“In una parola la mobilità del futuro deve essere sostenibile. Ovvero deve contribuire agli obiettivi di sostenibilità della transizione energetica che possono essere sintetizzati con un numero: il raggiungimento delle zero emissioni nette al 2050”. Stefano Ballista, ad di Enilive, identity di Eni Sustainable Mobility, spiega la missione della nuova società di Eni che si occupa di fornire servizi e prodotti per una progressiva decarbonizzazione della mobilità. “La società si colloca nella più ampia strategia di Eni di creare nuove entità dedicate e focalizzate sulla transizione energetica, con l’obiettivo di accelerare il percorso verso la riduzione delle emissioni lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti e di liberare risorse da investire nella transizione”, aggiunge Ballista.
Cos’è esattamente Enilive?
“E’ una società che consente di integrare, di valorizzare e di sviluppare in modo efficiente le nostre attività che sono già oggi avviate verso un percorso di decarbonizzazione. Mi riferisco ad attività quali la bioraffinazione, il biometano e la commercializzazione di prodotti e di servizi per la mobilità sostenibile. Enilive, infatti, è una società con un posizionamento unico, integrata verticalmente lungo tutta la catena del valore della mobilità sostenibile, dalla disponibilità delle materie prime e di tecnologie innovative, fino alla vendita al cliente finale: da un lato produciamo e produrremo con volumi sempre crescenti prodotti decarbonizzati e, dall’altro li offriamo ai nostri clienti, tramite le nostre 5.000 Enilive Station, le stazioni di servizio Eni in Italia e all’estero, insieme a servizi e soluzioni per una mobilità sempre più decarbonizzata e sostenibile”.
Che cosa sono le Enilive Station?
“Enilive sarà protagonista della mobilità del futuro anche grazie ai suoi asset, tra cui gli oltre 5.000 punti vendita in Italia e in Europa che sono il canale principale per soddisfare le esigenze delle persone in movimento in modo sostenibile. Le nostre Enilive Station si stanno già trasformando in hub per la mobilità. In due modi: da una parte offrendo nuovi vettori energetici come i biocarburanti, il biometano, il bio-Gpl, l’elettrico e l’idrogeno, dall’altra rendendo disponibili nei punti vendita tanti servizi che i clienti dovrebbero altrimenti cercare in altre zone delle città, quindi consentendo loro di ottimizzare tempi e spostamenti”.
Quali sono le soluzioni già disponibili per decarbonizzare i trasporti?
“Riteniamo che la decarbonizzazione del settore dei trasporti possa essere raggiunta con successo se si utilizzano, secondo il principio della neutralità tecnologica, tutte le soluzioni e i vettori energetici disponibili. I biocarburanti, oltre a essere un esempio di economia circolare applicata alla mobilità, hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti, non solo su strada, ma anche per il trasporto aereo, marittimo e ferroviario, in quanto sono già oggi disponibili e utilizzano le infrastrutture esistenti”.
Perché i biocarburanti sono tra le soluzioni più importanti per una mobilità più sostenibile?
“Per decarbonizzare la mobilità riteniamo utile combinare, in base a un principio di neutralità tecnologica, tutte le soluzioni disponibili: biocarburanti, elettrico, biometano, bio-GPL, idrogeno. Tra questi vettori energetici, i biocarburanti hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti, in quanto sono già oggi disponibili e utilizzano le infrastrutture esistenti, inclusi i mezzi pesanti, l’aviazione e la marina che al momento non hanno alternative altrettanto disponibili. Riteniamo che la riduzione dell’impronta carbonica dei vettori energetici dovrebbe essere valutata considerando tutto il ciclo di vita dei prodotti: i biocarburanti, che utilizzano materie prime di origine biogenica, in prevalenza derivate da scarti e residui di lavorazione, sono, quindi, un esempio virtuoso di economia circolare applicata alla transizione della mobilità”.
Perché i biocarburanti sono utili anche nei settori in cui è più complesso abbattere le emissioni di CO2 come aviazione e trasporto navale?
“I biocarburanti hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti, anche nei suoi ambiti cosiddetti “hard to abate” come l’aviazione e il trasporto navale. Per quanto riguarda i nostri prodotti per il trasporto aereo, l’Eni Biojet è il SAF (Sustainable Aviation Fuel) che contiene il 100% di componente biogenica ed è idoneo ad essere utilizzato in miscela con il jet convenzionale fino al 50%, mentre JET A1+Eni Biojet è il carburante per l’aviazione che contiene il 20% di componente biogenica. Abbiamo siglato accordi con ITA, con DHL e con Kenya Airways, compagnia della quale a fine maggio è decollato dall’aeroporto di Nairobi il primo volo alimentato con il carburante sostenibile per l’aviazione di Enilive. Abbiamo sottoscritto accordi anche per la fornitura di biocarburanti per la marina: con Saipem, per la sua flotta di mezzi navali per la costruzione e la perforazione, con il gruppo Azimut-Benetti, per la fornitura del biocarburante HVOlution al settore della nautica da diporto, e con la multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica RINA, per sviluppare l’utilizzo nel settore navale di biocarburante HVO e di altri vettori energetici, come ad esempio idrogeno e ammoniaca ‘blu’ o ‘verde’ provenienti da materie prime biogeniche, rinnovabili o di scarto”.
Che cosa fa Eni oggi nell’ambito della bioraffinazione?
“Eni è stata la prima al mondo ad aver riconvertito, nel 2014, una raffineria in bioraffineria, a Venezia. Nel 2019 è stata avviata Gela. Oggi la capacità di lavorazione autorizzata è di oltre un milione di tonnellate/anno, che diventeranno oltre 3 milioni di tonnellate nel 2025 e per poi continuare a crescere negli anni successivi fino superare i 5 milioni di tonnellate/anno nel 2030. Inoltre, Enilive ha acquisito il 50% della joint venture St. Bernard Renewables (SBR) che gestisce una bioraffineria a Chalmette, in Louisiana (USA), la cui produzione è stata avviata nel giugno 2023, e sta studiando la possibile realizzazione di ulteriori nuove bioraffinerie, tra cui una all’interno del sito industriale Eni di Livorno, e una a Pengerang, in Malesia. Da novembre 2022, le bioraffinerie hanno definitivamente smesso di trattare l’olio di palma e utilizzano prevalentemente scarti e residui di origine vegetale o animale, quali gli oli usati di frittura e i grassi animali. In quantità in prospettiva crescenti, utilizzeremo nei nostri impianti anche gli oli vegetali provenienti dalle coltivazioni in terreni degradati, con scarso bisogno di acqua e non in competizione con la filiera alimentare che Eni sta sviluppando in diversi paesi dell’Africa”.
Come funziona la filiera delle materie prime per l’approvvigionamento delle bioraffinerie?
“Oggi il costo di produzione dell’HVO è maggiore del ciclo tradizionale, anche perché dipende dai costi delle materie prime. Abbiamo scelto di abbandonare già dalla fine del 2022 l’olio di palma, puntando su scarti e residui e investendo su una nostra filiera per lo sviluppo di colture dedicate, in particolare in Africa, che trovino spazio su terreni degradati, inadatti ad altri usi e che coinvolgano nel loro sviluppo le comunità locali dove i progetti si sviluppano, integrando ancora una volta l’attenzione all’ambiente con l’attenzione agli impatti sociali delle attività. Oggi, la produzione Eni è fatta all’80% utilizzando scarti e rifiuti, e in futuro si integrerà sempre di più con la filiera di agri-feedstock per la produzione di olii vegetali che consentirà di aumentare la disponibilità delle materie prime e, al tempo stesso, di raggiungere economie di scala in grado di ridurne i valori economici. La transizione energetica, in particolare nella fase di sviluppo, ha dei costi; vari settori sono stati, infatti, accompagnati da incentivi, ed è auspicabile che strumenti validi per favorire la transizione possano competere a pari condizioni”. LEGGI TUTTO