Le microplastiche hanno raggiunto anche uno degli ecosistemi più remoti della Terra. Un recente studio scientifico ha infatti rilevato frammenti di questo materiale tossico all’interno dell’unico insetto autoctono dell’Antartide, la Belgica antarctica, un moscerino privo di ali e grande quanto un chicco di riso. Una scoperta che conferma quali livelli abbia raggiunto l’inquinamento da microplastiche. Questo insetto lungo appena pochi millimetri, l’unico in grado di sopravvivere a temperature estreme ha già iniziato a nutrirsene, una situazione che secondo gli scienziati a lungo termine potrebbe avere conseguenze ecologiche alterando ecosistemi fragili come l’Antartide.
Microplastiche: ecco come combattere la minaccia invisibile
L’inquinamento non risparmia l’Antartide
La ricerca dunque viene ritenuta particolarmente significativa perché conferma che per le microplastiche sono entrate anche nella catena alimentare terrestre antartica non solo in quella marina. Sì perché fino adesso erano state individuate nella neve, nel ghiaccio e nell’acqua ma mai in organismi terrestre. Questa è la prima volta.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Science of The Total Environment e guidata dall’Università americana del Kentucky, ha visto la partecipazione anche di ricercatori italiani dell’Università di Modena e Reggio Emilia e dell’Elettra Sincrotrone di Trieste.
Inquinamento
Le nanoplastiche possono accumularsi nelle parti commestibili di alcuni ortaggi
I moscerini che sopravvivono a temperature estreme
I ricercatori guidati da Jack Devlin hanno sottoposto gli esemplari dell’insetto a una serie di test durati in tutto 10 giorni, a causa delle elevate difficoltà dovute al lavorare in Antartide per periodi più lunghi. I moscerini hanno mostrato di adattarsi bene anche a concentrazioni di microplastiche molto elevate, anche se in questi casi risultavano avere riserve di grasso più scarse. Gli autori dello studio hanno poi prelevato 40 larve da 20 siti diversi, e ne hanno analizzato il contenuto intestinale con sistemi in grado di identificare le ‘impronte digitali’ chimiche anche delle particelle più minuscole, impossibili da vedere ad occhio nudo. In 2 delle 40 larve hanno trovato frammenti di microplastiche, cosa che, secondo Devlin, costituisce un primo campanello d’allarme. “L’Antartide ha ancora livelli di plastica molto più bassi rispetto alla maggior parte del pianeta – afferma il ricercatore – ma ora possiamo dire che stanno entrando nel sistema e, a livelli sufficientemente elevati, possono iniziare a modificare il bilancio energetico degli insetti”. Ancora una volta questo territorio, simbolo dell’Ambiente si conferma un indicatore globale dell’impatto delle attività umane sul pianeta.
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