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    Akshi Tarpana, il trattamento ayurvedico per gli occhi

    Trattamenti naturali

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 29-03-2022

    Come ridurre disturbi a livello oculare con una pratica ancora poco nota ma davvero efficace

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    Sanihelp.it – Si chiama Akshi Tarpana, ed è un trattamento dedicato proprio a Tarpana, gli occhi.
    È, in particolare, un trattamento ayurvedico ancora poco noto ma che dovrebbe essere praticato da tutti coloro che abbiano particoalri problemi agli occhi.
    Infatti, anche per la parte oculare l’Ayurveda prevede rimedi specifici, tra cui questo tipo di trattamento.
    Innanzitutto vediamo come si esegue Akshi Tarpana.
    Si preparerà l’area perioculare, creando una barriera con una pasta a base di erbe e di farine, la cui composizione potrà variare a seconda dell’area geografica nella quale si eseguirà il trattamento.
    In questo modo si eviterà che il composto utilizzato per il trattamento possa colare verso i lati del viso.
    Successivamente, si farà colare un composto a base di oli o Ghee ed erbe proprio a livello degli occhi. A seconda dell’obiettivo si potrà richiedere alla persona di rimanere con le palpebre chiuse, oppure di sbatterle velocemente.
    Il trattamento, che durerà una ventina di minuti, si realizzerà in un ambiente rilassato, che favorirà anche uno stato d’animo più tranquillo in chi vi si sottoporrà.
    Il trattamento di Akshi Tarpana è molto consigliato a coloro che soffrano di problemi come la sindrome dell’occhio secco, il bruciore cronico, il dolore dato dalla tensione e anche la presenza di borse e occhiaie.
    Bisognerà evitarlo, invece, nel caso in cui si abbiano problemi corneali, ulcere e altre forme infiammatorie a livello di occhi e congiuntiva.
    Infine, bisognerà sempre controllare che il materiale utilizzato per il trattamento sia adatto, ci sia la massima pulizia e che non vengano usati oli che possano provocare allergie.

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    Tumori: rischio maggiore se il bambino è esposto a ftalati

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 29-03-2022

    Uno studio rivela che l’esposizione agli ftalati aumenta il rischio di cancro infantile

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    Sanihelp.it – Gli ftalati, come per esempio il bisfenolo, sono sostanze chimiche plastificanti, cioè utilizzate come componenti per la produzione di prodotti in plastica, tra i quali anche prodotti a uso alimentare, come bottiglie, piatti e posate usa e getta, contenitori per la conservazione dei cibi. Queste sostanze hanno la capacità di trasferirsi dall’oggetto in plastica al cibo che consumiamo, e quindi al nostro corpo. Dal 14 gennaio di quest’anno sono stati messi al bando, vietandone la produzione e la vendita, piatti e bicchieri in plastica monouso, posate, cannucce, contenitori e altri oggetti in plastica, che fino a oggi sono però stati utilizzati. Questo è stato fatto per proteggere l’ambiente. Gli ftalati sono anche utilizzati come eccipienti in alcuni farmaci, soprattutto in quelli che sono a rilascio prolungato o ritardato. Proprio sui farmaci si è concentrato uno studio danese, che ha valutato le prescrizioni di farmaci fatte alla madre in gravidanza e successivamente quelle fatte al bambino.L’esposizione a queste sostanze durante l’infanzia può aumentare fino al 20% il rischio di tumori nei bambini. È questo il risultato di uno studio condotto in Danimarca, presso l’Università di Aarhus, pubblicato sul Journal of he National Cancer Institute. Secondo i ricercatori, l’esposizione durante l’infanzia, ma non quella in utero, aumenterebbe di circa il 20% il rischio di sviluppare qualche forma di cancro entro i 19 anni, in particolare osteosarcoma e linfoma. Nonostante questo aumento, il rischio in assoluto rimane comunque minimo. 

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    Kvass, il fermentato anticancro da fare a casa

    Cure alternative

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 22-03-2022

    Come assumere, e realizzare, questa bevanda dalle inaspettate proprietà sia per la salute in generale sia per la prevenzione dei tumori

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    Sanihelp.it – Che i cibi, e le bevande, fermentati, fossero benefici per il corpo era noto da tempo, ma non tutti sanno che esistono fermentati che possono vantare proprietà straordinarie.
    Questo è il caso del Kvass, una bevanda fermentata che proviene dall’Est Europa, ma che ormai si può preparare, e trovare, anche nel resto del Mondo. Viene anche chiamata Cola del Pane, e la sua creazione risale addirittura a più di mille anni fa.
    Ma quali sono i benefici del Kvass, e come si può preparare?
    I benefici riguardano, innanzitutto, il grande contenuto in probiotici di questa bevanda. Infatti, i probiotici aiutano a mantenere sano il sistema immunitario e a rendere la digestione semplice e mai affaticata. Grazie al contenuto in antiossidanti, il Kvass può essere utilizzato, soprattutto in periodi come il cambio di stagione, per fare una pulizia efficace del fegato e promuovere il suo funzionamento. Sempre grazie al contenuto in antiossidanti, si può indicare come questa bevanda possa aiutare nella lotta contro il cancro.
    Questa affermazione sarebbe stata surrogata anche da uno studio del 2014 pubblicato sulla rivista Nutrients, che ha indicato come il Kvass può aiutare a ridurre il rischio dell’occorenza di alcuni tipi di cancro. Com’è stato indicato, il Kvass è a base di pane, il che rende questa bevanda davvero particolare.
    Ecco, quindi, come realizzarla a casa.
    Sarà necessario avere a disposizione 300 grammi di pane di segale, che dovrà essere tagliato in quadratini.
    Inoltre, bisognerà avere 100 grammi di zucchero di canna, mezzo pacchetto di lievito attivo, un cucchiaio di farina bianca, dell’acqua filtrata e circa 8 chicchi di uva passa.
    Per iniziare bisognerà porre il pane su una teglia e bisognerà farlo cuocere a circa 180 gradi per 30 minuti in modo da farlo diventare croccante.
    Poi, bisognerà far bollire un paio di litri d’acqua, i quali dovranno poi essere fatti raffreddare. A questa bisognerà aggiungere il pane e si dovrà mescolare per bene.
    Si coprirà il recipiente con un panno e bisognerà lasciarlo in un posto caldo per almeno un’ora.
    Successivamente si dovrà filtrare il composto ma si dovrà comunque tenere da parte l’acqua.
    A questo punto, si dovrà far bollire un ulteriore mezzo litro d’acqua al quale, una volta raffreddato, si aggiungerà nuovamente il pane, che andrà fatto riposare per 90 minuti.
    Si dovrà filtrare di nuovo il composto e le due parti liquide (i primi due litri e il successivo mezzo) potranno essere mescolati e si dovrà sciogliere lo zucchero facendolo cuocere con un cucchiaio d’acqua e cercando di non far bruciare il tutto.
    Dopo aver fatto raffreddare lo zucchero si potrà mescolare al liquido prodotto in precedenza.
    Infine, bisognerà mescolare la farina con il lievito, e si mescolerà il tutto con un bicchiere del liquido prodotto dalla precedente fermentazione.
    Si mescolerà ancora questo composto con quello originario e si lascerà fermentare il tutto, coperto da un panno, per circa 12 ore.
    Si filtrerà, infine, e si potrà trasferire la bevanda in un altro recipiente. Si potrà conservare in frigo per circa tre giorni.

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    Linfoma mantellare: AIFA approva terapia Car-T

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 22-03-2022

    Una nuova terapia è stata approvata in Italia per questo tipo di tumore

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    Sanihelp.it – Si chiama KTE-X19 il primo trattamento autorizzato per il linfoma a cellule mantellari recidivante o refrattario. Si tratta di una immunoterapia cellulare basata sull’utilizzo di cellule Car-T, cellule in grado di riconoscere e legare un antigene espresso sulle cellule tumorali. Le Car-T sono una terapia innovativa in campo oncoematologico basata sui linfociti T, globuli bianchi responsabili della difesa immunitaria dell’organismo. Come funzionano? Al paziente viene prelevato il sangue, dal quale si separano i linfociti T dal resto delle cellule sanguigne e dal plasma, con una tecnica detta aferesi. Vengono così raccolti i linfociti del paziente, che vengono inviati al laboratorio dove subiscono un processo di modificazione genetica, che consiste nell’inserimento nei linfociti del recettore CAR (Chimeric Antigen Receptor) in grado di riconoscere le cellule tumorali. Dopo 3-4 settimane i linfociti Car-T possono essere infusi nel sangue del paziente con l’obiettivo di attaccare e distruggere le cellule tumorali.
    L’autorizzazione di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) si basa sui dati di uno studio chiamato Zuma-2, condotto in Europa e negli Stati Uniti, su pazienti adulti con la malattia e già trattati in precedenza con almeno due linee di terapia sistemica. Il linfoma mantellare è un tipo di linfoma non Hodgkin a cellule B piuttosto aggressivo, che ha spesso una prognosi sfavorevole. Colpisce maggiormente le persone adulte di età media di 65 anni ed è più frequente nel sesso maschile.
    «La disponibilità di questa prima terapia cellulare per il linfoma mantellare recidivante o refrattario fornisce un’opzione importante per i pazienti» spiega Paolo Corradini, Direttore della Divisione di Ematologia della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Milano. «Al momento le opzioni di trattamento per questi pazienti, la cui malattia progredisce dopo le terapie iniziali, sono pressoché nulle. Esiste quindi una sentita necessità di nuove opzioni terapeutiche. Gli elevati tassi di risposta osservati supportano il potenziale di KTE-X19 come terapia efficace per le persone affette da linfoma mantellare recidivato o refrattario, con un profilo di sicurezza gestibile».

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    Funghi Maitake, un toccasana per diabete e fertilità

    Cure alternative

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 15-03-2022

    Come utilizzarli per migliorare il proprio stato di salute, combattere il colesterolo e rinforzare il sistema immunitario

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    Sanihelp.it – L’uso dei funghi a livello medicinale è molto noto, soprattutto nella Medicina tradizionale Cinese.
    Esistono moltissime varietà di funghi utilizzati a tale scopo, ma negli ultimi anni se ne stanno scoprendo di nuove, soprattutto in relazione ai loro effetti positivi sulla salute e sulla prevenzione di alcune malattie.
    Questo è accaduto anche per i funghi maitake.
    Questi funghi, che si possono utilizzare sia nelle ricette sia come medicinale, sono molto buoni, ma ancora difficili da reperire. Per questo bisognerà rifornirsi da erboristi e negozi di alimentazione naturale che abbiano effettivamente a disposizione i Maitake, e non altre varietà simili.
    Ma quali sono i benefici che derivano dall’uso di questi funghi?
    Si inizia dalla possibilità di ridurre e bilanciare gli zuccheri nel sangue. Questi funghi, infatti, consentono di evitare i picchi glicemici e di mantenere costante la quantità di insulina presente nel sangue. Una recente ricerca pubblicata sull’International Journal of Cancer ha mostrato come alcuni estratti che derivano da questi funghi possono essere in grado di fermare la crescita dei tumori. Questa è un’ottima notizia, sia per chi voglia consumare i funghi tal quali, sia per l’utilizzo del loro estratto.
    Come accade per altri funghi simili, anche i Maitake consentono di controllare la quantità di colesterolo, riducendola ed evitando che le placche si depositino a livello delle arterie. Questo soprattutto nel caso in cui si assumano i funghi sotto forma di estratti.
    Allo stesso modo, la presenza di beta glucano nei funghi consentirebbe di aumentare le difese immunitarie e di portare, quindi, il corpo ad avere maggiore resistenza alle infezioni. Infine, secondo uno studio del 2010, i Maitake sarebbero in grado di promuovere la fertilità, anche in donne che abbiano problemi come la policistosi ovarica.
    In particolare, nello studio è stato dimostrato come questi funghi possano aiutare ad indurre l’ovulazione naturale nelle donne con problemi di fertilità. Ecco che, quindi, sempre sotto controllo medico sarà possibile iniziare a consumare questi funghi, controllando di non essere allergici.

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    Il tumore della cistifellea: sintomi e terapia

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 15-03-2022

    Si tratta di una forma tumorale più frequente nelle donne

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    Sanihelp.it – La cistifellea, o colecisti, è un piccolo organo a forma di sacca posto subito sotto il fegato, il cui compito è quello di immagazzinare la bile, liquido di colore giallo-verdastro prodotto dal fegato, che serve per facilitare la digestione e l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili e per neutralizzare l’acidità del chimo che proviene dallo stomaco. Durante il digiuno la bile viene accumulata per poi essere riversata nel tratto iniziale dell’intestino tenue dopo i pasti. 
    I tumori della cistifellea originano in genere dalle ghiandole che si trovano nella mucosa interna dell’organo e si distinguono in adenocarcinomi non papillari, che rappresentano la maggior parte dei tumori della colecisti, e adenocarcinomi papillari. Sono più diffusi nelle donne con un’età media di circa 65 anni. I sintomi più frequenti sono comuni anche ad altre patologie, per cui non raramente la diagnosi viene ritardata, e sono nausea e vomito, dolore nella parte destra in alto dell’addome e ingrossamento della colecisti. Sintomo invece classico è la comparsa di ittero, cioè un colorito giallo della pelle e degli occhi, a volte con prurito. Altri sintomi, meno frequenti, sono inappetenza, perdita di peso e gonfiore addominale. Tra i fattori di rischio ricordiamo la presenza di calcoli biliari, l’obesità, infezioni da virus dell’epatite B o C, famigliarità per questo tipo di tumore.
    I primi esami da fare sono quelli del sangue, per valutare il dosaggio degli enzimi epatici come le transaminasi, le gamma-GT e la fosfatasi alcalina, oltre alla ricerca dei marker tumorali. In seguito, si possono eseguire una ecografia addominale, una TAC e una risonanza magnetica, oltre a esami più specifici. La terapia dipende dallo stadio a cui è giunto il tumore, e potrà essere chirurgica e/o chemioterapica o radioterapica.

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    Patrizio Rispo ha scoperto di avere un tumore da testimonial

    Oncologia

    di Valeria GhittiPubblicato il: 15-03-2022

    L’attore è stata da poco operato per due tumori alla prostata che gli sono stati diagnosticati dopo che era stato invitato a diventare testimonial per la prevenzione.

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    Sanihelp.it – Le campagne di prevenzione servono: ai cittadini che vengono sensibilizzati a sottoporsi a controlli di routine, ma anche ai testimonial. Ne sa qualcosa Patrizio Rispo, noto al grande pubblico per il ruolo di Raffaele Giordano, il portiere di Palazzo Palladini in Un posto al sole.
    L’attore partenopeo, infatti, chiamato alcuni anni fa dall’urologo Vincenzo Mirone come testimonial per girare uno spot sulla prevenzione del tumore alla prostata e invitato a sottoporsi a un controllo, ha scoperto di avere un tumore. È stato lui stesso a rivelarlo nei giorni scorsi in una intervista concessa al quotidiano Il Mattino.
    La diagnosi risale al 2016 e in quell’anno Rispo avrebbe anche dovuto essere operato, ma venne a mancare la corrente elettrica in ospedale e l’intervento chirurgico saltò. L’attore scelse quindi di aspettare, in vigile attesa, eseguendo controlli ogni sei mesi, fino ad oggi: da poche settimane è infatti stato operato all’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, con una nuova tecnologia non invasiva a ultrasuoni focalizzati: «Con il senno di poi, posso definirlo un miracolo. L’intervento nel 2016 sarebbe stato invasivo; con il trattamento di eccellenza, possibile grazie questa apparecchiatura, non ho avuto alcun tipo di conseguenze. Ma, sottoponendomi regolarmente agli accertamenti, non ho lasciato niente al caso» ha raccontato nell’intervista.
    Prima è passato da testimonial a paziente, ma subito è tornato a sensibilizzare: « Io non faccio altro che sostenere campagne di prevenzione perché sono l’unica grande difesa dalle malattie, come dimostra quel che è successo a me. Ma la prima medicina è nella testa. Serve un atteggiamento positivo, combattivo. Oggi, in un modo o nell’altro, si risolvono patologie che fino a poco tempo fa sono state motivo di terrore. Lo ripeto a tutti quelli che incontro, e li invito a fare i controlli, ad aderire agli screening».

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    Radice di Tarassaco, un rimedio versatile per il corpo

    Cure alternative

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 08-03-2022

    Come utilizzare questa parte del famoso vegetale per aiutare a ridurre il colesterolo e combattere altri disturbi

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    Sanihelp.it – Il tarassaco è una pianta davvero molto diffusa in Italia, e si scoprono sempre più utilizzi.
    In questo caso, si tratta dell’uso della sua radice, forse ancora poco conosciuta, ma al centro di diverse ricerche.
    Vediamo, quindi, in che modo poter utilizzare la radice di tarassaco, e quali sono i suoi benefici.
    In primo luogo, la radice di tarassaco, soprattutto se assunta sotto forma di estratto, aiuta a ridurre il colesterono e anche a ridurre la pressione alta.
    Allo stesso tempo, può aiutare a ridurre la quantità di zuccheri nel sangue, portando il corpo a regolare in modo naturale l’insulina.
    E’ un ottimo preparato anche per il suo contenuto in antiossidanti, e proprio per questo è stata studiata allo scopo di comprendere gli effetti sull’invecchiamento, ma anche sulla riduzione del cancro.
    Sembra che, infatti, il contenuto in antiossidanti renda la radice di tarassaco un’ottima candidata per coadiuvare i trattamenti tradizionali contro il cancro.
    Una funzione per la quale il Tarassaco è già molto conosciuto riguarda la sua capacità diuretica. Anche la radice ha queste caratteristiche, e può aiutare a riattivare i reni e la vescica, in modo che questi svolgano correttamente l’azione di eliminazione delle scorie.
    Infine, l’estratto secco di radice di tarassaco è ricco di vitamina K. Questa è poco conosciuta, ma aiuta non solo a contrastare l’azione tossica degli integratori di vitamina D3, spesso assunti dalle donne in menopausa, ma anche a fissare il calcio nelle ossa, combattendo in modo efficace l’osteoporosi.
    Per assumere l’estratto di radice di tarassaco ci si dovrà rivolgere al proprio erborista. Insieme al medico, questo professionista si potrà occupare di trovare il dosaggio più adeguato basandosi sulla storia clinica del paziente e anche sulle eventuali medicine già assunte.
    Infatti, non dovrebbe essere assunto da chi assuma già diuretici e altri medicinali che agiscono sulla funzione dei reni e della vescica.

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