Di quella Maturità romana nel 1985 monsignor Francesco Pesce, parroco di Santa Maria ai Monti e cappellano di Montecitorio, conserva “bei ricordi, a parte la matematica”.
Don Francesco, quando e dove ha fatto la maturità?
“Nel 1985 al liceo scientifico Paolo Orlando nel quartiere Prati. Oggi non c’è più, era una scuola dei padri Pallottini, ma era molto laica. Confinavamo con il Mamiani, noi eravamo il liceo dei preti loro erano molto politicizzati, ma in realtà c’era un ottimo rapporto, eravamo amici. L’unica cosa è che quando loro scioperavamo noi purtroppo no, e di questo eravamo gelosi”.
Aveva già maturato la vocazione al sacerdozio?
“La maturai più avanti, la chiarezza mi è arrivata dopo il servizio militare. Ero già affascinato dalla figura di Paolo VI ma ero un ragazzo normalissimo”.
Come andò la maturità?
“Presi 38 su 60…”.
E che successe?
“Andai male a matematica. Presi 10 in italiano e storia, poi mi sono laureato in storia, ma la matematica non era il mio forte. Con papa Leone, che è laureato in matematica, sono messo male…”.
Venne rimproverato?
“Il preside, un grande filosofo, che ancora oggi ricordiamo ogni anno con una messa, mi disse: “Potevi copiare meglio”” (ride).
Parliamo di storia e italiano: come andò?
“Molto bene. Feci il tema di italiano sulla violenza, la violenza sociale, la violenza politica, citai anche la partita Juventus-Liverpool dove poche settimane prima allo stadio Heysel di Bruxelles morirono 39 spettatori. Nel colloquio di storia citai la Ginestra del Leopardi per dire che la storia non è fatta solo di sangue e guerra ma pur dinanzi alla violenza ci sono sempre segni di speranza”.
Altri ricordi?
“Ricordo i volti degli amici, i volti dei compagni, i volti dei professori: bei ricordi, a parte la matematica”.
La notte prima degli esami fu angosciante?
“No, mi ha aiutato il carattere sereno. Ma era così per tutti noi. Sentivamo l’importanza del momento ma al tempo stesso non eravamo preoccupati. Più che la paura dell’esame avevamo la coscienza che da quel momento in poi cambiava la realtà della vita, e sarebbe cambiata in meglio”.
E oggi? Come le sembrano i ragazzi di oggi?
“Apro la chiesa ogni giorno alle 7.30 per andare in Parlamento, quando prendo la bici ci sono già i ragazzi delle scuole vicine appoggiati sulle scale della chiesa, e in questi ultimi giorni ci sono i ragazzi che si preparano alla Maturità con cui scambio due chiacchiere. E devo dire sono ragazzi belli, buoni e bravi. È vero che sono fragili. Oggi è tutto fragile, la famiglia, la Chiesa, la società, sono fragili i saperi, i maestri, gli alunni. Ma nella debolezza si può manifestare la potenza della grazia, questo per noi credenti non è una favola, è vero. La fragilità ti porta a buttare via certe zavorre. E poi la fragilità è anche una richiesta di aiuto magari non verbalizzata. Ma, ripeto, appena ci scambi due parole, questi ragazzi sono belli, bravi e buoni”.
Perché a suo avviso sono fragili? Le guerre, la pandemia, la crisi climatica?
“Un po’ sì, ma è anche vero noi abbiamo vissuto gli anni di piombo… sono fragili per mancanza di punti di riferimento. Non sono contro i padri o le autorità, anzi, magari le cercano pure, ma non le trovano. I sondaggi rilevano che stimano Mattarella, il Papa, e poi basta”.
Ai parlamentari che incontra da cappellano di Montecitorio cosa consiglierebbe di fare per migliorare la scuola?
“La scuola dovrebbe essere uno spazio di ascolto degli studenti, a volte mi sembra che il sapere sia un po’ calato dall’alto. Dovrebbe essere una grande agorà dove i ragazzi sono più protagonisti, vengono ascoltati di più. E poi una scuola più internazionale, aperta al mondo, con un livello di conoscenza informatica più avanzato. E bisogna stare attenti a non mettere da parte le materie umanistiche: la matematica è importante ma sono molto importanti anche il latino, il greco, l’italiano, la storia…”.
Ma questo lo dice perché non le piace la matematica.
(ride) “Bravo, anche per quello. Se lo scopre papa Leone mi trasferisce”.
Fonte: http://www.repubblica.it/rss/scuola_e_universita/rss2.0.xml