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    Cop29, Jude Law e altre stelle di Hollywood contro Big Oil: “Stanno distruggendo il Pianeta”

    All’improvviso Jude Law. In una Cop29 che fatica a trovare punti d’intesa sulla finanza climatica e quei trilioni di dollari da mettere sul tavolo per aiutare i Paesi meno sviluppati a reggere gli impatti del nuovo clima, ogni piccola parola, endorsement o sostegno alla spinta necessaria per un cambio di rotta possono essere decisive per fare aprire gli occhi su cosa è davvero fondamentale per il futuro. Per questo non passa inosservato l’ultimo prestigioso attore, la star di Hollywood Jude Law, che si è aggiunto alla campagna #PaybackTime lanciata dall’associazione Global Witness per chiedere che a pagare i conti della crisi climatica siano coloro che la alimentano: le aziende di combustibili fossili, quelle che fanno extraprofitti di miliardi di dollari “continuando ad aumentare le emissioni climalteranti”.

    Jude Law che, proprio mentre i negoziati di Baku vanno (a rilento) verso la conclusione, ha affermato come dal suo punto di vista “petrolio, gas e carbone stanno danneggiando il nostro Pianeta, causando un’ondata di eventi meteorologici mortali. È tempo dunque che le aziende di combustibili fossili rispondano delle loro azioni”. La star britannica si aggiunge ad altre celebrità, politici ed attivisti che hanno sottoscritto l’appello di Global Witness, fra cui l’ex presidente irlandese Mary Robinson, i registi Adam McKay e Joshua Oppenheimer, Michael Shannon, l’attrice di Star Wars Rosario Dawson, la star di “Harry Potter” Bonnie Wright, l’attore britannico David Harewood, Mark Rylance, Aisling Bea, i musicisti Brian Eno e Jon Hopkins e tanti attivisti per il clima tra cui Vanessa Nakate, Kumi Naidoo e Luisa Neubauer.

    A inizio Cop29 gli attivisti di Global Witness avevano fatto uno “scherzetto” non troppo gradito alla presidenza azera, quella che – attraverso le parole del presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev – ha definito più volte i combustibili fossili come “un dono di Dio”. Il dominio cop29.com era stato acquistato in passato da una coppia indiana: l’Azerbaijan ha offerto loro denaro per acquistarlo ma – sostiene Global Witness – “preoccupata per il clima quella coppia ha deciso anziché di venderlo agli azeri di affidarlo a noi”. Il collettivo è così entrato in possesso di cop29.com (il sito ufficiale è invece com29.az) attirando sul portale tantissimi visitatori e sulla homepage, anziché informazioni sulla Conferenza sul clima, ha messo una foto con i volti dei manager delle aziende del petrolio e del gas e la scritta “le aziende che sfruttano i combustibili fossili stanno distruggendo il Pianeta per trarne profitto. L’hanno rotto, dovrebbero pagarlo loro”. Con queste parole è nata la campagna – ora globale – per ricordare sia che “petrolio, gas e carbone sono responsabili di quasi il 90% delle emissioni di anidride carbonica” sia che ogni anno queste aziende “guadagnano trilioni in extraprofitti”, trilioni che servirebbero “per ripagare dei danni fatti. Per decenni molte aziende di combustibili fossili hanno ignorato i propri scienziati e finanziato campagne di negazionismo climatico per continuare a far fluire i propri profitti, e ora interi Paesi rischiano di essere spazzati via dalla mappa. Le aziende petrolifere amano pubblicizzare le proprie credenziali verdi, ma in realtà investono solo una piccola quantità in energia verde. È tempo di far pagare chi inquina” aggiungono i promotori della campagna che punta a “chiedere ai governi di obbligare le grandi compagnie petrolifere a pagare per aiutare le comunità a ricostruirsi e a proteggersi da un clima sempre più selvaggio”.

    Richieste che in futuro, negli Usa guidati dal negazionista Donald Trump, che ha scelto come ministro dell’Energia Chris Wright, manager del fracking e forte protezionista dell’industria del fossile, potrebbero risultare impossibili. Anche negli Usa però, come Jude Law che chiede alle aziende del fossile di “rispondere delle loro azioni”, c’è chi si sta impegnando per una diversa narrativa capace di mettere in risalto le responsabilità delle multinazionali oil&gas: proprio il mese prossimo debutterà negli States il film “The End”, pellicola post-apocalittica del regista Joshua Oppenheimer che affronta il ruolo dell’industria dei combustibili fossili nella crisi climatica. LEGGI TUTTO

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    Cop29, nessun compromesso e opzioni senza cifre per la finanza climatica. Hoekstra: “Inaccettabile”

    BAKU. “Il testo che abbiamo ora davanti a noi, a nostro avviso, è sbilanciato, inattuabile e inaccettabile”. La bocciatura di Woepke Hoekstra, capo della delegazione Ue a Baku, nell’intervento che apre la plenaria al penultimo giorno di Cop29, è totale. Il commissario europeo al clima fa notare come il testo faccia passi indietro, soprattutto sulla mitigazione, vale a dire il taglio alle emissioni di gas serra, rispetto alle intese raggiunte l’anno scorso a Dubai. Gli fa eco il rappresentante dell’Australia: “La triplicazione delle rinnovabili, il raddoppio dell’efficienza energetica e la transition away dai combustibili fossili, (tutti impegni presi a Dubai, ndr) sono nascosti nel testo presentato questa mattina dalla presidenza di Cop29”.

    La replica è affidata ai leader africani che rappresentano il Gruppo dei 77 più la Cina: la vera lacuna del testo è che manca un quantum, la cifra che i Paesi ricchi devono versare a quelli in via di sviluppo e vulnerabile. “Cifra che noi abbiamo indicato in 1,3 trilioni di dollari”. Solo quando ci sarà un numero si potrà parlare delle misure da attuare per la mitigazione e l’adattamento (la prevenzione contro gli effetti dei cambiamenti climatici).

    “Ci sono Paesi che alla Cop29 dicono ‘non parliamo di mitigazione, parliamo solo di finanza’” ha commentato il ministro italiano dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin. “Noi diciamo no, siamo pronti parlare di finanza, ma dobbiamo parlare anche di mitigazione”.

    Lo scontro tra due visioni del mondo va in scena in una riunione plenaria che il presidente di Cop29, l’azero Babayev, ribattezza Qurultay: un concilio politico militare tipico dell’aristocrazia medievale delle steppe asiatiche. I ministri dei quasi 200 Paesi presenti a Baku sono convocati alle 12 locali dopo che all’alba era stata diffusa la bozza di “disaccordo” della Cop29. Occorrerla scorrerla fino al punto numero 22 per cogliere quanto sia ancora ampia la distanza tre le posizioni in campo sulla finanza climatica, il vero cuore di questa Cop. I primi 21 paragrafi descrivono il “Contesto”. Da lì in poi si parla di “Goal”, obiettivi, e le strade si dividono tra i due schieramenti: Sviluppati contro In via di sviluppo. Tanto da rendere necessarie due ipotesi (Opzione ministeriale 1 e 2) totalmente alternative.

    La prima, evidentemente espressione dei Paesi in via di sviluppo (Gruppo dei 77 più Cina) “decide di stabilire un New Collective Quantified Goal on climate finance di almeno [X] trilioni di dollari all’anno, dal 2025 al 2035, forniti e mobilitati dai Paesi sviluppati a tutti i Paesi in via di sviluppo e per rispondere alle loro esigenze in evoluzione, in sovvenzioni a fondo perduto o in termini equivalenti…”. Decide inoltre che siano specificate le cifre di denaro pubblico effettivamente erogato e di finanza privata mobilizzata grazie al denaro pubblico. Invita i Paesi in via di sviluppo disposte a contribuire (Cina, India, Paesi del Golfo, ndr) “a fornire tale sostegno volontariamente in conformità con l’articolo 9.2 dell’Accordo di Parigi” (che già prevede tale contribuzione volontaria, ndr). E soprattutto: “Questo sostegno volontario non sarà contabilizzato nel New Collective Quantified Goal”. Dunque nessuna cifra (resta una enigmatica X che però precede la parola trilioni), ma una serie di precisazioni: devono essere i soli Paesi ricchi a riempire di soldi il cassetto della finanza climatica, devono farlo con sovvenzioni a fondo perduto e non con prestiti i cui interessi finirebbero per indebitare ulteriormente i Paesi in via di sviluppo. E nessun allargamento della base dei donatori: i più grandi tra i Paesi in via di sviluppo possono aiutare economicamente gli altri contro il cambiamento climatico, in modo volontario e senza essere conteggiati nella finanza climatica prevista dall’Accordo di Parigi.

    L’Opzione ministeriale 2 “decide di stabilire un obiettivo di aumento della finanza globale per l’azione per il clima a [X] trilioni di dollari all’anno, entro il 2035, da tutte le fonti di finanziamento”. E più avanti: “stabilisce un obiettivo di mobilitare collettivamente [da un limite minimo di 100 in su] miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per i Paesi in via di sviluppo da un’ampia gamma di fonti e strumenti, tra cui fonti pubbliche, private e innovative, da canali bilaterali e multilaterali… con l’obiettivo di essere perseguito con i Paesi sviluppati che assumono la guida nel contesto dello sforzo globale e includendo gli sforzi di altri Paesi con la capacità economica di contribuire…”. Anche in questo caso si parla di X trilioni, ma nel calderone ci si mette di tutto, finanza pubblica e privata. Inoltre i Paesi ricchi “assumono la guida” ma includono lo sforzo di “altri Paesi con la capacità economica”. Leggasi Cina et al.

    E si torna così al punto si partenza. Nord globale pronto a far crescere il proprio contributo dai 100 miliardi all’anno attuali, ma non certo fino al trilione reclamato dai Paesi vulnerabili, raggiungibile, dicono a Washington e Bruxelles, solo includendo la finanza privata e contabilizzando i contributi “volontari” di Cina e Paesi emergenti. Sul fronte opposto il Sud globale, secondo cui l’Occidente deve farsi pienamente carico delle sue responsabilità storiche, in fatto di emissioni di gas serra e riscaldamento globale.

    Alla domanda di cosa ostacoli l’accordo, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, tornato a Baku dopo il G20 di Rio, ha risposto: “È il momento della verità, e ciascuno deve dire chiaramente la verità sugli impegni che può assumere in questa trattativa. Non sono un negoziatore, ma ho parlato con le delegazioni e ho potuto costatare che ancora oggi sono sulle loro posizioni iniziali: è il momento di abbandonarle e venirsi incontro”. E sugli scarsi riferimenti del testo al taglio delle emissioni di gas serra: “Per me è chiaro cosa dice la scienza: non c’è modo di rimanere al di sotto degli 1,5 gradi di riscaldamento se non si abbandonano i combustibili fossili. Qualunque sia il linguaggio adottato nei testi negoziali, non c’è modo di cambiare questa realtà”.

    Cosa succederà ora a Cop29? La presidenza azera riuscirà a trovare un testo di compromesso entro domani sera (venerdì), temine ufficiale di questa 29esima Conferenza Onu sul clima? A Baku si inseguono le interpretazioni del testo e le previsioni. Non si esclude che un testo così lontano dall’accordo sia uno stratagemma del presidente di Cop29 Babayev per arrivare nelle prossime ore a un documento “prendere o lasciare”, su cui andare a chiudere perché un fallimento non gioverebbe a nessuno. La stessa tattica usata, con successo, dall’emiratino Sultan Al Jaber l’anno scorso a Dubai.

    Come il suo predecessore, anche Babayev ha deciso di mettere in scena un rituale “tribale”, il Qurultay appunto, per sbloccare lo stallo. L’esito sarà lo stesso? Va ricordato che a Cop28 ebbero un ruolo fondamentale gli Stati Uniti, rappresentati da John Kerry, capaci, insieme alla Cina, di convincere i Sauditi ad accettare la formula “tranistion away” dai combustibili fossili.

    Qui a Baku tra i padiglioni e le meeting room delle delegazioni si aggira Sue Biniaz, la consigliera di Kerry che tirò fuori dal suo cilindro di lessico giuridico-diplomatico-climatico quella espressione capace di mettere tutti d’accordo. Ci vorrebbe una sua invenzione anche stavolta. Ma quest’anno gli Usa, con il loro inviato speciale John Podesta, hanno un profilo molto più basso, visto l’esito delle elezioni che riporteranno da fine gennaio Donald Trump alla Casa Bianca. In mancanza della leadership americana, si attende una mossa cinese. Pechino si è messa in una posizione win-win: ha la grande occasione di intestarsi il successo di questa Cop. Ma in casi di fallimento sarebbe un gioco da ragazzi farne ricadere le responsabilità sull’Occidente. LEGGI TUTTO

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    Piante rampicanti, 10 idee per colorare giardini e terrazzi

    Le piante rampicanti rientrano nella categoria delle piante decorative, apprezzate soprattutto per la loro bellezza e la loro grande capacità di decorare spazi, sia esterni, sia interni. L’impatto visivo che queste piante creano è notevole, dando vita a effetti a cascata o vere e proprie coperture esteticamente sorprendenti. Di tipologie di rampicanti ne esistono a decine, motivo per il quale è sempre bene avere chiaro l’obiettivo che si vuole ottenere piantandole. Alcune di queste garantiscono fioriture abbondanti, altre invece donano foglie per tutto l’anno, raccolgono l’umidità dalle pareti, resistono al freddo o al caldo e possono essere perenni. Piantarle e prendersene cura non è così complesso, ma ci sono alcuni accorgimenti da seguire affinché la loro salute si mantenga nel tempo.

    Piante rampicanti da esterno: 10 idee che danno colore
    Se si ha a disposizione un terrazzo, un balcone, un giardino o anche solo una parete esterna, le piante rampicanti possono essere una valida soluzione per decorare gli spazi e ottenere un effetto bello e colorato. Di varietà ne esistono tante, con fiori o senza fiori, a cascata o a “cespuglio”, perenni e sempreverdi. Qualsiasi pianta rampicante da esterno crea un’atmosfera nuova quindi sceglierle è sempre un’ottima soluzione se si vuole creare un luogo che rilassi e che rinfreschi. L’importante è selezionare la pianta rampicante che si desidera e farlo con cura. Ma quali sono le 10 piante rampicanti da esterno adatte per colorare gli spazi?

    Falso Gelsomino
    Impossibile non cominciare la lista delle dieci piante rampicanti da esterno con lui, il Falso gelsomino. Si tratta di una delle piante rampicanti più diffuse e più amate per quanto riguarda gli spazi esterni, in particolare terrazzi e giardini. Amato per la sua fioritura colorata dal profumo indimenticabile, il falso gelsomino ama ricevere la luce diretta del sole. È resistente, si adatta alla coltivazione in vaso con grande facilità e fiorisce a primavera (marzo e giugno). Il falso gelsomino resiste anche al freddo e per lui l’inverno non è un ostacolo, come invece lo sono i famosi “colpi di secco”, che potrebbero indebolirlo.

    Glicine
    Il Glicine è un’altra pianta rampicante da esterno impossibile da non amare. Bellissima e colorata, questa pianta è apprezzata soprattutto per le sue fioriture a grappolo sfumate di lilla, suggestive ma purtroppo poco durature. I fiori del glicine, infatti, durano poche settimane o addirittura pochi giorni se il tempo non è dei migliori. Cresce sia in ombra, sia al sole, ma la luce è una sua grande amica: è grazie a essa se i suoi fiori crescono così belli e così colorati. Quello che non piace al glicine è la messa in vaso; preferisce sempre spazi ampi in cui potere crescere liberamente, talvolta riempiendo intere pareti.

    Bignonia
    Di colori se ne intende anche la bignonia, una pianta rampicante da esterno molto gettonata e, vedendo i suoi colori, bellissima. Anche lei ama il clima caldo, ma riesce a sopportare bene le stagioni invernali più rigide. Cresce molto rapidamente e lo fa principalmente in piena terra, anche se a volte si coltiva anche in vaso (ma molto raramente). Ciò che colpisce della Bignonia rampicante è la sua colorata fioritura, in contrasto con le foglie verdi brillanti di cui si compone.

    Caprifoglio
    Pianta rampicante sempreverde e rustica, il caprifoglio ama adattarsi e lo fa con grande facilità. Per lasciare che cresca in modo sano, è importante posizionare la base della pianta in una zona riparata dal sole diretto, ma i suoi fiori colorati crescono meglio se colpiti dai raggi del sole. Il caprifoglio cresce in tempi molto brevi e si espande in lungo e in largo per diversi metri.

    Hardenbergia
    Il colore con l’hardenbergia non mancherà. Questa pianta rampicante da esterno è perfetta se si vuole ottenere un risultato coloratissimo e profumato. I suoi fiori, di un viola intenso riconoscibile, sono a forma di spiga e crescono bene al sole. Il freddo non fa paura all’hardenbergia e la velocità con cui cresce è molto apprezzata da chi sceglie di coltivarla.

    Clematide
    Il suo nome tecnico è clematis, ma tutti la conoscono come clematide. È una pianta rampicante da esterno molto apprezzata, specialmente se si guarda ai suoi fiori, coloratissimi, sfumati e super “generosi”. Per coltivarla nel migliore dei modi è necessario darle la giusta dose di ombra alla base, mentre per la parte alta si deve sempre lasciare spazio al sole di agire per farla crescere sana, rigogliosa e bellissima. La clematide riempie terrazzi e giardini e i suoi fiori colorati accendono di luce tutto l’ambiente: impossibile non innamorarsene.

    Passiflora caerulea
    La particolarità di questa pianta rampicante sono senza ombra di dubbio i suoi fiori. La passiflora caerulea regala fiori meravigliosi molto particolari e la sua tolleranza al freddo è altissima. Sopporta temperature fino a -10°, ma per ottenere una fioritura perfetta ha bisogno della luce diretta del sole. Questa pianta rampicante è ottima per abbellire il proprio terrazzo o il proprio giardino perché si presta a più spazi e cresce rigogliosa.

    Plumbago auriculata
    Tra le piante rampicanti da esterno non si può non citare il plumbago auriculata. Noto per i suoi bellissimi fiori azzurri, il plumbago fiorisce da giugno fino a ottobre. Non tollera le temperature sotto gli 8°, quindi la sua coltivazione è adatta alle zone del centro-sud. Se coltivato al nord, infatti, il plumbago tende a perdere le foglie: in questi casi di solito si trasferisce in una serra fredda, ma l’ideale sarebbe lasciarla crescere dove le temperature glielo consentono senza crearle problemi.

    Vite Canadese
    Lei non produce fiori, ma il suo colore è una vera conquista per lo sguardo. La vite canadese è amatissima, soprattutto quando si vuole creare una vera e propria copertura di spazi esterni. Al contrario del plumbago, sopporta molto bene il freddo, tant’è che anche le temperature sotto i 15° non la spaventano affatto. La sua particolarità sono le foglie, che da verdi cambiano colore a seconda della stagione. Dal verde dell’estate, passano al giallo intenso in autunno e al rosso acceso in inverno.

    Cobea
    Pianta rampicante da esterno sempreverde, la cobea (cobaea scandens) può essere coltivata come pianta perenne, ma è bene ricordare che nelle zone del nord Italia non sopporta le temperature sotto i 5°. La sua crescita è veloce (si parla di poche settimane), ma sono i suoi fiori a colpire: grandi, campanulati, sono verdi e sfumati di viola su tutta la loro cornice.

    Piante rampicanti da esterno: quando piantare
    Il periodo migliore per seminare e piantare le piante rampicanti è la primavera. In questo modo, infatti, queste possono crescere e arrivare alla loro massima bellezza durante il periodo estivo, senza soffrirne le temperature e lo stress che il caldo può portare. Andrebbe bene anche piantarle in autunno per lo stesso motivo: prevenire lo stress termico dell’inverno e consentire loro di svilupparsi in modo libero e tranquillo.

    Piante rampicanti: terreno e annaffiatura
    Affinché le piante rampicanti da esterno crescano in modo rigoglioso e senza sofferenze, è molto importante che il terreno sia morbido e sciolto e non troppo asciutto, in modo tale da favorire la libera crescita delle radici. Queste ultime, inoltre, non devono raccogliere troppa acqua, perciò sì alla giusta irrigazione, ma attenzione a non esagerare. Nel caso in cui il terriccio sia troppo bagnato, si consiglia l’uso di un terriccio con pietra pomice o con argilla, particolarmente efficaci per evitare il marciume delle radici. Per quanto riguarda l’annaffiatura, quindi, questa dipenderà ovviamente sia dalla stagione, sia dalla zona climatica in cui ci si trova, sia dalla fase vegetativa della pianta stessa. In estate, ad esempio, se il terreno della pianta rampicante risulterà troppo asciutto, l’irrigazione può avvenire anche due volte al giorno (mattina e sera), mentre per l’autunno e per la primavera basterà irrigare una volta ogni tre o quattro giorni. Durante la stagione più fredda, infine, l’annaffiatura sarà sospesa.

    Piante rampicanti: potatura
    Tutte le piante rampicanti da esterno hanno bisogno di una potatura “post impianto”. Potarle significherà regalare loro una crescita nettamente più rigogliosa durante il primo anno di vita, ma è importante seguire una regolare potatura anche nei periodi successivi, eliminando tralci secchi e malandati. LEGGI TUTTO

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    L’Heuchera, come prendersi cura della “Coral Bells”

    Comunemente nota come Coral Bells, l’Heuchera è una pianta dalle multiple varietà. Originaria del Nord America, si coltiva sia in giardino, sia in bordure e/o aiuole, sia in vaso come pianta da appartamento. A farne una pianta piuttosto particolare è il suo fogliame: a seconda del tipo, infatti, le foglie possono assumere colorazioni eterogenee, andando dal rosso, al rosa, all’arancione, fino ad arrivare a cromie ben più chiare e vivaci durante i mesi invernali. Sempreverde, l’Heuchera produce anche delle infiorescenze, pronte a nascere verso la primavera inoltrata e soprattutto durante l’estate. Queste sono formate da lunghi steli su cui sbocciano piccoli fiorellini colorati. Anche loro, a seconda della varietà di Heuchera, possono andare dal bianco, al rosso o al rosa. Coltivarla non è complesso e il risultato sarà sempre e comunque positivo. Attraverso le sue foglie rotonde o a forma di cuore, l’Heurecha piace sempre e soddisfa. Coltivarla è possibile sia in giardino, sia in vaso e per quest’ultimo caso si rivela perfetta per i panieri appesi.

    Come coltivarla in vaso
    Per coltivare l’Heuchera in vaso i passaggi da seguire sono semplici e veloci: sul fondo del vaso va steso uno strato di biglie di argilla espansa (migliorano il drenaggio) e poi va messo il terriccio, specifico per piante da fiore. A questo punto si possono posizionare le piante, si procede con la sistemazione e una leggera pressione del terriccio e infine si bagna il tutto.

    Come coltivare l’Heuchera in giardino
    Per coltivare l’Heuchera in giardino come primo step si dovranno preparare le buche da impianto, azione da svolgere almeno una settimana prima. Nel caso di una coltivazione multipla, si consiglia sempre di distanziare le buche almeno di 30 o 40 cm. La buca deve essere almeno il doppio della piantina che sarà inserite; una volta scavata si dovrò ripulire il terreno da eventuali radici, sassi e quant’altro e irrigare il tutto con generosità. Il terreno, infatti, dovrà assorbire l’acqua come fosse una spugna e se questo non dovesse succedere, significa che bisognerà agire nuovamente e correggere dunque la composizione della terra (magari utilizzando sabbia e aggiungendo uno strato “di drenaggio” con ghiaia). Il nemico numero uno dell’Heuchera? Il ristagno idrico. Per concludere la coltivazione in giardino e prima di inserirvi la pianta (o le piante), ci consiglia l’integrazione di un concime naturale direttamente nelle buche, o un fertilizzante granulare a lenta cessione. Fatto questo, nei giorni successivi (si parla dai 7 ai 14) tra la preparazione delle buche e il trapianto della pianta, l’Heuchera e le sue colleghe possono essere lasciate in vaso vicino alle buche preparate che le andranno a ospitare. In questo modo cominceranno ad adattarsi sia al clima, sia al luogo che diventerà per loro casa.

    Esposizione dell’Heuchera
    Appurato che si tratta di piante dalla facile adattabilità e coltivazione, è importante sapere dove queste debbano essere esposte. In generale, l’Heuchera predilige posizioni soleggiate o di semi-ombra, ma questa differenza risiede soprattutto nella varietà di pianta che si ha di fronte. Ad esempio, le specie di Heuchera a foglia molto scura preferiscono un’esposizione minore diretta di sole, mentre le varietà a foglia molto chiara hanno una maggiore predilezione verso i raggi solari diretti. Generalmente e per non incappare in errori di alcun tipo, è preferibile esporre l’Heuchera a mezz’ombra; in questo modo sarà riparata dalla luce diretta del sole nelle ore più calde dell’estate, ma riuscirà comunque ad assorbire la giusta quantità di sole, specialmente in inverno. Alla domanda: “L’Heuchera resiste al freddo?”, la risposta è quindi “sì”. Questa pianta sempreverde sopporta molto bene sia il freddo, sia il gelo, mentre il caldo eccessivo non è il suo migliore alleato. In ogni caso, e questo è un punto di grande comodità, l’Heuchera durante i mesi di giugno e di luglio entra in una specie di “riposo vegetativo” e di conseguenza le possibilità che le sue foglie possano rovinarsi e/o bruciarsi è molto basso. Fare attenzione all’esposizione, però, resta fondamentale.

    Quando fiorisce e quanto cresce
    Per la fioritura dell’Heuchera bisognerà attendere l’estate. È in questa stagione, infatti, che questa pianta sempreverde produrrà piccole e delicate infiorescenze colorate. Sul “quanto” l’Heuchera possa effettivamente crescere, di solito si parla di circa 30 cm di altezza e una larghezza che può raggiungere i 30 o 40 cm.

    Annaffiatura e potatura dell’Heuchera
    L’Heuchera ha bisogno di una annaffiatura regolare; solo in questo modo il terreno riuscirà a mantenere la giusta umidità, senza cadere nell’esagerazione. Se coltivata in vaso, l’Heuchera preferisce ricevere acqua 1 o 2 volte a settimana nei mesi più caldi dell’anno, mentre in inverno si può irrigare anche solamente 2 volte al mese. Ovviamente, più sarà grande il vaso in cui la pianta è contenuta, più umidità sarà trattenuta al centro e maggiore sarà l’evaporazione. Un piccolo accorgimento: non lasciare l’acqua in eccesso nel sottovaso, poiché potrebbe provocare marciumi e all’Heuchera questo non piacerebbe, dato che la esporrebbe a eventuali malattie fungine.

    Sulla potatura è importante essere informati, dato che è un altro aspetto importante ai fini della salute della pianta. L’Heuchera, infatti, tende a crescere in ciuffi, motivo per il quale prestare attenzione alle eventuali foglie danneggiate e/o secche sarà efficace. Non solo si manterrà esteticamente bella, ma sarà stimolata anche dal punto di vista della crescita.

    Come propagare l’Heuchera?
    Ringiovanire una pianta di Heuchera è possibile? Assolutamente sì. Per farlo basterà tagliare a frequenza periodica le foglie vecchie, ma c’è anche l’opzione della propagazione a essere molto gettonata. Per propagare l’Heuchera, infatti, è necessario estrarre le piante dal terreno, ripulirle da radici e tagliare successivamente il cespo di foglie e radici in più porzioni, poste immediatamente a dimora. In questo modo la pianta sarà “svecchiata” e crescerà più rigogliosa e decisamente più forte, oltre che colorata. L’Heuchera può essere propagata anche per semina, ma il modo migliore (e più efficace) è quello appena descritto.

    Heuchera: le varietà più comuni
    Esistono più di 50 varietà di Heuchera e ognuna di esse possiede caratteristiche uniche. Alcune sono apprezzate per la loro resistenza al freddo e alla siccità (Heuchera americana e Heuchera villosa), mentre altre sono apprezzate soprattutto per la bellezza dei fiori colorati (Heuchera sanguinea). Tra le altre varietà più frequentemente utilizzate ci sono: l’Heuchera Berry Smoothie, L’Heuchera Blood Red, l’Heuchera Caramel, l’Heuchera Champagne, l’Heuchera Cayun Fire, l’Heuchera Cherry Cola, l’Heuchera Circus, l’Heuchera Delta Dawn, l’Heuchera Frosted Violet, l’Heuchera Grape Soda e l’Heuchera Hollywood. I nomi suggeriscono spesso il colore o delle foglie, o dei fiori, e sono una diretta metafora dell’aspetto della pianta. Ad esempio, l’Heuchera Hollywood è molto apprezzata per essere elegante e vistosa, con foglie verde scuro un po’ spento e fiori rossi dello stesso colore dei red carpet, appunto, hollywoodiani. LEGGI TUTTO

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    In Puglia il primo stabilimento della startup britannica che combatte le microplastiche

    “Le microplastiche sono state trovate in cima alle montagne artiche e nelle profondità della Fossa delle Marianne, con un recente studio che prevede che l’inquinamento potrebbe più che raddoppiare nel prossimo decennio”. A parlare Giovanna Laudisio, amministratore delegato di Naturbeads, startup con sede a Bath che ha sviluppato una tecnologia unica e innovativa che consente di sostituire le microsfere di plastica con prodotti biodegradabili a base di cellulosa.

    La startup britannica si è assicurata un round di finanziamento di serie A da 9,3 milioni di euro per completare lo scale up della sua tecnologia pionieristica che affronta l’inquinamento da microplastica in tutto il mondo. Naturbeads costruirà il suo primo impianto di produzione in Puglia, l’iniezione di capitale consentirà all’azienda di aumentare significativamente la propria capacità produttiva per soddisfare la crescente domanda di ingredienti sostenibili in molti settori industriali.

    Inquinamento

    Le microplastiche trasformano le nuvole e il clima

    di redazione Green&Blue

    12 Novembre 2024

    “Ciò che ci differenzia dalle altre aziende che stanno cercando di risolvere le sfide del packaging in plastica è che siamo una delle poche in tutto il mondo a concentrarci esclusivamente sulla plastica presente nei prodotti quotidiani e a produrre un’alternativa scalabile ed ecologica”.

    La tecnologia circolare di Naturbeads
    Le microplastiche, particelle di plastica di dimensioni inferiori a cinque millimetri, persistono nell’ambiente per centinaia di anni, contribuendo all’inquinamento dei corsi d’acqua, degli ecosistemi marini, degli oceani e del suolo. Sono stati rilevati in oltre 1.300 specie marine, sono diventati parte della catena alimentare e hanno sollevato serie preoccupazioni riguardo al loro impatto sugli ecosistemi e sulla salute umana. Stime indicano che oltre 2 milioni di tonnellate di microplastiche vengono aggiunte ogni anno ai prodotti di uso quotidiano dai cosmetici ai detergenti, dagli adesivi alle vernici e molto altro ancora, che continuano a inquinare gli oceani e l’ambiente.

    Le normative Ue per vietare l’uso delle microplastiche sono state pubblicate nell’ottobre 2023, con l’obiettivo di eliminarle gradualmente nei prodotti da risciacquo come shampoo e detergenti per il viso entro il 2027, seguito dall’eliminazione graduale nei prodotti per la cura della persona e per la casa, prodotti per l’agricoltura compresi fertilizzanti e molti altri.

    Biodiversità

    Uno studio rivela: i delfini respirano microplastiche

    di  Pasquale Raicaldo

    17 Ottobre 2024

    Fondata nel 2018, la spin-out dell’Università di Bath sta lavorando allo sviluppo della sua tecnologia innovativa per la produzione di microsfere di cellulosa sviluppata dai co-fondatori dell’azienda, il professor Davide Mattia e la professoressa Janet Scott, insieme alla dottoressa Giovanna Laudisio.

    Nel 2019 Naturbeads è stata la prima società nella quale ha investito il fondo a impatto Sky Ocean Ventures nell’ambito dell’iniziativa lanciata insieme a UK Research and Innovation. Da allora molti passi in avanti sono stati fatti.

    E oggi grazie alle risorse incassate da Eos Advisory, Investitore di St. Andrews, Scozia, che ha guidato l’operazione di serie A da 9.3 milioni di euro insieme all’investitore Progress Tech Transfer e a CDP Venture Capital attraverso il suo Corporate Partners I Fund, PI-NB e Paragon Capital Management di Singapore, Naturbeads costruirà il suo primo impianto di produzione in Puglia. Il finanziamento consentirà all’azienda di aumentare significativamente la propria capacità produttiva per soddisfare la crescente domanda di ingredienti sostenibili in molti settori industriali, tra cui quello delle microplastiche.

    La startup sta già collaborando con diversi produttori globali per integrare i suoi ingredienti di microsfere di cellulosa in varie applicazioni industriali, dimostrando che le loro microsfere si decompongono naturalmente senza compromettere le prestazioni del prodotto, e prevede di raggiungere i suoi primi traguardi commerciali nel corso del prossimo anno. Per Alberto Calvo, amministratore delegato di Progress Tech Transfer “Il team di scienziati di Naturbeads ha ambizioni coraggiose di portare sul mercato una soluzione per affrontare l’inquinamento da microplastica in una varietà di applicazioni, con una tecnologia piattaforma che offre elevate prestazioni tecniche e con un approccio completamente circolare”. LEGGI TUTTO

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    Alluvioni, l’intelligenza artificiale prevede il disastro 6 ore prima: un modello italiano

    Il disastro senza precedenti a Valencia, le alluvioni devastanti in Emilia Romagna e nelle Marche, la siccità e le piogge intense in Sicilia. Sono i segnali evidenti, se ci fosse ancora qualche dubbio, che il clima non solo sta cambiando, ma è già cambiato. Quello che si può fare ora, è mitigarne l’impatto – dove possibile – e cercare di prevedere quello che potrebbe accadere utilizzando la tecnologia più evoluta: l’intelligenza artificiale, anche in questo caso. Dall’Università di Pisa, insieme al Consorzio di Bonifica Toscana Nord, uno studio in cui gli algoritmi di calcolo intelligenti sono stati applicati ai cambiamenti climatici, con l’obiettivo di poter prevedere con un anticipo di almeno sei ore, le alluvioni provocate da fiumi minori e torrenti, cioè quei corsi d’acqua che lambiscono molte città e comuni del nostro Paese e che sono molto difficili da gestire e monitorare. Questo studio complesso, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, potrebbe risultare determinante in tutte quelle situazioni di calamità che distruggono edifici e vite umane.

    Secondo Monica Bini, docente del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che ha coordinato la ricerca “le forti precipitazioni concentrate in breve tempo e su aree ristrette rendono difficile la gestione dei corsi d’acqua minori, dove la rapidità di deflusso delle acque piovane aumenta il rischio di piene improvvise; basti pensare agli eventi alluvionali avvenuti nel novembre 2023 nella provincia di Prato dove sono esondati i torrenti Furba e Bagnolo e, più recentemente, a quelli che hanno colpito la Valdera e la provincia di Livorno”. Ma purtroppo, gli esempi sono anche molti altri, e come sappiamo non hanno coinvolto solo la regione toscana. L’allerta idrogeologica è in gran parte delle regioni italiane.

    Crisi climatica

    L’Italia perde 2,8 miliardi di euro all’anno per frane e alluvioni

    di redazione Green&Blue

    15 Novembre 2024

    Nello specifico l’area di studio è situata nell’Italia centrale, nei pressi di Carrara, zona “particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici, a causa della presenza dell’area ciclonica del Golfo di Genova dei ripidi rilievi ortogonali alla direzione dei venti dominanti – si legge nello studio -. L’area è caratterizzata dalla presenza delle Alpi Apuane, una catena montuosa con ampi pendii e un complesso sistema carsica. La regione è caratterizzata da una complessa rete fluviale, da un lago costiero (Lago di Massaciuccoli) e da zone umide. L’area è soggetta a elevate precipitazioni annue (anche superiori a 3000 mm), tra le più elevate del Mediterraneo, e talvolta molto intense. Inoltre, a causa della presenza delle Alpi Apuane, si verificano spesso fenomeni idrogeologici quali alluvioni, colate detritiche e frane”.

    In questa parte d’Italia vivono circa 300.000 abitanti, che salgono a 3 milioni nel periodo estivo, e gli intricati sistemi carsici rendono difficile da prevedere le dinamiche fluviali, anche a causa dei ripidi pendii delle montagne che inducono rapidi tempi di deflusso. Uno dei problemi dei modelli predittivi è la pioggia, la principale variabile di input correlata al tempo, motivo per cui “i modelli di apprendimento automatico tendono a sottostimare i flussi durante il tempo di previsione, a causa di incertezze dei dati e potenziali distorsioni” dice lo studio dell’Università di Pisa.

    Ma in cosa sono così utili questi modelli di IA in grado di fare previsioni prima e meglio dell’uomo? Tutto dipende dai dati, come sempre, dall’addestramento svolto su queste macchine in grado di macinare un’enorme quantità di dati e di elaborarli in poco tempo, offrendo a chi deve gestire eventuali emergenze, quel lasso di tempo (sempre poco) per diramare l’allerta. I modelli sono stati addestrati con il data base pluviometrico e idrometrico fornito del Servizio Idrologico Regionale della Toscana, da qui lo sviluppo successivo di un software semplificato, utilizzabile dagli operatori per conoscere prima le criticità dei corsi d’acqua in seguito a piogge a carattere alluvionale e quindi di mitigare i danni.

    Clima

    Ondate di calore, siccità, incendi e alluvioni: perché è colpa del cambiamento climatico

    di  Pasquale Raicaldo

    15 Novembre 2024

    “L’intelligenza artificiale si è rivelata uno strumento prezioso per dare preallerta in piccoli bacini anche con sei ore di anticipo in 8 punti di monitoraggio, ma resta fondamentale che le decisioni operative siano sempre supervisionate da esperti”, ha sottolineato Marco Luppichini, primo autore dell’articolo e assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo di Pisa.

    Nello specifico, i modelli di deep learning utilizzati hanno commesso solo errori molto piccoli, sbagliando di pochi centimetri e con diverse ore di previsione. Infatti l’ateneo pisano è riuscito a sfruttare le potenzialità dell’IA prevedendo estremi anche 4/6 ore prima dell’evento in bacini idrografici caratterizzati da rapide variazioni delle portate fluviali. Per ridurre eventuali danni da alluvioni dunque, l’applicazione dei modelli diventerà sempre più importante con lo sviluppo dell’Internet of Things, cioè con l’uso di sensori che forniranno sempre più informazioni a livello temporale e spaziale, oltre alle necessarie manutenzioni ordinarie e alle opere straordinarie. LEGGI TUTTO

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    Riscaldamento: dal 2025 stop agli incentivi per caldaie a gas

    Stop alle detrazioni per l’installazione di caldaie a gas. Niente più ecobonus casa per gli impianti che utilizzano il gas come unico combustibile dal prossimo anno. Con un emendamento presentato da alcuni parlamentari di maggioranza alla manovra all’esame del Parlamento viene proposta la cancellazione definitiva di questi incentivi, in applicazione della direttiva Case green. Una […] LEGGI TUTTO