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Le emissioni di gas serra legate agli stili di vita sono 7 volte superiori gli obiettivi climatici

L’Accordo di Parigi rimane la bussola che indica la direzione alle politiche climatiche. Ma la maggior parte dei Paesi viaggia su una rotta che, almeno nel breve termine, va in un’altra direzione. L’ultima conferma arriva da un rapporto (A Climate for Sufficiency: 1.5-Degree Lifestyles) secondo il quale le emissioni medie globali di gas serra, legate agli stili di vita, sono 7 volte superiori all’obiettivo di tenere, nel 2035, il riscaldamento entro 1,5 gradi in più rispetto all’era preindustriale. Se poi si considerano Paesi ad alto reddito, come Stati Uniti, Australia e Canada, la loro impronta carbonica arriva a essere anche 17 volte superiore ai livelli auspicabili. Il che, oltre a rappresentare un serissimo problema per il raggiungimento degli obiettivi climatici, segnala anche enormi disparità tra aree ricche e aree povere del Pianeta.

Gli analisti del think tank Hot or Cool Institute, che ha sede a Berlino, hanno preso in considerazione 25 Paesi, dalla Nigeria agli Usa, stimando le emissioni derivanti dagli stili di vita dei loro abitanti. “L’impronta di carbonio media legata allo stile di vita è di 7,1 tonnellate di CO2 equivalenti per persona per anno”, si legge nel rapporto , “ben al di sopra delle 1,1 tCO2 e per persona/anno compatibili con l’obiettivo di 1,5 °C entro il 2035. Ciò richiede una riduzione media delle emissioni dell’85% nel prossimo decennio”.

Se poi si considerano società con alto tenore di vita il divario cresce. Primi incontrastati in questa classifica delle emissioni sono gli Usa con 18,1 tonnellate di CO2 equivalenti per persona per anno, a causa “della dipendenza dall’auto, dei frequenti viaggi aerei, dell’elevato consumo di carne e da case di grandi dimensioni”. Seguono l’Australia (13,2) e il Canada (11,3). Un po’ staccati dal podio, la Corea del Sud (8,9) e, a sorpresa l’Italia che conquista il quinto posto con 8,6 tonnellate di CO2 equivalenti per persona per anno, riconducibili all’uso dell’auto, ai viaggi aerei, al consumo di carne bovina, suina e formaggio, al riscaldamento ad alto consumo di combustibili fossili. Quindi 8 volte superiore all’obiettivo: per allinearsi, le emissioni in Italia dovrebbero diminuire dell’88% entro il 2035. Il nostro Paese supera dunque la Germania (8,1), il Regno Unito (7,8) e la Francia (7).

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E i grandi inquinatori asiatici? Se si fanno i calcoli delle emissioni pro capite, evidentemente scendono in classifica. La Cina si colloca al 18esimo posto (5,5 tCO2 e per persona/anno) e l’India al 22esimo (3,2 tCO?e per persona/anno). Perfino Paesi a basso reddito come la Nigeria e il Kenya sono al di sopra dell’obiettivo, anche se di pochissimo: rispettivamente 1,4 e 1,5 volte. Ma, fanno notare da Hot or Cool, “ciò è dovuto in gran parte per l’accesso limitato all’energia e ai beni di consumo, piuttosto che per scelte consapevoli”.

Uno scenario che, alla viglia di Cop30, pone i governanti di fronte a un dilemma: come garantire nel breve termine l’attuale stile di vita delle persone (o incrementarlo nel caso dei Paesi in via di sviluppo) evitando al tempo stesso che su tempi più lunghi l’innalzamento delle temperature globali mette in crisi i modelli economici correnti.

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L’Hot or Cool Institute, per allineare gli obiettivi climatici alle esigenze di benessere delle persone, raccomanda un “approccio di sufficienza”, incentrato sul soddisfacimento dei bisogni umani senza eccessi. “I governi devono impegnarsi con urgenza a tornare alla soglia di 1,5 °C, con piani concreti, verificabili e vincolanti dal punto di vista giuridico, che includano riduzioni obbligatorie per le imprese”, auspica Lewis Akenji, direttore esecutivo dell’Istituto e autore principale del rapporto. “Sono necessarie misure più radicali di quelle attuate finora per garantire un futuro equo, sicuro e prospero per tutti entro la soglia di 1,5 °C”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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