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    Gli ambiziosi obiettivi di Eni nella produzione di biometano

    Uno dei pilastri nella strategia di economia circolare dell’Eni è il biometano. Le attività in questo campo sono state raggruppate sotto il cappello di Enibioch4in, società di Enilive, identity di Eni Sustainable Mobility, a cui è stata affidata la riconversione di 21 impianti di produzione di energia elettrica da biogas a biometano. L’obiettivo del cane a sei zampe è quello di arrivare ad immettere in rete a regime oltre 50 milioni mc l’anno. Questo volume è però solo il primo traguardo raggiungibile grazie ai progetti già in fase di realizzazione: entro il 2026 la previsione è di 200 milioni di mc all’anno, target che verrà centrato con le operazioni di M&a, ovvero di fusione ed acquisizione di impianti e progetti. Eni è attiva nella produzione del biometano dal dicembre 2022, anno in cui ha realizzato la prima immissione di biometano in rete nell’impianto di Codroipo in Friuli-Venezia Giulia.

    Il biometano è un tipo di gas naturale prodotto attraverso il processo di fermentazione anaerobica di materiali organici biodegradabili. È anche conosciuto come gas naturale che proviene da fonti rinnovabili. Le principali fonti di materiale organico utilizzate per produrre biometano includono scarti agricoli, rifiuti organici, letame animale, acque reflue e altre biomasse. Il processo di produzione del biometano, noto come digestione anaerobica, avviene in appositi impianti chiamati digestori. All’interno di questi impianti, i materiali organici vengono decomposti da batteri in assenza di ossigeno, producendo biogas, che è composto principalmente da metano (CH4) e anidride carbonica (CO2), insieme ad altre tracce di gas. Il biogas prodotto nella fase di digestione può essere sottoposto a un ulteriore trattamento per rimuovere l’anidride carbonica e altre impurità, ottenendo così il biometano. Una volta purificato, il biometano può essere immesso nella rete di distribuzione del gas naturale esistente e utilizzato per scopi domestici, industriali e di trasporto, proprio come il gas naturale tradizionale. L’utilizzo del biometano offre diversi vantaggi ambientali, poiché contribuisce nell’intero ciclo di vita a ridurre l’emissione di gas serra oltre a fornire una soluzione per lo smaltimento dei rifiuti organici. Inoltre, può essere un’importante risorsa per la transizione verso un’economia più sostenibile e a ridotte emissioni di carbonio.

    “La produzione di biometano si pone nel quadro dell’economia circolare, consentendo la valorizzazione degli scarti agricoli, agroindustriali, reflui zootecnici e rifiuti organici, favorendo così la costituzione di un legame tra mondo agricolo e dell’energia in un’ottica di sostenibilità di lungo termine”, spiega Eni, che intende promuovere l’intera catena del biometano con accordi di collaborazione con varie organizzazioni professionali, dialogando con le aziende produttrici di biogas per la produzione di biometano derivante da digestione anaerobica di biomasse, effluenti zootecnici e Forsu, la Frazione organica del rifiuto solido urbano.

    Gli investimenti di Eni si inseriscono all’interno della più ampia strategia nazionale varata dal ministero della Transizione ecologica (ora ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) con un decreto del settembre dell’anno scorso che incentiva il biometano nella rete del gas naturale e prodotto da impianti di nuova realizzazione, agricoli e non, e da impianti di produzione di elettricità alimentati da biogas agricolo oggetto di riconversione. Con i primi bandi pubblici per la partecipazione alle procedure competitive per l’accesso agli incentivi per il biometano emessi dal Gse (Gestore dei servizi energetici), si stimano oltre 1,7 miliardi di euro a disposizione per promuovere la produzione di 2 miliardi di metri cubi annuali entro l’anno 2026: 10 volte la produzione attuale. LEGGI TUTTO

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    Gli agri-hub in Kenya creano sviluppo e occupazione

    Da una parte la domanda di energia, che continua ad aumentare e va verso un’accelerazione nei prossimi anni. Dall’altra la transizione energetica da completare senza compromettere la crescita economica. Sono le due forze con le quali devono fare i conti gli operatori del settore. In questo contesto, Eni ha messo a punto un modello di integrazione verticale del business incentrato sugli agri-hub, impianti in grado di spremere olio vegetale da materie prime agricole prodotte su terreni semi-aridi, abbandonati o marginali, quindi senza entrare in competizione con la filiera alimentare. L’olio vegetale – al momento prodotto in Kenya, dove il progetto è in fase industriale – viene poi esportato in Italia per uso nella bio-raffinazione.

    Più energia da produrre, ma in chiave sostenibile

    I biocarburanti giocano un ruolo centrale nell’impegno di Eni per raggiungere la completa decarbonizzazione dei propri prodotti e processi entro il 2050, data limite fissata dall’Unione europea per centrare lo zero netto, una condizione cioè in cui ogni emissione prodotta viene compensata, con impatto nullo sull’ambiente.

    Quello del cane a sei zampe è un percorso che parte da lontano, dato che nel 2014 è stato il primo operatore al mondo a convertire una raffineria in una bioraffineria. È accaduto a Venezia e nel 2019 vi è stato un secondo step di questo tipo a Gela.

    Il piano di gruppo prevede di aumentare la capacità di produzione delle bioraffinerie a oltre 3 milioni di tonnellate entro il 2025 e a oltre 5 milioni di tonnellate entro il 2030. Il che comporterà una fornitura consistente di materie prime diversificate e sostenibili, che Eni punta a garantire proprio grazie all’integrazione verticale.

    Le iniziative in Africa

    Da qui la scelta di avviare nel 2021 una serie di progetti con diversi Paesi africani per sviluppare la filiera dei biocarburanti di alta qualità basata su nuovi modelli di economia circolare. Il fulcro di queste iniziative è costituito dai già citati agri-hub, che costituiscono un modello virtuoso sotto il profilo ambientale, economico e sociale.

    Sotto il primo profilo perché non sottraggono superficie alle produzioni alimentari e agli ecosistemi forestali. Sul fronte dei conti, l’integrazione verticale permette a Eni di assicurarsi importanti volumi di olio vegetale in un contesto sfidante in termini di prezzi, crescente domanda di energia e disponibilità di oli sostenibili. Infine, la componente sociale è legata al fatto che gli agricoltori coinvolti nei progetti che coltivano la propria terra localmente e possono avere entrate sicure, anche valorizzando terreni prima abbandonati. Questi progetti contribuiscono alla creazione di nuovi posti di lavoro, promuovono la diversificazione economica e la generazione di ulteriori fonti di reddito, supportano lo sviluppo delle attività agricole e l’accesso al mercato dei piccoli agricoltori.

    Si stima che i benefici riguarderanno oltre un milione di famiglie che vivono in contesti difficili nel continente africano, in aree degradate dove l’agricoltura è di pura sussistenza per scarsa produttività o in aree abbandonate, che potrebbero essere coltivate ma che non sono utilizzate.

    Il progetto in corso di svolgimento in Kenya

    Eni sta collaborando con oltre 40mila contadini keniani individuati di concerto con le autorità nazionali, ai quali se ne aggiungeranno altrettanti entro fine anno, con l’obiettivo di arrivare a quota 200mila entro il 2026. LEGGI TUTTO

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    Ballista: “Ecco come trasformeremo la mobilità sostenibile del futuro”

    “In una parola la mobilità del futuro deve essere sostenibile. Ovvero deve contribuire agli obiettivi di sostenibilità della transizione energetica che possono essere sintetizzati con un numero: il raggiungimento delle zero emissioni nette al 2050”. Stefano Ballista, ad di Enilive, identity di Eni Sustainable Mobility, spiega la missione della nuova società di Eni che si occupa di fornire servizi e prodotti per una progressiva decarbonizzazione della mobilità. “La società si colloca nella più ampia strategia di Eni di creare nuove entità dedicate e focalizzate sulla transizione energetica, con l’obiettivo di accelerare il percorso verso la riduzione delle emissioni lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti e di liberare risorse da investire nella transizione”, aggiunge Ballista.

    Cos’è esattamente Enilive?

    “E’ una società che consente di integrare, di valorizzare e di sviluppare in modo efficiente le nostre attività che sono già oggi avviate verso un percorso di decarbonizzazione. Mi riferisco ad attività quali la bioraffinazione, il biometano e la commercializzazione di prodotti e di servizi per la mobilità sostenibile. Enilive, infatti, è una società con un posizionamento unico, integrata verticalmente lungo tutta la catena del valore della mobilità sostenibile, dalla disponibilità delle materie prime e di tecnologie innovative, fino alla vendita al cliente finale: da un lato produciamo e produrremo con volumi sempre crescenti prodotti decarbonizzati e, dall’altro li offriamo ai nostri clienti, tramite le nostre 5.000 Enilive Station, le stazioni di servizio Eni in Italia e all’estero, insieme a servizi e soluzioni per una mobilità sempre più decarbonizzata e sostenibile”.

    Che cosa sono le Enilive Station?

    “Enilive sarà protagonista della mobilità del futuro anche grazie ai suoi asset, tra cui gli oltre 5.000 punti vendita in Italia e in Europa che sono il canale principale per soddisfare le esigenze delle persone in movimento in modo sostenibile. Le nostre Enilive Station si stanno già trasformando in hub per la mobilità. In due modi: da una parte offrendo nuovi vettori energetici come i biocarburanti, il biometano, il bio-Gpl, l’elettrico e l’idrogeno, dall’altra rendendo disponibili nei punti vendita tanti servizi che i clienti dovrebbero altrimenti cercare in altre zone delle città, quindi consentendo loro di ottimizzare tempi e spostamenti”.

    Quali sono le soluzioni già disponibili per decarbonizzare i trasporti?

    “Riteniamo che la decarbonizzazione del settore dei trasporti possa essere raggiunta con successo se si utilizzano, secondo il principio della neutralità tecnologica, tutte le soluzioni e i vettori energetici disponibili. I biocarburanti, oltre a essere un esempio di economia circolare applicata alla mobilità, hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti, non solo su strada, ma anche per il trasporto aereo, marittimo e ferroviario, in quanto sono già oggi disponibili e utilizzano le infrastrutture esistenti”.

    Perché i biocarburanti sono tra le soluzioni più importanti per una mobilità più sostenibile?

    “Per decarbonizzare la mobilità riteniamo utile combinare, in base a un principio di neutralità tecnologica, tutte le soluzioni disponibili: biocarburanti, elettrico, biometano, bio-GPL, idrogeno. Tra questi vettori energetici, i biocarburanti hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti, in quanto sono già oggi disponibili e utilizzano le infrastrutture esistenti, inclusi i mezzi pesanti, l’aviazione e la marina che al momento non hanno alternative altrettanto disponibili. Riteniamo che la riduzione dell’impronta carbonica dei vettori energetici dovrebbe essere valutata considerando tutto il ciclo di vita dei prodotti: i biocarburanti, che utilizzano materie prime di origine biogenica, in prevalenza derivate da scarti e residui di lavorazione, sono, quindi, un esempio virtuoso di economia circolare applicata alla transizione della mobilità”.

    Perché i biocarburanti sono utili anche nei settori in cui è più complesso abbattere le emissioni di CO2 come aviazione e trasporto navale?

    “I biocarburanti hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti, anche nei suoi ambiti cosiddetti “hard to abate” come l’aviazione e il trasporto navale. Per quanto riguarda i nostri prodotti per il trasporto aereo, l’Eni Biojet è il SAF (Sustainable Aviation Fuel) che contiene il 100% di componente biogenica ed è idoneo ad essere utilizzato in miscela con il jet convenzionale fino al 50%, mentre JET A1+Eni Biojet è il carburante per l’aviazione che contiene il 20% di componente biogenica. Abbiamo siglato accordi con ITA, con DHL e con Kenya Airways, compagnia della quale a fine maggio è decollato dall’aeroporto di Nairobi il primo volo alimentato con il carburante sostenibile per l’aviazione di Enilive. Abbiamo sottoscritto accordi anche per la fornitura di biocarburanti per la marina: con Saipem, per la sua flotta di mezzi navali per la costruzione e la perforazione, con il gruppo Azimut-Benetti, per la fornitura del biocarburante HVOlution al settore della nautica da diporto, e con la multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica RINA, per sviluppare l’utilizzo nel settore navale di biocarburante HVO e di altri vettori energetici, come ad esempio idrogeno e ammoniaca ‘blu’ o ‘verde’ provenienti da materie prime biogeniche, rinnovabili o di scarto”.

    Che cosa fa Eni oggi nell’ambito della bioraffinazione?

    “Eni è stata la prima al mondo ad aver riconvertito, nel 2014, una raffineria in bioraffineria, a Venezia. Nel 2019 è stata avviata Gela. Oggi la capacità di lavorazione autorizzata è di oltre un milione di tonnellate/anno, che diventeranno oltre 3 milioni di tonnellate nel 2025 e per poi continuare a crescere negli anni successivi fino superare i 5 milioni di tonnellate/anno nel 2030. Inoltre, Enilive ha acquisito il 50% della joint venture St. Bernard Renewables (SBR) che gestisce una bioraffineria a Chalmette, in Louisiana (USA), la cui produzione è stata avviata nel giugno 2023, e sta studiando la possibile realizzazione di ulteriori nuove bioraffinerie, tra cui una all’interno del sito industriale Eni di Livorno, e una a Pengerang, in Malesia. Da novembre 2022, le bioraffinerie hanno definitivamente smesso di trattare l’olio di palma e utilizzano prevalentemente scarti e residui di origine vegetale o animale, quali gli oli usati di frittura e i grassi animali. In quantità in prospettiva crescenti, utilizzeremo nei nostri impianti anche gli oli vegetali provenienti dalle coltivazioni in terreni degradati, con scarso bisogno di acqua e non in competizione con la filiera alimentare che Eni sta sviluppando in diversi paesi dell’Africa”.

    Come funziona la filiera delle materie prime per l’approvvigionamento delle bioraffinerie?

    “Oggi il costo di produzione dell’HVO è maggiore del ciclo tradizionale, anche perché dipende dai costi delle materie prime. Abbiamo scelto di abbandonare già dalla fine del 2022 l’olio di palma, puntando su scarti e residui e investendo su una nostra filiera per lo sviluppo di colture dedicate, in particolare in Africa, che trovino spazio su terreni degradati, inadatti ad altri usi e che coinvolgano nel loro sviluppo le comunità locali dove i progetti si sviluppano, integrando ancora una volta l’attenzione all’ambiente con l’attenzione agli impatti sociali delle attività. Oggi, la produzione Eni è fatta all’80% utilizzando scarti e rifiuti, e in futuro si integrerà sempre di più con la filiera di agri-feedstock per la produzione di olii vegetali che consentirà di aumentare la disponibilità delle materie prime e, al tempo stesso, di raggiungere economie di scala in grado di ridurne i valori economici. La transizione energetica, in particolare nella fase di sviluppo, ha dei costi; vari settori sono stati, infatti, accompagnati da incentivi, ed è auspicabile che strumenti validi per favorire la transizione possano competere a pari condizioni”. LEGGI TUTTO

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    Dal trasporto aereo al marittimo, spinta per i biocarburanti

    L’evoluzione tecnologica è la principale alleata degli operatori energetici sul fronte della decarbonizzazione, in quanto consente di abbattere le emissioni senza rinunciare all’efficacia delle soluzioni. In questa direzione si muovono le strategie di Eni che sviluppa tecnologie innovative e metodi di produzione a basso impatto carbonico per produrre biocarburanti più sostenibili.

    Le chiavi della riconversione industriale

    La conversione delle raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie (vale a dire impianti che producono carburanti da materie prime rinnovabili) è stata resa possibile grazie all’Ecofining, tecnologia proprietaria di Eni, sviluppata in collaborazione con Honeywell-Uop. L’Ecofining consente di trasformare materie prime biogeniche in biocarburanti, in particolare nell’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil).

    Questa tecnologia prevede due fasi: attraverso l’idrodeossigenazione, la carica di partenza viene trattata con idrogeno per eliminare l’ossigeno e altre impurezze; mentre con l’isomerizzazione in sostanza vengono riordinate le paraffine per migliorare le proprietà a freddo del prodotto finale. Il risultato è il biocarburante HVO, che ha qualità superiori in termini di contenuto energetico, impurità e proprietà a freddo rispetto a quelle ottenute sulle stesse cariche con il metodo tradizionale che porta alla produzione di Fame (Fatty Acid Methyl Esters), un liquido con caratteristiche molto simili a quelle del gasolio, ottenuto a partire da oli vegetali come colza, girasole e ricino.

    L’HVO può essere usato allo stato puro (senza quindi la necessità di miscelarlo a prodotti di origine fossile), dato che rispetta la specifica europea EN15940 dei gasoli paraffinici da sintesi e hydrotreatment (XTL).

    Da febbraio scorso, nella rete delle stazioni del gruppo è disponibile HVOlution, il primo HVO in purezza di Enilive, identity di Eni Sustainable Mobility, un diesel prodotto con 100% di materie prime rinnovabili (ai sensi della Direttiva 2018/2001 cd. “REDII”), che ha il vantaggio di essere utilizzabile con le attuali infrastrutture e in tutte le motorizzazioni omologate. HVOlution è già in uso da parte di alcuni operatori della logistica e di alcuni mezzi per la movimentazione dei passeggeri a ridotta mobilità in ambito aeroportuale. Inoltre sono in corso test su autobus, mezzi pesanti e treni.

    Le soluzioni dagli aerei alle navi

    I biocarburanti al momento costituiscono l’unica opzione percorribile per la decarbonizzazione del trasporto aereo e marittimo. È il caso del Jet A1+Eni Biojet, carburante contenente il 20% di componente bio, realizzato nella raffineria di Livorno distillando le bio-componenti prodotte nella bioraffineria di Gela grazie alla già citata tecnologia Ecofining. Eni Biojet rientra nella categoria dei Saf (Sustainable Aviation Fuel), contiene il 100% di componente biogenica ed è idoneo a essere utilizzato in miscela con il jet convenzionale fino al 50%.

    A questo proposito va ricordato che la bozza di regolamento europeo ReFuelEU Aviation – in discussione in ambito comunitario – stabilisce per i fornitori di combustibili obiettivi di miscelazione dei carburanti tradizionali con altri più sostenibili in quantità crescenti per gli aeromobili che si riforniscono negli aeroporti dell’Unione europea: il 2% minimo di Saf al 2025 e un aumento della quota ogni cinque anni (6% al 2030, 20% al 2035, 34% al 2040, 42% al 2045) fino a raggiungere il 70% al 2050.

    Nell’ambito del trasporto aereo, Eni ha siglato accordi con Ita e con Dhl. Inoltre, a fine maggio è decollato dall’aeroporto di Nairobi il primo volo di Kenya Airways alimentato con il carburante sostenibile per l’aviazione di Enilive.

    Nei mesi scorsi, poi, il gruppo italiano ha sottoscritto accordi anche per la fornitura di biocarburanti per la Marina. Con Saipem (che ha una flotta che opera in tutto il mondo che è composta da 45 mezzi navali per la costruzione e la perforazione) ha firmato un memorandum of understanding con l’obiettivo di utilizzare carburanti di natura biogenica sui mezzi navali di perforazione impegnati nel Mare Mediterraneo.

    Con il gruppo Azimut-Benetti, invece, Enilive ha sottoscritto il primo accordo relativo all’industria dello yachting finalizzato alla decarbonizzazione del settore della nautica da diporto per la fornitura e utilizzo di HVOlution. Per finire, con la multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica Rina, ha siglato un accordo per sviluppare iniziative congiunte per contribuire al processo di transizione energetica e decarbonizzazione delle rispettive attività. LEGGI TUTTO

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    La crescita del mercato dei biocarburanti: così contribuiscono alla decarbonizzazione

    Dall’elettrico all’idrogeno, le soluzioni per favorire la decarbonizzazione nel settore dei trasporti sono diverse. La diffusione dei veicoli alla spina e la graduale sostituzione di quelli più vecchi e inquinanti sono un importante passo in direzione degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi per abbattere le emissioni climalteranti. Così come lo sviluppo e le sperimentazioni di treni e autobus a idrogeno. Un ruolo in questa transizione energetica però possono giocarlo anche i biocarburanti, da adottare soprattutto in quei settori hard-to-abate dove è più complicata la transizione elettrica a causa di limiti tecnologici e di costi, come l’aviazione e il marittimo di lunga distanza, che contribuiscono rispettivamente al 14,4% e al 13,5% delle emissioni prodotte dai trasporti dell’Ue.

    In particolare, i biocarburanti sono ottenuti da biomasse, materie prime agricole, oli vegetali esausti e grassi animali. Si possono classificare secondo due tipologie: quelli di prima generazione, prodotti da materie prime agricole potenzialmente utilizzabili a fini alimentari; e quelli avanzati, derivanti da biomasse non utilizzabili per l’alimentazione umana o animale, e che prevalentemente non sottraggono terreno agricolo alla produzione alimentare. Questi combustibili, sostituendo quelli fossili – o miscelati ad essi – possono contribuire all’abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra: uno studio realizzato dai ricercatori di Enea, che hanno sperimentato l’uso di miscele di biocombustibile e cherosene su un jet militare, ha mostrato una riduzione fino al 40% delle emissioni inquinanti totali.

    La domanda di questi combustibili è cresciuta nel 2022 raggiungendo il valore record di 4.3 EJ (170.000 milioni di litri) superando così i livelli registrati prima dell’emergenza pandemica secondo i dati raccolti dall’Agenzia internazionale dell’energia. L’Aie ha elaborato uno scenario – “Net Zero Emissions by 2050 Scenario” – che definisce un possibile percorso per il comparto dell’energia mondiale per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050: in base a questa elaborazione, affinché la produzione di biocarburante raggiunga i 10 Ej entro il 2030, è necessaria una crescita dell’11% all’anno, con una quota sempre più grande derivante da rifiuti, residui e colture non alimentari. E questa è anche una delle sfide principali del settore: la maggior parte dei biocarburanti, infatti, è prodotta oggi da coltivazioni di canna da zucchero, mais e soia; è quindi fondamentale espandere la produzione impiegando materie prime – come scarti e colture dedicate che non competono con quelle alimentari – per minimizzare l’impatto di questa tecnologica sull’utilizzo del suolo e sui prezzi alimentari. 

    Il mercato dei biocarburanti

    Come fa notare l’Agenzia internazionale dell’energia, i biocarburanti nel 2022 rappresentavano una quota superiore al 3,5% della domanda di energia proveniente dal settore dei trasporti a livello globale. L’impiego di questi combustibili è aumentato di quasi il 6% all’anno negli ultimi cinque anni, ad eccezione del 2020 quando l’andamento ha subito una flessione a causa della crisi del Covid. Nello scenario realizzato dall’Agenzia, il contributo dei biocarburanti dovrebbe più che raddoppiare nel 2030, raggiungendo il 9%. In particolare, dovrebbe crescere la quota derivante da scarti, rifiuti e colture dedicate non alimentari – come quelle coltivate in terreni abbandonati e aree degradate – fino a raggiungere il 40% dei biocarburanti consumati nel 2030 (rispetto a uno stimato 9% del 2021).

    Secondo uno studio pubblicato sul sito di ResearchAndMarkets.com, il mercato globale dei biocarburanti dovrebbe toccare i 207,87 miliardi di dollari nel 2030: l’atteso tasso composto di crescita annuale è dell’11,1% tra il 2023 e il 2030. Anche i dati raccolti da Statista mostrano un simile andamento: nel 2022 il valore del mercato mondiale si è avvicinato ai 117 miliardi di dollari e, nonostante il calo del 2021, le prospettive sono di un incremento graduale fino al raggiungimento dei 201 miliardi di dollari nel 2030.

    Come fa notare l’Agenzia internazionale dell’energia, l’esigenza di garantire la sicurezza energetica, anche alla luce delle tensioni geopolitiche e del conflitto tra Russia e Ucraina, hanno favorito l’espansione del comparto: secondo le sue previsioni, la domanda di biocarburante dovrebbe crescere dell’11% (18.000 milioni di litri) entro il 2024 – con i due terzi di questo incremento che riguarderà le economie emergenti – e sarà sostenuta da misure e politiche adottate per centrare obiettivi di sicurezza energetica e di riduzione delle importazioni. In ogni caso, i mercati dominanti rimarranno Stati Uniti, Brasile, Europa e Indonesia: da loro, infatti, dipende l’85% della domanda totale. LEGGI TUTTO

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    Trasporti, un settore in movimento verso un futuro a “zero emissioni”

    Decarbonizzare l’industria dei trasporti è una sfida cruciale per contrastare i cambiamenti climatici perché parliamo di un settore che da solo genera, secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), il 24% delle emissioni globali di CO2. Sempre l’Iea segnala che le emissioni nei trasporti stanno aumentando, sia in termini relativi che assoluti, mentre in tutti gli altri settori diminuiscono. Per questo, l’Autorità avverte che la quota complessiva di emissioni prodotta da automobili, veicoli commerciali, motocicli, autobus, navi, aerei e tir potrebbe salire fino al 30% entro il 2050, se non saranno adottate misure di contenimento.

    Due dei principali attori del mondo dei trasporti – l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) e l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile – hanno deciso di lavorare insieme per coordinare le loro azioni sostenibili e raggiungere l’obiettivo comune di emissioni zero entro il 2050. Non solo: le due organizzazioni si sono impegnate a adottare combustibili alternativi a gas serra zero o quasi zero entro il 2030, con verifiche intermedie al 2030 e 2040. 

    Anche l’Unione europea ha inserito l’obiettivo di emissioni nette zero nel pacchetto “Fit for 55”, il piano di Bruxelles per attuare il Green Deal, con un target di riduzione del 90% per il settore dei trasporti. Tra le azioni previste, aumentare l’efficienza sfruttando le tecnologie digitali, accelerare la diffusione di energie a basse emissioni (biocarburanti avanzati, elettricità, idrogeno e combustibili sintetici rinnovabili) e accelerare la transizione verso veicoli e tratte a emissioni nette zero.

    Sempre nel contesto del Green Deal s’inserisce l’allargamento al settore trasporti del mercato europeo dei crediti di carbonio (Ets), un sistema di scambio di quote di emissioni che costringe grandi aziende inquinanti ad acquistare crediti di carbonio per compensare le loro emissioni. L’allargamento dell’Ets al settore trasporti rappresenta un ulteriore passo per regolamentare le emissioni di un’industria hard to abate come aviazione, trasporto pesante e marittimo, ossia nei comparti dove la transizione presenta oggi evidenti sfide sia di tipo tecnologico che di costi, e per cui la compensazione rimane uno strumento chiave nel percorso verso la decarbonizzazione.

    La decarbonizzazione dei trasporti è una sfida che Eni, società integrata dell’energia, sta affrontando con un approccio olistico che si basa sul principio della neutralità tecnologica e che integra tutte le soluzioni sul mercato (biocarburanti, elettrico, idrogeno, e biometano) in maniera sinergica e complementare. Un approccio, quello di Eni, che analizzeremo nel dossier “I trasporti: verso la just transition”, realizzato dal gruppo Gedi in collaborazione con il colosso italiano dell’energia. L’obiettivo dichiarato dell’azienda, guidata da Claudio Descalzi, è di raggiungere la neutralità carbonica al 2050, in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima (Cop21), attraverso un percorso di decarbonizzazione che punta a ridurre le emissioni generate lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti, coniugando sostenibilità ambientale e finanziaria e facendo leva su una leadership tecnologica costruita in anni di ricerca e innovazione.

    Eni ritiene che la decarbonizzazione del settore dei trasporti possa essere raggiunta con successo se si utilizzano tutte le soluzioni e i vettori energetici disponibili sul mercato. Tra questi vettori energetici, i biocarburanti – oltre a essere un esempio di economia circolare applicata alla mobilità – hanno un ruolo fondamentale perché possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti, non solo su strada, ma anche per il trasporto aereo, marittimo e ferroviario, in quanto sono già oggi disponibili e utilizzano le infrastrutture esistenti. I biocarburanti possono, inoltre, accompagnare il progresso e la diffusione di altre tecnologie come la mobilità elettrica e l’idrogeno, incluso lo sviluppo delle relative infrastrutture di distribuzione, e sono una soluzione di lungo termine per i settori definiti hard to abate come mobilità pesante, aviazione e trasporto marittimo. LEGGI TUTTO