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Meno sardine nell’oceano e i pinguini muoiono di fame


Una tragedia ecologica si sta consumando al largo del Sudafrica. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Exeter e dal Dipartimento per le Foreste, la Pesca e l’Ambiente del Sudafrica, pubblicata sulla rivista Ostrich: Journal of African Ornithology, migliaia di pinguini africani (Spheniscus demersus) sono morti di fame, a causa di una drammatica carenza di cibo. Nelle due colonie riproduttive più importanti – Dassen Island e Robben Island – si stima che circa il 95% degli uccelli che si sono riprodotti nel 2004 sia morto nei successivi otto anni. E la strage continua.

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La trappola della muta

Per capire cosa sia successo, bisogna guardare alla biologia di questi animali. Una volta all’anno, i pinguini africani affrontano la muta: perdono il vecchio piumaggio e ne fanno crescere di nuovo per mantenere l’impermeabilità e l’isolamento termico. Senza il piumaggio impermeabile, però, non possono entrare in acqua. Questo significa che per circa 21 giorni rimangono confinati sulla terraferma, impossibilitati a cacciare. E perdono quindi peso: basti pensare che un esemplare adulto prima della muta è in media il 31% più pesante di un adulto durante il periodo della riproduzione.

“Si sono evoluti per accumulare grasso e poi digiunare, mentre il loro corpo metabolizza le riserve e le proteine dei muscoli per superare la muta”, spiega Richard Sherley del Centre for Ecology and Conservation dell’Università di Exeter. “Devono poi recuperare rapidamente la forma fisica. Pertanto, se il cibo è troppo difficile da trovare prima della muta o subito dopo, non avranno riserve sufficienti per sopravvivere al digiuno”.

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Ed è esattamente ciò che è accaduto. Analizzando i dati raccolti tra il 1995 e il 2015, i ricercatori hanno scoperto che i tassi di sopravvivenza annuale degli adulti, così come la proporzione di riproduttori che non sono tornati alle colonie per la muta, erano strettamente correlati a un indice di disponibilità delle prede per la regione. Tra il 2004 e il 2011, in particolare, lo stock di sardine al largo del Sudafrica occidentale è crollato, rimanendo quasi sempre al di sotto del 25% della sua abbondanza massima. Il risultato è stata una perdita stimata di circa 62.000 individui riproduttivi.

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Ma perché le sardine sono sparite? La colpa sembra essere di una “tempesta perfetta” composta da cambiamenti ambientali e pressione umana. Da un lato, variazioni nella temperatura e nella salinità dell’acqua hanno reso le storiche aree di deposizione delle uova di sardine sulla costa occidentale del Sudafrica meno produttive. Dall’altro, l’industria della pesca, nonostante i pesci si sono spostati verso sud, ha continuato a concentrarsi proprio a ovest di Capo Agulhas (il punto più meridionale del continente africano), mantenendo tassi di sfruttamento elevati in una zona dove la risorsa stava già diminuendo drasticamente: sempre superiori al 20% tra il 2005 e il 2010, con un picco addirittura del 80% nel 2006.

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Le conseguenze sono devastanti. Nel 2024, il pinguino africano è stato classificato come specie a rischio critico (critically endangered), avendo subito un declino globale della popolazione di quasi l’80% negli ultimi 30 anni. Non tutto è perduto. I ricercatori suggeriscono che interventi mirati (come la fornitura di nidi artificiali, la gestione dei predatori, il salvataggio, la riabilitazione e l’allevamento a mano di adulti e pulcini) e una oculata gestione delle attività di pesca potrebbero fare la differenza. Recentemente, per esempio, è stata vietata la pesca commerciale con reti a circuizione attorno alle sei maggiori colonie riproduttive del Sudafrica con l’obiettivo di garantire ai pinguini un accesso facilitato alle prede nei momenti critici, come durante l’allevamento dei pulcini e, appunto, prima e dopo la muta. Ulteriori strategie che riducano lo sfruttamento delle sardine e stabiliscano soglie ecosistemiche potrebbero permettere il recupero degli stock ittici. “Ci auguriamo che i recenti interventi di conservazione messi in atto, insieme alla riduzione dei tassi di sfruttamento delle sardine quando la loro abbondanza è inferiore al 25% della soglia massima, inizino a frenare il declino (dei pinguini africani, ndr) e che la specie mostri qualche segno di ripresa”, conclude Sherley.

Per gli autori la storia dei pinguini africani deve essere un promemoria di come gli equilibri marini siano fragili e interconnessi: salvare questi uccelli non significa solo proteggere una specie simbolo dell’emisfero australe, ma ripristinare la salute di un intero ecosistema oceanico.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml

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