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Il primo punto di non ritorno è già realtà: la perdita delle barriere coralline è irreversibile

Dieci anni fa 196 Paesi si sedettero al tavolo per concordare un accordo storico, quello che avrebbe dovuto salvaguardare le vite del Pianeta prima che fosse letteralmente troppo tardi. Dieci anni dopo però, mentre quell’intesa è ancora lontana da essere centrata, la Terra ci restituisce il conto dell’inazione o di una battaglia troppo lenta: uno dei punti di non ritorno climatici, come il fatto che la perdita delle barriere coralline diventi irreversibile, è stato purtroppo ormai superato.

L’Accordo di Parigi, quello in cui gli Stati si impegnavano a una politica di riduzione delle emissioni climalteranti per tentare di non superare, nelle decadi a venire, i +1,5 gradi rispetto all’era Preindustriale, non è ancora del tutto fallito: da quasi un paio d’anni siamo sopra, in media, a quella soglia, ma potenzialmente siamo ancora in tempo per evitare che aumenti a dismisura in futuro. Quello per cui invece pare non ci sia più tempo a disposizione, secondo quanto riportano 160 scienziati nel nuovo Global Tipping Points, è riuscire a salvare le barriere coralline globali. Se si pensa che questi ecosistemi siano solo una delle tante meraviglie del mondo da osservare facendo snorkeling durante una vacanza esotica vi sbagliate di grosso: in realtà, le barriere coralline, sono una vera e propria casa fondamentale per la sopravvivenza degli ecosistemi e anche delle persone. Grazie a coralli, spugne, microrganismi, animali e piante marine, le barriere offrono alla vita sott’acqua chance di sopravvivenza e riproduzione: oltre un quarto di tutto il pesce che permette a milioni di persone di vivere ad avere un’economia su cui basarsi, esiste perché esistono le barriere coralline.

Per via delle emissioni antropiche però – avvertono i ricercatori a un mese dalla nuova Conferenza delle Parti sul clima, la COP30 che si terrà in Amazzonia – le acque degli oceani sono così cambiate, surriscaldate e acidificate, che le barriere sono entrate in una fase di decomposizione e perdita “inarrestabile”. Si tratta dunque del superamento di uno dei “tipping points”, i punti di non ritorno del collasso degli ecosistemi causato dal nuovo clima, a cui stiamo assistendo. Un declino che sarà a lungo termine ma che già ora potrebbe mettere a rischio i mezzi di sopravvivenza di centinaia di milioni di persone.

Il nuovo report spiega che le barriere che ospitano circa il 25% di tutte le specie marine sono destinate a scomparire perché “se non torneremo a temperature medie globali superficiali di 1,2 °C il più velocemente possibile allora non riusciremo a mantenere barriere coralline di acqua calda sul nostro Pianeta su una scala significativa”. Come noto, a partire dalla Grande barriera corallina australiana, diversi di questi ecosistemi da tempo stanno affrontando collassi e periodi di sbiancamento. Nel 2023 uno dei peggiori: oltre l’80% delle barriere in circa ottanta paesi fu colpita da un aumento estremo delle temperature oceaniche tanto da spingere il futuro di queste realtà in “territori inesplorati” sostenevano gli scienziati. Due anni dopo siamo ormai “sull’orlo” del punto di non ritorno, anche se una parte dei ricercatori confida nel fatto, nonostante il declino, che alcune barriere mostrano ancora segnali di resilienza e resistenza elevati, tanto da fornire messaggi di speranza.

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Sebbene la perdita dei coralli sia uno dei primi e più significativi punti di non ritorno in atto, non è l’unico. Nel rapporto gli esperti, guidati dall’Università di Exeter e con progetti finanziati anche dal proprietario di Amazon Jeff Bezos, illustrano altri tre punti critici per cui è necessario battersi: il declino dell’Amazzonia che da pozzo rischia di trasformarsi sempre di più in fonte di carbonio; il collasso delle principali correnti oceaniche e la perdita delle calotte glaciali, tutti eventi spesso collegati fra loro. Questi tipping points non sono però più ipotesi, ma qualcosa di estremamente concreto: “Non possiamo più parlare di punti di non ritorno come di un rischio futuro – sostiene Tim Lenton del Global Systems Institute dell’Università di Exeter – il primo accenno al declino generalizzato delle barriere coralline di acqua calda è infatti già in atto”.

Per salvare le barriere – come quelle dei Caraibi che oggi sono fra le più in sofferenza – servirebbe “azioni climatiche aggressive” e migliori gestioni locali. L’approccio “locale”, con sforzi dedicati a seconda delle temperature e delle zone del mondo, è molto importante per esempio per l’Australian Institute of Marine Science che è più ottimista sul futuro delle barriere ricordando che talvolta i dati globali mascherano una significativa ” “variabilità regionale” anche se giustamente “indicando che rimane una ristretta finestra di opportunità per agire”. In generale il report avverte come le altre criticità “pericolosamente vicine” ai punti di non ritorno sono soprattutto i cambiamenti della calotta glaciale dell’Antartide occidentale e della Groenlandia che stanno perdendo ghiaccio a un ritmo accelerato, aumentando l’innalzamento del livello del mare, ma anche per esempio l’interruzione della principale corrente oceanica, l’AMOC, che è quella che regola gli inverni miti in Europa.

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E poi ovviamente c’è il destino della grande foresta amazzonica, da cui potrebbe dipendere il collasso climatico su larga scala e che sarà al centro, fra un mese, della COP30 in Brasile. “Tragicamente, in alcune parti del clima e della biosfera, il cambiamento sta avvenendo rapidamente” ha ricordato Lenton, che è autore principale del rapporto. Lo stesso Lenton ha però anche riconosciuto come alcuni sforzi positivi sono oggi in corso – per esempio le rinnovabili che a livello globale hanno superato il carbone in produzione di elettricità – e che la strada dell’eliminazione dei combustibili fossili può ancora essere implementata. “Abbiamo ancora un certo potere decisionale” sul futuro, dice lo scienziato, ma questo potere deve passare per scelte climatiche precise nel tutelare la Terra tenendo conto proprio di quei punti di non ritorno che oggi sono troppo rischiosi per essere ignorati.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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