Rosario Franci
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Monacolina K, la sostanza che riduce il colesterolo
Rimedi alternativi
di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 31-08-2021
Come riportare i valori di LDL alla normalità aiutando il corpo con un componente naturale e senza controindicazioni
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Sanihelp.it – Una sostanza che può aiutare le persone che soffrano di colesterolo alto a tenerne sotto controllo i valori.
Si tratta della Monacolina K, un componente che si trova all’interno di alcuni preparati, tra i quali il più famoso è il riso rosso fermentato.
La Monacolina K viene prodotta grazie all’azione realizzata da diversi ceppi del lievito Monascus purpureus, e viene utilizzata da secoli all’interno della medicina tradizionale cinese.
Per controllare la produzione del così detto colesterolo cattivo LDL sarà necessario assumere un livello sufficiente di Monacolina K.
Come si è già detto, un primo preparato che contiene questa sostanza è il riso rosso fermentato. Si potrà trovare sotto forma di integratori in polvere o in pastiglie, così da essere sicuri di assumerne la quantità richiesta.
Oltre al riso rosso fermentato ci sono altri tipi di componenti che contengono la Monacolina K.
I primi sono i semi di Baobab, che si potranno trovare in erboristeria, sempre sotto forma di polvere oppure di estratto.
Inoltre, tutti gli integratori che contengano una miscela di Vitamina B6 e acido folico porteranno anche nel corpo la quantità giusta di Monacolina K.
Per quanto riguarda le quantità di Monacolina che dovranno essere assunte, si raccomanda un’assunzione che può andare dai 2 ai 48 milligrammi al giorno.
Tuttavia, il Ministero della Salute raccomanda un dosaggio medio di 10 milligrammi al giorno.
Non si dovranno assumere i preparati che contengono la Monacolina K in caso di gravidanza, allattamento e nel caso in cui si assumano già dei farmaci che abbiano come effetto quello di abbassare il colesterolo.VOTA:
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Studio scopre un nuovo meccanismo per affamare il cancro
Tumori: prevenzione e terapie
di Elisa BrambillaPubblicato il: 31-08-2021
Una ricerca italiana punta a rendere la vita difficile al tumore
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Sanihelp.it – Non è una novità assoluta: si è già parlato di affamare i tumori colpendo i vasi sanguigni che li nutrono, ma finora i risultati sono stati piuttosto modesti, per lo sviluppo di meccanismi di resistenza nei pazienti. Forse non questa volta.È stata individuata una nuova variante proteica, chiamata UNC5B-8, espressa esclusivamente dai vasi sanguigni tumorali, che contribuisce a rendere il cancro più aggressivo e dunque rappresenta un marcatore tumorale, sia prognostico che terapeutico, e un possibile bersaglio molecolare per le terapie anticancro. Lo studio, sostenuto dall’Associazione italiana ricerca sul cancro (Airc), è stato condotto presso l’Istituto di Genetica molecolare del Cnr di Pavia e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications. Claudia Ghigna, dell’Istituto di genetica molecolare Luigi Luca Cavalli Sforza del Cnr di Pavia (Cnr-Igm), che ha diretto lo studio, ha spiegato che la crescita dei tumori avviene anche grazie alle sostanze nutrienti fornite dai vasi sanguigni associati ai tumori stessi, quindi limitare lo sviluppo di questi vasi può rappresentare una valida strategia terapeutica per affamare il tumore rendendolo più suscettibile alla chemioterapia. Il processo di formazione dei vasi sanguigni si chiama angiogenesi, fondamentale anche per i tessuti cancerosi che traggono nutrimento dalla formazione di nuovi vasi, sostenendo così la propria crescita e la formazione di metastasi.Più informazioni su questi vasi sanguigni sono quindi essenziali per rendere questi approcci terapeutici più efficaci e validi.
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Bebe Vio ha rischiato un'altra amputazione
Infezioni
di Valeria GhittiPubblicato il: 31-08-2021
La campionessa di scherma ha rivelato, dopo aver vinto il secondo oro olimpico in carriera, di aver corso un grosso rischio ad aprile per colpa di un’infezione.
© instagram – profilo personale
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Sanihelp.it – Dopo Rio 2016, anche Tokyo 2020 vede Bebe Vio salire sul gradino più alto del podio nel fioretto e subito dopo la vittoria un urlo liberatorio e poi calde lacrime che le hanno bagnato il volto. Dietro quel pianto, però, c’è molto più della comprensibile gioia per la seconda medaglia d’oro: la felicità per un traguardo che sembrava irraggiungibile, per un motivo che la campionessa finora aveva tenuto nascosto ai più.
Infatti, come ha rivelato ai microfoni di Rai sport, «Non dovevo neanche essere qua». Un grave infortunio occorsole a settembre 2020 al gomito sinistro, quello del braccio con cui tira di scherma, seguito, ad aprile, da una brutta infezione da stafilococco aureo, aveva fatto temere non solo per la partecipazione alle Paralimpiadi ma addirittura per la sua vita: «La prima diagnosi era amputazione entro due settimane e morte entro poco». Possibile anche l’addio alla scherma.
Lo stafilococco è responsabile di infezioni particolarmente resistenti e infatti rientra tra i 12 batteri per i quali, secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità, occorre trovare al più presto nuovi antibiotici. «Un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di tanti anni fa» ha sottolineato sui social. «Ero messa proprio male e quando mi hanno detto se l’infezione è arrivata all’osso dobbiamo amputare l’arto mi è crollato il mondo addosso. Basta amputazioni! Non mi è rimasto più molto da tagliare…». Fortunatamente ai primi di aprile si è operata, l’infezione è stata debellata e tutto è andato per il meglio («il chirurgo ortopedico ha fatto un miracolo»), consentendo a Bebe di tornare ad allenarsi – pur con soli 119 giorni a disposizione – in vista del grande evento.
E ha aspettato la fine delle gare individuali per raccontarsi, «non volevo si dicesse che cercavo un alibi, nel caso di sconfitta» ha spiegato al Corriere della Sera, e per lo stesso motivo non ha spiegato subito il perché della mancata partecipazione alle gare di sciabola, che avrebbero messo troppo a dura prova il braccio operato. Una storia che ha del prodigioso, ma come la stessa Vio ha ricordato sempre tramite social «Se sembra impossibile, allora si può fare… 2 volte!».VOTA:
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Chirurgia contro l'endometriosi per Giorgia Soleri
Ginecologia
di Valeria GhittiPubblicato il: 24-08-2021
La modella e influencer, che sui social ha raccontato la propria storia di dolore cronico e ritardo diagnostico, è stata sottoposta a un intervento contro l’endometriosi.
© Instagram
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Sanihelp.it – «Ho aspettato tanto questo momento». Comincia così il post su Instagram che Giorgia Soleri ha pubblicato lo scorso 19 agosto, corredato da un’immagine che dice molto: il suo braccio con, al polso, il braccialetto identificativo dell’ospedale.
Così la modella e influencer, nota ai più per essere la fidanzata di Damiano dei Måneskin, ha fatto sapere di essersi finalmente operata per risolvere uno dei problemi che la attanaglia da tempo: l’endometriosi. «Il 21 Marzo 2021 è il giorno in cui è arrivata la diagnosi di endometriosi e adenomiosi. In realtà, come per la maggior parte delle persone affette da queste malattie, io lo sapevo già. Lo sapevo quando a 14 anni sono svenuta a scuola per i dolori mestruali e sono stata quasi obbligata a iniziare la pillola anticoncezionale. Lo sapevo quando ogni mese le mestruazioni mi incatenavano al letto e mi facevano rimettere fino a non avere più forze. Lo sapevo quando a 21 anni mi sono rivolta a un importante centro specializzato e sono stata mandata via senza una diagnosi, trattata come se fossi ipocondriaca e bugiarda. Lo sapevo anche quando è arrivato il referto dopo 20 giorni dalla risonanza magnetica. Lo sapevo e basta» ha spiegato.
Più volte in questi mesi la venticinquenne ha utilizzato i social per raccontare la propria storia, «fatta di dolore cronico e ritardo diagnostico, tra vulvodinia, ipertono pelvico, endometriosi e adenomiosi». Una scelta fatta non solo per ragioni personali ma anche per sensibilizzare, «perché la mia storia è la storia di molte persone, e ci siamo stancate di essere considerate invisibili».
E l’intervento non poteva che essere celebrato come una vittoria: «e non perché voglia usare quella retorica guerresca che tanto odio dove la malattia è una battaglia da affrontare e il malato un guerriero con addosso la responsabilità della proprio guarigione. No, affatto» chiarisce la diretta interessata. «È una vittoria perché da domani avrò la possibilità di conoscere un corpo nuovo, che non ho mai avuto la possibilità di vivere: un corpo senza dolori. L’endometriosi fa parte di me da talmente tanto tempo che non so più nemmeno cosa sia mio e cosa sia suo. Questa operazione è una vittoria perché, da domani, potrò provare a riprendermi una vita che mi appartiene e che per troppo tempo non ho vissuto: la mia».VOTA:
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Jiaogulan, la pianta per energia e infiammazione
Cure naturali
di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 24-08-2021
Come utilizzare questo vegetale dal nome esotico con diversi scopi e applicazioni differenti
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Sanihelp.it – Un’erba esotica e ancora poco conosciuta.
Si tratta della jiaogulan, una pianta che ha origine in Cina, e in altre parti dell’Asia, e che viene usata da secoli proprio nella medicina tradizionale cinese.
Il suo utilizzo si è diffuso anche in Occidente, e oggi se ne può fare un uso sicuro anche in Italia, utilizzandola per diversi scopi.
Ecco come usare la jiaogulan e quali sono i suoi effetti positivi.
Come prima cosa, questa pianta viene spesso associata, a livello di effetti, al ginseng, in quanto consente di regolare positivamente i livelli di energia del corpo.
Allo stesso modo, consentirebbe di ridurre la risposta del corpo allo stress, e di migliorare il suo adattamento.
Alcuni studi indicano come la jiaogulan consentirebbe anche di contrastare la tendenza all’ansia, soprattutto in chi ne sia particolarmente soggetto.
Inoltre, questa pianta consentirebbe di ridurre in generale l’infiammazione, diventando un rimedio ottimo anche per chi soffra di malattie croniche.
Aiuterebbe anche la salute del cuore, riducendo il rischio di malattie coronariche e di ipertensione.
La pianta sarebbe utilizzata anche allo scopo di alleggerire il lavoro del fegato, promuovendo il detox in modo naturale.
Come assumere la pianta?
La jiaogulan si potrà assumere in diverse formulazioni. La dose massima, per una persona media, sarà di sei grammi.
Nel caso in cui si vogliano assumere le foglie in infusione, si potrà mettere metà cucchiaino in una tazza di acqua bollente. Si farà riposare per dieci minuti e poi si potrà bere, dopo aver filtrato il tutto.
Nel caso dell’estratto secco, ci si dovrà rimettere al dosaggio fatto dall’erborista, indicando sempre le eventuali medicine assunte.
Non bisognerebbe assumere la pianta in gravidanza e durante il periodo dell’allattamento, mentre alcune persone hanno sperimentato qualche problema intestinale dopo la sua assunzione.VOTA:
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Il caffè alleato di Valentina Giacinti
Sport
di Valeria GhittiPubblicato il: 17-08-2021
Un recente studio conferma l’effetto positivo del caffè, grazie alla presenza di caffeina, sulle prestazioni atletiche. Lo sa anche la bomber della Nazionale di calcio, testimonial del Consorzio Promozione Caffè.
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Sanihelp.it – Secondo i risultati emersi da un’ampia meta-analisi di 21 studi pubblicata sul British Journal of Sports Medicine, la caffeina può apportare molteplici benefici a livello sportivo. In particolare, può migliorare la resistenza muscolare e sembrerebbe avere un effetto positivo maggiore sulle attività aerobiche rispetto a quelle anaerobiche.
«Quando si parla di caffè e della caffeina, i risultati sono chiari in relazione agli sportivi: la caffeina può contribuire a migliorare le prestazioni. Molti studi dimostrano che gli atleti che consumano caffeina prima di una gara o di un evento sportivo sono in grado di andare più veloci, durare più a lungo e recuperare più rapidamente rispetto a chi non ha questa spinta in più. Ciò vale soprattutto nelle attività di resistenza, come la corsa a lunga distanza» ha commentato il dottor J.W. Langer, esperto in nutrizione e docente di farmacologia medica presso l’Università di Copenaghen.
L’Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC) ricorda, inoltre, come diversi studi, tra cui uno concentrato sugli esercizi di resistenza e sul salto e uno focalizzato su una cronometro ciclistica di 5 km, hanno evidenziato come la caffeina apporti miglioramenti nell’attività sportiva sia nei consumatori abituali, sia in quelli sporadici. Un’assunzione bassa o moderata di caffeina prima o durante l’esercizio può aiutare a migliorare alcune funzioni cognitive fondamentali nello sport, in particolare i livelli di energia, l’umore, i tempi di reazione e la memoria. Una ricerca ha inoltre dimostrato che bere una tazza di caffè prima di una corsa di 1,6 km può migliorare i tempi nei corridori maschi fino al 2%. Gli atleti che avevano bevuto del caffè con caffeina, infatti, hanno corso circa 4 secondi più velocemente rispetto a chi aveva assunto caffè decaffeinato, staccando invece di 5 secondi chi aveva consumato il placebo.
Questa bevanda pare inoltre essere un alleato nel calcio: la caffeina, assunta dai 5 ai 60 minuti prima dell’allenamento, potrebbe produrre importanti benefici nei calciatori, in particolare nel salto, nello sprint e nella distanza, così come migliorare il tempo di esaurimento, l’altezza del salto in contro movimento e la percezione dello sforzo. Il condizionale è d’obbligo poiché secondo un’altra ricerca non risultano particolari giovamenti per i calciatori dall’assunzione di caffeina, segno che bisogna continuare a studiare il rapporto tra caffè e sport.
Intanto però Valentina Giacinti, bomber della Nazionale di Calcio e capitano del Milan Femminile, ammette di non rinunciare mai a un buon caffè prima di scendere in campo: «Amo il caffè, il suo aroma per me significa famiglia e ritualità. Un piacere irrinunciabile che, come molti sportivi sanno, può dare grandi benefici grazie all’effetto positivo della caffeina. Per questo prima di ogni partita non posso fare a meno di un buon espresso, una vera e propria routine costante. Per me è fondamentale per essere al massimo delle mie energie e dare il meglio in campo» ha dichiarato la sportiva, testimonial del Consorzio Promozione Caffè.VOTA:
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- in Salute
Leucemia, al San Raffaele nuova strategia per combatterla
Tumori: prevenzione e terapie
di Elisa BrambillaPubblicato il: 17-08-2021
Al centro dello studio il sistema immunitario dell’organismo
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Sanihelp.it – Il team di ricercatori, coordinato da Giulia Casorati, responsabile dell’Unità di Immunologia sperimentale dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, ha ingegnerizzato in laboratorio delle specifiche cellule immunitarie prelevate da donatori sani. Queste cellule, linfociti T, sono state geneticamente modificate con un recettore, chiamato Tcr, in grado di riconoscere la molecola CD1c, presente sulla superficie cellulare e associata a un particolare antigene lipidico (mLPA), sovra-espresso nelle cellule maligne.Il complesso formato da CD1c con mLPA, una sorta di meccanismo chiave-serratura, è identico in tutte le persone, e il Tcr identificato è universale, cioè in grado di riconoscere le cellule tumorali di ogni paziente, senza barriere di istocompatibilità tra donatore e ricevente.Il test è stato eseguito su modelli sperimentali di leucemia acuta e i risultati, che sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications, dimostrano come i linfociti T, modificati per esprimere il Trc universale, ritardino in modo significativo la progressione della malattia, senza tuttavia aggredire i tessuti sani dell’ospite.«Ora stiamo approfondendo alcuni aspetti importanti che miglioreranno la sicurezza e l’efficacia di questa tecnica» – ha spiegato Giulia Casorati, coordinatrice dello studio – «Speriamo di essere in grado di definire una nuova strategia immunoterapeutica alternativa che possa andare a complementare quelle già esistenti, per ampliare le opzioni da offrire ai pazienti che vanno incontro a recidive».
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