Fotogeniche e rare, sull’orlo dell’estinzione: una combinazione perfetta – e forse fatale – potrebbe averle condannate. Perché delle “rane galattiche” che popolavano la foresta pluviale del Kerala, estremo sud dell’India, non vi è più traccia. E la responsabilità, a quanto pare, è dell’invadenza dei fotografi naturalisti, attratti da quei piccolissimi anfibi maculati – Melanobatrachus indicus il nome scientifico – al punto da contaminarne e in alcuni casi distruggerne il microhabitat. A denunciarlo, attraverso le pagine del The Guardian è la Zoological Society of London: inappellabile la sentenza di un ricercatore indiano, Rajkumar K P, che all’inizio del 2020 aveva individuato sette esemplari della specie e che oggi fa spallucce, annunciando la probabile scomparsa della specie a queste latitutini. E sarebbe più che un sospetto la responsabilità specifica dei fotografi: “La vegetazione calpestata, il tronco che offriva loro riparo era fuori posto, le tane distrutte. E quelle piccole rane, della dimensione di un polpastrello, sparite. Inizialmente ho sospettato che i danni fossero stati causati dalle manguste brune, ma non sono abbastanza forti da rovesciare un tronco. Poi ho chiesto ai miei accompagnatori che cosa fosse successo e mi hanno parlato di piccoli gruppi di fotografi, nei mesi precedenti, che avevano rovesciato i tronchi alla ricerca della specie in via di estinzione. Una volta trovate, le catturavano e le appoggiavano su un supporto ad hocper le foto, con uno sfondo più performante. Il tutto senza indossare guanti, nonostante queste delicate creature respirino attraverso la pelle e siano incredibilmente sensibili”. C’è allora chi dice di aver assistito in presa diretta alla morte di due esemplari. Né è bastato perlustrare più volte l’area, per interi mesi, per trovarne altre. “Eppure gli ufficiali del dipartimento forestale cercano di impedire l’arrivo di gruppi così invadenti. – spiega il ricercatore – Ma si avvalgono di funzionari di grado superiore per arrivare a scattare fotografie”. Un danno incalcolabile alla biodiversità: si tratta di rane straordinariamente vivaci, nere come la pece ma in grado di mostrare, se illuminate, centinaia di stelle, quasi una galassia – di qui il nome volgare che è stato loro attribuito – che ne ricopre interamente i corpi. Bellissime, e dunque preziose da immortalare. Già, ma a qualsiasi costo? “Bisogna spingere le persone ad agire in modo più etico, in modo che specie incredibili come la rana galattica possano continuare a prosperare per altri milioni di anni”, annota Benjamin Tapley, curatore della sezione rettili e anfibi della Zoological Society of London.
La storia
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Dalla foca monaca al corrione biondo in Calabria
Ma la storia sembra assolutamente emblematica dei rischi che, su scala globale, corrono diverse specie di animali, considerati appetibili mediaticamente e dunque fatalmente ricercati dai fotografi e, in generale, dai turisti. I cetacei, per esempio, spesso avvicinati da diportisti e appassionati di natura, manifestano stress e disagio. E anche la foca monaca, osservata più volte negli ultimi mesi lungo le coste italiane, è un mammifero elusivo dal quale è buona norma tenersi distante, a costo di perdere l’occasione di una foto ‘storica’. Stessa musica per alcune specie di uccelli, come conferma Salvatore Urso, presidente di StorCal, la Stazione Ornitologica Calabrese. “Due settimane fa – dice – abbiamo avuto modo di confermare, in provincia di Reggio Calabria, la presenza del corrione biondo, una specie rara e iconica per gli amanti del birdwatching e della fotografia naturalistica, attività sempre più diffuse anche in Italia. Consapevoli che la condivisione della località esatta avrebbe potuto spingere decine di persone ad assediare l’esemplare, causandogli stress e il potenziale abbandono dell’area, abbiamo deciso di non divulgare l’ubicazione dell’osservazione, esplicitandone i motivi. Nonostante ciò, abbiamo ricevuto numerosissime telefonate da parte di fotografi e birdwatchers che insistevano per conoscere il luogo; malgrado la nostra prudenza, abbiamo riscontrato sul posto la presenza di fotografi giunti anche da regioni molto distanti. Attualmente stiamo presidiando l’area per vigilare sui comportamenti e tutelare al massimo la tranquillità dell’uccello, evitando che l’ingerenza di terzi possa indurlo ad allontanarsi prematuramente”.
Mazzeo: “Mai interferire con la vita selvatica”
“Quella delle rane galattiche è una vicenda che, se confermata, sarebbe davvero clamorosa e per certi versi iconica. – annuisce Leonardo Mazzeo, divulgatore ambientale, autore della fortunata newsletter “Bestiale” – Troppo spesso pensiamo che gli animali siano a nostra disposizione, e – in certi casi inconsciamente, in altri consapevolmente – ci crediamo superiori. Come a dire: la mia foto vale più di tutto, anche della vita di un essere vivente. Tempo fa mi è capitato sotto gli occhi il video di un uomo che alzava una tartaruga sul bagnasciuga per mostrarla alla fotocamera: una scena deprimente. – prosegue – Il paradosso è che magari poi quella stessa foto viene condivisa sui social esaltando la bellezza dell’animale stesso, che nel frattempo ha sofferto, è stato stressato, o in alcuni casi addirittura è morto, come per le povere rane galattiche in India. Nel caso degli anfibi, tra l’altro, il discorso è ancora più delicato: toccarli con le mani asciutte è molto pericoloso per loro. In generale – spiega Mazzeo – i selvatici non andrebbero mai toccati, figurarsi se si tratta di anfibi maneggiati senza avere le giuste accortezze e le giuste competenze”. Di qui, dunque, l’esigenza di ribadire, ancora una volta, che “non bisogna mai interferire con la fauna selvatica, né dandole da mangiare, né toccandola: non siamo i protagonisti delle loro vite, non hanno bisogno di noi, anzi. Più li lasciamo in pace e meglio stanno. E se proprio vogliamo fare una foto, scattiamola da lontano, oppure usiamo le fototrappole: metodi non invasivi per immortalare la loro bellezza, ma dalla giusta distanza”.
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