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    Cosa coltivare a giugno

    Giugno è il mese che segna l’inizio ufficiale dell’estate e che chiama la terra alla vita piena. I giorni si allungano, le temperature si stabilizzano, il rischio di gelate è un lontano ricordo. È proprio questo il momento perfetto per dedicarsi al giardinaggio: il terreno è ormai caldo e pronto ad accogliere una moltitudine di ortaggi, dai trapianti alle semine dirette. Ma cosa possiamo coltivare a giugno per sfruttare al meglio questo momento? Ecco una guida pratica per orti, balconi e giardini.
    Cosa coltivare nell’orto a giugno
    L’orto a giugno diventa un laboratorio di biodiversità. Le colture primaverili iniziano a maturare, mentre altre possono essere ancora seminate o trapiantate. Per ottenere il massimo dal vostro prezioso orto, ecco che cosa potete coltivare direttamente nel terreno nel primo mese dell’estate:

    Pomodori, meglio se già in piantina: prediligono esposizione piena al sole e terreno ben drenato;
    Zucchine, che crescono velocemente e offrono frutti già dopo 40-50 giorni;
    Peperoni e melanzane, che amano il caldo e possono essere trapiantati con facilità;
    Fagiolini, da seminare direttamente in terra, con raccolta prevista in circa due mesi;
    Cetrioli, perfetti per insalate estive e facilissimi da curare;
    Carote (varietà tardive), ideali per una raccolta nel periodo autunnale;
    Cavolfiore (sempre varietà tardive), da seminare nel terreno già lavorato;
    Cavoli (nero, cappuccio, broccolo, verza), tutti ideali per una raccolta in autunno;
    Da non dimenticare assolutamente anche tutte le insalate da taglio come lattuga, rucola, valeriana: seminando ogni due settimane, si assicura un raccolto continuo fino alla stagione autunnale. Sono l’evergreen dell’orto. LEGGI TUTTO

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    Solstizio d’estate 2025: quando cade, data e cosa sapere

    Giugno è entrato nel vivo portando temperature in rialzo e facendoci entrare a pieno ritmo nella bella stagione, con le prime giornate trascorse al mare e le ferie sempre più vicine. Se la primavera è ormai soltanto un ricordo, tuttavia, il cambio di stagione arriva ufficialmente con il solstizio d’estate: la data da cerchiare in rosso sul calendario è sabato 21 giugno, giorno in cui quest’anno inizia l’estate astronomica. Fenomeno affascinante e significativo, il solstizio d’estate viene festeggiato in molteplici culture, apre le porte ai mesi caldi e vede il Sole raggiungere la sua elevazione più alta nell’emisfero settentrionale, segnando la giornata più lunga dell’anno e la notte più corta.

    Che cos’è il solstizio d’estate e quando cade nel 2025
    Nel corso delle ultime settimane ci siamo lasciati la primavera alle spalle, le giornate si sono allungate progressivamente e il termometro è salito registrando temperature sempre più alte. Se l’estate meteorologica ha preso il via il 1 giugno, quella astronomica parte in concomitanza con il solstizio d’estate, evento particolare in cui le ore di luce giornaliere raggiungono la loro durata massima: nell’emisfero boreale il solstizio coincide con il giorno più luminoso e lungo di tutto l’anno.

    Questo fenomeno astronomico sancisce il passaggio di stagione, vede i raggi solari cadere perpendicolari al Tropico del Cancro e il Sole arrivare nel punto più alto del cielo rispetto all’orizzonte. Previsto in questo 2025 intorno alle 4:42 del mattino (ora italiana) del 21 giugno, l’evento corrisponde all’istante in cui l’emisfero nord della Terra è maggiormente inclinato verso il Sole. Guardando all’emisfero australe, invece, accade il contrario assistendo al solstizio d’inverno che determina l’inizio dell’inverno astronomico: quindi, dall’altra parte del globo si verifica la giornata più corta dell’anno.

    Cosa succede durante il solstizio d’estate
    Per quanto riguarda le cause del solstizio d’estate queste sono legate all’inclinazione della Terra e alla sua rotazione intorno al Sole, ovvero il suo moto di rivoluzione. Durante questo fenomeno astronomico il nostro Pianeta si trova in una posizione particolare lungo la sua orbita, in cui l’emisfero nord è rivolto al massimo verso il Sole. Gli equinozi e le stagioni si verificano in quanto l’asse della Terra è inclinato di 23,5° rispetto al piano dell’eclittica, ovvero il piano immaginario su cui giace l’orbita terrestre: se l’asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell’eclittica i raggi del Sole colpirebbero la Terra con la stessa inclinazione durante tutto l’anno e non ci sarebbero cambi di stagione.

    Nel solstizio d’estate i raggi solari illuminano il Circolo Polare Artico a differenza di quello Antartico che si trova invece al buio: al Polo Nord, punto maggiormente rivolto verso il Sole, in questa data la stella non tramonta e lo stesso fenomeno si verifica anche nelle altre località oltre il Circolo Polare Artico, dove a seconda delle latitudini si possono avere giorni o settimane di luce solare ininterrotta.

    Durante questo evento naturale nei luoghi a nord dell’equatore il giorno dura più di 12 ore, mentre in quelli a sud meno di 12 ore. Nel corso del solstizio d’estate il Sole arriva al massimo della sua posizione settentrionale, rimanendo sopra l’orizzonte più a lungo rispetto a tutto l’anno: in Italia resta in cielo tra le 14 e le 16 ore a seconda della latitudine, per poi iniziare una lenta discesa. Dopo il solstizio, a partire dal 22 giugno, le giornate iniziano ad accorciarsi in modo progressivo fino all’equinozio d’autunno, durante il quale le ore di buio e luce si equivalgono, e al solstizio d’inverno, che coincide con il giorno più breve di tutto l’anno.

    Curiosità sul solstizio d’estate
    La parola solstizio deriva dal latino solstitium e significa “Sole che sta fermo”. Questo termine è composto da sol, in riferimento al Sole, e il verbo stare, inteso come fermarsi, indicando il fatto che il Sole arriva al picco della sua altezza, non salendo ulteriormente rispetto all’orizzonte e, una volta giunto a questo punto, si ferma per poi cominciare la sua discesa che culmina il 21 dicembre con il solstizio d’inverno.

    Appuntamento cruciale nel calendario astronomico, determina l’inizio ufficiale della stagione estiva: pur essendo il giorno con il maggior numero di ore di Sole non coincide però con quello più caldo a causa del lag termico, ovvero il ritardo tra l’accumulo e il rilascio del calore ricevuto dal Sole da parte della Terra. Proprio per questo il picco di caldo si raggiunge tendenzialmente tra la fine di luglio e l’inizio di agosto.

    Il solstizio d’estate coincide con un istante preciso, proprio come quello d’inverno e gli equinozi, e in merito alla sua data questa può cambiare leggermente, verificandosi ogni anno tra il 20 e il 21 giugno: la variazione è dovuta al fatto che in calendario i giorni sono 365, ma la Terra per compiere un’orbita intera intorno al Sole impiega 365 giorni e circa 6 ore in più. È proprio questa discrepanza a determinare le variazioni annuali dei solstizi, come anche degli equinozi. Per evitare che le stagioni slittino in modo progressivo è previsto l’anno bisestile, che si verifica ogni 4 anni, durante il quale si riallineano i fenomeni astronomici.

    Il solstizio d’estate segna l’inizio della bella stagione ed è da sempre connesso ai concetti di vitalità, abbondanza, fertilità, luce e nuovi inizi: a partire dall’antichità è stato celebrato con tradizioni tramandate fino a oggi tra feste pagane e religiose, fuochi propiziatori e riti ed è associato alla rinascita dopo i mesi più freddi. Tra i luoghi più iconici dove si celebra la ricorrenza spicca Stonehenge, sito sacro custodito in Inghilterra e avvolto da un fascino misterioso, dove ogni anno approdano innumerevoli visitatori attratti dallo spettacolo del Sole che si allinea alla perfezione con le sue pietre durante il solstizio d’estate. LEGGI TUTTO

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    Sicurezza aerea, la crisi climatica e gli eventi estremi mettono a rischio l’aviazione

    RIMINI – Alla luce del recente tragico incidente del volo Air India 171, che è costato la vita a 241 persone e le cui cause non sono state ancora chiarite, il tema della sicurezza aerea è tornato prepotentemente all’onore della cronaca. Mentre si cerca di comprendere se si sia trattato di errore umano o di avaria ai motori, per poter adottare le eventuali contromisure, la comunità scientifica continua a discutere anche di altri fattori che mettono a rischio l’aviazione, in particolare gli eventi estremi connessi alla crisi climatica. Gli ultimi risultati delle ricerche in questo settore, e le contromisure messe in atto da aeroporti, piloti, costruttori di aeromobili e decisori politici – tutti gli stakeholder dell’industria – sono stati recentemente discussi a Ecca 25, il congresso internazionale organizzato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) dedicato alle strategie di adattamento alla crisi climatica.

    Trasporti

    Lo studio T&E: “Meno scie e cambio di tragitto per il 3% dei voli per dimezzare le emissioni”

    di Pasquale Raicaldo

    13 Novembre 2024

    Emissioni dall’aviazione, un problema in crescita
    Circa il 3% delle emissioni di gas serra in tutto il mondo derivano dall’aviazione. Non sembra una quota particolarmente preoccupante, ma lo diventa se si tiene conto che appena il 10% della popolazione mondiale è solita volare in aereo, e che la domanda continua a salire: nei prossimi anni, dunque, ci si aspetta un aumento delle emissioni e dunque un effetto più marcato dell’industria aeronautica sulla crisi climatica. Qualche cifra: nel 2022, dopo un breve rallentamento dovuto alla pandemia, le emissioni del settore hanno superato gli 800 milioni di tonnellate di CO?, tornando all’80% del periodo pre-CoViD; inoltre, gli aerei rilasciano anche ossidi di azoto, particolato e scie di condensazione, che amplificano notevolmente l’effetto climalterante dell’anidride carbonica. In Europa, le proporzioni sono ancora più marcate rispetto alla media mondiale: nel 2023, i voli in partenza hanno generato 133 milioni di tonnellate di CO?, ossia il 12% circa delle emissioni nel settore del traporto e il 4% circa di tutte le emissioni dell’intera regione. E ora il pianeta sta presentando il conto: se gli aerei contribuiscono a cambiare il clima, il clima che cambia rende più pericoloso volare.

    Trasporti

    Più turbolenze nei nostri cieli, così il cambiamento climatico cambia il nostro modo di volare

    di Pasquale Raicaldo

    14 Dicembre 2024

    Turbolenze, aumento del livello del mare, fulmini
    “I fattori connessi alla crisi climatica che hanno un impatto sulla sicurezza dell’aviazione sono parecchi, e provocano effetti diversi”, ha spiegato Paul Williams, docente di scienze atmosferiche al dipartimento di meteorologia della University of Reading e a capo della Weather Research Division dell’ateneo britannico. “Alcuni sono più inaspettati di altri: generalmente si pensa alle turbolenze e ai fulmini, ma in realtà c’è anche altro”. L’aumento del livello del mare, per esempio: una stima del 2021 ha calcolato che l’innalzamento delle acque farà sì che nei prossimi anni cento aeroporti si troveranno sotto il livello del mare. E poi l’aumento delle temperature: “Quando fa più caldo”, dice Williams, “le prestazioni del motore si riducono, e dunque è necessaria una pista più lunga per il decollo”. In uno studio pubblicato quest’anno nell’ambito del progetto Aeroplane, Williams e colleghi hanno valutato gli effetti dell’aumento delle temperature sulla lunghezza della pista necessaria a decollare in sicurezza in tre diversi scenari di emissioni: nei prossimi dieci anni un Airbus A320 avrà bisogno dell’8% di pista in più – e gli aeroporti dovranno adattarsi di conseguenza. Per non parlare dei fulmini, la cui frequenza aumenta del 12% per ogni grado di temperatura in più, e delle grandinate, anch’esse sempre più frequenti. Ma il rischio più importante, come anticipato, è quello delle turbolenze, che nel periodo 1980-2020 sono aumentate del 41% nei cieli sopra gli Stati Uniti e del 55% sopra l’oceano Atlantico.

    Le strategie per rispondere
    L’industria dell’aviazione sta cercando di mettere in atto tutte le strategie di adattamento e le contromisure per rispondere a questi rischi. A partire, per esempio, dagli aeroporti: “Nell’ultimo anno”, ha raccontato Davide Bassano, direttore della sostenibilità del gruppo Save, che gestisce gli aeroporti di Venezia, Treviso, Verona e Brescia, “abbiamo avviato un progetto di analisi del rischio per la sicurezza aeroportuale e per il benessere dei passeggeri nell’aeroporto di Venezia in tre scenari diversi di emissioni (ottimistico, intermedio e pessimistico)”. L’analisi, che a breve sarà svolta anche sugli altri aeroporti del gruppo, ha svelato, per tutti e tre gli scenari, un rischio elevato e crescente di ondate di calore, venti forti, inondazioni della pista, stress termico per infrastrutture e persone; ma ha anche messo in luce che i rischi possono essere mitigati adattando appropriatamente le infrastrutture aeroportuali. Probabilmente cambierà anche il modo di volare, e anche piloti e costruttori dovranno adattarsi di conseguenza: il caldo, riducendo la densità dell’aria, aumenterà la velocità necessaria a sviluppare la portanza richiesta a mantenere l’aereo in aria e quindi costringerà i piloti a volare a velocità maggiori e i costruttori a prevedere aeromobili in grado di sostenere queste velocità. Possibilmente senza aumentare i consumi e le emissioni. LEGGI TUTTO

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    Dente di leone o tarassaco: fiore, differenze, cura e coltivazione

    Il tarassaco, noto anche come dente di leone, è una pianta spontanea che colora i nostri prati con il suo vivace fiore giallo. Spesso considerato un’erbaccia, il tarassaco nasconde in realtà proprietà benefiche e versatilità in cucina. In questo articolo ne esploreremo le caratteristiche, le sue differenze rispetto ad altre piante simili, e forniremo consigli su come curarlo e coltivarlo.?

    Le caratteristiche principali del tarassaco (o dente di leone): come riconoscerlo
    Il tarassaco (Taraxacum officinale) è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Asteracee. Si distingue per le sue foglie basali disposte a rosetta, lunghe e dentellate, che ricordano la forma di un dente di leone, da cui deriva il nome comune. Il fiore è un capolino di colore giallo brillante, composto da numerosi piccoli fiori ligulati. Dopo la fioritura, il fiore si trasforma in una sfera soffice e bianca, comunemente chiamata “soffione”, che contiene i semi dispersi dal vento.

    Differenze tra tarassaco e altre piante simili
    Il tarassaco è spesso confuso con altre piante, come la cicoria, ma ci sono alcune importanti differenze da tenere presenti per non sbagliarsi. Tra queste:

    Fiori: il tarassaco presenta fiori gialli, mentre la cicoria ha fiori di colore azzurro;
    Foglie: le foglie del tarassaco sono verdi, con margini dentellati, mentre quelle della cicoria possono presentare venature rossastre;
    Proprietà nutrizionali: la cicoria è ricca di vitamina K e calcio, mentre il tarassaco è particolarmente ricco di vitamina A e potassio.

    Come coltivare il tarassaco: in giardino e/o in vaso
    Coltivare il tarassaco è semplice e alla portata di tutti. Può crescere in piena terra senza bisogno di particolari cure, ma si adatta bene anche alla coltivazione in vaso. In giardino, non richiede concimazioni specifiche, a meno che il terreno non sia particolarmente povero: in questo caso, si può intervenire con del compost organico al momento della semina. Se coltivato in vaso, invece, è consigliabile un concime liquido biologico da aggiungere all’acqua ogni dieci giorni durante la primavera e l’estate. In linea di massima, è sempre bene utilizzare un terreno fresco e ben drenato, anche se la pianta è capace di adattarsi a diversi tipi di suolo. Per quanto riguarda l’esposizione, invece, il tarassaco (o dente di leone) cresce bene sia al sole, sia in zone di mezz’ombra. La sua temperatura ideale? 25°, anche se continua a crescere anche quando molte piante vanno in riposo vegetativo.

    Dente di leone o tarassaco: semina, annaffiatura e concimazione
    Per quanto riguarda semina, irrigazione e concimazione, in realtà le regole non sono poi così difficili da seguire. Partendo dalla semina, bisogna ricordarsi solamente che questa piò avvenire da marzo a maggio, oppure tra fine aprile e giugno direttamente a dimora in piena terra.
    L’annaffiatura, invece, deve essere particolarmente regolar durante i periodi caldi (anche due volte al giorno), ma bisogna sempre fare particolare attenzione ai ristagni idrici, nemici principali di ogni pianta.
    Infine, la concimazione: in realtà in tarassaco non richiede particolari azioni; in vaso, ad esempio, si può utilizzare un concime liquidi biologico ogni dieci giorni in primavera ed estate.
    Cura del tarassaco
    Il tarassaco è una pianta resistente, ma alcune attenzioni, se costanti, possono favorirne una crescita particolarmente fruttuosa. Partiamo dalla raccolta: per un consumo alimentare, è consigliabile raccogliere le foglie prima della fioritura, quando sono più tenere e meno amare. Per quanto concerne le malattie, invece, si può stare abbastanza tranquilli. Il dente di leone, infatti, è raramente soggetto a infestazioni, ma può, occasionalmente, essere colpito da oidio, la classica patina bianca che compare sulle foglie. Essendo molto resistente anche ai parassiti, non necessita di trattamenti specifici, anche se è sempre buona norma mantenere pulito il giardino (se coltivato fuori) ed eliminare le foglie marcescenti.

    Insomma, coltivare il dente di leone – tarassaco non è assolutamente cosa difficile, anzi. È il fiore che più di tutti incarna la resilienza della natura; spunta ovunque, nei prati, ai bordi delle strade, nei campi incolti e persino tra le crepe dell’asfalto. La sua capacità auto disseminarsi lo rende praticamente inarrestabile: i suoi leggeri pappi, trasportati dal vento, ne diffondono i semi a grande distanza, garantendone la presenza ovunque, dalle pianure fino alle zone montane. Eppure, proprio questa sua straordinaria capacità di adattamento gli ha valso una reputazione controversa: per molti, è solo una pianta infestante, difficile da eliminare e destinata a invadere giardini e orti. Ma guardando oltre i pregiudizi, il tarassaco si rivela una specie sorprendente, utile in fitoterapia, ricca di proprietà benefiche e persino commestibile. Coltivarla è un piacere, ed è pure facile: ecco perché dovreste provare. LEGGI TUTTO

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    Etichetta energetica anche su smartphone e tablet: cosa cambia per ricarica e riciclo

    A partire dal 20 giugno 2025 tutti gli smartphone e tablet dovranno rispettare i nuovi regolamenti Ue riguardanti l’efficienza energetica, la riparabilità e l’aggiornamento software. In pratica questi dispositivi saranno contraddistinti da un’etichettatura che ricorda quella già applicata agli elettrodomestici: semplici adesivi con colori, simboli e numeri. La svolta si deve al Regolamento (UE) 2023/1670 che stabilisce una serie di specifiche minime che questi prodotti dovranno rispettare per incrementare la loro longevità e gestione del ciclo di vita, con effetti benefici sulla raccolta dei rifiuti elettronici (RAEE). Ogni indicazione è contenuta in due regolamenti approvati dalla Commissione Ue nell’ambito del Green Deal europeo: uno sull’etichettatura energetica e un altro sulla progettazione ecocompatibile (Ecodesign). LEGGI TUTTO

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    Pesticidi tossici rinvenuti nella pioggia: lo studio in Giappone

    Pesticidi vietati in Europa, ma trovati nell’acqua piovana, quindi nell’ambiente. La scoperta in uno studio condotto in Giappone, che fa tornare attuale il dibattito sui neonicotinoidi, una classe di insetticidi sintetici, nata tra gli anni ’80 e ’90 che in pochi anni sono diventati tra i pesticidi più utilizzati a livello mondiale. Ma l’Ue ha deciso di vietarli a partire dal 2018, nonostante le pressioni esterne ed i ricorsi ai tribunali. La diffusione massiccia dei neonicotinoidi è legata all’utilizzo nella protezione delle colture agricole, e nel controllo dei parassiti negli animali domestici. Le sostanze chimiche contenuti in questi pesticidi sono neurotossiche ed agiscono sul sistema nervoso degli insetti, causando paralisi e infine la morte.

    Salute e ambiente

    Pfas nel vino 100 volte superiori rispetto all’acqua potabile

    di Paola Arosio

    30 Maggio 2025

    Una delle caratteristiche che ne ha determinato il successo globale è che sono sistemici, cioè una volta applicati vengono assorbiti dalla pianta e si diffondono in tutti i suoi tessuti: foglie, fusto, radici e anche nel polline e nettare. Questo li rende efficaci contro gli insetti che si nutrono della pianta, ma rappresenta anche un grosso problema per gli organismi non bersaglio.

    Infatti, nonostante la loro indubbia efficacia, i neonicotinoidi sono stati oggetto di forti critiche (e divieti) proprio a causa dell’impatto ambientale, in particolare nei confronti di api, bombi e altri insetti impollinatori. Anche a dosi non letali, i neonicotinoidi possono causare gravi problemi al sistema nervoso degli impollinatori, disorientandoli, compromettendo la loro capacità di ritrovare l’alveare. Alcuni studi hanno persino suggerito che le api possano sviluppare una sorta di “dipendenza” da queste sostanze.

    Biodiversità

    Riscaldamento globale e agricoltura intensiva: un cocktail letale per le api

    di Simone Valesini

    20 Maggio 2025

    Altro fattore negativo è la contaminazione ambientale. Usati sulle piante, possono raggiungere facilmente ed intossicare le acque sotterranee, i pozze, i fiumi, mettendo a rischio anche gli organismi acquatici, con ricadute sulla catena alimentare; ci sono rischi anche per diverse specie di fauna selvatica, come le farfalle ed i coleotteri, con possibili ripercussioni per gli uccelli. L’Unione Europea, in tempi recenti, ha riconosciuto i gravi rischi associati ai neonicotinoidi e ha adottato misure restrittive imponendo un divieto quasi totale sull’uso di alcuni neonicotinoidi per tutti gli impieghi esterni su colture. Vietata anche l’esportazione, che avveniva in special modo verso i paesi più poveri, così come l’importazione di alimenti per le api, contaminati da neonicotinoidi. Ed a buona ragione, visto che quello che è stato scoperto da uno studio in Giappone, il primo al mondo, che ha svelato la sua presenza nell’acqua piovana.

    Infatti dal 1993, gli insetticidi neonicotinoidi sono ampiamente utilizzati anche in Giappone, principalmente per la coltivazione del riso e la protezione delle pinete. Fino ad oggi, però, si ipotizzava che la diffusione dell’insetticida nell’ambiente avvenisse principalmente attraverso il deflusso idrico dai terreni agricoli, essendo le sostanze che lo compongono poco volatili, cioè poco inclini all’evaporazione e per questo non si potessero trovare nell’aria o nella pioggia.

    Ambiente e Salute

    Nelle case europee quasi 200 pesticidi “invisibili”: “Mix potenzialmente tossico”

    di Pasquale Raicaldo,

    18 Aprile 2025

    Al contrario, la ricerca condotta dal professor Masumi Yamamuro dell’Università di Tokyo ha dimostrato, che si trovano anche nella acqua, che scende dalle nuvole; lo studio nipponico quindi, ha rivelato che le precipitazioni potrebbero diventare un potenziale mezzo di inquinamento ambientale del tutto incontrollato. Per lo studio, sono stati raccolti campioni di acqua provenienti da due città del Giappone, Tsukuba e Kashiwa, analizzati in diversi mesi del 2023 e 2024.

    I risultati non hanno lasciato dubbi. Il 91% dei campioni conteneva neonicotinoidi, con la concentrazione totale più alta di 1,72 ng/L rilevata ad agosto 2024. Tra le sostanze contenute l’acetamiprid si è classificato al primo posto con una frequenza di rilevamento dell’82%, seguito da thiacloprid, 73% e dinotefuran 45%, alcune delle quali sono le sostante vietate in Ue dal 2018.

    E di fatto la ricerca giapponese è il primo rapporto scientifico che dimostra la presenza di neonicotinoidi nelle precipitazioni, mentre uno studio precedente, sempre giapponese, ma datato 2019 aveva evidenziato che questa classe di pesticidi avrebbe avuto un contribuito impattante nella morte di massa di diverse specie di pesci, crostacei e plancton in un lago situato nella regione meridionale del Paese.

    Ora la questione degli effetti dei neonicotinoidi potenzialmente riguarda anche la salute umana, per questo ci sono ancora ricerche in corso, non potendo escludere rischi per l’uomo, soprattutto a seguito di esposizioni prolungate o in determinate condizioni, come la gravidanza. Infatti a preoccupare l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, è il potenziale effetto neurotossico che potrebbe avere nella fase di sviluppo dell’embrione, il feto e il bambino. Ragioni sufficienti per l’EFSA che ha suggerito di abbassare alcuni livelli guida per l’esposizione e ha richiesto che gli studi sulla neurotossicità in fase di sviluppo diventino parte integrante delle richieste di autorizzazione per la commercializzazione di questi prodotti.

    Questa ricerca dunque, per la prima volta al mondo dimostra in modo chiaro che i neonicotinoidi, possono viaggiare nell’aria e cadere a terra con la pioggia, che potenzialmente può raggiungere anche luoghi molto lontani dai campi dove vengono usati. LEGGI TUTTO

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    Clima, le foreste della Nuova Zelanda assorbono il 60% in più di CO2

    Le foreste della Nuova Zelanda stanno assorbendo una quantità più anidride carbonica superiore di quanto inizialmente stimato. Addirittura la capacità di assorbimento del carbonio delle foreste native potrebbe essere al 60% maggiore di quanto calcolato fino adesso dagli scienziati. A rivelare il ruolo cruciale di queste foreste è uno studio pubblicato sulla rivista Atmospheric Chemistry […] LEGGI TUTTO

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    Le startup di ZERO, l’acceleratore cleantech di Cdp Venture

    Il cleantech si conferma uno dei settori più promettenti dell’innovazione in Italia. Nel 2024, pur in un contesto di investimenti pressoché stabili, il comparto ha registrato un numero record di 72 operazioni di venture capital per oltre 177 milioni di euro raccolti. A livello early-stage, l’ecosistema mostra grande fermento, ma per competere su scala europea è fondamentale accelerare l’adozione industriale delle tecnologie sviluppate dalle startup. In questo scenario, modelli come Zero, l’acceleratore Cleantech della Rete Nazionale Acceleratori di CDP Venture Capital – con Eni attraverso Joule, la sua scuola per l’impresa – capaci di coordinare capitali, industria e ricerca, rappresentano una leva strategica per rafforzare la competitività sostenibile del nostro sistema produttivo. Nel corso della quarta edizione del Demo Day, l’evento di presentazione delle startup accelerate, ZERO ha rafforzato il proprio approccio ‘industry-driven’, selezionando startup capaci di rispondere alle sfide industriali attuali. Su oltre 260 candidature ricevute, 12 startup sono state ammesse al programma. Tra queste, 5 startup hanno concluso il percorso di accelerazione con risultati importanti: 4 hanno ottenuto un investimento pre-seed; 3 hanno realizzato un proof of concept (PoC) con i partner dell’acceleratore mentre una startup ha portato a termine una sperimentazione industriale con una PMI del network di SACE, nell’ottica di abilitare l’innovazione Cleantech di filiera.

    “L’Acceleratore Zero è diventato un punto di riferimento per l’innovazione in Italia, in particolare per le soluzioni a supporto della transizione energetica” – racconta Stefano Molino a Green&Blue – Senior Partner e Responsabile del Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital. “Nelle quattro edizioni del programma, anche grazie alle sinergie sviluppate con i partner di Zero, abbiamo contributo alla nascita di nuove imprese con grandi prospettive di crescita. In questa quarta edizione ci siamo concentrati sulle applicazioni industriali di queste tecnologie e siamo convinti che le cinque startup accelerate porteranno benefici diffusi a tutto il settore”.

    I settori
    I settori delle soluzioni presentate spaziano dall’economia circolare, alla sostenibilità delle operations a livello industriale fino alle nuove fonti di energia e alle soluzioni tecnologiche in ottica smart city. Il programma ha incluso anche fasi strutturate di definizione di use case e studi di fattibilità, favorendo un processo di integrazione graduale delle tecnologie nelle operations aziendali. “Con il programma Zero ormai da diversi anni mettiamo al centro non solo la ricerca di soluzioni tecnologiche legate alle nuove energie – in ambito smart city e mobilità sostenibile – ma anche l’integrazione nella nostra filiera: questo ci consente di valorizzare i talenti imprenditoriali e generare impatto economico, sociale e ambientale. È il caso di Koalisation, la startup climate tech che sviluppa progetti di compensazione carbonica su larga scala e che ha testato una soluzione nel Programma Clean Cooking di Eni volto a migliorare l’efficienza dei fornelli in Africa. Un percorso di collaborazione con Eni che sta proseguendo con successo, accrescendo l’ambito di azione”, ha raccontato Antonietta De Sanctis, Head of Accelerator Program of Joule, la Scuola di Eni per l’impresa.

    Zero promuove la crescita sostenibile delle startup, attraverso strumenti avanzati di valutazione dell’impatto. Grazie al supporto di Elis, Eni Joule e di Open Impact, sono stati mappati oltre 187 indicatori di performance ambientale raggiunti dalle startup ed è stato calcolato lo SROI (Social Return on Investment), ovvero il ritorno sociale prodotto rispetto al capitale investito. Per le 5 startup accelerate, il valore medio dello SROI è risultato pari a 2,61: un impatto sociale di circa tre volte rispetto all’investimento iniziale.

    “ZERO, punto di riferimento per l’innovazione Cleantech in Italia”
    L’acceleratore ZERO si conferma una piattaforma d’innovazione cruciale in Italia, capace di attivare collaborazioni concrete tra startup, investitori e grandi aziende. Al fianco di CDP Venture Capital ed Eni, partecipano all’iniziativa Zest ed Elis in qualità di co-investitori e gestori del programma di accelerazione, leader della ricerca come il CNR ed ESA, oltre a importanti partner industriali come Acea, Microsoft, SACE, Saipem e Vodafone. Una rete che mette a sistema capitali pre-seed, metodologie per lo sviluppo d’impresa, anche in chiave di sostenibilità, know-how tecnico-scientifico e asset industriali per sostenere la crescita delle startup Cleantech e guidare l’innovazione lungo le filiere produttive italiane.

    “Crediamo che il modello di partenariato attivato da Zero rappresenti l’evoluzione naturale dell’accelerazione: non più un semplice programma, ma una piattaforma di sviluppo che opera lungo tutta la catena del valore industriale. Unendo venture capital, corporate e mondo della ricerca, abilitiamo una transizione cleantech concreta, strutturata e scalabile. Questo approccio di filiera può rappresentare il modello di acceleratore del futuro”, ha aggiunto Antonella Zullo, Ceo di Zest Innovation. “Con Zero abbiamo contribuito a costruire un nuovo modello di accelerazione che unisce ricerca, corporate e venture capital per sviluppare soluzioni Cleantech ad alto impatto, pronte per il mercato. Oltre alla validazione tecnica e di business, abbiamo portato strumenti di misurazione dello SROI, aiutando le startup a valorizzare il proprio impatto sociale, ambientale ed economico. Crediamo che il futuro dell’innovazione passi da piattaforme che attivano le filiere e le eccellenze italiane – università, centri di ricerca, territori – per una transizione davvero sistemica e scalabile”, ha affermato Luciano De Propris, Director Open Innovation di ELIS Innovation Hub.

    Le startup CleanTech
    Dall’economia circolare, alla sostenibilità delle operations a livello industriale fino alle nuove fonti di energia e alle soluzioni tecnologiche in ottica smart city. Ecco le cinque giovani imprese che hanno completato il programma di accelerazione, dimostrando il potenziale industriale delle loro soluzioni innovative per la transizione ecologica del Paese. Le startup presentate al Demo Day 2025 di Zero sono:

    Bufaga: startup che sviluppa dispositivi IoT per la rimozione di inquinanti dall’aria e raccolgono dati ESG, offrendo alle aziende soluzioni di sostenibilità misurabili e nuove opportunità di business tramite modelli pubblicitari su veicoli e infrastrutture. Co-founder e CEO Serena Mignucci.

    Climate Charted: startup che aiuta banche e assicurazioni a ridurre il rischio climatico collegando clienti con soluzioni di mitigazione per alluvioni e terremoti, abbassando premi assicurativi e migliorando le condizioni di prestito. Co-founder, Lorenzo e Giovanni Campana.

    EXE Engineering: startup che automatizza la raccolta di biogas dalle discariche, aumentando l’efficienza fino al 70% e riducendo le emissioni di metano, ottimizzando così la produzione di energia rinnovabile e la sicurezza operativa. CFO & Managing Director Davide Cecchini.

    Heiwit: startup che produce batterie al sodio come alternativa sostenibile al litio, riducendo i costi e la dipendenza da materiali critici, con applicazioni in energia rinnovabile, mobilità elettrica e settori industriali. CEO & Founder Alessandro Gallani.

    Overlab: startup che ha sviluppato Greenverse, una piattaforma IoT che misura in tempo reale l’impronta ambientale dei processi industriali, aiutando le aziende a ridurre costi, emissioni di CO? e rischi di greenwashing. CEO & Founder Giovanni Fracasso. LEGGI TUTTO