Un data center sottomarino può far risparmiare fino al 90% dell’energia utilizzata per il raffreddamento dei server, almeno secondo gli esperti. Ed è per questo motivo che la Cina ha avviato una sperimentazione nelle acque di Shanghai. La pechinese Highlander Digital Technology, specializzata in sistemi avanzati per il settore marittimo, sta infatti costruendo una capsula di acciaio da posizionare in mare, che ospiterà un data center di medie dimensioni. Fra i primi clienti, stando a quanto riporta Japan Times, sono previsti China Telecom e un’azienda statale di elaborazione dati basata sull’intelligenza artificiale. L’intera operazione, per altro sovvenzionata dal Governo cinese, rientra fra i progetti dedicati alla riduzione delle emissioni dei data center. Infatti anche l’approvvigionamento energetico dell’impianto sarà per il 95% da fonti rinnovabili, soprattutto parchi eolici offshore.
Cos’è un data center sottomarino
Un data center è la componente fisica che si nasconde dietro a tutti i servizi digitali che vengono usati normalmente da utenti comuni e imprese. Al suo interno sono presenti macchine diverso tipo, fra cui soprattutto computer potenti (server) che forniscono risorse, servizi o dati ad altri computer. Un problema irrisolto di questo mondo è legato ai consumi energetici, che con l’avvento dell’AI sono ulteriormente balzati alle stelle. Fatto 100 il consumo complessivo di un server, circa il 40% è relativo al suo raffreddamento. Quindi abbattere questo dispendio vuol dire non solo risparmiare denaro ma anche ridurre l’impronta di carbonio.
Il primo esperimento in tal senso è stato compiuto da Microsoft nel 2015 con Project Natick. In pratica inizialmente in California, e poi al largo della Scozia (2018-2020) è stato posizionato un datacenter di 855 server che ha dimostrato la validità del concetto. Poi però non c’è stato un seguito commerciale probabilmente per questioni di costi. Dopodiché ci sono stati altri esperimenti da parte di altre aziende e almeno un primo progetto commerciale operativo: quello di Hainan (Cina) implementato da Shenzhen HiCloud Data Centre Technology. Nello specifico si parla di 24 rack server, ovvero un numero di armadi capace di ospitare potenzialmente più di 1000 server.
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In sostanza si tratta di contenitori pressurizzati e sigillati ermeticamente che normalmente vengono posizionati a 30 metri o più di profondità. Il vantaggio è che per il sistema di raffreddamento a liquido dei server si sfrutta semplicemente l’acqua marina. In pratica si sfrutta una rete di tubature e sono radiatori posizionati sul retro dei computer. Le temperature fredde e costanti dei mari, soprattutto in profondità, assicurano un raffreddamento costante e uno scambio di calore adeguato.
Ovviamente il risultato finale positivo è che si riducono i consumi, gli impianti sono compatibili con l’impiego di energia rinnovabile, l’affidabilità è mediamente buona considerata l’assenza di ossigeno, c’è un’ottima stabilità delle condizioni ambientali e non c’è bisogno di grandi interventi di manutenzione.
I principali svantaggi di andare sott’acqua
Un sistema server subacqueo è caratterizzato ancora da molte incognite. Prima di tutto l’investimento iniziale è piuttosto alto. Poi richiede un accesso per la manutenzione complesso, che ad esempio nel caso di Shanghai prevede la costruzione di un ascensore – che collegherà la struttura principale della capsula a un segmento che rimarrà sopra l’acqua. Ad ogni modo considerando ermeticità e pressurizzazione, non sarà una passeggiata.
Un altro punto critico è quello relativo all’uso dell’acqua marina e quindi i rischi di corrosione. Highlander Digital Technology ha spiegato che “difenderà” i sistemi con un rivestimento protettivo contenente scaglie di vetro posizionato direttamente sulla capsula di acciaio.
Un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida e dell’Università di Elettro-comunicazioni in Giappone hanno scoperto un altro problema: i datacenter sottomarini possono essere vulnerabili ad attacchi acustici, condotti attraverso l’acqua da sabotatori. Quindi bisognerà probabilmente predisporre sistemi di protezione e monitoraggio.
Infine c’è il tema più controverso: l’effetto del calore disperso sugli ecosistemi marini. Potrebbe attrarre alcune specie e allontanarne altre, quindi eventualmente alterare gli equilibri della fauna marina. Highlander sostiene che uno studio indipendente del 2020 realizzato sul primo progetto sperimentale dell’azienda di Zhuhai, nella Cina meridionale, ha dato esito negativo. Secondo i ricercatori l’acqua circostante sarebbe rimasta costantemente al di sotto delle soglie di temperatura accettabili.
Le attuali problematiche non vengono considerate un freno allo sviluppo, ma almeno per il momento non si parla di sostituire totalmente i datacenter tradizionali. Shaolei Ren, professore associato di ingegneria elettrica e informatica presso l’Università della California, Riverside, sostiene che siamo ancora in una fase sperimentale dove non si può ancora assicurare grande scalabilità. E poi c’è la questione dell’inquinamento termico: ha bisogno di ulteriori studi. “Non sono ancora state condotte ricerche sufficienti”, ha confermato Ren.