In pochi decenni, da quando PT Vale Indonesia ha avviato lo sfruttamento del nichel a Sorowako e Labota, sull’isola tropicale di Sulawesi, le comunità locali – indigeni, agricoltori, pescatori – hanno visto cambiare ben più che il solo paesaggio. Quelli che un tempo erano villaggi di pescatori oggi sono inglobati in città fondate su giganteschi complessi industriali. Sorowako, da sola, è una città-industria da 15 miliardi di dollari che si estende su 3.000 ettari e comprende acciaierie, centrali a carbone e impianti di lavorazione di nichel e cobalto, con un proprio aeroporto e un porto marittimo. In pochi anni l’Indonesia è diventata un attore chiave della transizione energetica e gioca un ruolo centrale nella filiera globale delle batterie per le auto elettriche. Si tratta di un’attività estrattiva che oggi viene considerata necessaria, ma che solleva interrogativi sempre più pressanti sui suoi costi ambientali e sociali.
La crescita rapidissima nell’arcipelago ha generato conflitti territoriali, un’alta densità di popolazione, condizioni di lavoro precarie e un inquinamento diffuso, ora documentato da nuove misure effettuate da Source International, un’organizzazione non governativa con sede in Italia che fornisce supporto scientifico e legale gratuito a comunità vulnerabili, monitorando l’inquinamento ambientale e le violazioni dei diritti umani legate alle attività estrattive.
L’Indonesia è oggi il colosso globale del nichel. Nel 2024 ne ha prodotto circa 2,2 milioni di tonnellate, pari a quasi il 60% della produzione mondiale. Un dominio costruito in poco più di un decennio grazie a un’espansione rapidissima di miniere, fonderie e parchi industriali. Il Paese possiede una delle maggiori riserve al mondo di questo metallo strategico, stimate in oltre 55 milioni di tonnellate, circa il 40% delle risorse globali: più di quanto ne posseggano insieme Russia, Cina, Filippine e Canada.
Costruito come joint venture tra aziende industriali cinesi e indonesiane, il distretto industriale del Sulawesi è al centro della spinta del Paese all’estrazione del nichel, componente fondamentale delle batterie, non solo per le auto elettriche. A Labota sorge l’IMIP (International Morowali Industrial Park): “Un gigantesco complesso industriale minerario per l’estrazione di nichel e cobalto”, spiega Flaviano Bianchini, fondatore di Source International. A Sorowako, invece, la miniera “è una joint venture tra il governo indonesiano e la canadese Vale Canada, che a sua volta fa capo alla multinazionale brasiliana Vale”, aggiunge.
Tra i produttori di automobili collegati all’attività estrattiva nell’isola figurano Tesla, Volkswagen, BMW, Hyundai, Stellantis e Volvo. Tra i produttori di batterie coinvolti compaiono il colosso cinese CATL e Samsung SDI.
Le indagini svolte da Source International rivelano una diffusa contaminazione da metalli pesanti nelle aree intorno alle miniere, con livelli critici di nichel, cromo e cobalto. Alcuni dei dati più allarmanti emergono dalle zone circostanti l’IMIP di Labota, dove le concentrazioni di manganese – un sottoprodotto dell’attività estrattiva – nell’acqua “hanno superato fino a 200 volte gli standard di qualità ambientale dell’Indonesia”, si legge nel rapporto. A Sorowako, a valle dell’area mineraria, campioni di sedimenti hanno registrato valori di cromo esavalente pari a 80 microgrammi per litro, superiori allo standard nazionale.
I dati mostrano una contaminazione estesa da metalli pesanti che riflette l’effetto combinato della geologia naturale e degli apporti antropici derivanti dall’estrazione. I sedimenti risultano particolarmente preoccupanti: le concentrazioni di nichel, cromo e cobalto sono costantemente molto superiori alle linee guida internazionali di sicurezza.
Il report solleva così un nodo centrale per la transizione ecologica: quanto è davvero “verde” la filiera delle auto elettriche – e di molte tecnologie rinnovabili che fanno largo uso di batterie? I contaminanti rilevati (nichel, cromo, cobalto, manganese) sono tossici e, in alcuni casi, cancerogeni, con rischi documentati per la salute delle comunità locali e per gli ecosistemi unici dell’arcipelago.
“Quest’isola dovrebbe essere un paradiso in terra”, osserva Bianchini. “Si trova al centro del cosiddetto Triangolo dei Coralli, l’area con la più alta biodiversità marina del mondo. Tolte le miniere, Sulawesi è un hotspot di biodiversità unico a livello globale dal punto di vista ambientale”.
E allora anche la transizione energetica è un male per il Pianeta? Così come viene realizzata oggi in Indonesia, sì, sostiene Bianchini. Ma aggiunge che un’estrazione sostenibile è possibile: «Questi minerali ci servono. La soluzione, però, dovrebbe essere un’estrazione più rispettosa dell’ambiente e dei diritti umani delle popolazioni locali. Nel 2025 esistono tecnologie per estrarre questi minerali inquinando meno, ma non vengono applicate per aumentare i profitti delle imprese. Si tratta di società che producono miliardi di utili all’anno, e gli alti profitti si ottengono anche abbassando i costi di produzione a spese della popolazione locale». La sostenibilità delle attività estrattive diventa così un costo che molte compagnie cercano di evitare, ma il cui impatto è globale.
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