Sanihelp.it – Gli atleti, soprattutto i campioni, quelli che gareggiano ad alti livelli e vincono, devono compiere un lavoro costante solo sul proprio corpo, mentre a livello mentale sono esposti a pressioni, anche auto-imposte, e aspettative esterne, che l’essere vincenti spesso incrementa. Reggere tale peso non è facile, ma lo è ancor meno ammettere quando paure e fragilità stanno avendo la meglio e il proprio benessere psicologico è incrinato.
«A noi sembrano, e loro si sentono, dei supereroi, ma a quei livelli, i più alti, la crisi, prima o poi, arriva, è quasi inevitabile» ha spiegato tempo fa all’Ansa la psicologa Monica Vaillant, plurimedagliata con il Setterosa. «Bisogna considerare che un campione vive continuamente momenti di grande tensione, per l’impegno che deve mettere per arrivare e rimanere al top, portandolo a investire tutto su quel fronte, con l’ulteriore aggravio di vivere tale situazione da un’età molto giovane, in un momento di crescita, di sviluppo del senso del sé. Le basi su cui si costruisce, quindi, sono spesso precarie. Ma la crisi può arrivare anche dopo aver lasciato la ribalta. Tutto quello che si è per forza tralasciato o vissuto senza la dovuta attenzione, dal prepararsi per una attività lavorativa alla vita affettiva, possono avere un impatto pesante».
Molti non ne vogliono parlare apertamente, ma negli ultimi anni anche tra quanti fanno sport a livello agonistico sta prendendo piede una maggiore consapevolezza dell’importanza di prendersi cura di sé anche a livello di psiche e, con essa, il coraggio di ammettere di avere bisogno di aiuto. Molti ricorderanno il grande passo compiuto in questo senso, nel 2021, dalla ginnasta statunitense Simone Biles, considerata tra le più forti al mondo e tra le vincitrici annunciate delle Olimpiadi di Tokyo, che proprio in quell’occasione diede forfait a causa di quelli che lei stessa definì «demoni nella testa», spiegando: «Devo fare ciò che è giusto per me e devo concentrarmi sulla mia salute mentale. Dobbiamo proteggere la nostra mente e il nostro corpo piuttosto che fare ciò che il mondo si aspetta da noi».
Da allora non sono mancati altri casi illustri. A marzo di quest’anno è stato il nuotatore britannico Adam Peaty a fermarsi e a saltare i mondiali non per un infortunio fisico: «Come alcuni forse sapranno, ho lottato con la mia salute mentale negli ultimi anni e penso che sia importante essere onesti al riguardo. Sono stanco, non sono me stesso e non mi piace lo sport come mi piaceva negli ultimi anni». E in questi giorni, proprio mentre Simone Biles torna alle gare dopo due anni, è Ricky Rubio, 32enne cestista dei Cleveland Cavaliers e della Spagna, ad aver preso la decisione «di fermare la mia attività professionale per dedicarmi alla mia salute mentale».