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    Scuola, ecco i divari nell’apprendimento: al Sud studenti due anni indietro in matematica

    Tra un liceale del Sud Italia e uno del Nord Est che differenza c’è? L’accento certo. Ma quel che Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca certificano è che tra l’uno e l’altro c’è anche un divario di apprendimento in matematica di oltre due anni di scuola.
    Da più di vent’anni rilevati e confermati dall’Invalsi, ma anche dall’indagine internazionale Ocse-Pisa, i divari di apprendimento degli studenti sono una criticità grave della scuola italiana, con pochi eguali in Europa, un fenomeno che penalizza l’equità del nostro sistema d’istruzione.
    Già presenti, ma ancora contenuti, nella scuola primaria, i divari di apprendimento crescono nella scuola media e si amplificano nella secondaria di secondo grado, dove la scuola non è più la stessa per tutti, ma si divide in indirizzi (licei, tecnici, professionali).

    Lecco è la provincia italiana in cui i bambini vivono meglio. Il Milanese? Non è per giovani

    Lucia Landoni

    26 Maggio 2025

    Non solo dunque gap territoriali – dove è il Sud, con alcune eccezioni, a restare più indietro – ma anche divari tra scuole e dentro le scuole.
    Limitarsi alla sola geografia creerebbe infatti un errore di prospettiva. Per l’analisi, così come per ipotizzare le possibili azioni di contrasto a questo scarto, bisogna chiedersi quali sono i principali fattori (individuali e familiari degli studenti, nei contesti territoriali, ma anche fra le scuole e dentro le scuole) che spiegano i divari di apprendimento. E cosa può fare lo Stato e cosa le scuole per aiutare a eliminare le distanze.
    A questi interrogativi cerca di rispondere l’indagine “Divari scolastici in Italia”, promossa da Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca e presentata oggi alla Camera dei Deputati davanti alle istituzioni e a rappresentanti del mondo della scuola.

    Scuola, Valditara precisa: ammessi alla maturità anche con una insufficienza

    di Salvo Intravaia

    09 Aprile 2025

    L’indagine ha confermato la forte relazione tra condizioni di contesto socioeconomico e culturale delle regioni e i relativi risultati di apprendimento. Non è una sorpresa: i divari seguono l’asse Nord-Sud. Ma ci sono casi di disallineamento, cioè, di regioni che – pur con un indice di contesto socioeconomico e culturale simile ad altre – hanno risultati Invalsi, ad esempio, in matematica decisamente più alti (Puglia vs Campania) o più bassi (Sardegna vs Abruzzo, Lazio vs le altre regioni del Centro). Ciò che dipende da differenze fra le scuole e all’interno delle scuole.

    La polemica

    La nostra scuola penalizzata dai tagli

    Dario Spagnuolo

    19 Dicembre 2024

    Qualche esempio: è nelle regioni del Meridione che troviamo la maggiore percentuale di studenti al di sotto del livello 3, che Invalsi definisce come soglia minima di competenze adeguate raggiunte in italiano e matematica in ogni grado scolastico. E più del 60% degli studenti di Campania, Calabria e Sicilia non ha competenze adeguate in Italiano. In matematica si aggiunge anche la Sardegna.

    Giovani e tecnologia

    Prima hai lo smartphone (e i social), peggio vai a scuola?

    28 Febbraio 2025

    Ci sono poi altri elementi che concorrono: ad esempio l’origine, la formazione sociale e culturale, anche il genere si dice nel rapporto. «Prendendo come standard un ragazzo maschio italiano, le ragazze fanno più fatica in matematica ma spiccano in italiano; gli stranieri di prima e seconda generazione soffrono di più in entrambe le materie».
    Molto significativo è poi, secondo lo studio, l’impatto degli indirizzi di studio. Ad esempio, a parità di altre condizioni, frequentare il liceo classico o linguistico ‘spiega’ uno svantaggio rispetto al liceo scientifico, misurabile in 14 punti Invalsi in matematica in meno. E così per gli altri indirizzi?.
    «Un impatto eccessivo – ha detto Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli – per limitare il quale sarebbe bene rafforzare nella scuola media l’orientamento alla scelta di studio successiva. In prospettiva, serve forse ripensare la struttura didattica della scuola superiore, per dare a tutti un più robusto e comune livello di competenze di base, indipendentemente dall’indirizzo scelto».
    A entrambi i livelli (differenze ‘fra le scuole’ e ‘dentro le scuole’), restano inoltre differenze che non trovano spiegazione e portano a chiedersi: quali altri fattori finora non considerati e non osservati potrebbero spiegare ciò che ancora non risulta spiegato della varianza ‘fra le scuole’ di ciascun indirizzo e ‘fra le classi’ dentro la singola scuola?? Una ragionevole ipotesi è che parte di queste differenze non spiegate sia da attribuirsi alle azioni che dipendono dalla scuola stessa, dalla sua dirigenza e dai suoi docenti.
    «La ricerca mostra grandi divari, ma anche che le singole scuole, nella loro autonoma capacità di organizzazione, possono fare la differenza – ha commentato Gianfelice Rocca, presidente di Fondazione Rocca –. Per la Scuola italiana, il tema non è aumentare il numero di insegnanti o di risorse, tra i più alti d’Europa, ma incidere sull’organizzazione».
    Per questo l’indagine è proseguita scegliendo cinque scuole (tre professionali, un tecnico e un liceo di Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Puglia) con esiti nettamente superiori a quanto ci si aspetterebbe in base al loro contesto territoriale. Le due Fondazioni hanno dedotto che alcuni benefici possono derivare da un modello organizzativo ispirato a logiche cooperative fra dirigenti e docenti e a un’efficace comunicazione con le famiglie; da una gestione dinamica e proattiva delle risorse finanziarie e materiali, capace di orientare i progetti finanziati dall’esterno; da una gestione collegiale della didattica e dei curricoli; da attività extracurricolari ricche e dinamiche, in rete con gli enti locali, con le imprese e il terzo settore, orientate alle competenze di base e al supporto degli studenti più svantaggiati. LEGGI TUTTO

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    Maturità, tanta ansia per nulla: il 99,8% degli studenti viene promosso

    La maturità si avvicina. E con essa inizia a crescere l’ansia di studenti e genitori. Basta entrare in una classe quinta di liceo, istituto tecnico o professionale per sentire i commenti dei ragazzi e comprendere quanto l’esame conclusivo del percorso scolastico venga sentito. Eppure, stando ai numeri nudi e crudi, nessuno dovrebbe entrare in fibrillazione […] LEGGI TUTTO

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    Maturità 2025, un mese alla prima prova: dagli scritti al voto in condotta, ecco tutte le novità

    È partito il conto alla rovescia. Mancano esattamente trenta giorni all’esame di maturità 2025 che prenderà il via il 18 giugno alle 8.30 di mattina. Tante conferme ma anche qualche importante novità, ecco come funzionerà l’esame di Stato per mezzo milione di studenti italiani.
    Le date
    Alle 8.30 di mattina del 18 giugno, un mercoledì, suona la campanella. Tutti (di nuovo) in classe o nei corridoi per il tema scritto di italiano. Il giorno dopo, giovedì 19 giugno, alla stessa ora si è chiamati alla seconda prova scritta di indirizzo, su una o più discipline che caratterizzano il corso di studi. Solo per alcuni studi è poi prevista una terza e ultima prova scritta, questo non riguarda ad esempio i licei. L’esame si chiude con un colloquio ma in questo caso la data non è nazionale, viene fissata da ciascun istituto scolastico di solito con il sorteggio di una lettera dell’alfabeto che corrisponde all’iniziale del cognome di chi per ogni classe sosterrà l’esame per primo. Gli orali cominciano generalmente una settimana dopo la fine degli scritti e dunque potrebbero partire entro fine giugno e terminare entro metà luglio. Poi bisognerà aspettare i quadri per sapere se si è promossi, bocciati e con quale voto.
    Le prove scritte
    La prima prova scritta consiste in un tema scritto nazionale di lingua italiana o della diversa lingua nella quale si svolge l’insegnamento. La prova sarà composta da 7 tracce, suddivise in tre tipologie: analisi del testo (tipologia A), testo argomentativo (tipologia B) e tema d’attualità (tipologia C). Sei le ore a disposizione.
    La seconda prova scritta, anch’essa nazionale, verte su una o più delle discipline che caratterizzano il corso di studi. Negli istituti professionali riguarda competenze e nuclei tematici fondamentali di indirizzo. Nei classici quest’anno tocca al latino, negli scientifici alla matematica, al linguistico alla lingua straniera scelta come prima opzione, e così via, secondo un decreto del ministero dell’Istruzione che contiene tutte le materie scelte per ogni tipo di studi. A disposizione: 4 ore al liceo classico, 6 ore allo scientifico, ad esempio.
    Il colloquio (e le novità dei Pcto e dell’educazione civica)
    Il colloquio orale ruota invece attorno a più materie per valutare “la capacità dello studente di cogliere i nessi tra i diversi saperi e accertare il conseguimento del profilo educativo, culturale e professionale del candidato”. Gli studenti sono tenuti inoltre a esporre, attraverso una breve relazione o un elaborato multimediale, le esperienze svolte nell’ambito dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (i cosiddetti Pcto), che, assieme alle prove Invalsi, sono diventati un requisito obbligatorio per l’ammissione alla maturità stessa. E dovranno dimostrare di conoscere anche l’educazione civica, introdotta di nuovo tra le materie di studio dal ministro Giuseppe Valditara.
    Il peso della condotta sull’esame
    Nel caso in cui uno studente prenda meno di 6 nel voto in condotta non verrà ammesso all’esame di maturità e dovrà ripetere l’anno. Nel caso di valutazione del comportamento pari a sei decimi, lo studente o la studentessa dovrà anche presentare un elaborato critico sulla cittadinanza attiva e solidale assegnato dal Consiglio di classe. Non solo: per ottenere il massimo del punteggio nei crediti scolastici, e dunque ambire ad avere il voto più alto complessivo al termine dell’esame, bisognerà prendere almeno 9 in condotta. E questo non vale solo per l’ultimo anno di studi ma per tutto l’ultimo triennio e cioè per l’ultimo, il penultimo e il terzultimo anno. Varranno dunque i voti già ottenuti nei due anni precedenti (che non potranno essere ritoccati dal Consiglio di classe) e quello dell’anno ancora in corso.
    All’orale serve anche il Curriculum dello studente
    Durante il colloquio si parlerà anche delle esperienze inserite nel Curriculum dello studente: non un optional, ma uno strumento obbligatorio in cui ciascuno studente dovrà raccontare chi è fuori dai banchi, inserendo certificazioni linguistiche o informatiche extrascolastiche, attività di volontariato o nell’associazionismo, sport, teatro e una prima risposta alla domanda “cosa farò da grande”. Anche di questo la commissione terrà conto durante lo svolgimento del colloquio.
    Le commissioni miste
    Le commissioni d’esame sono formate da un presidente esterno alla scuola in cui ci si è iscritti e da tre commissari interni e tre esterni. Sul sito di ogni Ufficio scolastico regionale si trova l’elenco dei nomi dei presidenti di commissione. Ad esempio quelli del Lazio, della Campania o della Lombardia.
    Il punteggio
    Per superare l’esame il punteggio minimo complessivo, maturato quindi tra i crediti degli anni di studi e i risultati delle prove, è di 60 centesimi. Il punteggio massimo è 100 centesimi. Il presidente esterno potrà assegnare anche 5 punti di bonus e la lode. Per avere i 5 punti di bonus bisogna essere stati ammessi all’esame di Stato con almeno 30 crediti su 40 e aver totalizzato almeno 50 punti alle prove della maturità, tra scritto e orale. Ogni prova d’esame vale un massimo di 20 punti che, sommati a quelli ottenuti col credito scolastico, dà il voto finale. LEGGI TUTTO

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    Lezioni di sessualità in classe solo con il consenso dei genitori

    Per far entrare l’educazione alla sessualità nelle classi servirà il consenso informato, preventivo e scritto, dei genitori degli alunni. Nella scuola dell’infanzia e primaria, invece, ci si dovrà limitare a quanto previsto dai programmi nazionali dettati dal ministero dell’Istruzione e del Merito, e cioè a ciò che dice la biologia sul corpo umano e la riproduzione.
    Mentre l’Italia attende ancora — ed è uno dei pochi Paesi europei a non averla — una legge che renda obbligatorio l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole, il governo tenta una stretta sui corsi extracurricolari o di ampliamento dell’offerta formativa che si occupano di quelli che il ministro Giuseppe Valditara definisce «temi sensibili». E cioè il sesso.
    In sostanza, dice un disegno di legge approvato ieri in Consiglio dei ministri, mamme e papà dovranno visionare e valutare in anticipo il materiale didattico e informativo che verrà distribuito ai ragazzi, conoscere le modalità e le finalità di svolgimento delle attività proposte, sapere chi sono le eventuali associazioni o gli esperti esterni chiamati in cattedra. Questi saranno esaminati e autorizzati dal Consiglio di istituto e dal Collegio docenti, che ne peseranno l’esperienza professionale e il curriculum scientifico o accademico, come già accade.
    La vera novità è dunque il passaggio obbligato dal via libera delle famiglie che sono le uniche titolate, secondo l’idea della maggioranza di governo, a occuparsi di sesso, affettività e relazioni tra i ragazzi. Per gli studenti che non otterranno l’ok dei genitori, le scuole dovranno immaginare un’ora alternativa, esattamente come avviene per l’insegnamento della religione cattolica.
    «Noi — ha spiegato il ministro — agiamo per rafforzare l’alleanza tra scuole e famiglie, rispettando l’articolo 30 della Costituzione che sancisce il diritto-dovere dei genitori a educare i propri figli». E se l’iniziativa, ispirata da due proposte di legge presentate da Lega e Fratelli d’Italia, ha incassato il plauso della maggioranza, non la pensano così opposizioni, associazioni e collettivi studenteschi. Cecilia d’Elia del Pd è convinta che la mossa di Valditara «tradisca una cultura sessuofobica», Daniela Sbrollini di Italia Viva parla di «approccio ideologico e burocratico», le parlamentari dell’M5s temono nascano «discriminazioni», Elisabetta Piccolotti di Avs denuncia che così «si farà un grande favore ai fondamentalismi» e chiede a Valditara: «Pensa che i genitori di Saman Abbas avrebbero firmato l’autorizzazione a partecipare all’educazione sessuale e affettiva?». Così pure la Rete degli studenti medi, secondo cui «la destra strizza l’occhio alla crociata anti-Lgbt di ProVita & Famiglia e delude il mondo studentesco che chiede da decenni l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole». O i docenti di Educare alle differenze che sottolineano come «tra collaborazione con le famiglie e controllo ci sia una enorme differenza».
    Ma non è questo l’unico provvedimento partito da viale Trastevere e finito sul tavolo del Cdm. Tra le altre novità, c’è un secondo disegno di legge che, davanti all’aumento negli ultimi due anni dei pestaggi dei genitori ai danni dei prof, rende obbligatorio l’arresto in flagranza o semi flagranza di reato per chi aggredisce fisicamente docenti o presidi e aumenta le pene passando da 6 mesi a 3 anni attuali a un minimo di 2 anni fino a un massimo di 5 di reclusione in caso di lesioni lievi ai danni del personale scolastico.
    E ancora, alle superiori, con il 5 in condotta, esteso anche a episodi di bullismo grave, si viene bocciati. Con il 6, invece, si viene rimandati a settembre e si dovrà superare una sorta di esame di riparazione. Cambia anche la sospensione: gli studenti non resteranno più a casa ma dovranno continuare a frequentare le lezioni e saranno chiamati a riflettere sulla cattiva condotta con compiti supplementari. Per le sospensioni superiori ai due giorni, scatteranno attività di cittadinanza solidale. LEGGI TUTTO

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    Educazione sessuale ma con ok dei genitori, il preside Dradi: “Così si limita autonomia scolastica”

    «Credo che il tema dell’educazione alla sessualità sia assolutamente rilevante e meritevole di attenzione, nella mia scuola però non l’ho ancora proposto perché è un argomento delicato e le indicazioni che provengono dal ministero dell’Istruzione non sono particolarmente favorevoli”. Gianluca Dradi – per molti noto come il “preside dei diritti” perché diede il via libera al congedo mestruale per le studentesse, istituì la carriera alias e creò una nursery a scuola per consentire a un alunna neo mamma di frequentare le lezioni – dirige ora il liceo artistico e musicale di Ravenna. E ha appena letto le novità proposte in Cdm dal ministro Valditara.
    Per l’educazione sessuale servirà il via libera dei genitori. Cosa ne pensa?
    “Credo che il fatto che si richieda un consenso preventivo da parte delle famiglie e cioè di tutti i genitori di tutti gli alunni di fatto ostacoli lo svolgimento di attività di educazione sessuale e affettiva a scuola”.
    Lede, come sostengono opposizioni e associazioni, l’autonomia scolastica e la libertà d’insegnamento?
    “Quell’autonomia è stata riconosciuta dalle Sezioni unite della Cassazione, il massimo organo della giurisdizione italiana, che in una sentenza del 2019 stabilisce che l’educazione scolastica può entrare in conflitto con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le loro impostazioni culturali, perché sono due ambiti distinti e la scuola può svolgere la sua funzione senza bisogno del consenso dei genitori. L’attuale ministero auspicherebbe invece una coincidenza tra i due indirizzi, una posizione certamente legittima, ma che ostacola l’operatività di iniziative come l’educazione sessuo-affettiva”.
    Perché l’educazione sessuale resta un tabù?
    “È una questione di impostazione culturale. I partiti al governo ritengono che il tema dell’educazione sia monopolio della famiglia, anche se così, oltre a fare un passo indietro rispetto alla giurisprudenza, si rischia di escludere proprio quei ragazzi che vengono da contesti in cui le discussioni sul proprio corpo, le relazioni, la sessualità incontrano difficoltà e resistenze. Per accedere allo sportello psicologico nelle scuole è previsto il consenso informato dei genitori, ma in questo caso la ragione sta nel fatto che siamo sulla soglia o già dentro un trattamento terapeutico. Mentre per l’educazione sessuo-affettiva si tratta di una scelta didattica e dunque non dovrebbe essere necessario”.
    Accanto al sesso nomina sempre l’aspetto affettivo. Perché crede che siano inscindibili e necessarie?
    “Perché credo che l’educazione non debba limitarsi alla sessualità in senso stretto, ma affrontare il tema di come si intrattiene un rapporto affettivo nel rispetto delle differenze di genere. Riuscire a riflettere su questo significa aiutare gli adolescenti a riconoscere le proprie emozioni ed esprimerle in parola prima che in atti, mediando l’impulsività con la razionalità e riuscendo a controllare quel che provano. E’ questo il problema che hanno i ragazzi e che necessita di momenti di riflessione”. LEGGI TUTTO

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    Scuola, educazione sessuale solo con l’ok dei genitori. Arresto in flagranza per aggressioni ai prof

    Mentre in Italia manca ancora una legge sull’educazione sessuale obbligatoria a scuola, il governo stringe le maglie sulle attività extracurricolari di formazione sull’affettività e il sesso in classe. Alle superiori ci vorrà il consenso scritto dei genitori che potranno vedere e valutare libri di testo, materiale informativo, conoscere modalità e finalità dei corsi proposti e i soggetti esterni coinvolti. Alla materna e alle elementari ci si dovrà fermare a ciò che si insegna in biologia e dunque allo studio del corpo umano e della riproduzione.
    Il consenso scritto dei genitori all’educazione sessuale
    Il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di disegno di legge in materia di “consenso informato in ambito scolastico” proposto dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
    In sostanza la norma prevede che siano i genitori ad autorizzare i corsi che ampliano l’offerta formativa su, spiega il ministro, “temi sensibili” come quelli sull’educazione sessuale e affettiva. Mamme e papà dovranno essere informati e dovranno dare, preventivamente, il loro assenso scritto. E questo perché, secondo la destra, sono le famiglie a doversi occupare di certi argomenti. In questo modo si evita dunque che i genitori siano scavalcati dalle scelte educative degli istituti scolastici. “Lo dice l’articolo 30 della Costituzione che sancisce il diritto-dovere delle famiglie di educare i propri bambini – spiega Valditara – E con questa misura vogliamo rafforzare l’alleanza tra scuole e famiglia”.
    Cosa acade se il consenso viene negato? Le scuole dovranno fornire ai ragazzi una attività formativa alternativa.
    Non solo: in caso di coinvolgimento di esperti esterni, occorrerà anche la delibera del Collegio dei docenti previa autorizzazione del Consiglio di istituto. Nella scelta di associazioni o formatori esterni andranno inoltre tenuti presenti i criteri di selezione fissati dal Collegio docenti per la comparazione e la valutazione dei loro titoli, oltre che della loro comprovata esperienza professionale, scientifica o accademica.
    Per le scuole dell’infanzia e della primaria i temi affrontabili “sono solo quelli contenuti nelle indicazioni nazionali, e cioè biologia, corpo umano, riproduzione biologica”, ha aggiunto Valditara.
    L’iniziativa del ministro riprende due testi di legge che Fratelli d’Italia (con Alessandro Amorese) e Lega (con Rossano Sasso), certi del presunto dilagare dell’inesistente “teoria gender” nelle scuole, hanno presentato negli scorsi mesi.
    Anche il disegno di legge Valditara non sarà subito in vigore, ma dovrà passare al Parlamento per essere discusso, eventualmente modificato e poi approvato dal Senato e dalla Camera.
    L’arresto in flagranza per chi aggredisce i prof
    Il Cdm ha approvato pure uno schema di disegno di legge in materia di tutela del personale docente della scuola e dei dirigenti scolastici. Con una modifica al Codice penale, per gli adulti che aggrediscono fisicamente prof e presidi, arrecando lesioni, è previsto un aggravamento delle pene (si passa dall’attuale pena che va da 6 mesi a 3 anni attuali a una reclusione da 2 a 5 anni) e l’arresto obbligatorio in flagranza o quasi flagranza di reato.
    “Il personale scolastico è quello più soggetto ad aggressioni, dopo il personale sanitario. Nel 2022-2023 la maggior parte di aggressioni erano di studenti, dal 2023-2024 sono soprattutto i genitori che picchiano prof o dirigenti scolastici”, dichiara Valditara che poi racconta alcuni tra gli episodi più gravi: “A Roma una collega è arrivata a farsi scortare a casa dai colleghi perché aveva paura dopo episodi di stalking dei genitori. Alla fine questi si sono presentati a scuola e l’hanno presa a bastonate. In Calabria, dagli insulti si è passati all’aggressione fisica: un docente è stato preso a pugni dai genitori, è caduto a terra, ha battuto la testa ed è rimasto in prognosi riservata in ospedale”.
    “Il nostro principio nel cambiare le norme – sottolinea Valditara – è molto chiaro: un docente non si tocca. La funzione di un educatore deve essere preservata e vanno garantite condizioni di serenità per chi lavora con i nostri figli”.
    Bullismo grave, arriva il 5 in condotta e la bocciatura
    Tra le altre misure esaminate dal Cdm anche due Dpr che, modificando lo Statuto degli studenti e delle studentesse, rendono operative alcune norme della riforma della valutazione della condotta degli studenti. Per esempio, la sospensione dalle lezioni per i casi più gravi, da 3 a 15 giorni, verrà sostituita alle superiori da attività di cittadinanza attiva e solidale. Ancora: con il 5 in condotta, esteso anche a episodi di bullismo grave, si verrà bocciati, con il 6 si viene rimandati a settembre e si dovrà superare un “esame di riparazione” con un elaborato critico su temi che riguardano il suo comportamento negativo LEGGI TUTTO