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    Oltre il mare

    Sanihelp.it – Una pellicola che tratta di tumore al polmone in modo originale e insolito: è il film documentario Oltre il mare, realizzato da Sanofi con WALCE Onlus (Women Against Lung Cancer in Europe) e RUFA (Rome University of Fine Arts, l’Accademia di Belle Arti di Roma), presentato alla 53esima edizione del Giffoni Film Festival. I protagonisti sono Aldo, Roberto e Carlotta e i loro caregiver, le cui storie si intrecciano pur essendo diverse. Aldo e Roberto, infatti, stanno ancora lottando contro la malattia, mentre Carlotta ne è uscita, ma ciononostante ora vede la vita con occhi diversi, anche nei piccoli gesti quotidiani. Il tumore al polmone è una delle forme più aggressive di cancro, e colpisce nel mondo 2 milioni di persone ogni anno e solo in Italia, nel 2022, oltre 43mila.Giffoni si interessa da sempre ad argomenti quali la salute, la prevenzione e la ricerca. Dopo la proiezione del docufilm, i ragazzi e le ragazze del festival si sono incontrati e confrontati con i produttori del film sulle tematiche legate alla patologia, apprendendo le corrette abitudini per praticare la prevenzione e per incentivare la diagnosi precoce. Fulvia Filippini, Responsabile delle Relazioni con Istituzioni e Associazioni pazienti Sanofi, ha dichiarato: «Siamo felici di aver preso parte al Giffoni Film Festival portando sotto i riflettori un progetto in cui crediamo così tanto. Siamo impegnati in oncologia da sempre a diversi livelli: lavorando nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche, realizzando progetti di sensibilizzazione verso questa realtà e anche collaborando con le associazioni nel supporto della comunità di pazienti e caregiver. Attraverso il cinema, abbiamo voluto raggiungere il pubblico, specie quello più giovane, per attivare in loro una maggior consapevolezza rispetto a cosa rappresenta l’ingresso del tumore nella vita di una persona e della propria famiglia». LEGGI TUTTO

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    Cure più mirate per il tumore da amianto

    Sanihelp.it – Si chiama mesotelioma pleurico ed è strettamente collegato all’esposizione all’asbesto, meglio conosciuto come amianto.Questa neoplasia è rara nella popolazione generale, ma frequente in chi ha lavorato nelle miniere di asbesto o nelle fabbriche dove si lavoravano composti di amianto. 
    In Italia sono vietati sia l’uso sia l’estrazione di amianto dal 1992, ma tenendo conto che il tumore impiega moltissimi anni a manifestarsi, si parla di 10-30 anni e più, c’è la possibilità di riscontrare ancora qualche caso. 
    Le fibre di amianto sono pericolose soprattutto quando vengono inalate.
    I sintomi non si manifestano nelle fasi iniziali della malattia, ma con l’andar del tempo possono comparire dolore al torace, difficoltà respiratoria, tosse (anche con sangue), febbre, stanchezza, difficoltà a deglutire e dimagrimento.
    Il trattamento è basato sull’intervento chirurgico, sulla radioterapia e sulla chemioterapia, tuttavia questa neoplasia risponde poco alle terapie e la sopravvivenza va dai 12 mesi ai 3 anni dalla scoperta del tumore, a meno che non venga diagnosticato nelle fasi iniziali, caso in cui la prognosi è migliore.
    Oggi però uno studio italiano, condotto dagli scienziati del Laboratorio di Ricerca traslazionale e dell’Anatomia patologica dell’IRCCS di Reggio Emilia, offre speranze di cure più mirate ed efficaci.
    Questi risultati, come spiega Federica Torricelli, titolare del progetto di ricerca, è importante in quanto da una parte l’identificazione di biomarcatori (indicatori biologici correlati con una malattia, in questo caso il mesotelioma) consente di sviluppare una terapia più mirata per i pazienti, dall’altra il potenziamento dell’efficacia dell’immunoterapia per questa neoplasia ha portato qualche vantaggio nella clinica, ma per un numero limitato di pazienti.
    Lo studio italiano ha consentito di ottenere molte informazioni sulla composizione delle lesioni analizzate e sulle interazioni delle cellule all’interno del tumore, nonché di capire la dinamica dello sviluppo della malattia. L’amianto si deposita sulla pleura e causa una infiammazione cronica che rimodella la matrice extracellulare e provoca la secrezione di molecole infiammatorie, che attraggono all’interno del tumore delle cellule del sistema immunitario, che però vengono bloccate da inibitori specifici. Data l’inattività forzata del sistema immunitario la lesione diventa sempre più aggressiva.
    La speranza è che con cure più mirate si possano aiutare i pazienti affetti da questa malattia. LEGGI TUTTO

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    Leucemia mieloide cronica, bene ponatinib

    Sanihelp.it – Lo studio osservazionale OITI, i cui risultati sono stati presentati a Francoforte, al congresso della European Hematology Association (EHA), ha confermato la validità del principio attivo ponatinib nel trattamento dei pazienti con leucemia mieloide cronica. Il farmaco è un agente antineoplastico inibitore delle proteinchinasi con un profilo di sicurezza a lungo termine gestibile, che ha aumentato il tasso di sopravvivenza nei pazienti affetti da questa forma tumorale.

    «Sono dati sicuramente molto buoni, se consideriamo che sono stati ottenuti in una popolazione di pazienti in cui aveva già fallito almeno un inibitore delle proteinchinasi e non pazienti all’interno di un trial clinico, che, come sappiamo, sono altamente selezionati», ha spiegato la professoressa Alessandra Iurlo, della Struttura Semplice Sindromi Mieloproliferative della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Policlinico di Milano ai microfoni di Pharmastar.
    Il fatto che i medici abbiano potuto modulare il dosaggio come meglio hanno creduto ha contribuito, inoltre, a ridurre gli effetti collaterali.

    Ponatinib è rimborsato in Italia dal 2015 e costituisce un trattamento ben consolidato di cui lo studio OITI ha confermato l’efficacia. Nel corso dello studio sono stati riportati anche degli effetti collaterali tra cui ipertensione, rash, trombocitopenia e aumento delle lipasi pancreatiche. Nonostante questo si è concluso che la tollerabilità del farmaco è buona.

    Nello studio OITI «la tollerabilità di ponatinib è stata decisamente buona» ha confermato la Prof. Iurlo. «per quanto riguarda la sicurezza, è vero che si sono presentati eventi avversi in più di un terzo dei pazienti. Occorre però tenere presente che, fra questi, i principali sono stati l’ipertensione arteriosa, l’insorgenza di rash cutaneo, la trombocitopenia e un aumento delle lipasi, mentre gli eventi cardiovascolari si sono presentati soltanto in una piccolissima percentuale di casi. Quindi, i dati di sicurezza sono sicuramente più a favore di quelli dei trial clinici», ha sottolineato Iurlo. LEGGI TUTTO

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    Mughetto orale, come trattarlo naturalmente

    Sanihelp.it – Il mughetto orale è un disturbo fastidioso, che può limitare di molto anche le attività sociali di chi venga colpito.Le cause sono da ricercarsi nel proliferare della Candida Albicans, un lievito che si trova normalmente a livello delle mucose, e anche di quella orale, ma che in situazioni particolari, come accade a chi abbia un sistema immunitario debole, può proliferare.
    I sintomi del mughetto orale sono diversi, dalla presenza di lesioni di colore bianco fino al dolore e alla perdita del gusto.

    Sarà, ovviamente, il vostro medico ad aiutarvi principalmente nella gestione del disturbo, ma esistono anche rimedi alternativi grazie ai quali sarà possibile evitare che l’infezione diventi recidivante.

    Vediamo, quindi, come aiutare il corpo a combattere il disturbo utilizzando alcuni rimedi naturali.
    I rimedi naturali per il mughetto orale
    I rimedi naturali per il mughetto orale sono diversi.
    Si inizia dall’uso della cannella, che consente di ridurre l’infiammazione. Si potrà assumere come integratore, oppure sarà possibile prendere la buona abitudine di aggiungerla alle bevande, come accade per il caffé.
    Anche il succo non dolcificato di mirtillo rosso è molto utile, e aiuta in generale a rendere meno infiammato il corpo, anche a livello delle vie urinarie.
    Un bicchiere al giorno, soprattutto nei mesi di maggiore vulnerabilità, vi aiuterà a tenere sotto controllo il lievito.
    Infine, anche il metodo dell’Oil Pulling vi potrà aiutare sotto questo aspetto. Potrete usare dell’olio di cocco puro e per uso alimentare e, ogni mattina, farete degli sciacqui con quest’olio prima di lavare i denti. All’inizio si comincerà con pochi minuti, per arrivare a superare i cinque minuti dopo diverse settimane. LEGGI TUTTO

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    Gli acufeni costringono Pelù in pausa

    Sanihelp.it – Rinviato a data da destinarsi l’Estremo Live 2023 di Piero Pelù: ad annunciarlo è stato lo stesso cantante attraverso i propri canali social lo scorso 30 giugno: «Ragazzacci miei, non avrei mai voluto farvi questa comunicazione ma a questo punto è inevitabile. Durante una session di registrazione a Milano ho subìto uno shock acustico forte dalle cuffie» ha scritto. «Questa cosa ha acutizzato gli acufeni coi quali già convivevo da molti anni rendendoli ora molto aggressivi e dopo vari controlli, fatti con i migliori otorini d’Italia, ho ricevuto l’unanime comunicazione che avrò bisogno di un riposo forzato per le mie orecchie di rocker, dunque, il tour Estremo di quest’estate 2023 dovrà essere rimandato di alcuni mesi».Con il termine acufene si indica un disturbo tanto frequente quanto difficile da trattare: la percezione di suoni che non esistono descritti come ronzii, fischi, sibili, o pulsazioni. Secondo l’American Tinnitus Institute può avere oltre 200 cause possibili (organiche e anatomiche, virali e ambientali ma anche vascolari, oncologiche o legate all’invecchiamento). Stando ad un recente studio finanziato dalla Comunità Europea sulla prevalenza e incidenza globale dell’acufene, ne soffrono 749 milioni di persone, con una incidenza del 14% nella popolazione mondiale e 120 milioni di casi gravi. Si riscontra soprattutto tra gli anziani, ma anche tra coloro che hanno subito danni a causa di esposizione a suoni ad alta intensità oppure per stati di ansia o traumi. E tra chi lavora con la musica sono diversi a soffrirne: oltre a Pelù anche Caparezza e Chris Martin dei Coldplay, solo per citarne alcuni.  I trattamenti attualmente disponibili contro gli acufeni mirano a ridurre gli effetti più gravi della malattia, con risultati tuttavia temporanei e/o ridotti. Eppure parliamo di disturbi che, se a volte possono essere lievi e transitori, in molti casi sono intensi e costanti e possono determinare problemi come ansia e depressione, difficoltà a concentrarsi, a lavorare o a socializzare, oltre che disturbi del sonno.

    Una speranza arriva dall’ultimo congresso nazionale della Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale (SIO) svoltosi a Milano dove sono stati presentati i dati della sperimentazione effettuata presso il Dipartimento ORL del Policlinico di Tor Vergata riguardanti un nuovo dispositivo medico, battezzato Acufree, che si è mostrato molto promettente. «L’acufene non è una patologia esclusivamente cocleare poiché coinvolge tutte le vie uditive, anche a livello del sistema nervoso centrale ed è per questo motivo che abbiamo testato la terapia multimodale sincrona», sottolinea il Professor Di Girolamo, direttore dell’unità operativa ORL del Policlinico Universitario Tor Vergata e primo autore dello studio. «Si tratta di un sistema innovativo e non invasivo che con l’utilizzo di un dispositivo specificamente sviluppato e brevettato agisce su più livelli: Acufree si basa su una stimolazione sonora specifica personalizzata su ogni singolo paziente, a cui si associano onde elettromagnetiche a bassa e alta frequenza». La stimolazione elettromagnetica interferisce con i segnali che attivano la percezione dell’acufene. 

    La sperimentazione è stata condotta all’Università di Tor Vergata su 50 pazienti con una storia di acufene cronico di età maggiore di 18 anni, età media di 56 anni e una ipoacusia di grado medio o lieve. I pazienti sono stati sottoposti a un protocollo audiologico completo al momento dell’arruolamento e a un monitoraggio intensivo nel corso della terapia, con durata complessiva di 14 settimane e due sessioni di trattamento al giorno per 18 minuti ciascuna. I risultati, applicati ai due principali riferimenti internazionali di misurazione, hanno mostrato un miglioramento significativo nel 72% dei pazienti per il TFI (Tinnitus Functional Index) e 68% per il THI (Tinnitus Handicap Index). Il trattamento con questo dispositivo, che sarà in commercio a breve, promette di ridurre il disagio di acufeni e di migliorare la qualità della vita dei pazienti in maniera non invasiva, senza effetti collaterali e con la comodità di poterlo usare tranquillamente a casa, evitando sedute e visite mediche continue per tempi prolungati.   LEGGI TUTTO

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    Capelli grassi, come gestirli naturalmente

    Sanihelp.it – I capelli grassi possono mettere profondamente a disagio. Si sporcano in fretta e danno subito un aspetto trascurato.

    Tuttavia, esistono sistemi naturali grazie ai quali è possibile gestire i capelli e la cute grassi e limitare il fastidio.
    Vediamo come fare senza dover ricorrere all’uso di sostanze chimiche aggressive.

    Usare l’aceto di mele

    L’aceto di mele può aiutare soprattutto la cute a ristabilire il suo equilibrio. Per avere maggiore efficacia si potrà utilizzare uno risciacquo a base di acqua e aceto di mele (un cucchiaio in 100 ml d’acqua) da applicare sul cuoio capelluto.
    Si lascerà in posa per un paio di minuti e poi si potrà sciacquare. L’operazione sarà resa più semplice se fatta usando una bottiglietta spray.
    Usare l’amamelide

    Potrete procurarvi un tonico o un estratto di amamelide e potrete usarlo una volta alla settimana per fare un impacco pre shampoo.
    Infatti, questa pianta ha un importante potere astringente che vi aiuterà anche a regolare il sebo presente sul cuoio capelluto.
    Si applicherà sulla cute, si lascerà in posa una decina di minuti, dopo un leggero massaggio, e si concluderà con il normale lavaggio dei capelli.
    Usare l’albume d’uovo
    Spesso può sembrare un controsenso utilizzare l’albume d’uovo per i capelli grassi, ma questo è in grado di ristabilire l’equilibrio del cuoio capelluto.
    Si potrà realizzare una maschera con i soli albumi oppure si potranno mescolare con un cucchiaio di miele.
    Si applicherà la mistura sul cuoio capelluto e si lascerà in posa circa venti minuti. Infine, si laverà il tutto procedendo al normale shampoo. LEGGI TUTTO

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    Tumore della prostata: le complicanze dopo l’intervento

    Sanihelp.it – Il tumore alla prostata, una volta operato, lascia complicanze come incontinenza urinaria e disfunzione erettile. Di questo si è parlato in una conferenza stampa realizzata da Fondazione Onda in collaborazione con Elma Research, con il contributo incondizionato di Boston Scientific, durante la quale si è cercato di comprendere quali siano le aspettative dei pazienti e i punti di vista degli urologi. Il tumore alla prostata è il più diffuso negli uomini, non solo In Italia, ma anche negli altri paesi occidentali, ed è oltretutto in forte crescita. I pazienti che hanno subito una prostatectomia, cioè l’asportazione totale della prostata, sviluppano una disfunzione erettile che viene trattata con i farmaci inibitori della fosfodiesterasi 5, come il tadalafil, a volte però senza successo. A questo si aggiungono spesso problemi di incontinenza urinaria. Ciò provoca non solo fastidio e a volte dolore, ma anche ansia e depressione. Tuttavia, buona parte dei pazienti che manifestano queste problematiche non sono sottoposti ad alcun trattamento, un po’ perché trovano difficoltà a parlarne con lo specialista, preferendo il medico di base, è un po’ perché cercano la soluzione online.

    «In un’ottica di attenzione alle specificità di genere, Fondazione Onda si è già impegnata in questi anni ad affiancare il Bollino Rosa che promuove la messa a punto di percorsi in ottica di genere nelle strutture ospedaliere del territorio nazionale, con il Bollino Azzurro, riconoscimento rivolto alla salute maschile, dato agli ospedali che assicurano un approccio professionale e interdisciplinare nei percorsi diagnostici e terapeutici dedicati alle persone con tumore della prostata» spiega Francesca Merzagora, presidente della fondazione Onda «le problematiche funzionali legate al dopo tumore della prostata sono ancora oggi poco conosciute e considerate e solo alcuni centri ospedalieri specializzati hanno attivato percorsi dedicati con la possibilità di identificare le soluzioni terapeutiche più appropriate e all’avanguardia. Occorre promuovere la condivisione di buone pratiche cliniche e informare l’utenza delle realtà ospedaliere con migliore competenza e sensibilità nella gestione multidisciplinare di questa malattia». LEGGI TUTTO

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    Pressione eccessivamente bassa: i rimedi naturali

    Sanihelp.it – La pressione bassa è vista spesso come un elemento positivo, in quanto non predispone ai problemi che si legano, invece, all’ipertensione. Tuttavia, anche la pressione eccessivamente bassa può essere fastidiosa e portare, ad esempio, a soffrire di stanchezza e capogiri, soprattutto nella stagione estiva.

    Ecco perché conoscere alcuni accorgimenti può essere utile per stabilizzare la pressione anche in estate.
    Vediamo i rimedi naturali per la pressione troppo bassa.

    La liquirizia

    La radice di liquirizia aiuta ad alzare leggermente la pressione. Si potrà utilizzare la radice grezza, oppure un estratto. Bisognerebbe assumere questo rimedio la mattina lontano dai pasti, e mai esagerare.
    La caffeina
    Il caffé del mattino può aiutare chi soffra di pressione eccessivamente bassa. La presenza, infatti, di caffeina può dare una sferzata di energia e può contribuire a ristabilire i normali livelli di pressione arteriosa.

    Magnesio e potassio
    Spesso la pressione si abbassa per la perdita di elettroliti. Integrare magnesio e potassio, e in alcuni casi di evidente perdita anche il sodio, può aiutare a ridurre gli effetti della pressione eccessivamente bassa.
    Questo soprattutto in persone che sudino molto o in chi faccia molta attività fisica.

    In tutti i casi, comunque, sarà bene fare riferimento al proprio medico, indicare il problema e non interrompere mai l’uso di farmaci prescritti. LEGGI TUTTO