Li chiamano “paesaggi sommersi”. Territori costieri, che senza un’inversione di marcia, sembrano destinati nel giro di qualche decennio a diventare inabitabili sia a causa dell’erosione dovuta alle attività umane, sia all’innalzamento del mare. Non significa solo perdere spiagge, ecosistemi naturali e infrastrutture, ma anche compromettere sistemi vitali per le popolazioni costiere come la pesca e il turismo. Significa immaginare intere comunità costrette a spostarsi all’interno per sopravvivere.
L’ultimo report arriva dallo scienziato uruguaiano Omar Defeo, professore presso l’Università della Repubblica dell’Uruguay (UdelaR) considerato dalla comunità scientifica tra i massimi esperti mondiali di ecologia delle spiagge. Da anni analizza come questi ecosistemi interagiscano sia sotto le pressioni dell’uomo (turismo e urbanizzazione soprattutto) sia a causa del clima. Il risultato dei suoi studi e dei modelli di ricerca è tutt’altro che rassicurante. Durante il simposio FAPESP Day Uruguay, il professor Defeo ha infatti affermato chiaro e torno: “Quasi metà delle spiagge scomparirà entro la fine del secolo”.Spiagge “schiacciate dal clima e urbanizzazione
I ricercatori che hanno partecipato allo studio sottolineano che ogni territorio reagirà in base allo scenario climatico futuro: più alte saranno le emissioni di gas, più alto sarà il rischio che le zone litorali più fragili scompariranno. Secondo lo studioso sudamericano, le spiagge stanno subendo anche se in maniera diversa, un processo che lui ha definito di “schiacciamento”, dovuto alla combinazione dell’innalzamento del livello del mare e dall’urbanizzazione delle zone costiere che rende le città costiere più vulnerabili all’avanzata del mare.
La ricerca è stata condotta insieme ad un team di scienziati brasiliani e pubblicato sulla rivista Frontiers in Marine Science, ha infatti dimostrato che un quinto delle 315 spiagge analizzate in tutto il mondo presenta già tassi di erosione intensi, estremi o gravi. Anche in Italia a conferma di quanto già riportato nel rapporto della Società Geografica, che ha già lanciato l’allarme: entro il 2050 il 20% delle nostre spiagge potrebbe essere sommerso, entro il 2100 la quota potrebbe salire al 40-45%.
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14 Agosto 2025
Dune, spiaggia, mare: un solo ecosistema
Nel suo lavoro Defeo definisce “zona litorale attiva”, sia l’insieme di dune a cui segue la spiaggia vera e propria e la prima zona sommersa poco profonda. Questa fascia è, secondo Defeo, “dinamica” ossia si rigenera dai continui scambi di sedimenti mossi da venti e onde. Queste due componenti, spiaggia e zona sommersa poco profonda sono essenziali per molti servizi ecosistemici: ad esempio le dune fungono da scudo naturale contro la mareggiate, la spiaggia assorbe parte dell’energia delle onde, mentre la zona sommersa supporta gran parte della biodiversità marina. Ma quando la pressione umana (edifici e strade costruite troppo vicino al mare, barriere) impedisce il movimento naturale di sabbia, l’equilibrio di questa zona attiva si rompe con conseguenze potenzialmente gravi. In altre parole, non basta che il mare si alzi: se la spiaggia non ha spazio per ritirarsi naturalmente va in crisi.
La necessità di politiche di gestione delle coste
“Abbiamo osservato – ha spiegato Defeo – che le attività umane svolgono un ruolo significativo, in particolare sulle spiagge con una forte pendenza che fa sì che le onde dissipino bruscamente la loro energia sulla spiaggia e sulle spiagge intermedie che presentano caratteristiche di spiagge calme”. Dunque, è necessario secondo lo scienziato agire ora per evitare che le città costiere diventino “relitti” con politiche di gestione e di pianificazione del territorio, come i piani di adattamento climatico. Scelte che secondo il professor Defeo, sono diventate cruciali. Difese costiere, regolamentazione dell’edilizia costiera, restauro delle dune possono ad esempio fare la differenza. Ma richiedono pianificazione e investimenti. Dighe e barriere artificiali contro il cambiamento climatico non bastano più.

