Gesti all’apparenza innocui, a volte, possono avere un’enorme impatto sul pianeta. Come un carrello della spesa abbandonato al bordo della strada o in un parcheggio. Un’immagine relativamente consueta in molte città in tutto il mondo. Sinonimo di degrado, sì, ma non di catastrofe climatica. Eppure, sommando le emissioni necessarie per recuperare, restaurare o sostituire i carrelli abbandonati ogni giorno, il loro impatto climatico si fa sostanziale e insostenibile. È la conclusione a cui è giunto un gruppo di ricercatori dell’Università di Warwick, in uno studio pubblicato di recente sulla rivista Sustainability.
Non è spazzatura
Nel Regno Unito, su cui si basa la simulazione dei ricercatori dell’Università di Warwick, si stima che ogni anno siano circa 520mila le segnalazioni di carrelli della spesa abbandonati. Un numero consistente, quindi, che descrive un problema non solo inglese: le cifre sono in fatti in linea con quelle riportate in altre regioni del mondo, dall’Australia al Sud Africa. Per l’Italia non esistono dati o stime del genere. Ma basta guardare al fenomeno, simile, dell’abbandono di monopattini e delle bici elettriche che ha interessato, in passato, diverse città italiane, per comprendere che probabilmente il tema ci riguarda un po’ tutti.
“Migliaia di carrelli della spesa vengono segnalati come abbandonati ogni anno”, spiega Neill Raath, ricercatore dell’Università di Warwich che ha collaborato al nuovo studio. “Quando moltiplichi le emissioni necessarie per recuperarli tutti, il fenomeno diventa significativo, e preoccupante”. Quanto, esattamente, lo rivela la ricerca.
La tappa più inquinante resta la produzione
I calcoli di Raath e colleghi sono basati sulla città di Coventry, dove vengono recuperati circa 30 carrelli della spesa al giorno, e un centinaio l’anno vengono riparati per tornare in servizio nei supermercati locali. L’analisi rivela che l’intero ciclo di vita di un carrello, dalla sua produzione a quando entra in servizio, ha un’impronta climatica pari a 64,15 chili di Co2. Le operazioni di recupero, una volta abbandonato nell’ambiente, aggiungono circa altri 0,69 chili di Co2, mentre con il trasporto e il restauro si sale di altri 5 chili e mezzo.
È evidente quindi che la produzione dei carrelli è la tappa più inquinante. E quindi recuperarli e sistemarli ove possibile è comunque la soluzione più green, rispetto a costruirne di nuovi. Ma se si evitasse l’abbandono, il risparmio in termini di impatto ambientale sarebbe comunque notevole. A livello nazionale, solo le operazioni di recupero del mezzo milione di carrelli della spesa abbandonati nel Regno Unito produce emissioni paragonabili a quello di un parco auto di 80 veicoli a benzina nell’arco di un intero anno. Emissioni che raddoppiano se anche solo il 10% di questi viene poi restaurato per rientrare in servizio.
Le buone abitudine
E ovviamente, i pericoli legati all’abbandono di carrelli della spesa non riguardano solo il clima: questi rifiuti ingombranti rappresentano un pericolo per autisti e pedoni, contribuiscono al degrado delle aree urbane e suburbane, inquinano il suolo e i corsi di acqua. “Non pensiamo di poter far sparire il problema dei carrelli abbandonati – ammette Raath – ma speriamo almeno che la prossima volta che qualcuno vedrà un carrello in un vicolo o in un cespuglio, si troverà a riflettere anche sull’impatto ambientale che deriva dal lasciarli lì, inutilizzati”.