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Una ricerca svela i segreti dei terremoti del passato


Il 23 febbraio del 1887 un violento terremoto colpì la Liguria. Finora erano note le sue conseguenze: oltre 600 vittime e un ampio tratto di costa devastato dallo tsunami che seguì il sisma. Ma sulle caratteristiche geofisiche di quell’evento di quasi 140 anni fa non si sapeva granché: non c’era all’epoca la rete di sismografi che oggi monitora la Penisola. Oggi però uno studio pubblicato su Nature Scientific Reports e condotto da ricercatori dell’Università di Trieste, in collaborazione con l’Università di Genova e l’Istituto Nazionale di Oceanografica e di Geofisica Sperimentale, svela alcuni segreti di quel terremoto di fine Ottocento: per esempio che fu probabilmente di magnitudo 7.2. L’originalità di questa ricerca a posteriori è che per ricostruire il sisma del 1887 sono stati analizzati i “magnetogrammi storici”, vale a dire le rappresentazioni grafiche del campo magnetico terrestre, in diverse località europee.

“Studi precedenti avevano mostrato che in occasioni di grandi terremoti in Asia centrale le misurazioni dei magnetometri erano risultate utili per registrare tali eventi sismici”, spiega Stefano Parolai, professore ordinario e direttore del dipartimento di Matematica, Informatica e Geoscienze dell’Università di Trieste. “Dunque strumenti fatti per tutt’altro hanno tenuto traccia dei movimenti sismici, in un’epoca nella quale non c’erano sismografi a registrare i terremoti”. Il team di cui ha fatto parte il professor Parolai ha provato a usare lo stesso metodo per saperne di più sul terremoto ligure. Sono state scansionate le registrazioni provenienti dagli osservatori di Greenwich, Kew, Falmouth (Regno Unito) e Paris Saint-Maur (Francia), dove vengono ancora conservati i dati relativi al monitoraggio del campo magnetico terrestre dell’Ottocento. Dopo essere stati digitalizzati, sono stati analizzati e messi in relazione con l’evento del 23 febbraio 1887. “Abbiamo trovato tracce di disturbi nei magnetogrammi storici, in coincidenza con l’arrivo dell’onda sismica generata dal terremoto ligure”, spiega Parolai.

Una analisi approfondita, utilizzando modelli di propagazione delle onde sismiche e riproducendo la risposta reale dei magnetografi ottocenteschi alle vibrazioni del suolo, ha permesso ai ricercatori di stimare la magnitudo: 7.2 appunto. Ma anche di individuare il meccanismo che potrebbe aver innescato il terremoto: una faglia inversa inclinata verso Nord, coerente con la geologia regionale e con i modelli di tsunami. Ma perché l’onda sismica nata in Liguria avrebbe lasciato il suo segno sui tracciati delle misure di campo magnetico effettuate nel Regno Unito o in Francia? La tesi prevalente è che si trattò di un disturbo meccanico: lo spostamento degli strumenti dovuto alla scossa. La ricerca appena pubblicata accresce la conoscenza di un fenomeno del recente passato. Ma soprattutto ci dice di più sulla sismicità del territorio in cui si è verificato, la costa ligure in questo caso specifico. “Quando si valuta la pericolosità sismica di un’area, ci si basa anche sui terremoti del passato”, osserva Parolai. “Studi come questo possono contribuire a migliorare la stima della pericolosità, che ha poi conseguenze anche pratiche, visto che per esempio entra nelle norme tecniche di costruzione”. Questo metodo si può applicare anche ad altri terremoti italiani di cui sappiamo poco? “Certamente. Lo scopo principale del nostro lavoro era proprio mostrare come, con le tecnologie attuali, si possano rivalutare alcuni dati storici per avere più informazioni sulla sismicità di certe aree del Paese”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml

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