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Come cambieranno le stagioni in Italia. A fine secolo in montagna anche + 4,5 gradi


In questi giorni alle porte dell’inverno le cronache ci raccontano di impianti senza neve, di prime crisi idriche e di un livello nivale in Italia bassissimo, quasi il -61% rispetto alla media degli ultimi quindici anni. In futuro, però, potremmo perfino rimpiangere momenti come questo: sui nostri monti infatti le temperature tenderanno a salire in media anche di +4,5 gradi negli scenari peggiori. E questo è soltanto un assaggio – secondo un nuovo studio pubblicato da ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – di come gli eventi meteo estremi aumenteranno a fine secolo in Italia e cambieranno le nostre stagioni.

Il nuovo studio pubblicato su European Geosciences Union illustra infatti come l’intero bacino del Mediterraneo, e in particolare la nostra Penisola, entro il 2100 è destinato a subire un generale aumento delle temperature e una riduzione media delle precipitazioni, il tutto, ovviamente, con buona responsabilità della crisi del clima innescata dalle emissioni antropiche. Cambiamenti che “saranno accompagnati da un marcato incremento della frequenza degli eventi estremi con temporali intensi e alluvioni improvvise soprattutto durante la stagione autunnale sulle Alpi” fanno sapere da ENEA. Per stabilire cosa accadrà nei prossimi 75 anni i ricercatori italiani hanno usato strumenti di simulazione che includono sia i dati del passato (fino al 2014) sia quelli relativi agli ultimi dieci anni e alle proiezioni future, usando come riferimento tre scenari climatici e socio economici composti dal migliore (quello in cui si portano avanti politiche di mitigazione e decarbonizzazione), uno intermedio e uno peggiore in cui c’è un assenza di sforzi nella battaglia alla crisi climatica. Le proiezioni finali ci restituiscono un possibile scenario drammatico: per esempio, nel contesto peggiore, nelle aree montuose d’Italia “si prevede un aumento delle temperature estive con punte fino a + 4,5 °C e fino a +3,5 °C in autunno nello scenario a più elevato impatto. Si tratta di un riscaldamento significativo che, in queste zone, non è riprodotto dai modelli globali a bassa risoluzione” scrivono gli esperti.

Crisi climatica

Nel 2100 sopravvivrà solo il 12% dei ghiacciai delle Alpi con 1,5 gradi in più

Come indicato già anche da altri studi le precipitazioni, già oggi ben diverse rispetto a una ventina di anni fa, diminuiranno ancora portando un clima più secco in tutte le stagioni e soprattutto d’estate. Quando però pioverà, la situazione potrà complicarsi ulteriormente perché “nei due scenari più critici, ci si attende un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi soprattutto sull’Italia settentrionale e, in particolare, nelle zone alpine e subalpine”. Le precipitazioni alla fine del secolo (2071-2100) potrebbero poi aumentare di intensità soprattutto in inverno nelle Alpi occidentali, mentre in quelle orientali si prevede una lieve diminuzione, così come nell’Italia meridionale. La primavera invece non sarà molto diversa dall’inverno “ma con un aumento più diffuso dell’intensità sull’intero arco alpino”.

Se l’estate sarà bollente e con meno precipitazioni estreme soprattutto lungo le coste tirreniche, l’autunno – la stagione in cui i mari sono più caldi – rischia di diventare ovunque una vera e propria bomba ad orologeria. In autunno infatti, nello scenario più severo, si registrerà “un aumento significativo dell’intensità delle piogge estreme su gran parte del territorio italiano, con incrementi più marcati nelle aree in cui gli impatti climatici previsti risultano già più intensi (Nord Italia)” scrivono da ENEA. Per Maria Vittoria Struglia, ricercatrice del Laboratorio ENEA Modelli e servizi climatici, dovremmo fare attenzione a cosa accadrà in un Mediterraneo che “è particolarmente vulnerabile agli impatti di fenomeni meteorologici estremi su scala locale, fenomeni che possono influenzare in modo significativo il benessere e l’economia delle comunità locali”. Per fortuna però possiamo ancora prepararci e difenderci anche grazie alle nuove tecnologie che ci permettono oggi di studiare e osservare sempre più da vicino le proiezioni climatiche (con risoluzioni fino a 5 chilometri). Proiezioni che fungono da “lente di ingrandimento per conoscere con estrema precisione gli impatti attesi al 2100, soprattutto in relazione agli eventi estremi e ai fenomeni locali. Le proiezioni climatiche regionali – dice Striglia – sono infatti uno strumento estremamente utile per stimare in modo più affidabile gli impatti del cambiamento climatico su scala locale e consentono inoltre di progettare strategie di adattamento mirate, che tengano conto proprio delle specificità territoriali e stagionali”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml

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