L’esito non entusiasmante della Cop30 che si è da poco conclusa a Belém, con l’assenza di una roadmap per l’uscita dai combustibili fossili, fa capire che la salute del pianeta non è di certo tra le priorità dei paesi legati all’economia del petrolio. Chi ha invece sicuramente scelto la terra, come artista e film-maker, è la regista franco-americana Anne de Carbuccia che viaggia, da tempo, per i luoghi più remoti del Pianeta per raccontare come l’essere umano stia trasformando il mondo e per incontrare una nuova generazione di donne e uomini, i protettori della terra, impegnati a difendere noi e il nostro mondo. Il materiale filmico raccolto tra il 2014 e il 2024, è diventato la serie “Choose Earth” che uscirà, con le prime 4 puntate, su Amazon Prime, il 10 dicembre in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani.
“Questa serie – esordisce Anne de Carbuccia – è la mia dichiarazione di amore per il Pianeta. Spero che dalla visione delle puntate questo mio sentimento emerga in maniera netta. Dentro ci sono 10 anni di lavoro che mi hanno fatto capire che siamo arrivati ad un momento di transizione molto delicato e che ci troviamo in mezzo ad una vera e propria rivoluzione. Per questo, ora, con chiarezza e determinazione dobbiamo tutti scegliere la terra. È quello che dico a partire dalle prime immagini della puntata iniziale. Con Choose Earth vorrei contribuire ad accrescere la consapevolezza sui danni che creiamo al Pianeta e mi piacerebbe pensare di poter ispirare azioni concrete di salvaguardia. È una sfida che mi pongo e infatti dedico la serie alle persone che la vedranno nel 2050 perché loro sapranno se abbiamo fallito nei nostri percorsi o se siamo riusciti ad andare nella giusta direzione”.
Quando ha maturato l’dea di realizzare una serie tv?
“Il mio primo documentario Earth protectors, del 2021, ha avuto un discreto successo. Già da alcuni anni andavo per il mondo per testimoniare la mia arte, le mie istallazioni e riprendevo quello che osservavo e che mi colpiva. Ripensare e riorganizzare tutto il girato è stato il primo passo per realizzare la serie che ho completato con materiale nuovo. È stata l’occasione per andare in profondità sui temi che mi interessano e colpiscono”.
Ha girato le puntate in 10 anni. In questo arco di tempo ci sono stati eventi significativi come l’Agenda 2030 con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, gli accordi di Parigi e tanti altri. Quali di questi eventi ti ha ispirato maggiormente?
“Sono tutti eventi che hanno contribuito al mio desiderio di mettermi in gioco in prima persona. Gli Accordi di Parigi hanno rappresentato un punto chiave perché mi è sembrato che fosse l’espressione della volontà delle popolazioni del mondo come ormai non accadeva da anni. L’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco mi ha colpito in profondità ma devo confessare che soprattutto i movimenti giovanili, con la loro consapevolezza su quello che sta accadendo, hanno impresso una vera spinta. A loro dedico la quinta puntata della serie che sto finendo di montare in questi giorni e che uscirà il 22 aprile in occasione della Giornata della Terra. Parlerò dei tanti gruppi attivi nel mondo e anche dei giovani dello Stato insulare di Vanuatu che hanno iniziato la loro lotta ai cambiamenti climatici arrivando sino alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia”.
Il 2024 è stato confermato, dal servizio climatico dell’Unione Europea, Copernicus e dalla Nasa, come il primo anno solare in cui la temperatura media globale ha superato la soglia di 1,5 gradi rispetto all’era pre-industriale (1850-1900). Cosa stiamo sbagliando secondo lei?
“Oggi siamo di fronte a dei punti di non ritorno. Il primo è proprio quello dell’aumento della temperatura. Ma ce ne sono altri, forse di impatto minore, come la perdita dei coralli in una misura non rimediabile. Questo induce a pensare che gli elementi di preoccupazione saranno sempre di più. Ma se assumiamo un’altra ottica dobbiamo dire, per esempio, che a livello mondiale l’energia da fonti rinnovabili ha superato quella da carbone. Siamo davanti ad un bivio straordinario e questo è affascinante. Conosciamo tutti i problemi e abbiamo tutte le soluzioni. Per trovare delle soluzioni concrete, al di là dei partiti, delle singole nazioni o religioni, dobbiamo riunirci tutti, come genere umano, e scegliere di andare verso un cambiamento sistemico. Lo possiamo fare. Choose Earth, la serie, è il mio contributo perché nessuno può sentirsi escluso da questo processo”.
Ha girato il mondo per la serie. Come hai realizzato i documentari? Com’era formata la troupe?
“Quando ho iniziato a girare i miei documentari, nel 2014 e dopo, incontravo spesso troupe di grandi produzioni o mi capitava di essere in location dove altri avevano girato. Trovavo spesso dei luoghi devastati. Mi è sembrato un assurdo che per documentare il degrado ambientale si finisse per accrescerlo. Ho capito che se volevo fare i miei documentari dovevo avare un impatto minimo. La mia troupe è ridottissima, siamo in genere in tre o quattro, con una attrezzatura leggera che riusciamo a muoverci anche a piedi. Non utilizziamo l’intelligenza artificiale e alla fine calcoliamo il nostro impatto e compensiamo”.
Crede che l’arte possa essere di per sé uno strumento di salvaguardia? Come nascono le istallazioni che realizzi?
“Noi siamo molto legati a ciò che proviamo. Potremmo definirci una specie emotiva. Diamo una risposta ai nostri bisogni attraverso i sentimenti. L’arte e la cultura sono basilari per creare consapevolezza. Senza l’arte, in particolare, sarebbe difficile raccontare ciò che sta accadendo intorno a noi perché non ci si può basare solo su dati scientifici. Dobbiamo trovare le chiavi del cuore, perché si protegge ciò che si ama. Le istallazioni che realizzo, che riprendo anche nei miei documentari, nascono in maniera istintiva e in connessione con i luoghi che visito, ma con alcuni elementi che ricorrono spesso come la clessidra o dei piccoli teschi. Ho un background antropologico e mi ha sempre interessato la figura dell’altare come una delle prime forme di espressione artistica dell’umano. È il soggetto principale delle mie istallazioni”.
Nepal, Estonia, Italia, Siberia, Messico, Perù sono alcuni dei paesi che ha girato andando a cercare gli Earth Protectors. Chi le è rimasto più impresso?
“Sono rimasta colpita da tutti, perché ciascuno di loro nutriva l’altro senza conoscersi. Nel senso che sono tutti diversi ma testimoniano un impegno e una disponibilità al bene del Pianeta che è comune. Le storie che ho raccontato hanno dei tratti similari, la diversità morfologica e geografica dei luoghi e della tipologia dei problemi non faceva cambiare la qualità e le azioni di questi protettori della terra. Ho percepito una unione complessiva nella cura del pianeta che mi piacerebbe restituire al pubblico”.
Nel terzo episodio c’è anche un po’ d’Italia e incontra la biologa marina Maria Sole Bianco. Come giudica la situazione ambientale italiana?
“L’Italia è un Paese che vive nella sua interezza la crisi climatica. A nord si stanno fondendo i ghiacciai delle Alpi e a sud, in Sicilia le terre stanno diventando aride. La biodiversità del Mediterraneo è uno dei posti più a rischio. L’Italia è estremamente fragile ma proprio per questo può essere estremamente resiliente e diventare un esempio, come facciamo vedere nella terza puntata”.
Per la serie ha raccolto tante testimonianze. Ha individuato un modello che ti sembra vincente?
“Sì, ma non è nelle persone, o non solo, é anche nell’uso della tecnologia che considero una forza per il bene. Se dovessimo, quindi, cercare una formula vincente dovremmo guardare all’unione tra l’eredità culturale ovvero le sapienze antiche e la tecnologia. È un matrimonio che può dare vita ad un nuovo pensiero che va oltre il principio dell’adattamento ai cambiamenti in corso”.
Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml

