Ogni anno nel mondo 1,5 miliardi di tonnellate di cibo passano direttamente dalla tavola alla discarica: circa un terzo della produzione alimentare globale non verrà mangiato ma gettato. E mentre così tanto cibo viene sprecato, 673 milioni di persone soffrono la fame, l’8,2% della popolazione mondiale, di cui il 20,2% in Africa e il 6,7% in Asia. Non solo. 2,3 miliardi di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare, senza accesso garantito a un’alimentazione sufficiente. Ma lo spreco e le perdite alimentari non sono solo un problema etico e sociale, hanno un impatto devastante sull’ambiente: sono responsabili di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra, 5 volte di più di quelle generate dall’aviazione.
Miliardi di ettari coltivati per cibo che verrà buttato
Basta pensare che il 28% dei terreni agricoli – 1,4 miliardi di ettari – viene utilizzato per produrre cibo che non verrà mai mangiato. È una superficie pari a 4 volte l’intera Unione Europea. E un quarto dell’acqua dolce utilizzata in agricoltura viene sprecato nella produzione di alimenti che finiranno nella spazzatura: si tratta di circa 250 km³ di acqua, l’equivalente del fabbisogno idrico annuo dell’intera popolazione mondiale. Dati che non lasciano spazio a dubbi quelli presentati oggi del nuovo report dell’Osservatorio Waste Watcher International in vista del 29 settembre 2025, Giornata Internazionale della Consapevolezza delle Perdite e degli Sprechi Alimentari istituita dalle Nazioni Unite giunta alla sesta edizione.
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Italiani spreconi
Monitorato anche il comportamento degli italiani nel mese di agosto 2025, attraverso l’indagine promossa dalla campagna pubblica Spreco Zero con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’università di Bologna. Nel nostro Paese si stima che ogni anno circa 6,7 tonnellate di cibo venga buttato. Una montagna di alimenti che finisce in discarica e che provoca 5,5 milioni di tonnellate di emissioni di Co2. Nel dettaglio comunque guardando il report di Waste Watcher International, l’Italia segna comunque un miglioramento anche se ancora adeguato ad arrivare al traguardo dei 369,7 grammi di cibo sprecato settimanalmente previsto entro il 2030.
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Conservazione sbagliata del cibo, spesa senza una pianificazione, poca attenzione alla data di scadenza, gli italiani sembrano ancora tenere in poca considerazione la possibilità di evitare eccedenze oppure conservale, condividerle o donale. Così secondo il rapporto che ha monitorato il comportamento di migliaia di italiani ad agosto ogni settimana sono finiti tra i rifiuti 555,8 grammi. Meglio, rispetto a quanto accaduto nell’agosto 2024 dove la quantità di cibo buttato era di 683 grammi. Ci sono comunque delle differenze: la percentuale scende in modo significativo nell’area centrale del Paese, diventata la più virtuosa con “soli” 490,6 grammi, mentre a nord si sprecano mediamente 515,2 grammi di cibo ogni 7 giorni, e al sud il dato si impenna con 628,6 grammi a settimana.
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La hit dei prodotti che diventano rifiuti
Più virtuose le famiglie con figli, che abbassano la soglia di spreco del 17% rispetto alle famiglie senza figli (+ 14 %) e più virtuosi i grandi comuni (-9%) di quelli medi (+ 16%). Nella hit dei cibi sprecati la frutta fresca (22,9 g), la verdura fresca (21,5 g) e il pane (19,5 g), segue l’insalata (18,4 g) e cipolle/tuberi (16,9 g). Spiega il direttore scientifico di Waste Watcher, l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero: “Le pressioni economiche, in particolare l’inflazione che questa estate ha colpito fortemente i generi alimentari (+ 3,7%) possono aver suggerito alle famiglie acquisti più ponderati e una maggiore attenzione alla prevenzione degli sprechi.
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Le app per orientarci
L’utilizzo di strumenti semplici e mirati, come la app Sprecometro, permette di attivare trasformazioni comportamentali durature, contribuendo a consolidare comportamenti virtuosi: quindi un percorso concreto verso la riduzione del 50% dello spreco alimentare entro il 2030. Trasformazione “strutturale” è anche l’atteggiamento dei cittadini nei confronti dello spreco. La sfida dei prossimi anni sarà rafforzare questa tendenza, affinché il traguardo del 2030 non resti un auspicio, ma diventi un risultato condiviso”.
Spreco e cambiamento climatico
Più di 1 cittadino su 3 (il 37%) ritiene utile puntare sui prodotti made in Italy nell’attuale contesto di guerre e tensioni internazionali, ma anche di crisi dei dazi. Una tendenza particolarmente marcata tra le persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni e tra gli over 64, con una concentrazione significativa nel Centro Italia. E ancora: 1 su 10 privilegia semplicemente i prodotti più economici, a prescindere dalla loro sostenibilità, mentre il 5% ha direttamente ridotto la spesa alimentare per ragioni economiche, percentuale che raddoppia negli under 25.
Un italiano su 5, ovvero il 22%, afferma di preferire prodotti locali e a chilometro zero, soprattutto nel Mezzogiorno. Il dato interessante è che una parte consistente della popolazione (20%) non ha modificato le proprie abitudini d’acquisto, dichiarando che le scelte alimentari restano indipendenti dal contesto internazionale. Due italiani su 3 (66%) hanno aumentato o conservato molto alta l’attenzione all’ambiente e ai comportamenti sostenibili. E 1 italiano su 2 dichiara di prestare maggiore attenzione all’impatto ambientale dei prodotti alimentari che acquista nel tempo della crisi climatica: il 17% degli italiani, però, dichiara di non aver modificato i suoi comportamenti perché “non ritengo che ci sia alcun legame tra la crisi climatica e temperature anomale”.
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Si deve migliorare
Le temperature elevate dell’estate 2025 hanno avuto un impatto diretto e concreto sui comportamenti alimentari degli italiani: per fronteggiare la crisi climatica in rapporto allo spreco del cibo, 1 italiano su 2 (45%) cerca di consumare prima gli alimenti più deperibili e 1 su 5 (21%) prova ad aumentare la frequenza di acquisto degli alimenti deperibili oppure di privilegiare l’acquisto di prodotti non deperibili o a lunga conservazione (19%). Solo il 14% dichiara di non aver modificato i propri comportamenti e appena il 6% afferma di non aver percepito alcun impatto delle temperature anomale sulla deperibilità degli alimenti.