Il destino di centinaia di migliaia di brik di latte e succhi di frutta italiani è di morire e rinascere in Franciacorta. Metempsicosi e contrappasso, verrebbe da dire. Eppure è quello che realmente accade presso lo stabilimento di EcoRevive, nel comune di Provaglio d’Iseo (BS), che abbiamo recentemente visitato. È un crocevia: arrivano tonnellate di tetra brik tritati ed escono granulati plastici impiegabili per drogare l’asfalto, realizzare assi per la pavimentazione esterna, pallet, supporti e altri manufatti.
In pratica si tratta di rimettere in circolo un materiale che in molti casi sarebbe destinato alle discariche o agli inceneritori. La chiave di tutto si chiama PolyAl, ovvero una combinazione di polietilene e alluminio. Di fatto la componente non-fibrosa presente nei cartoni per bevande (come quelli Tetra Pak), che svolge la funzione di barriera protettiva contro ossigeno e umidità per preservare il contenuto alimentare. “In certe parti del mondo poter garantire le condizioni di sicurezza anche senza una catena del freddo è assolutamente un valore aggiunto importantissimo”, sottolinea Nicole Bertoni, Direttrice Italia di FBCA (Food and Beverage Carton Alliance), l’associazione globale che rappresenta i produttori di cartoni per bevande e i loro fornitori.
I segreti del brik
Longevità a scaffale, leggerezza e ridotta impronta ambientale sono stati ottenuti nel tempo individuando il giusto compromesso di design e materiali. Scomponendo il brik si ottiene il 75% di carta, il 21% di polimeri e il 4% di alluminio. E questo spiega anche il motivo per cui in alcuni comuni i brik vengono conferiti nella carta (80%) e in altri (20%) nella plastica. Per altro, come conferma Bertoni, anche in Europa si va un po’ in ordine sparso: gli schemi di raccolta sono piuttosto diversi.
“Ma non basta produrre un prodotto che sia riciclabile per la vera sostenibilità, occorre poi che lungo tutta la filiera vi sia un sistema solido e integrato. Non può esserci riciclo se a monte non c’è la raccolta, quindi ogni riciclo virtuoso (circa il 50% media Ue) parte senz’altro da un sistema di raccolta efficiente”, puntualizza la direttrice di FBCA.
E il tema è cruciale perché solo in Italia ogni anno vengono immesse sul mercato circa 90mila tonnellate di cartoni per bevande (si stimano oltre 3 miliardi di contenitori), con un tasso di raccolta successivo al consumo che raggiunge il 44%. “Non è un problema di selezione, ma di infrastruttura, perché quella attuale non è in grado di supportare un tasso di raccolta elevato”, aggiunge Bertoni. Il suo suggerimento è favorire un approccio sistemico e collaborativo tra industria, consorzi e istituzioni per realizzare pienamente il potenziale di circolarità.
I brik, dopo la prima fase di raccolta, vengono conferiti soprattutto a cartiere specializzate, che ne estraggono la polpa di cellulosa per farne nuova carta e cartoni. Lo scarto di questa lavorazione è il PolyAl. In Italia ci sono pochi impianti che lavorano questo materiale: uno di questi è proprio quello di EcoRevive.
Il mix del PolyAl
L’ingresso dello stabilimento di EcoRevive è un po’ anonimo, ma ha due piante che lo delimitano: un olivo e un cactus. Forse è un messaggio oppure una coincidenza, ma in effetti nella terra del Franciacorta, dove i terreni di origine morenica regalano bollicine di pregio, c’è anche un tessuto industriale di pari lignaggio. All’interno dei capannoni da 4mila metri quadrati dell’azienda svetta il PolyAl, separato per provenienza. “La qualità della selezione la notiamo ormai a vista d’occhio, anche se ovviamente facciamo le analisi del caso. Il segreto del risultato è anche nel mix corretto”, spiega il Ceo e fondatore tecnico dell’azienda, Mauro Imberti.
“Ho avuto l’idea di riciclare questa tipologia di materiale nel 2011 poiché lavoravo per un’azienda che produceva impianti di riciclo della plastica e durane i vari test fatti era emerso il PolyAl. Dopodiché ne ho compreso il potenziale, le cartiere stavano iniziando a recuperarlo e un mio famigliare mi ha aiutato ad avviare l’attività”, racconta Imberti.
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L’esperienza maturata con il plasmix – la plastica residua ed eterogenea derivante dalla raccolta differenziata – è servita per mettere a punto il metodo di riciclo del PolyAl. Concettualmente la procedura è “semplice”: in pochi minuti il materiale grezzo viene sciolto, poi raffreddato per ottenere delle cialde che vengono infine triturate per finire in un container e poi in grandi sacchi. La chiave, come spiega Imberti, è nel corretto mix di PolyAl e la capacità del macchinario di densificazione a fronte di livelli di umidità eccezionali. Un estrusore tradizionale può tollerare il 3% di umidità del materiale plastico da sciogliere, mentre quello di EcoRevive, sviluppato dalla bergamasca Italrec, arriva al 25-30%.
“Il processo è a secco, quindi non c’è impiego di acqua. I consumi energetici sono certamente importanti, ma limitati dal numero di passaggi: uno solo, rispetto ai consueti 5 o 6. Non ci sono additivi e le emissioni sono controllate. Soprattutto vapore grazie a specifici filtri”.
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Plasticù anche per l’asfalto
Il risultato di questa lavorazione si chiama Plasticù – così EcoRevie ha deciso di chiamarlo. Si tratta di un polimero in grani, più o meno affinato a seconda delle esigenze, che ha caratteristiche simili alla plastica riciclata, ma con un plus: può essere facilmente colorabile. “Le plastiche miste riciclate di solito sono grigio scuro. Non ci sono molti margini di manovra. Il nostro livello di produzione oggi è di circa 6-7mila tonnellate l’anno, ma potenzialmente potremmo raggiungere le 12mila”, conferma Imberti.
Plasticù può essere usato per realizzare i pallet della logistica, le piastrelle da esterno, arredo urbano (“In Francia va moltissimo”), i pali marini e persino come additivo per l’asfalto. “Abbiamo clienti nel settore delle costruzioni, quindi si parla di granchi per creare i vespai sotto le fondamenta. Nella laguna di Venezia ci sono molti nostri pali al posto di quelli di legno. E poi sono fiducioso per il settore stradale perché il nostro materiale consente di ottenere maggiore resistenza all’usura”.
Nello stabilimento c’è polvere, tanto rumore e soprattutto spirito lombardo. “Noi siamo dei contadini, mentre quelli che riciclino plastica nell’elettronica sono farmacisti; lavoriamo sulla pratica, quando c’è un problema cerchiamo di risolverlo, proviamo e riproviamo. Siamo concreti in quello che facciamo”.
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