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    Mughetto orale, come trattarlo naturalmente

    Sanihelp.it – Il mughetto orale è un disturbo fastidioso, che può limitare di molto anche le attività sociali di chi venga colpito.Le cause sono da ricercarsi nel proliferare della Candida Albicans, un lievito che si trova normalmente a livello delle mucose, e anche di quella orale, ma che in situazioni particolari, come accade a chi abbia un sistema immunitario debole, può proliferare.
    I sintomi del mughetto orale sono diversi, dalla presenza di lesioni di colore bianco fino al dolore e alla perdita del gusto.

    Sarà, ovviamente, il vostro medico ad aiutarvi principalmente nella gestione del disturbo, ma esistono anche rimedi alternativi grazie ai quali sarà possibile evitare che l’infezione diventi recidivante.

    Vediamo, quindi, come aiutare il corpo a combattere il disturbo utilizzando alcuni rimedi naturali.
    I rimedi naturali per il mughetto orale
    I rimedi naturali per il mughetto orale sono diversi.
    Si inizia dall’uso della cannella, che consente di ridurre l’infiammazione. Si potrà assumere come integratore, oppure sarà possibile prendere la buona abitudine di aggiungerla alle bevande, come accade per il caffé.
    Anche il succo non dolcificato di mirtillo rosso è molto utile, e aiuta in generale a rendere meno infiammato il corpo, anche a livello delle vie urinarie.
    Un bicchiere al giorno, soprattutto nei mesi di maggiore vulnerabilità, vi aiuterà a tenere sotto controllo il lievito.
    Infine, anche il metodo dell’Oil Pulling vi potrà aiutare sotto questo aspetto. Potrete usare dell’olio di cocco puro e per uso alimentare e, ogni mattina, farete degli sciacqui con quest’olio prima di lavare i denti. All’inizio si comincerà con pochi minuti, per arrivare a superare i cinque minuti dopo diverse settimane. LEGGI TUTTO

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    Leucemia mieloide cronica, bene ponatinib

    Sanihelp.it – Lo studio osservazionale OITI, i cui risultati sono stati presentati a Francoforte, al congresso della European Hematology Association (EHA), ha confermato la validità del principio attivo ponatinib nel trattamento dei pazienti con leucemia mieloide cronica. Il farmaco è un agente antineoplastico inibitore delle proteinchinasi con un profilo di sicurezza a lungo termine gestibile, che ha aumentato il tasso di sopravvivenza nei pazienti affetti da questa forma tumorale.

    «Sono dati sicuramente molto buoni, se consideriamo che sono stati ottenuti in una popolazione di pazienti in cui aveva già fallito almeno un inibitore delle proteinchinasi e non pazienti all’interno di un trial clinico, che, come sappiamo, sono altamente selezionati», ha spiegato la professoressa Alessandra Iurlo, della Struttura Semplice Sindromi Mieloproliferative della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Policlinico di Milano ai microfoni di Pharmastar.
    Il fatto che i medici abbiano potuto modulare il dosaggio come meglio hanno creduto ha contribuito, inoltre, a ridurre gli effetti collaterali.

    Ponatinib è rimborsato in Italia dal 2015 e costituisce un trattamento ben consolidato di cui lo studio OITI ha confermato l’efficacia. Nel corso dello studio sono stati riportati anche degli effetti collaterali tra cui ipertensione, rash, trombocitopenia e aumento delle lipasi pancreatiche. Nonostante questo si è concluso che la tollerabilità del farmaco è buona.

    Nello studio OITI «la tollerabilità di ponatinib è stata decisamente buona» ha confermato la Prof. Iurlo. «per quanto riguarda la sicurezza, è vero che si sono presentati eventi avversi in più di un terzo dei pazienti. Occorre però tenere presente che, fra questi, i principali sono stati l’ipertensione arteriosa, l’insorgenza di rash cutaneo, la trombocitopenia e un aumento delle lipasi, mentre gli eventi cardiovascolari si sono presentati soltanto in una piccolissima percentuale di casi. Quindi, i dati di sicurezza sono sicuramente più a favore di quelli dei trial clinici», ha sottolineato Iurlo. LEGGI TUTTO

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    Gli acufeni costringono Pelù in pausa

    Sanihelp.it – Rinviato a data da destinarsi l’Estremo Live 2023 di Piero Pelù: ad annunciarlo è stato lo stesso cantante attraverso i propri canali social lo scorso 30 giugno: «Ragazzacci miei, non avrei mai voluto farvi questa comunicazione ma a questo punto è inevitabile. Durante una session di registrazione a Milano ho subìto uno shock acustico forte dalle cuffie» ha scritto. «Questa cosa ha acutizzato gli acufeni coi quali già convivevo da molti anni rendendoli ora molto aggressivi e dopo vari controlli, fatti con i migliori otorini d’Italia, ho ricevuto l’unanime comunicazione che avrò bisogno di un riposo forzato per le mie orecchie di rocker, dunque, il tour Estremo di quest’estate 2023 dovrà essere rimandato di alcuni mesi».Con il termine acufene si indica un disturbo tanto frequente quanto difficile da trattare: la percezione di suoni che non esistono descritti come ronzii, fischi, sibili, o pulsazioni. Secondo l’American Tinnitus Institute può avere oltre 200 cause possibili (organiche e anatomiche, virali e ambientali ma anche vascolari, oncologiche o legate all’invecchiamento). Stando ad un recente studio finanziato dalla Comunità Europea sulla prevalenza e incidenza globale dell’acufene, ne soffrono 749 milioni di persone, con una incidenza del 14% nella popolazione mondiale e 120 milioni di casi gravi. Si riscontra soprattutto tra gli anziani, ma anche tra coloro che hanno subito danni a causa di esposizione a suoni ad alta intensità oppure per stati di ansia o traumi. E tra chi lavora con la musica sono diversi a soffrirne: oltre a Pelù anche Caparezza e Chris Martin dei Coldplay, solo per citarne alcuni.  I trattamenti attualmente disponibili contro gli acufeni mirano a ridurre gli effetti più gravi della malattia, con risultati tuttavia temporanei e/o ridotti. Eppure parliamo di disturbi che, se a volte possono essere lievi e transitori, in molti casi sono intensi e costanti e possono determinare problemi come ansia e depressione, difficoltà a concentrarsi, a lavorare o a socializzare, oltre che disturbi del sonno.

    Una speranza arriva dall’ultimo congresso nazionale della Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale (SIO) svoltosi a Milano dove sono stati presentati i dati della sperimentazione effettuata presso il Dipartimento ORL del Policlinico di Tor Vergata riguardanti un nuovo dispositivo medico, battezzato Acufree, che si è mostrato molto promettente. «L’acufene non è una patologia esclusivamente cocleare poiché coinvolge tutte le vie uditive, anche a livello del sistema nervoso centrale ed è per questo motivo che abbiamo testato la terapia multimodale sincrona», sottolinea il Professor Di Girolamo, direttore dell’unità operativa ORL del Policlinico Universitario Tor Vergata e primo autore dello studio. «Si tratta di un sistema innovativo e non invasivo che con l’utilizzo di un dispositivo specificamente sviluppato e brevettato agisce su più livelli: Acufree si basa su una stimolazione sonora specifica personalizzata su ogni singolo paziente, a cui si associano onde elettromagnetiche a bassa e alta frequenza». La stimolazione elettromagnetica interferisce con i segnali che attivano la percezione dell’acufene. 

    La sperimentazione è stata condotta all’Università di Tor Vergata su 50 pazienti con una storia di acufene cronico di età maggiore di 18 anni, età media di 56 anni e una ipoacusia di grado medio o lieve. I pazienti sono stati sottoposti a un protocollo audiologico completo al momento dell’arruolamento e a un monitoraggio intensivo nel corso della terapia, con durata complessiva di 14 settimane e due sessioni di trattamento al giorno per 18 minuti ciascuna. I risultati, applicati ai due principali riferimenti internazionali di misurazione, hanno mostrato un miglioramento significativo nel 72% dei pazienti per il TFI (Tinnitus Functional Index) e 68% per il THI (Tinnitus Handicap Index). Il trattamento con questo dispositivo, che sarà in commercio a breve, promette di ridurre il disagio di acufeni e di migliorare la qualità della vita dei pazienti in maniera non invasiva, senza effetti collaterali e con la comodità di poterlo usare tranquillamente a casa, evitando sedute e visite mediche continue per tempi prolungati.   LEGGI TUTTO

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    Capelli grassi, come gestirli naturalmente

    Sanihelp.it – I capelli grassi possono mettere profondamente a disagio. Si sporcano in fretta e danno subito un aspetto trascurato.

    Tuttavia, esistono sistemi naturali grazie ai quali è possibile gestire i capelli e la cute grassi e limitare il fastidio.
    Vediamo come fare senza dover ricorrere all’uso di sostanze chimiche aggressive.

    Usare l’aceto di mele

    L’aceto di mele può aiutare soprattutto la cute a ristabilire il suo equilibrio. Per avere maggiore efficacia si potrà utilizzare uno risciacquo a base di acqua e aceto di mele (un cucchiaio in 100 ml d’acqua) da applicare sul cuoio capelluto.
    Si lascerà in posa per un paio di minuti e poi si potrà sciacquare. L’operazione sarà resa più semplice se fatta usando una bottiglietta spray.
    Usare l’amamelide

    Potrete procurarvi un tonico o un estratto di amamelide e potrete usarlo una volta alla settimana per fare un impacco pre shampoo.
    Infatti, questa pianta ha un importante potere astringente che vi aiuterà anche a regolare il sebo presente sul cuoio capelluto.
    Si applicherà sulla cute, si lascerà in posa una decina di minuti, dopo un leggero massaggio, e si concluderà con il normale lavaggio dei capelli.
    Usare l’albume d’uovo
    Spesso può sembrare un controsenso utilizzare l’albume d’uovo per i capelli grassi, ma questo è in grado di ristabilire l’equilibrio del cuoio capelluto.
    Si potrà realizzare una maschera con i soli albumi oppure si potranno mescolare con un cucchiaio di miele.
    Si applicherà la mistura sul cuoio capelluto e si lascerà in posa circa venti minuti. Infine, si laverà il tutto procedendo al normale shampoo. LEGGI TUTTO

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    Tumore della prostata: le complicanze dopo l’intervento

    Sanihelp.it – Il tumore alla prostata, una volta operato, lascia complicanze come incontinenza urinaria e disfunzione erettile. Di questo si è parlato in una conferenza stampa realizzata da Fondazione Onda in collaborazione con Elma Research, con il contributo incondizionato di Boston Scientific, durante la quale si è cercato di comprendere quali siano le aspettative dei pazienti e i punti di vista degli urologi. Il tumore alla prostata è il più diffuso negli uomini, non solo In Italia, ma anche negli altri paesi occidentali, ed è oltretutto in forte crescita. I pazienti che hanno subito una prostatectomia, cioè l’asportazione totale della prostata, sviluppano una disfunzione erettile che viene trattata con i farmaci inibitori della fosfodiesterasi 5, come il tadalafil, a volte però senza successo. A questo si aggiungono spesso problemi di incontinenza urinaria. Ciò provoca non solo fastidio e a volte dolore, ma anche ansia e depressione. Tuttavia, buona parte dei pazienti che manifestano queste problematiche non sono sottoposti ad alcun trattamento, un po’ perché trovano difficoltà a parlarne con lo specialista, preferendo il medico di base, è un po’ perché cercano la soluzione online.

    «In un’ottica di attenzione alle specificità di genere, Fondazione Onda si è già impegnata in questi anni ad affiancare il Bollino Rosa che promuove la messa a punto di percorsi in ottica di genere nelle strutture ospedaliere del territorio nazionale, con il Bollino Azzurro, riconoscimento rivolto alla salute maschile, dato agli ospedali che assicurano un approccio professionale e interdisciplinare nei percorsi diagnostici e terapeutici dedicati alle persone con tumore della prostata» spiega Francesca Merzagora, presidente della fondazione Onda «le problematiche funzionali legate al dopo tumore della prostata sono ancora oggi poco conosciute e considerate e solo alcuni centri ospedalieri specializzati hanno attivato percorsi dedicati con la possibilità di identificare le soluzioni terapeutiche più appropriate e all’avanguardia. Occorre promuovere la condivisione di buone pratiche cliniche e informare l’utenza delle realtà ospedaliere con migliore competenza e sensibilità nella gestione multidisciplinare di questa malattia». LEGGI TUTTO

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    Pressione eccessivamente bassa: i rimedi naturali

    Sanihelp.it – La pressione bassa è vista spesso come un elemento positivo, in quanto non predispone ai problemi che si legano, invece, all’ipertensione. Tuttavia, anche la pressione eccessivamente bassa può essere fastidiosa e portare, ad esempio, a soffrire di stanchezza e capogiri, soprattutto nella stagione estiva.

    Ecco perché conoscere alcuni accorgimenti può essere utile per stabilizzare la pressione anche in estate.
    Vediamo i rimedi naturali per la pressione troppo bassa.

    La liquirizia

    La radice di liquirizia aiuta ad alzare leggermente la pressione. Si potrà utilizzare la radice grezza, oppure un estratto. Bisognerebbe assumere questo rimedio la mattina lontano dai pasti, e mai esagerare.
    La caffeina
    Il caffé del mattino può aiutare chi soffra di pressione eccessivamente bassa. La presenza, infatti, di caffeina può dare una sferzata di energia e può contribuire a ristabilire i normali livelli di pressione arteriosa.

    Magnesio e potassio
    Spesso la pressione si abbassa per la perdita di elettroliti. Integrare magnesio e potassio, e in alcuni casi di evidente perdita anche il sodio, può aiutare a ridurre gli effetti della pressione eccessivamente bassa.
    Questo soprattutto in persone che sudino molto o in chi faccia molta attività fisica.

    In tutti i casi, comunque, sarà bene fare riferimento al proprio medico, indicare il problema e non interrompere mai l’uso di farmaci prescritti. LEGGI TUTTO

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    L’aspartame è cancerogeno? Forse

    Sanihelp.it – L’aspartame si trova in molti prodotti, dalle bibite ai dolci, viene usato per dolcificare il caffè da chi non può o non vuole assumere zucchero, e ogni tanto finisce sotto la lente di ingrandimento.Già nel 1981 un comitato di esperti separato dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sugli additivi alimentari l’ha considerato sicuro purché venga consumato entro certi limiti.
    Ora se ne stanno occupando l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e il dipartimento di ricerca sul cancro dell’OMS (JECFA, Joint FAO/WHO Espert Commettee on Food Additives).

    La IARC deve valutare, sulla base di tutte le evidenze scientifiche finora dimostrate, se una sostanza può essere o meno un potenziale pericolo, mentre lo JECFA sta considerando la quantità di aspartame che può essere assunta senza rischi.

    L’esito di questi esami dovrebbe essere annunciato il 14/07, giorno in cui l’AIRC renderà pubblica la sua decisione.
    La classificazione IARC prevede 4 livelli per le sostanze esaminate:
    –       cancerogeno

    –       probabilmente cancerogeno
    –       possibilmente cancerogeno
    –       non classificabile
    Nel primo gruppo si trovano sostanze come l’amianto, che sono ormai notoriamente cancerogene.
    La probabile cancerogenicità non riguarda solo le sostanze, come la carne rossa e troppo cotta, ma anche alcune situazioni, come per esempio il lavoro notturno.
    Tra i possibili cancerogeni sono classificati i campi elettromagnetici associati all’uso dei telefoni cellulari e, appunto, l’aspartame.
    Nel gruppo non classificabile rientra tutto ciò per cui non esistono evidenze.
    Questa notizia ha creato un forte allarme nell’industria alimentare, considerati gli interessi in gioco. LEGGI TUTTO

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    Gliomi cerebrali: vorasidenib ne ritarda la crescita

    Sanihelp.it – Vorasidenib, un inibitore dell’enzima IDH (isocitrato deidrogenasi), è in grado di ridurre il rischio di progressione della malattia o di morte del 61% rispetto al placebo, cioè la sostanza farmacologicamente inerte che viene somministrata per confronto con medicinali efficaci negli studi clinici, nei pazienti con glioma di grado 2, con mutazioni del gene che codifica l’enzima IDH.Sono i risultati di uno studio chiamato INDIGO, presentato al congresso dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology). Il trattamento è stato somministrato dopo l’intervento chirurgico per la resezione del tumore, prima di iniziare la chemioterapia standard.Ingo Mellinghoff del Memorial Sloan Kettering Cancer Center, di New York, principale autore dello studio, ha spiegato che l’utilizzo di vorasidenib ritarda la crescita del tumore in modo significativo, e di conseguenza anche la somministrazione di terapie tossiche.«Questo risultato è clinicamente significativo, perché i pazienti con diagnosi di glioma di grado 2 con IDH mutato sono in genere giovani e in buona salute. I risultati di questo studio offrono la possibilità di cambiare il paradigma terapeutico per questo tipo di glioma e potrebbero portare alla prima nuova terapia mirata per il glioma di basso grado» ha aggiunto.Come sono stati scelti i partecipanti allo studio? Una delle condizioni era avere almeno 12 anni, considerato che i pazienti con questa diagnosi sono di solito giovani e sani. Altre caratteristiche, oltre a essere affetti dalla forma tumorale oggetto dello studio, erano non avere effettuato un trattamento precedente per glioma, essere stati sottoposti a intervento chirurgico non meno di un anno prima e non avere immediata necessità di essere sottoposti a chemioterapia o radioterapia.Di fronte ai risultati dello studio, l’esperto ASCO Glenn Lesser ha commentato «Questi risultati sono piuttosto sorprendenti, sono statisticamente molto significativi e, soprattutto, sono molto importanti da un punto di vista clinico. In pazienti selezionati con glioma di basso grado, possiamo potenzialmente ritardare l’uso della chemioterapia e di radiazioni tossiche per anni, forse per molti anni e ritardarne la tossicità». LEGGI TUTTO