“Andare nello Spazio mi ha reso un terrestre migliore. Ora ho molta più consapevolezza dell’ambiente in cui mi muovo e so che devo conviverci, non solamente sfruttarlo“. Paolo Nespoli, 68 anni, in orbita intorno al Pianeta non solo ci è stato: ci ha trascorso complessivamente quasi un anno, 313 giorni, 2 ore e 36 minuti per la precisione, in tre missioni sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), nel 2007, 2010, 2017. Esperienze straordinarie che lo hanno trasformato dal punto di vista umano e professionale.
Da “ragazzo scapestrato” degli anni Settanta, in cerca di identità, a paracadutista e incursore dell’esercito con tanto di missione in Libano con il contingente italiano nel 1982 a laureato in ingegneria, per poi riuscire a coronare un sogno che aveva da bambino: diventare astronauta. Nespoli entra nell’Agenzia spaziale europea nel 1991 e nove anni dopo lascia la Terra per la prima volta a bordo dello Space Shuttle. Nelle tre missioni, sarà ingegnere di bordo, gestirà esperimenti sulla crescita delle piante nello Spazio e test sul corpo umano in assenza di gravità. Un bagaglio di competenze che ora condivide con gli studenti del Politecnico di Milano, ma anche in incontri con scolaresche e aziende.
Paolo Nespoli, cosa si impara a guardare la Terra da 400 chilometri di altezza?
“Che è bellissima. Dalla Iss si gode di una visuale eccezionale“.
E perché andare nello Spazio è importante per il nostro Pianeta?
“Le tecnologie spaziali ci danno la possibilità di guardare la Terra e di misurarla attentamente. Uno dei problemi è proprio quello di avere dati precisi che confermino quello che stiamo percependo con i nostri sensi. Possiamo dire: fa caldo, fa freddo, piove troppo… ma di fatto queste osservazioni vanno sostanziate con dati tecnici precisi. E negli ultimi decenni siamo riusciti a costruire satelliti in grado di fare misure rigorose della temperatura, dell’umidità, dello stato di salute delle foreste, delle superfici dei ghiacciai… Dallo Spazio tutte queste cose si possono verificare in modo molto accurato“.
Lei si è occupato anche di questo tipo di ricerche nelle sue missioni in orbita?
“Noi astronauti guardiamo il pianeta dalla Stazione spaziale, ma le nostre sono osservazioni ‘personali’. Vediamo cose straordinarie, nel bene e nel male, ma non riusciamo a misurarle. Ed è anche difficile percepire i cambiamenti, perché ciascuno di noi ha una permanenza in orbita di alcuni mesi: un periodo troppo breve per poter percepire variazioni apprezzabili. Però c’è una cosa che lassù si capisce benissimo“.
Quale?
“Dallo Spazio non si vedono i confini politici tra nazioni: in pochi minuti passi dall’Europa all’Asia e dall’Asia all’Australia. Qui sulla Terra, invece, come specie umana controlliamo ossessivamente le frontiere, senza renderci conto che sopra le nostre teste c’è un confine unico, uguale per tutti che si chiama atmosfera: un muro che ci separa dallo spazio e che non è diviso per Stati. Quello che faccio nel mio giardino di casa può avere un impatto su tutti. Mentre noi pensiamo di agire solo sull’area che ci sta attorno, stando in orbita si capisce che il nostro agire influenza tutto il sistema planetario».Diceva della visuale eccezionale che di gode dalla Iss… Solo perché è in orbita intorno alla Terra? O ci sono motivi specifici?«La Stazione viaggia a una velocità di 28 mila chilometri orari, circa 8 chilometri al secondo. Questo comporta che i suoi abitanti vedano l’alba e poi il tramonto dopo un’ora e mezza: 16 albe e 16 tramonti nelle 24 ore. Di notte la Terra è molto bella, perché tutti i posti dove ci sono gli esseri umani si illuminano: è come un albero di Natale su cui si accendono le lucine, di notte si vedono solo le lucine e non l’albero. Ed è allora che capisci come la specie umana sia dappertutto sul Pianeta“.
Affacciati all’oblò della Iss, si percepisce il nostro impatto sulla Terra?
“Si vedono ammassi incredibili di persone. Ricordo che mi colpì Tokyo: 37 milioni di persone in un’area relativamente piccola. Dalle sue luci viste dallo Spazio si può immaginare come stiano usando le risorse in modo massiccio: energia elettrica, acqua, riscaldamento, raffreddamento, rifiuti, strade… Tutte queste cose si vedono benissimo dallo Spazio e si capisce come noi umani questo Pianeta l’abbiamo preso tutto. È nella logica delle cose, ma dovremmo fare in modo che la Terra riesca a riciclare quello che noi produciamo come scorie. Finché eravamo in pochi, la Natura ce la faceva, ma oggi inquiniamo tutti i fiumi, i mari, l’aria, e produciamo tanta di quella energia che poi va a scaldare i ghiacciai e la temperatura della Terra».Nelle sue missioni ha fatto bellissime foto…«Il bello del sorvolo a 28 mila chilometri orari è che vedi tutti gli oceani, i continenti. ? molto poetico: ti permette di spaziare dai deserti all’Everest in pochissimo tempo. Dall’altro lato hai poco tempo per assimilare quello che stai vedendo. È per questo che cercavo di fotografare le cose belle che vedevo, per poterci riflettere con attenzione poi più avanti“.
Quali scatti ricorda tra i migliori?
“Quelli dei deserti, che sono bellissimi: distese di sabbia con colori incredibili, E poi i laghi salati, le piramidi, i Caraibi: l’acqua è relativamente bassa e si vede la sabbia dei fondali con colori sgargianti. Ho cercato la Muraglia cinese ma non sono riuscito a trovarla, così come dallo Spazio non si vedono i disegni di Nazca…“
E l’Italia?
“Veramente bella. Si vedono le città, le isole, sulla nostra Penisola tutto è facilmente riconoscibile. Volevo fare una foto del centro astronauti Esa a Colonia, in Germania: non riuscivo a trovarlo, ci ho messo quattro mesi. Ma se volevo fotografare Pisa, La Spezia, Roma… era facilissimo individuarle. Milano già è un po’ più difficile“.
E però ricordiamo proprio una sua foto della Pianura Padana: invasa da una nube scura. Lei la pubblicò dallo Spazio su un social network il 18 ottobre 2017 con la didascalia “Nebbia o smog?”
“La settimana dopo il sindaco di Milano bloccò la circolazione delle auto in città. Credo di essermi beccato le maledizioni di molti milanesi“.
Quali altri danni umani si colgono “a vista” dallo Spazio?
“In Amazzonia si vedono i segni di una deforestazione brutale: come delle smagliature sul tappeto verde di alberi. Altra cosa, il fumo generato dagli incendi. Sono cose che ti fanno riflettere su quello che dovremmo fare perché questo Pianeta possa continuare a sostenerci“.
È preoccupato per il futuro della Terra?
“Per quello dell’umanità. Pensiamo di dover stare attenti per non distruggere la Terra, ma non abbiamo questo potere: possiamo distruggere invece la nostra presenza qui. Il Pianeta non sparirebbe con noi: la Terra ha cicli di milioni di anni. Se anche si sciogliessero tutti i ghiacci noi ci troveremmo in grande difficoltà, forse spariremmo. Ma la Natura nel giro di qualche era rifarebbe tutto quello che abbiamo distrutto. E forse noi non saremmo più previsti…“.
Ha senso cercare un “pianeta B” su cui far migrare l’umanità nel caso la Terra divenga per noi inospitale?
“Siamo quasi alla fantascienza. Ma come possiamo immaginare di cosa saremo capaci tra 100, 500 o mille anni? Sono però convinto nel breve termine dobbiamo continuare a esplorare quello che ci sta attorno. Questo desiderio di conoscenza è una delle caratteristiche umane: ci ha fatto fare cose straordinarie e apparentemente prive di senso. Tra la Luna e Marte sceglierei Marte, perché sulla Luna ci siamo già stati e dobbiamo continuare l’esplorazione del Sistema Solare, anche se sappiamo che non ci sono pianeti in grado di ospitarci. Quelli vanno cercati più lontano intorno alle stelle simili al Sole“.
Le grandi agenzie spaziali pubbliche, come Nasa ed Esa, sembrano essere in difficoltà, ora che lo Spazio sta diventando terreno di conquista di aziende private. È una cosa che la preoccupa??
“È un passaggio obbligato, che va vissuto come uno sviluppo interessante e non come un problema. Per esempio, finora le agenzie pubbliche hanno mandato in orbita noi astronauti professionisti, tecnici super specializzati nel fare esperimenti. Ma nello Spazio si sente la mancanza di giornalisti scrittori, poeti, artisti. E d’altra parte gli Stati non possono mica fare le agenzie di viaggio, quindi è giusto che siano i privati, per fare introiti, a portare in orbita persone con competenze diverse da quelle scientifiche“.
Non c’è il rischio di un disinvestimento sulla ricerca scientifica nello Spazio, anche quella che si occupa di monitorare lo stato di salute della Terra?
“Non vedo questo pericolo. Ma certo i governi devono continuare a investire in attività che non hanno un ritorno economico e però sono utili alla società. Per esempio, una volta dismessa la Iss andrebbe certamente costruita una nuova stazione spaziale“.