivi green, gli esperti: “Alcuni sussidi nascondono un rischio per l’ambiente”

    07 Ottobre 2024

    Grazie a una detrazione fiscale del 60%, il costo per gli agricoltori passerà da 120 corone per tonnellata nel 2030 a 300 corone nel 2035. Questa decisione fa parte di un testo più ampio sulla transizione ecologica nell’agricoltura, che dovrebbe ridurre le emissioni di azoto di 13.780 tonnellate all’anno entro il 2027. Un primo accordo di principio è stato raggiunto alla fine di giugno tra il governo e i rappresentanti degli allevatori, dell’industria e dei sindacati. Il testo presentato oggi tra il governo e i quattro partiti di maggioranza deve ancora essere votato in Parlamento.

    In una dichiarazione, i firmatari hanno descritto l’accordo come “il più grande cambiamento del paesaggio danese da oltre 100 anni”. “La natura danese cambierà in un modo che non abbiamo mai visto da quando le zone umide sono state prosciugate nel 1864”, ha dichiarato il ministro responsabile dell’accordo, Jeppe Bruus. Circa il 10% delle terre coltivate sarà restituito alla natura, compresa la piantumazione di 250.000 ettari di foresta, ovvero un miliardo di alberi, l’equivalente di “38 volte il giro del pianeta”, ha dichiarato Bruus.

    Agricoltura

    Nei paesi ricchi basterebbe il 13% in meno di carne bovina per ridurre la CO2

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Novembre 2024

    Secondo un rapporto parlamentare, circa il 60% della superficie della Danimarca è attualmente coltivato, il che la rende il Paese con la più grande quota di terra coltivata, insieme al Bangladesh. Secondo il Consiglio danese per l’agricoltura e l’alimentazione, la Danimarca è uno dei principali esportatori di carne suina, che rappresenta quasi la metà delle esportazioni agricole del Paese. LEGGI TUTTO

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    La centrale elettrica è virtuale ma il Gigawatt prodotto è reale

    Una centrale elettrica virtuale, sebbene nominalmente frutto di un bisticcio di termini, è un concetto molto reale: si parla semplicemente di mettere a fattore comune tutte le produzioni energetiche rinnovabili e gestirne in maniera intelligente la distribuzione, e infine il consumo. Ovviamente il sistema funziona solo se l’intelligenza è distribuita su tutta la rete. Ben […] LEGGI TUTTO