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    I colori del tagete e come coltivarlo

    Originario dell’America centrale, il Tagete è conosciuto anche come “calendula messicana”, “fiore dei morti” o “garofano indiano”. I suoi colori brillanti lo rendono esteticamente affascinante, ma sono la sua resistenza, la sua generosità e la sua incredibile fioritura duratura a fare di lui un fiore estremamente apprezzato. Pianta annuale o perenne, fa parte della famiglia delle Asteraceae e gode anche di importanti proprietà medicinali. Le sue foglie, infatti, diventano spesso parte di infusi volti a combattere l’insonnia e migliorare la digestione. In alcune culture il Tagete è simbolicamente associato a riti religiosi e spesso, proprio per questo, si utilizza durante i rituali funebri, ma non solo.

    Tagete, “il fiore dei morti”
    In apparenza così semplice, il Tagete nasconde una serie di caratteristiche che lo rendono unico e affascinante. Nasce nel Messico, dove è sempre stato utilizzato durante la nota celebrazione del Dia de los Muertos, ma i suoi usi non sono solamente “spirituali”, bensì anche curativi e, ovviamente, decorativi. Il suo spiccato adattamento a ogni tipologia di terreno fa del Tagete una pianta molto versatile e resistente: lo si può osservare fare capolino durante tutto l’anno sia in giardino, sia in terrazzo, in aiuole, fioriere o bordure. La sua composizione rende il fiore dei morti delicato ma allo stesso tempo vivace: le foglie sono setose, mentre i fiori, simili a garofani, colorati e molto duraturi: da maggio a ottobre è possibile osservarne la bellezza e conoscerne le sfumature.

    Dove, come e quando: coltivazione del Tagete
    Le destinazioni del Tagete sono diverse. Questo fiore, talvolta definito “gigante” quando raggiunge gli 80 cm di altezza, può essere coltivato sia in vaso, sia in giardino, ma anche direttamente in orto, dato che gode di importanti proprietà disinfettanti che allontano parassiti come afidi, mosche bianche e altiche. Se si ha a disposizione un semenzaio, invece, è consigliabile seminare il Tagete a partire da febbraio-marzo e quando le piantine saranno nate, travasarle in un vaso più grande verso aprile-maggio. In alternativa, sempre nel periodo tra aprile e maggio si può seminare direttamente in vaso o in giardino, facendo attenzione alla temperatura esterna. I semi del Tagete vanno posizionati a una profondità di 0,5 cm, mentre la distanza tra semi e piantine dovrebbe sempre mantenere i 25 cm (si scende a 20 per il Tagete nano); in questo modo si darà il giusto spazio alla pianta di crescere nel modo più corretto e naturale possibile.

    Come raccogliere i semi del Tagete
    Una delle curiosità che rendono il Tagete una pianta unica nel suo genere riguarda proprio i suoi semi. Di solito, infatti, quando i capolini dei fiori appassiscono, sarebbe meglio tagliarli per consentire una fioritura continua e rigogliosa durante tutta la stagione estiva. Tuttavia, ed è qui la bellezza del fiore, è possibile anche raccoglierne i semi, ma in questo caso bisogna lasciare i fiorellini appassiti sulle piante fino a quando non saranno ben secchi. I semini che si ottengono, una volta liberati completamente dalle parti essiccate, si potranno conservare in un sacchetto di carta in un luogo fresco e asciutto. Lo scopo? Seminarli nella nuova primavera!

    Esposizione e annaffiatura del Tagete
    Il Tagete conta almeno 50 varietà: può essere nano, può essere alto, annuale o perenne. Non importa quale sia la sua caratteristica, perché rimane una pianta che ama il caldo, motivo per il quale posizionarlo alla luce sarà sempre un’ottima scelta. Annaffiarlo regolarmente è importante, specie durante l’estate, quando le irrigazioni aumenteranno per consentire al terreno la giusta umidità. Come per la maggior parte delle piante, però, anche il Tagete teme i ristagni idrici, che possono provocare l’asfissia del fiore e fare marcire le sue radici. Il Tagete teme il freddo, ma teme anche il cosiddetto “male bianco”, malattia di origine fungina che tende a svilupparsi quando si bagnano foglie e chioma del fiore. Conclusa la stagione estiva e con l’arrivo di quella autunnale, le annaffiature diminuiranno e saranno più scaglionate nel tempo.

    Il Tagete in inverno
    I fiori ricordano le sfumature del Sole e forse è proprio per questo che il Tagete ama il caldo. È infatti risaputo che tutte le specie di questa rigogliosa pianta temono il freddo in inverno, quindi in caso di varietà perenni come il Tagetes lucida (fini medicinali e anche culinari), è importante adottare misure di protezione ad hoc contro i danni che il freddo può provocare. Intanto, l’esposizione: luoghi luminosi e freschi andranno benissimo, ma attenzione alla temperatura, che ovviamente non dovrà essere troppo bassa. A parte qualche varietà, la maggior parte dei Tagete seminati in vaso o in giardino sono annuali: in inverno il loro ciclo di vita si conclude.

    Come prendersi cura del Tagete
    Prendersi cura del Tagete non è così complesso. Questa pianta dai colori raggianti è adatta anche a chi si trova alle prime armi con il giardinaggio o a chi, invece, non ha molto tempo a disposizione per dedicarsi a questo hobby. Il fiore dei morti non ha particolari esigenze in merito al terriccio, tant’è che riesce a crescere molto bene anche su terreni sassosi. Importanti sono la semina, il rispetto delle distanze di semi e piantine, l’esposizione alla luce, la giusta dose di acqua e l’eventuale raccolta di semi appassiti da conservare. Il resto lo faranno i suoi colori, il suo profumo acre in grado di allontanare insetti sospetti e sfavorire la crescita delle erbacce e le sue innumerevoli proprietà antibatteriche. Beatitudine, capacità di comprendere e calore delle relazioni: con il Tagete ci sarà colore duraturo e una simbologia tutta da scoprire. LEGGI TUTTO

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    Deforestazione, l’Ue vuole rinviare la legge. Esultano le imprese, la rabbia degli ambientalisti

    I prezzi del caffè sono salvi (per ora), gli alberi invece un po’ meno. La nuova proposta della Commissione Europea di rinviare di un anno la dibattuta legge sulla deforestazione ha fatto esultare produttori e commercianti di prodotti come caffè, cacao, legname, olio da palma e carne bovina e contemporaneamente infuriare ambientalisti e associazioni che si battono contro la crisi del clima e la perdita di biodiversità. La legge sarebbe dovuta entrare in vigore il 30 dicembre di quest’anno: in sostanza il regolamento noto con la sigla EUDR imponeva ai produttori di determinate merci e materie prime collegabili alla deforestazione, di dimostrare che la loro produzione non avrebbe causato il taglio di alberi o che non fosse proveniente da zone deforestate e degradate.

    Cosa dice la legge
    Secondo la legge la mancata osservanza di questo principio comporta per i produttori il divieto di commerciare i propri prodotti nei mercati Ue. Seppur inizialmente apprezzata per il suo intento di voler porre freno al disboscamento e proteggere le foreste, oggi sempre più determinanti nella loro funzione di assorbimento della CO?, la legge è stata fin da subito fortemente criticata – soprattutto da Paesi esportatori come Brasile o Usa – per la sua difficile applicazione. Le aziende, secondo il regolamento, devono utilizzare infatti il monitoraggio satellitare e altri sistemi di controllo e tracciabilità per dimostrare che le loro merci non provengono da terreni deforestati e degradati dopo il 31 dicembre 2020.

    La Commissione: rinvio a dicembre 2025
    Molte aziende non erano affatto preparate a un cambiamento di tale portata, definito tra l’altro “difficile e molto costoso” e da mesi, anche tramite pressioni delle lobby e delle industrie, da parte di più settori veniva chiesto un rinvio o una revisione del regolamento. Mercoledì scorso la Commissione Ue ha ceduto, annunciando come richiesto dalle aziende l’intenzione di un rinvio di 12 mesi e dunque la proposta, se approvata dai ministri dell’UE e dal Parlamento europeo, dovrebbe portare la legge a entrare in vigore il 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e il 30 giugno 2026 per le piccole imprese.

    Cacao, gomma, soia, legno, caffè
    Attualmente il regolamento Ue sui prodotti senza deforestazione (EUDR), applicato a metà anno scorso, era in un periodo di prova, una transizione di 18 mesi. Periodo che si sarebbe appunto concluso a fine anno con l’effettiva applicazione. Esportatori di cacao, bovini, gomma, soia, legno, olio di palma e caffè dal 1° gennaio, per poter continuare a commerciare in Europa, avrebbero dunque dovuto fornire una dichiarazione di due diligence con coordinate geografiche dei terreni di provenienza e spiegazioni dettagliate su tali informazioni.
    “Il regolamento che sarebbe dovuto entrare in vigore il 30 dicembre 2024 ci avrebbe fatto sprofondare in un caos irresponsabile. Molte delle condizioni per l’applicazione non sono chiare e molti paesi terzi si lamentano giustamente. I piccoli agricoltori , ad esempio in America Latina, hanno bisogno di molto più supporto e dobbiamo garantire un’implementazione non burocratica” ha affermato l’eurodeputato tedesco Peter Liese, responsabile della politica ambientale del PPE.

    Rischio di una deforestazione aggiuntiva
    Gli ambientalisti temono però che il rinvio, se approvato, possa causa una deforestazione aggiuntiva di 2.300 chilometri quadrati. “C’è uno sforzo cinico da parte di grandi aziende e governi che sono in combutta e lavorano a stretto contatto con attori più grandi e potenti. Stanno usando i piccoli proprietari come giustificazione per cercare di sottrarsi alle proprie responsabilità per la deforestazione zero nella loro catena di fornitura” ha risposto piccato Christian Poirier, direttore del programma per Amazon Watch.

    Gli attivisti
    Per Nicole Polsterer, attivista di Fern, “Ursula von der Leyen si è piegata alle pressioni costanti di aziende e paesi che sapevano da anni che la regolamentazione sarebbe arrivata ma non si erano preparati adeguatamente”. Greenpeace Ue sostiene che la nuova mossa dell’Ue sia un enorme passo indietro per le politiche del Green Deal. “Ursula von der Leyen avrebbe potuto benissimo maneggiare la motosega in prima persona – ha detto con rabbia Sébastien Risso, direttore delle politiche forestali di Greenpeace -.In Europa la gente non vuole che sugli scaffali dei supermercati siano presenti prodotti derivanti dalla deforestazione , ma questo rinvio glieli darà, per altri dodici mesi”.
    Per Virginijus Sinkevi?ius, eurodeputato lituano che è stato commissario all’ambiente, rinviare la regolamentazione rappresenta “un passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico” e alimenterebbe “il 15% delle emissioni globali di carbonio”, oltre che danneggiare l’Ue “nella sua credibilità di impegni climatici”.
    La lobby del caffè
    Al contrario secondo Cem Özdemir, ministro tedesco dell’Alimentazione e dell’Agricoltura, il ritardo è fondamentale per dare tempo alle aziende europee, alle imprese, agli stati membri e ai paesi produttori di “prepararsi adeguatamente” anche se “il contenuto della legge deve rimanere intatto”.
    Recenti affermazioni da parte dell’industria e delle lobby del caffè – considerando sia gli impatti della legge sia quelli dei cambiamenti climatici che in parte hanno causato il rialzo dei costi della materia prima – indicavano la possibilità che una tazzina di caffè, in Paesi come l’Italia, sarebbe presto arrivata a costare due euro. Un’ipotesi oggi forse scongiurata se ministri Ue e Parlamento europeo decideranno per il rinvio. Mentre la concreta salvaguardia delle foreste, a quanto pare, dovrà attendere ancora almeno per un anno. LEGGI TUTTO

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    Nucleare, Microsoft sigla un accordo per far ripartire la centrale “dormiente” Three Mile Island

    Nelle ultime ore se lo è chiesto anche l’autorevole Financial Times: “L’energia nucleare è la risposta a zero emissioni di carbonio per alimentare l’intelligenza artificiale?”. L’inchiesta del quotidiano economico della City di Londra prende il via dalla constatazione che “dopo decenni di stagnazione, i più grandi gruppi tecnologici e le banche del mondo stanno considerando un’opzione energetica alternativa” per sostenere la fame di elettricità dei data center che dovranno sorreggere la prevista esplosione degli algoritmi di intelligenza artificiale. Ma certamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso è una notizia di due settimane fa: venerdì 20 settembre la Microsoft ha siglato un accordo con gli attuali proprietari, la società Constellation Energy, della centrale nucleare “dormiente” di Three Mile Island, in Pennsylvania. Il colosso informatico si è impegnato a comprare per i prossimi 20 anni il 100% dell’energia elettrica prodotta (835 megawatt, quanto basta per alimentare 800 mila case).

    Il peggior incidente nucleare negli Usa
    Three Miles Island fu teatro del peggior incidente nucleare nella storia degli Stati Uniti, il 28 marzo del 1979, con il rilascio di gas e iodio radioattivi, anche se studi epidemiologici successivi non hanno trovato alcun nesso di causalità tra l’incidente e un aumento dei tumori. Il nucleo del reattore incidentale fu rimosso e la chiusura definitiva della struttura è prevista per il 2052. L’altro, l’Unità 1, rimase in funzione ma con grosse perdite economiche, tanto che nel 2017 l’allora gestore, Exelon, dichiarò che avrebbe cessato le operazioni a causa degli elevati costi, a meno che non ci fosse un’azione da parte del governo della Pennsylvania. E così l’Unità 1 è stata ufficialmente chiusa a mezzogiorno del 20 settembre 2019, mentre il decommissioning sarebbe dovuto terminare nel 2079.

    “100% Rinnovabili Network”, scienziati e ambientalisti contro il ritorno del nucleare

    di Fiammetta Cupellaro

    12 Luglio 2024

    Investimento di 1,6 miliardi di dollari
    Ora però la nuova proprietà inverte la rotta, annunciando di voler investire 1,6 miliardi di dollari per riprendere la produzione di elettricità a partire dal 2028. Ma la Constellation Energy ha una simile disponibilità economica? No, e infatti, come racconta il Washington Post, cerca finanziatori e soprattutto una garanzia di prestito federale che convinca i finanziatori stessi ad allargare i cordoni della borsa. “Il prestito sostenuto dai contribuenti potrebbe dare a Microsoft e al proprietario di Three Mile Island, Constellation Energy, una spinta importante nel loro tentativo senza precedenti di indirizzare tutta l’energia da una centrale nucleare statunitense a un’unica azienda”, scrive il quotidiano della capitale Usa.
    La vicenda esemplifica uno dei principali problemi legati alla “seconda giovinezza” del nucleare civile, che tanti, anche in Italia, auspicano. Anche volendo sorvolare sulla sicurezza, i depositi di scorie, la carenza di uranio a livello globale e la dipendenza da chi lo detiene, il rischio di proliferazione di armi atomiche…., rimane comunque un grandissimo punto interrogativo alla fine della seguente domanda: chi si accolla i costi?

    Per sopravvivere a Chernobyl, gli uccelli hanno cambiato dieta

    di Ivo Albertucci

    04 Luglio 2024

    La discesa in campo delle big tech

    Perché il nucleare è costoso in tutte le sue fasi e finora è stato alimentato ovunque con robuste iniezioni di denaro pubblico. Non fa eccezione la storia passata di Three Mile Island. E quella futura? Con la discesa in campo le big tech, aziende ricchissime che hanno bisogno di tanta energia, possibilmente a emissioni zero di gas serra, almeno dal punto di vista economico poteva esserci la quadratura del cerchio: la rinascita del nucleare finanziata da capitali privati. E invece le cronache in arrivo da Washington ci dicono che non sarà così, almeno nel caso dell’accordo tra Microsoft e Costellation Energy.

    IA

    100 cose da sapere sull’intelligenza artificiale

    di Pier Luigi Pisa

    15 Giugno 2024

    “Una garanzia di prestito consentirebbe a Constellation di spostare gran parte del rischio di riapertura di Three Mile Island sui contribuenti. Il governo federale, in questo caso, si impegnerebbe a coprire fino a 1,6 miliardi di dollari in caso di inadempienza”, scrive il Post. LEGGI TUTTO

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    I cambiamenti climatici minacciano la vita dei bradipi

    Si muovono lentamente, ma potrebbero scomparire abbastanza velocemente. Se c’è un animale, icona delle foreste del Costa Rica, noto per la sua lentezza è proprio il bradipo: non è soltanto lento nei movimenti fra le volte arboree, ma è anche lento nel digerire. Proprio il suo basso metabolismo – se messo in relazione con la crisi del clima che porta all’aumento delle temperature – in un futuro prossimo potrebbe essere un serio problema per la sopravvivenza di questi straordinari animali.

    Il perché lo racconta una nuova ricerca pubblicata sulla rivista PeerJ Life & Environment, coordinata dagli esperti della Sloth Conservation Foundation. I ricercatori, dopo mesi di studi e raccolta dati, in particolare sulla temperatura corporea e l’ossigeno a disposizione dei bradipi, sostengono che con l’aumento delle temperature il mammifero più lento del mondo potrebbe rischiare, in determinate aree, l’estinzione entro fine secolo.

    Biodiversità

    Crisi climatica, nessun animale marino è al sicuro: una mappa per capire quali specie rischiano di più

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    18 Settembre 2024

    Per diversi fattori, clima compreso, negli ultimi decenni i bradipi sono diminuiti in habitat naturali come quelli del Costa Rica e delle foreste pluviali tropicali dell’America centrale e meridionale. Queste creature hanno un basso tasso metabolico: passano buona parte delle giornate quasi immobili e dormono tra le cime degli alberi anche per più di quindici ore al giorno.
    Lo studio in Costa Rica
    Nel tentativo di comprendere i motivi del declino della specie Choloepus hoffmanni, Rebecca Cliffe, direttrice della Sloth Conservation Foundation, insieme a un team di biologi ha analizzato i dati di dodici bradipi adulti che vivono all’interno di un santuario del Costa Rica: alcuni di loro provengono dalle foreste pluviali di montagna, altri da zone di pianura e anche a seconda della loro provenienza, analizzando temperatura corporea e consumo di ossigeno, si è scoperto che rispondono in maniera differente alle temperature ambientali (quelle comprese tra 18 e 34 gradi).
    Più rischi in alta quota
    Per esempio i bradipi di pianura mostrano un miglior adattamento al caldo attraverso una diminuzione delle loro attività metaboliche, mentre quelli di montagna hanno dimostrato di non avere questa caratteristica e, di conseguenza, a temperature più elevate c’è stato un aumento del tasso metabolico a riposo portandoli a una maggiore necessità di energia.
    “I bradipi sono particolarmente vulnerabili all’aumento delle temperature a causa dei loro adattamenti fisiologici. Sopravvivono con una dieta estremamente ipocalorica, quindi conservare l’energia è fondamentale per loro” ha spiegato Cliffe.

    Lo studio

    Piccolissimi e sorprendenti: i tardigradi sanno difendersi dalle microplastiche

    Sara Carmignani

    30 Settembre 2024

    Quelli di pianura potrebbero migrare
    Per compensare agli effetti dei cambiamenti climatici innescati dall’uomo questi mammiferi potrebbero migrare in altre zone, magari più fredde, ma anche questo passaggio è per loro estremamente complesso proprio a causa della loro lentezza e delle energie a disposizione.
    “I bradipi d’alta quota si trovano in una posizione particolarmente precaria anche per la loro limitata capacità di migrare verso aree più fredde e la mancanza di flessibilità metabolica. Questo potrebbero spingere queste popolazioni verso l’estinzione”, ha aggiunto la direttrice.

    Biodiversità

    I coleotteri che spaventano l’Europa: 12 specie aliene dannose per le nostre foreste

    di  Fabio Marzano

    24 Settembre 2024

    Gli esperti temono che se le previsioni attuali si dovessero avverare – ovvero un aumento di temperatura oltre i due gradi entro il 2100 in determinati habitat – allora i bradipi di pianura potrebbero sopravvivere solo se si sposteranno in altre aree, mentre quelli di montagna rischiano concretamente di non farcela.
    Oltretutto “a differenza di altre specie, i bradipi sono creature abitudinarie, altamente specializzate nel loro habitat e non sono adatte al trasferimento in altre aree per cui se il loro ambiente diventa troppo caldo, la loro sopravvivenza è davvero improbabile”, ricorda ancora l’autrice del paper.
    “Il nostro lavoro – chiosano infine i ricercatori – evidenzia la vulnerabilità dei bradipi a un mondo che si riscalda. Se non adottiamo misure urgenti per proteggere queste specie, rischiamo di perderle per sempre”. LEGGI TUTTO

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    Nasce un fondo italiano dedicato alle startup dell’ambiente

    “Investire in tecnologie che affrontano il cambiamento climatico non è solo una scelta strategica per il nostro pianeta e il nostro Paese, ma costituisce anche una straordinaria opportunità per generare valore economico e sociale su scala globale”. A parlare è il team di MITO Tech Venture, nuovo fondo di Venture Capital che investe nelle tecnologie per la transizione ecologica e la decarbonizzazione, verso l’obiettivo di Net Zero, classificato come art.9 secondo la normativa SFDR.

    Il fondo ha raccolto impegni per 55 milioni di euro che sono stati sottoscritti da CDP Venture Capital attraverso il Fondo Technology Transfer e dal FEI (Fondo europeo per gli investimenti). Ai due anchor investor si affiancano IREN S.p.a., player italiano nel settore multiservizi, Inarcassa e diversi Family Office, alcuni dei quali molto attivi negli investimenti impact.

    “La straordinaria capacità che l’Italia esprime nella produzione di tecnologie per l’innovazione sostenibile, se adeguatamente convertita in startup di successo, può proiettarci quali global leader anche in questo campo. MITO Tech Venture si impegna proprio in questa direzione, attraverso il sostegno a founding team tecnologicamente solidi, che sviluppano soluzioni capaci di trasformare le sfide ambientali in opportunità di crescita sostenibile”, ha aggiunto il team per Green&Blue.

    Obiettivo: 25 investimenti in startup climate tech
    La strategia di investimento del fondo avrà l’obiettivo di realizzare circa 25 investimenti in tecnologie mirate a ridurre le emissioni di anidride carbonica in campo energetico e ambientale, nella costruzione di aree ed ambienti, nella mobilità e nell’industria pesante. Gli investimenti saranno concentrati principalmente in Italia, con un’attenzione anche ad alcuni Paesi europei selezionati. Il target di raccolta è fissato a 90 milioni con un hard-cap a 120 milioni di euro. Il carried interest riservato al team di investimento sarà inoltre legato al raggiungimento di obiettivi quantificati di impatto ambientale.

    Il nuovo fondo, è composto da un team dotato di competenze eterogenee e complementari che spaziano dal trasferimento tecnologico, alla finanza per l’innovazione, dalla valorizzazione della proprietà intellettuale al sostegno al business development e allo scaleup di imprese a forte matrice tecnologica.

    Il fondo, infatti, offre alle nuove imprese, sin dalla loro fase embrionale, non solo le risorse economiche necessarie a sviluppare il proprio progetto di crescita, ma anche competenze manageriali e di governance, relazioni con la business e la financial community nazionale e internazionale. Un supporto, quindi, a 360 gradi al fine di convertire i buoni risultati della ricerca scientifica e tecnologica in startup e scaleup di successo.

    Il team di MITO Technology è composto da Andrea Basso, Alberto Calvo, Michele Costabile, Francesco De Michelis, Massimiliano Granieri, Leonardo Massa e Valentina Sesti.

    Le tecnologie per la sostenibilità
    MITO Tech Ventures è il secondo fondo lanciato da MITO Technology. Il primo, Progress Tech Transfer, è stato lanciato nel 2018 con focus sulle tecnologie per la sostenibilità. Il primo fondo ha concluso il periodo di investimento in anticipo rispetto alle previsioni, e molte delle startup partecipate sono ora in fase di scaleup, anche grazie all’attrazione di nuovi capitali da investitori nazionali e internazionali.

    Fra gli investitori che hanno partecipato a questo primo closing, oltre a CDP Venture Capital per il tramite del Fondo di Fondi Technology Transfer, Fondo Europeo degli Investimenti e IREN, vi sono Inarcassa, Marimo Holding, il Family Office della famiglia Di Amato, il Family Office di Luca Larcher e il Family Office di Mirna Marovic.

    Le società green del fondo MITO TECHNOLOGY
    Energy Transition
    WATERVIEW
    Spin-off del Politecnico di Torino, già incubata in I3P e sostenuta in fase seed dai business angel del Club degli Investitori, WaterView ha sviluppato per prima al mondo una soluzione per l’analisi in tempo reale delle condizioni metereologiche contestuali, volte a consentire al gestore dell’infrastruttura stessa informazioni essenziali per un decision-making tempestivo. Attraverso l’utilizzo di algoritmi proprietari, di dati di varia natura e di sensori smart, a partire dalle immagini di telecamere abitualmente già installate su infrastrutture critiche, la società è in grado di fornire ai propri clienti (tra cui enti locali, società che gestiscono reti stradali e infrastrutture telefoniche, gestori aeroportuali, aziende che operano nell’ambito energetico) un’interpretazione sicura delle condizioni ambientali che insistono sull’infrastruttura stessa, fornendo anche indicazioni predittive (es.: velocità di crescita dello strato nevoso su manto stradale, presenza e propagazione di emissioni gassose in prossimità di centri di raccolta di rifiuti, rischio di guasto per formazione dei manicotti di ghiaccio sulle linee di trasporto dell’energia elettrica ad alta tensione). Il fondo Progress Tech Transfer ha realizzato il primo dei propri investimenti entrando nel capitale di WaterView nel 2019.

    NEWCLEO
    Startup lanciata nel settembre del 2021 e guidata da Stefano Buono (imprenditore seriale, che ha portato AAA prima alla quotazione al Nasdaq e successivamente all’acquisizione da parte di Novartis), Newcleo opera nel settore dell’energia nucleare pulita e sicura, proponendosi di rivoluzionare la progettazione e la costruzione di reattori modulari di IV generazione, in grado di ridurre la produzione di scorie e di utilizzare come combustibile quelle generate dai vecchi reattori, chiudendone così il ciclo. Con sede legale a Londra, svolge gran parte delle attività di ricerca e sviluppo a Torino. La società ha già raccolto ad oggi oltre 400 milioni di Euro di capitale e genera attualmente un fatturato di 50 milioni di Euro, attraverso l’attività di un team di circa 700 persone. Recentemente, Newcleo ha ricevuto l’approvazione di un investimento significativo da parte del governo francese, leader a livello mondiale riconosciuto nel settore dell’energia nucleare. Nel capitale della società è presente anche Mito Technology, che tramite il fondo Progress Tech Transfer ha partecipato nel 2022 alla prima operazione di aumento di capitale rivolta anche a soggetti istituzionali.

    RISE TECHNOLOGY
    Impresa italiana high-tech operante nel campo della fabbricazione di macchine e linee di produzione per celle e moduli fotovoltaici, Rise Technology ha sviluppato e brevettato iSPLASH (Industrial Selective PLAting for Solar Heterojunction): una tecnologia innovativa applicabile al fotovoltaico e in prospettiva anche nell’ambito dei semiconduttori e del biomedicale, che si pone l’obiettivo di eliminare l’utilizzo delle paste d’argento dal processo di fabbricazione delle celle fotovoltaiche con un abbattimento del costo di produzione di almeno il 30% e del carbon footprint del 90%, mitigando anche i problemi geopolitici connessi all’approvvigionamento delle materie prime critiche. A novembre 2023 ha completato un round di investimento seed, concluso da Tech4Planet e Progress Tech Transfer.

    Green Industry Tech
    MAT3D
    Spin-off delle Università di Modena e Reggio Emilia e di Parma, MAT3D sviluppa e produce materiali innovativi avanzati a base di resina polimerica per procedimenti produttivi di manifattura additiva con elevate prestazioni (es.: termini di resistenza termo-meccanica) e con proprietà funzionali avanzate specifiche per diversi settori applicativi. MAT3D ha il suo principale lavoratorio presso il Centro dell’Innovazione dell’Università di Torino e la sua sede legale e commerciale a Reggio Emilia, da dove serve alcune aziende italiane leader nel mondo della manifattura. PTT è stato nel 2020 il primo investitore istituzionale a entrare nel capitale della società, conferendone anche l’attuale top-management.

    RESPECTLIFE
    Il fondo Progress Tech Transfer a fine dicembre 2019 è entrato nel capitale di Respectlife, startup nata all’interno della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, che produce tessuti high-tech a base di polipropilene, per la confezione di prodotti altamente performanti con proprietà antimicrobiche e antibatteriostatiche, resistenti allo strappo, all’abrasione, alle macchie e anallergici, che consentiranno enorme risparmio di costi per il loro lavaggio, sterilizzazione e stiratura, un minore impatto ambientale e migliori condizioni di sicurezza nel caso di impieghi in ambienti critici, come quello ospedaliero.

    SQIM (MOGU)
    Azienda basata a Varese, pioniere e leader nell’innovazione dei materiali, trasforma sottoprodotti e residui di basso valore provenienti dall’agroindustria in prodotti funzionali di alto valore aggiunto e a basso impatto ambientale, destinati principalmente all’industria tessile, del lusso, dell’arredamento d’interni. SQIM ha sviluppato processi proprietari unici, basati sulla fermentazione controllata di miceli selezionati, ed è attualmente presente sul mercato con marchi specifici per i verticali della moda e il mercato dell’interior design – rispettivamente EPHEA e MOGU. Progress Tech Transfer ha perfezionato il proprio ingresso nel capitale della società nel 2021 come primo investitore istituzionale; attualmente, oltre a PTT, sono presenti nel capitale investitori istituzionali e investitori corporate di alto profilo internazionale.

    WEMEMBRANEX
    Spin-off del Consiglio Nazionale delle Ricerche (presso l’Istituto per la Tecnologia delle Membrane) la società ha sviluppato una tecnica brevettata per il trattamento superficiale di membrane attualmente già disponibili in commercio per il trattamento di acque reflue industriali, che grazie alle proprietà di anti-fouling del coating applicato sulla loro superficie allunga considerevolmente la vita utile delle membrane stesse. PTT è stato determinante nella costituzione dello spin-off societario a partire dal team originario di ricerca, ed ha individuato il nuovo management della società, apportandolo dall’esterno.

    SMARTGLASSES
    Dynamic Optics, spin-off del Consiglio Nazionale Delle Ricerche – Istituto di fotonica e nanotecnologie con sede a Padova – ha sviluppato delle lenti speciali che, cambiando di forma, potranno supplire alla presbiopia, patologia che si sviluppa intorno ai 40 anni di età nella quasi totalità delle persone. Grazie a questa nuova tecnologia sarà possibile sviluppare occhiali che in modo autonomo ripristinano la messa a fuoco per gli utilizzatori, garantendo un comfort visivo ottimale e facilitando le persone affette da presbiopia nello svolgimento di attività lavorative di precisione.

    LITHIUM RECOVERY
    Progetto di proof-of-concept sviluppato con l’Università degli Studi di Brescia e il Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali (INSTM), punta allo sviluppo di una tecnologia brevettata relativa al recupero del litio e del cobalto da batterie esauste di varia provenienza (dai dispositivi elettronici alle automobili), con processi che garantiscono un minore impatto ambientale e senza l’utilizzo di solventi chimici pericolosi per l’ambiente. Il progetto è condotto da un team di ricercatori di fama mondiale, che può vantare un track-record unico nella gestione con successo di progetti di ricerca finanziati dalla comunità europea. PTT ha finanziato il progetto di sviluppo nel 2023.

    NATURBEADS
    Naturbeads ha l’obiettivo di contrastare l’inquinamento ambientale causato dalla diffusione incontrollabile delle microplastiche di uso industriale. È infatti specializzata nella produzione di microsfere biodegradabili ricavate dalla cellulosa. Fondata nel 2018 da un team di scienziati e ingegneri, la società ha sviluppato un prodotto unico che è già stato testato con successo da grandi clienti industriali per sostituire le microplastiche in molteplici applicazioni (dalla cosmetica alle vernici). Le soluzioni proposte da Naturbeads sono radicalmente sostenibili: esse muovono infatti dall’approvvigionamento di materie prime ricavate da rifiuti forestali o agricoli certificati, e poggiano su un processo di produzione molto più efficiente e meno carbon-intensive degli standard attuali, che evitano tra l’altro il ricorso a solventi chimici aggressivi nel trattamento dei propri semilavorati. PTT ha investito nella società nel 2022; ad oggi, la società ha raccolto capitali presso investitori istituzionali e corporate europei, e si appresta ad andare sul mercato con le prime produzioni su scala industriale.

    WEARABLE ROBOTICS
    Wearable Robotics è un’azienda italiana, già presente sui mercati internazionali, che produce e sviluppa sistemi robotici indossabili ed esoscheletri per la riabilitazione, l’assistenza e l’aumento della potenza di movimento a servizio delle persone. È specializzata in esoscheletri per arti superiori e inferiori utilizzati per migliorare la mobilità, la capacità di forza e il recupero delle funzioni motorie.

    VALUEMATIC
    Valuematic è uno spin-off della Scuola IMT Alti Studi Lucca, che intende portare sul mercato una soluzione per rendere il cloud computing più sostenibile, lavorando sull’ottimizzazione del consumo energetico che consenta un’allocazione ottimale delle risorse di calcolo necessarie, senza comprometterne i livelli di performance. La start-up ha sviluppato una tecnologia per lo scaling automatico delle risorse computazionali in cloud che combina AI e modellazione proprietaria per fornire previsioni di tempi di calcolo migliori e più a lungo termine rispetto alle soluzioni attualmente sul mercato. La tecnologia può essere inoltre adattata su sistemi che utilizzano risorse computazionali in maniera asincrona, come sistemi multiprocessore o i telefoni cellulari, per il risparmio energetico.

    Agro-Food
    FINAPP
    Spin-off dell’Università di Padova, Finapp ha sviluppato un rivoluzionario sensore per la misurazione dei neutroni liberi che può essere utilizzato per la rilevazione della presenza di acqua nell’ambiente, con applicazioni che vanno dalla misura dell’umidità nei terreni agricoli, alla misura delle riserve idriche disponibili nei nevai o nei ghiacciai, o per la localizzazione di perdite delle reti idriche. La società si è aggiudicata un EIC Acceleratore nel 2023, unica società italiana a ottenere in quell’anno un tale riconoscimento. PTT è stato il primo investitore istituzionale ad entrare nel capitale della società nel 2020.

    Carbon Tech
    HTMS
    HTMS ha sviluppato una tecnologia in grado di migliorare l’efficienza energetica e la capacità di scambio termico dei fluidi utilizzati attualmente negli impianti di riscaldamento e raffrescamento installati presso grandi edifici ad uso industriale e commerciale, come stabilimenti produttivi, uffici, ospedali e data center. Maxwell, il prodotto di HTMS oggi sul mercato, consente un innalzamento tra il 15-20% della capacità di trasferimento del calore rispetto agli standard commerciali oggi disponibili nel settore Heating, Cooling & Ventilation. Progress Tech Transfer, nel capitale sociale di HTMS dal 2020, ha già eseguito due round di investimento in HTMS. Oggi la società annovera tra i soci importanti investitori istituzionali non italiani.

    Transport and Mobility
    BLUBRAKE
    Fondata nel 2015 a Milano, è una società che impiega oltre trenta professionisti e conta dodici brevetti con estensione internazionale che riguardano la frenata sui veicoli leggeri, con particolare riferimento al settore delle e-bike. La mission dell’azienda è quella di sviluppare soluzioni innovative che rendano questi mezzi più sicuri e intelligenti, al fine di favorire la transizione verso una mobilità più sostenibile, sia per il trasporto di persone che di merci (cargo-bike). La società si posiziona tra le pochissime al mondo in grado di fornire soluzioni ad alte prestazioni e ad elevata sicurezza, ed è già saldamente proiettata sui mercati internazionali. Progress Tech Transfer ha investito nella società nel 2020.

    EASYRAIN
    Startup torinese che ha come mission la riduzione degli incidenti stradali provocati dal fenomeno dell’aquaplaning. La società sviluppa soluzioni HW e SW, tra cui il DAI (Digital Aquaplaning Information), una vera e propria piattaforma di detection e calibrazione della dinamica del veicolo su strada, con l’obiettivo di rendere la guida più sicura in condizioni di scarsa aderenza, anche nella prospettiva dell’avvento di sistemi di progressiva autonomia nella conduzione dei veicoli. La società propone soluzioni uniche, con un’affidabilità elevatissima, già riconosciuta da alcuni importanti OEM del settore automotive. Progress Tech Transfer ha sottoscritto il primo aumento di capitale nel 2022, a cui ne sono seguiti altri.

    SEALENCE
    Startup innovativa costituita nel 2017, Sealence ha realizzato DeepSpeed, primo propulsore fuoribordo elettrico a jet per il settore navale. DeepSpeed innova il settore della mobilità in acqua, dal diporto al trasporto, migliorando drasticamente l’efficienza rispetto ai sistemi di propulsione oggi esistenti (elica o idrogetto entrobordo) e riducendo sensibilmente le emissioni connesse agli standard attuali di propulsione navale a elica. Il progetto ha ottenuto un «Seal of Excellence» dal programma Europeo «Horizon2020». La società ha poi integrato nel proprio perimetro anche E-Drive Lab, spin-off dell’università di Parma, che produce sistemi innovativi di accumulo elettrico specificamente pensati per il settore marino. Progress Tech Transfer, è stato lead investor in un round di investimento conclusosi nel 2023. LEGGI TUTTO

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    Il falangio, come prendersi cura della “pianta ragno”

    Il Chloropytum ovvero il falangio è una pianta ricca di fogliame variegato, in grado di impreziosire gli ambienti casalinghi e donare un tocco di eleganza a qualunque stanza o ufficio. Questa sempreverde, che simboleggia la giovinezza perenne, per crescere al meglio deve essere coltivata correttamente.

    La coltivazione in casa del falangio o pianta ragno
    Prendersi cura in casa del falangio non è così complicato, specie se si fa attenzione ad alcuni aspetti. Il primo fra tutti riguarda proprio la posizione in cui sistemare la pianta. L’esposizione della pianta ragno non deve mai essere al sole diretto (specie durante i mesi più caldi), ma è importante selezionare delle aree luminose. In primavera ed estate si può anche decidere di spostare la pianta dalla casa all’esterno, facendo molta attenzione alla posizione che si sceglie. La pianta fiorisce con fiorellini di colore bianco e piccoli, mentre lungo gli steli si sviluppano i ciuffi verdi. Come succede per molte piante d’appartamento, anche il falangio ha la capacità di purificare l’aria. In pratica, rimuove anidride carbonica e sostanze nocive, contribuendo a un ambiente più salutare per l’uomo.

    Il terreno ideale per il falangio
    Il falangio è una pianta che si adatta molto a qualunque terreno, a patto però che sia un terriccio ben drenante, meglio ancora se ricco di humus. Il consiglio è di non preparare un terreno in vaso caratterizzato esclusivamente da un solo tipo di terriccio, bensì di creare un substrato differente, sciolto e fertile.

    L’annaffiatura corretta del falangio
    Gestire correttamente il falangio significa anche innaffiare nel modo corretto la pianta. Questa pianta necessita di annaffiature regolari per crescere rigorosamente. È importante, però, fare molta attenzione alle condizioni del terreno. Nel caso di terreno troppo secco si dovrà intensificare la somministrazione dell’acqua e, al contrario, con terreno eccessivamente umido sarà utile ridurre le annaffiature. Un segno evidente del fatto che la pianta viene annaffiata poco si potrà notare anche sulle foglie, che in punta diventano secche.

    La concimazione del falangio
    Per rendere migliore la crescita della propria pianta si può anche concimare questa sempreverde selezionando un prodotto idrosolubile oppure liquido per piante verdi. In tal caso, è utile dare il concime al falangio ogni 2-3 settimane.

    La potatura del falangio
    La potatura di questa pianta permette al sempreverde di avere maggiore spinta nello sviluppo. Proprio per questo, è importante potarle eliminando le foglie o ramificazioni che non offrono più nulla. In questo modo, il fogliame nuovo sarà stimolato nella crescita e la pianta ragno si manterrà in forma. Il momento migliore per potare la pianta è dall’inizio della primavera fino a inizio autunno. Per quanto riguarda le foglie con punte secche, invece, sconsigliamo di potarle.

    Il falangio in inverno
    Ricordiamo che il falangio, in inverno, è in grado di tollerare fino a 15-13°C, ma non deve mai andare al di sotto dei 7°C. Il rischio è di far morire la pianta o danneggiare in maniera seria il fogliame. Proprio per questo, durante la stagione più fredda dell’anno suggeriamo di tenere la pianta in casa.

    La moltiplicazione della pianta ragno
    Per moltiplicare la pianta si può ricorrere all’uso di una talea della pianta ragno: in pratica, basta tagliare degli stoloni o piccoli cespi, facendo attenzione che vi sia un po’ di fusto. A questo punto, sarà necessario sistemare la pianta direttamente nella terra un po’ umida. La talea la si può fare in primavera: in una settimana circa, la pianta avrà iniziato a sviluppare l’apparato radicale.

    Le malattie del falangio
    Il falangio è una pianta che può incorrere nel marciume fogliare: in pratica, le infezioni batteriche iniziano ad intaccare la base delle foglie. Bisogna fare attenzione a non bagnare le foglie o lasciarla all’esterno sotto la pioggia. Anche le bruciature delle foglie cioè la peronospora fogliare colpisce questa pianta, portando alla comparsa di macchie gialle e appassimento. A favorire questa malattia fungina è sempre l’eccesso d’acqua. LEGGI TUTTO

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    Dal fegato allo stomaco, microplastiche nel 66% delle gazze marine trovate morte nel Tirreno

    Le hanno raccolte ed esaminate, approfonditamente. E dalle gazze marine trovate morte nel corso della stagione invernale 2022-2023, in cui un nutrito contingente di almeno 750 individui ha svernato eccezionalmente lungo le coste italiane, è arrivata un’amara conferma: nel 66% dei casi le carcasse contenevano plastica, divisa equamente tra frammenti e fibre. Arriva da un nuovo studio, condotto dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con il Dipartimento di Veterinaria dell’Università degli studi di Napoli Federico II e l’Istituto portoghese MARE – Centro di Scienze Marine e Ambientali/ARNET e pubblicato sulla rivista “Marine Pollution Bulletin” un quadro non troppo incoraggiante sull’inquinamento da plastica nel Tirreno centrale, potenziale concausa del decesso di molti esemplari dell’uccello marino, tipico del Nord Atlantico, nella cui dieta compare quasi esclusivamente pesce pelagico.

    Ambiente e salute

    Basta bottiglie di plastica, inquinano e contengono inquinanti

    di  Anna Lisa Bonfranceschi

    25 Settembre 2024

    Plastica nello stomaco e nel fegato
    L’esame delle carcasse è stato, a quanto pare, inequivocabile: la plastica era presente soprattutto nello stomaco, seguito dal muscolo pettorale, e alcune fibre plastiche sono state trovate anche nel fegato. Negli animali raccolti, il 38 % degli elementi plastici era al di sopra dei 5 millimetri, mentre il 62% rientrava nel “range” delle microplastiche. Il polimero più rappresentato è risultato essere il polietilene (comparso nel 55% dei casi), seguito dal polipropilene (24,1%). Il primo è generalmente utilizzato per la produzione di sacchetti e bottiglie, il secondo è impiegato soprattutto nella produzione di contenitori per detersivi e yogurt.

    Inquinamento

    Ogni anno bruciamo 30 milioni di tonnellate di plastica

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Settembre 2024

    Una minaccia alla biodiversità del Mediterraneo

    Anche se basati su un campione relativamente piccolo, i dati attestano la presenza ed abbondanza di plastiche in quest’area del Mediterraneo per la gazza marina, certificandone l’impatto su una specie particolare di uccello originario dei Mari del Nord, dove invece l’interazione con la cosiddetta marine litter non sarebbe così significativa: studi scientifici analoghi indicano infatti una presenza dello 0-1% su oltre 500 carcasse raccolte fra le coste dell’Inghilterra e dalla Scozia. Altre ricerche – concentrate in un’area di studio compresa tra Irlanda e Norvegia – segnalano addirittura la completa assenza di plastica nelle gazze marine trovate morte. Non è invece nuova l’evidenza per il Mar Mediterraneo, il cui bacino semichiuso rischia fatalmente di rivelarsi un hotspot per le microplastiche: qui le loro concentrazioni risultano circa quattro volte superiori, ad esempio, a quelle dell’Oceano Pacifico settentrionale.

    Inquinamento

    I solventi che purificano l’acqua dalle nanoplastiche

    di Anna Lisa Bonfanceschi

    28 Agosto 2024

    Ed è proprio sull’interazione tra marine litter e biodiversità marina – che nel Mediterraneo si traduce nella presenza di un numero prossimo alle 17 mila specie – che si gioca una partita importante per il futuro dell’intero pianeta.Qui, i primi studi sull’avifauna avevano del resto già ‘fotografato’ le dimensioni del fenomeno: una ricerca realizzata lungo le coste catalane ha evidenziato come 113 uccelli su 171 esaminati (66%) avevano ingerito plastica.

    (foto: Vincenzo Firpo)  LEGGI TUTTO

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    L’auto elettrica non tira più, in crisi la startup delle batterie

    Tempi difficili, in particolare in Europa per le aziende che si occupano di batterie per auto elettriche. Lo dimostra la vicenda Northvolt, startup svedese leader nella produzione di batterie per auto elettriche, nonché prima azienda europea a costruire una gigafactory di batterie in Svezia, che sta vivendo uno dei momenti più difficili dalla sua fondazione. Ma facciamo un passo indietro.

    Il 28 dicembre 2021 a Skellefteå, nel nord della Svezia, Northvolt annunciava la produzione della prima cella per batteria agli ioni di litio per uso automobilistico. L’impresa parlava di “un nuovo capitolo della storia industriale europea” visto che quella cella era la prima completamente disegnata, sviluppata e assemblata in una gigafactory da una compagnia europea di batterie. Il 23 settembre 2024, Northvolt ha comunicato l’avvio di una massiccia ristrutturazione che comporterà un ridimensionamento della forza lavoro con il licenziamento, di circa 1.600 lavoratori su 6mila. Anche l’azienda punta di diamante della produzione di batterie per auto elettriche made in Europe se la deve vedere con il brusco rallentamento delle vendite di veicoli elettrici e l’inarrestabile concorrenza orientale, soprattutto cinese. Il settore è, infatti, storicamente guidato dai colossi asiatici e le fabbriche di batterie già operanti in Europa si occupano principalmente di assemblare le celle per formare il pacco batteria, ma non di produrre l’elemento base.

    Storia e crisi di Northvolt
    Northvolt è stata fondata nel 2016 dall’ingegnere italiano Paolo Cerutti e dall’imprenditore svedese Peter Carlsson, attuale amministratore delegato, entrambi con un passato in Tesla. La startup nasce con l’obiettivo di produrre batterie agli ioni di litio sostenibili per veicoli elettrici, e fin da subito è stata considerata uno degli attori chiave nella sfida europea all’egemonia asiatica nel mercato delle batterie. L’azienda cresce rapidamente, tanto da ricevere una serie di finanziamenti corposi da istituzioni bancarie europee, per un totale di 15 miliardi di dollari. L’ultimo investimento a gennaio 2024. Prende 4,6 miliardi di euro per l’espansione della sua gigafactory Ett (aperta ufficialmente nel dicembre del 2021 a Skelleftea, nel nord della Svezia, principale hub minerario del paese nordico) per la produzione di catodi e celle per batterie, oltre all’ampliamento di un impianto adiacente per il riciclo delle batterie, Revolt Ett. Il recupero degli scarti di produzione e delle batterie a fine vita risulta significativo per l’azienda, che utilizza un processo di trattamento chimico multi-stadio per processare materiali critici come nichel, cobalto, manganese e litio, e così essere riutilizzati nelle sue linee di produzione. Dalla sua nascita Northvolt si conferma l’unico attore europeo attivo nella produzione di celle per batterie al litio, ottenendo anche il via libera da Bruxelles per la costruzione di un impianto in Germania con circa 1 miliardo di euro di aiuti di Stato dal governo tedesco. Partecipata al 21% da Volkswagen, la startup svedese ha inoltre la maggior parte delle forniture destinate proprio al Gruppo tedesco e a BMW.

    Mobilità green

    Northvolt avvia la produzione, dallo stabilimento svedese la prima batteria europea per auto elettriche

    di Andrea Tarquini

    30 Dicembre 2021

    Tuttavia, lo scenario muta rapidamente, e a causa della concorrenza asiatica diventata sempre più aggressiva nella produzione e del rallentamento delle vendite dei veicoli elettrici, a giugno 2024 è proprio BMW a cancellare un ordine da 2 miliardi di euro, adducendo come motivazione che Northvolt non sia stata in grado di rispettare i tempi di consegna. Da quel momento, le riflessioni interne dei vertici e la decisione dell’azienda svedese di rivedere i suoi piani strategici.

    Elettrico in crisi, Northvolt rivede le sue strategie
    Lo scorso 23 settembre Northvolt ha annunciato l’avvio di una revisione strategica che comporterà un significativo ridimensionamento delle sue attività e della sua forza lavoro. L’azienda ha comunicato in una nota come la decisione arrivi a causa del “mutato contesto macroeconomico e della necessità di nuove priorità a breve termine”. Questo cambiamento porterà a una riorganizzazione delle operazioni aziendali, che prevede il licenziamento di 1.600 unità lavorative (su un totale di circa 6000 dipendenti), la messa in manutenzione dell’impianto Northvolt Ett Upstream 1, situato in Svezia, la chiusura del programma Northvolt Fem e la vendita del sito produttivo di Kvarnsveden. Allo stesso tempo, saranno aperti tavoli con gli investitori per garantire la sostenibilità delle attività in Polonia e sarà integrata la sussidiaria americana Cuberg all’interno delle operazioni svedesi.

    Tutte queste operazioni, secondo quanto ha spiegato l’amministratore delegato Peter Carlsson, non pregiudicheranno l’impegno a lungo termine di Northvolt nella transizione globale verso l’elettrificazione, né la solidità delle prospettive future. Il presidente del consiglio Tom Johnstone ha peraltro confermato che il successo dell’azienda scandinava continuerà a dipendere dall’evoluzione del mercato dei veicoli elettrici e dal sostegno dei principali stakeholder. “Nonostante le attuali difficoltà, Northvolt non abbandona i suoi ambiziosi piani di espansione”. L’azienda ha infatti dichiarato che i progetti futuri in Svezia, Germania e Canada proseguiranno come previsto, anche se ha lasciato aperta la possibilità di modifiche alle tempistiche, in base all’evoluzione del contesto economico globale.

    Un sostegno fondamentale per il futuro dell’azienda potrebbe arrivare dalla Commissione Europea, che ha già dimostrato un forte interesse nel garantire il successo della startup svedese. Lo scorso 8 gennaio, Bruxelles aveva autorizzato la Germania a fornire un aiuto di Stato pari a 902 milioni di euro, destinati alla costruzione di una fabbrica di batterie per veicoli elettrici sul suolo tedesco. Questa misura è stata giustificata con la necessità di mantenere la produzione di batterie in Europa, evitando che Northvolt fosse attratta dalle agevolazioni fiscali offerti dagli Stati Uniti nell’ambito dell’Inflation Reduction Act, iniziativa per incentivare gli investimenti in tecnologie verdi. LEGGI TUTTO