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    G&B Festival 2024, Taddia e Palazzi con un “Bignami climatico” che sbugiarda i negazionisti

    Il nostro è un ripassone scientifico trasformato in uno spettacolo con musica, storie ed esempi pratici”, spiega Elisa Palazzi, docente di fisica del clima, che ha portato a Milano al Festival di Green&Blue lo spettacolo “Dieci cose (più una) da spiegare al negazionista della porta accanto” il 5 giugno alle ore 18 a IBM Studios Milano. Insieme a lei, sul palco, Federico Taddia, giornalista e divulgatore scientifico televisivo e la giovane musicista e catautrice Gea.”La prima cosa da capire quando parliamo di climate change è la complessità del tema – continua Palazzi – ma questo non significa che sia complicato, ma che è determinato da tanti diversi fattori: noi siamo abituati ai sistemi lineari, alle scelte binarie, qui invece bisogna abbracciare anche un certo grado di impredicibilità”. Proprio per questo un altro punto fondamentale del “bignamino climatico” passa per il concetto di “incertezza”. “Sia chiaro non è un alibi per rimanere immobili, aspettando le risposte giuste, ma piuttosto un modo per capire i nostri limiti e sfidarli: i modelli climatici, per esempio, sappiamo che possiamo perfezionarli sempre di più”.La scienza del clima comunque è inequivocabile (il climate change è responsabilità nostra e del consumo sfrenato di fonti fossili), ma il futuro è ancora tutto da scrivere: tracciando i progressi, migliorando lo studio degli indicatori, aumentando la capacità di prevedere gli effetti oggi più imprevedibili. Elisa Palazzi e Federico Taddia raccontano da quasi dieci anni questa storia in divenire. Si sono conosciuti una decina d’anni fa grazie a un programma tv che curava il giornalista.”Da quella volta cerchiamo di fornire nuovi strumenti di “grammatica” del clima – spiega Taddia – la nostra è una ricerca perché vogliamo raggiungere soprattutto i giovanissimi, gli studenti e studentesse che vediamo quasi ogni giorno scendere in piazza o darsi da fare per l’ambiente oppure i ragazzi bloccati dall’eco-ansia. Per parlare con loro bisogna continuamente aggiornare il linguaggio, contaminarlo con riferimenti cinematografici, letterari e digitali”.Nel 2019, con l’arrivo dell’ondata Greta Thunberg e del movimento globale Fridays for Future, hanno firmato il libro Perché la terra ha la febbre? E tante altre domande sul clima (Editorale scienza). Poi è arrivato il podcast “Bello mondo”, prodotto da Spotify e finito nelle classifiche degli audio più ascoltati, diventato anche un libro (Einaudi). Un manuale delle giovane marmotte climatiche. “Non è mai troppo tardi per informarsi e cambiare le cose”, ripetono i due all’unisono. Come si fa? Prendendo consapevolezza del ruolo dei combustibili fossili nella produzione di emissione di gas serra e capendo l’importanza della transizione energetica verso fonti rinnovabili. “Installiamo pannelli fotovoltaici, riduciamo i consumi di materiali inquinanti, facciamo attenzione ai rifiuti ma anche ai propri risparmi, scegliendo quelle banche che usano i loro fondi per finanziare la green economy”.La crisi climatica va affrontata con sprint e maratone: bisogna avere la forza di agire tanto, ma anche a lungo. Da soli, consapevoli dei limiti dell’azione individuale; e insieme, perché questa grande sfida si affronta su scala globale.Con lo spettacolo presentato al G&B Festival Palazzi e Taddia cercano di alzare ancora di più l’asticella, sfidando proprio quei negazionisti che di solito scelgono di non ascoltare la scienza e che negli ultimi anni invece di diminuire sono aumentati. “Bisogna provare a convincerli invece che respingerli. Possiamo partire da alcuni argomenti controintuitivi per attirare i più scettici – ha raccontato Palazzi nello spettacolo – c’è chi dice, per esempio, che l’aumento di temperatura solo di 1,2°C sia pochissimo negli ultimi due secoli, ma la verità è che mai nella storia il clima è cambiato così velocemente. E c’è chi confonde ancora meteo e clima: il clima è un trend che si studia nell’arco di decenni”.Nella classifica delle bufale climatiche più famose compare sempre quella della Groenlandia, che significa “Terra verde”: “Ci fa pensare che un tempo fosse più calda e coperta di vegetazione invece che di ghiacchio, ma non di certo ai tempi dei vichinghi”. Ogni concetto scientifico si arricchisce di storie e di futuri. Perché l’umanità non è spacciata e il futuro non è già determinato, anzi è tutto ancora da scrivere.”Oggi le parole giuste sono importantissime – conclude Elisa Taddia – “Chi parla male, pensa male e vive male”, diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa. 35 anni dopo vale il contrario: “Chi pensa e parla bene, vive bene””. Con se stesso e con il Pianeta. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival 2024, Green City Network: 10 azioni da intraprendere per città amiche dell’ambiente

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    Le città sono le più esposte alle conseguenze del cambio climatico e dalle città devono partire azioni decise e non più rimandabili per l’adattamento e la mitigazione del riscaldamento globale. È con questa consapevolezza che il Green City Network, attività promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, opera dal 2018 coinvolgendo centri urbani grandi, medi e piccoli impegnati a migliorare la qualità ecologica, le azioni di mitigazione e adattamento climatico, il risparmio di suolo e l’uso efficiente e circolare delle risorse. Il Green City Network sarà protagonista, con la sua 7ª conferenza nazionale, domani a Milano agli IBMStudios durante la giornata di apertura del Festival di Green&Blue, con un evento aperto (basta iscriversi sul sito di Green&Blue) a chiunque voglia ascoltare le esperienze e i programmi di esperti e amministratori locali in questo settore.

    La Conferenza nazionale Green City è dedicata quest’anno al tema “Verso le Nature-Positive Cities” e vedrà la presentazione della Carta che indica priorità e obiettivi per la realizzazione di città che invertano l’elevato consumo di natura e la forte crescita di emissioni di gas serra, tendenza che ha caratterizzato, e ancora in larga misura caratterizza, la gran parte dei nostri centri urbani. Negli ultimi anni, la consapevolezza che crisi climatica e perdita di biodiversità sono strettamente connesse è aumentata, ma spesso ci si è concentrati più sulla protezione e l’ampliamento delle aree naturali che sulle strategie per riportare la natura in città.

    “Per promuovere il protagonismo delle città in questa transizione – è il punto fermo del manifesto di Green City Network – è indispensabile avere sia una maggiore condivisione, sia conoscenze più diffuse e migliori informazioni sul valore del capitale naturale e dei servizi ecosistemici”: in altri termini, è fondamentale invertire la tendenza per cui le aree verdi in città vengono viste soltanto come un’appendice estetica, una parte del decoro urbano e siano invece curate e implementate come elementi strutturali per combattere la crisi climatica, salvaguardare la salute dei cittadini, abbattere l’inquinamento e, più in generale, migliorare la qualità e la vivibilità dell’ambiente urbano.

    L’evento

    G&B Festival 2024, dal 3 al 5 giugno a Milano la grande impresa della sostenibilità

    di Luca Fraioli

    02 Giugno 2024

    Città che operano da tempo in questa direzione, come Bologna, nei loro programmi e resoconti hanno poi spesso sottolineato come la “nature positive city” sia veicolo di inclusione sociale e sviluppo durevole delle città. È infatti ormai noto che sono soprattutto i quartieri economicamente più svantaggiati ad essere privi di aree verdi, mentre azioni partecipate per il ripristino degli ecosistemi naturali promuovono la coesione sociale. Per redigere la “Carta per le nature positive cities” il Green City Network è partito dal manifesto “La città futura”, del 2017, elaborato da un gruppo di docenti di una ventina di università italiane ed estere, che avevano indagato il rapporto fra la green economy, l’architettura e l’urbanistica. Il Green City Network si è avvalso di tale lavoro, lo ha successivamente integrato con quello di altre fonti europee e ha steso una prima bozza di linee guida. Su tale bozza è stato attivato un ampio processo di consultazione che ha coinvolto esperti di diverse università, enti di ricerca e alcuni ministeri, amministratori di alcuni Comuni e di due Regioni (Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia), oltre alle organizzazioni del Consiglio nazionale della green economy.

    Il testo finale di queste linee guida fornisce un quadro sintetico della visione della green city, delle policy e delle misure attivabili per realizzare cambiamenti in direzione sostenibile nelle città italiane. La Carta è un decalogo con i seguenti punti:

    promuovere condivisione, conoscenza e informazione sul valore del capitale naturale e dei servizi ecosistemici nelle cittá
    ripristino del capitale naturale degradato
    azzeramento del consumo di suolo
    aumento del capitale naturale
    risparmio del prelievo e consumo di risorse naturali
    rafforzamento delle misure di adattamento alle ondate di calore
    attuazione della transizione energetica
    tutela dell’acqua come risorsa naturale scarsa
    riduzione della vulnerabilità agli allagamenti e alle alluvioni
    attuazione di un piano d’azione per la transizione nature-positive.

    La Carta sottolinea poi l’urgenza di avviare queste azioni e sottolinea che “per portare avanti una transizione nature-positive delle città è “necessario formulare un piano d’azione non solo di breve termine, al 2030, ma pluriennale, al 2050”. Altro aspetto fondamentale, insieme alla necessità di finanziamenti è una programmazione a lungo termine con il coinvolgimento attivo dei cittadini, chiamati a diventare protagonisti anche nei loro spazi privati. LEGGI TUTTO

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    Basta animali come macchine da produzione

    L’approccio industriale ha trasformato l’allevamento degli animali in “zootecnia” e questo ha cambiato tutto. Zootecnia, infatti, è la scienza dello sfruttamento degli animali al pari delle macchine: l’allevatore diventa “imprenditore agricolo”, viene incrementata la meccanizzazione, la stabulazione permanente è una prassi, mentre l’omogeneità e la selezione genetica (il contrario di “biodiversità”) sono spinte all’estremo e si adotta il criterio principe dell’economia di scala.Di fatto, con l’avvento della zootecnia si separa l’attività agricola dall’allevamento col risultato che i contadini iniziano ad aver bisogno di acquistare fertilizzanti per il loro terreno e gli allevatori mangimi e fieno per le loro bestie.La cultura riduzionista novecentesca separa agricoltura e allevamento nella cornice della “rivoluzione verde”: quella che negli anni Sessanta prometteva di incrementare la produzione e di sconfiggere la fame. Oggi, nel 2024, quasi un miliardo di persone è malnutrito, ma al contempo si spreca un terzo del cibo prodotto sul Pianeta: con quel terzo sfameremmo quattro volte le persone che non hanno regolare accesso al cibo. Un terzo. Un miliardo. Quattro volte.Questo certifica che si muore di fame per povertà, non per scarsità alimentare. Si muore di fame perché una produzione alimentare eccedentaria non è servita a sfamare i popoli. Ma a speculare sul cibo, al pari di ogni altra merce scambiandolo sui mercati azionari internazionali.Questo ha portato piccoli allevatori a competere con produzioni industriali enormi, che offrono carne latte e uova a prezzi bassissimi: perché i costi “nascosti” ricadono sulla collettività in termini ambientali, igienico-sanitari, sociali, ma anche culturali ed etici.Non esiste ad oggi una definizione giuridica dell’allevamento intensivo, per distinguerlo da quello estensivo: l’ordinamento europeo si accontenta di definizioni di tipo descrittivo che non influiscono però sulla loro liceità. E sebbene si sappia che il numero di animali allevati sia il più grande da quando gli esseri umani sono apparsi sulla Terra, non si hanno cifre univoche sul dato in sé – che oscilla tra i 20 e i 90 miliardi di capi – dei quali non si ha certezza!Di fatto la zootecnia ha fortemente sbilanciato il rapporto tra allevatori e animali, e più in generale, una cultura diffusamente predatoria ha portato tutti noi ad avere uno sguardo alieno verso la natura. Ha modificato la nostra relazione col vivente.L’affollamento, la prigionia, una vita brevissima, insomma condizioni di estrema sofferenza e insalubrità in cui gli animali da allevamento intensivo sono costretti a vivere, hanno gravi ripercussioni di vario tipo. L’aumento delle epidemie è infatti associato alla diminuzione della biodiversità causata da deforestazione (anche per coltivare mangimi su larga scala), estrazione mineraria, uno sviluppo urbano illimitato e un’agricoltura intensiva e monocolturale. E tutto ciò aumenta la possibilità di contatti tra la fauna selvatica, gli animali allevati e gli esseri umani, favorendo la diffusione di malattie zoonotiche. La pericolosa antibiotico-resistenza, che continua a diffondersi, è ritenuta globalmente la prima causa di morte nei decenni a venire, e il 15% circa delle emissioni climalteranti sul totale delle attività umane proviene dall’allevamento industriale.Allora, consapevoli dell’insalubre legame che intreccia l’agroindustria, e in particolare l’allevamento intensivo, con la crisi climatica e ambientale, e consapevoli – parallelamente – che i nostri regimi alimentari sbilanciati in termini di proteine animali, di grassi e zuccheri, sono collegati con malattie cardiovascolari, con obesità, diabete e influenze, è urgente un’onesta riflessione su questo modello alimentare e di allevamento. Un modello che equipara esseri senzienti a macchine e ne contempla la sofferenza sistematica. Un modello alimentare che fa ammalare gli esseri umani, oltre che l’ambiente, invece che nutrirne corpo e spirito.Oggi la logica che guida il sistema alimentare (produzione, distribuzione e consumo) non può essere che “bio”, cioè imperniata sulla vita.Una decisa conversione ecologica non è un sacrificio, ma l’opportunità di scelte importanti che tendano all’orizzonte di un progresso armonico che invece che separare, tenga insieme: dati tecnici e saperi tradizionali, visione globale e valorizzazione delle diversità territoriali, lucida analisi e intelligenza affettiva, ricerca e bellezza. È la proposta rigenerativa di chi vuole agire un cambiamento capace di guardare al futuro mettendo al centro il bene comune e non il profitto, e di chi crede nelle idee e nel potere dell’umanità di modificare gli eventi. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival 2024, dal 3 al 5 giugno a Milano la grande impresa della sostenibilità

    Tre giornate per celebrare l’impresa della sostenibilità: da lunedì 3 a mercoledì 5 giugno Green&Blue porta a Milano storie di aziende, amministrazioni locali, scienziati per i quali la riduzione delle emissioni e l’uso di energia pulita sono già il presente, anzi una carta vincente per competere nel futuro. Decine di incontri che si terranno agli Ibm Studios di Milano per verificare come la transizione ecologica sia ormai nelle agende di tutte le imprese, piccole e grandi, sia per motivi etici che per ragioni di mercato.Fondamentale il ruolo dei cittadini, con le loro buone pratiche quotidiane, quello dei governi con nuove norme green e i finanziamenti per attuarle, ma senza cambiare il modo di produrre beni e servizi l’economia non può diventare più sostenibile. Una trasformazione che va accelerata, ma che come dimostreranno le giornate milanesi di Green&Blue, è già in atto.

    Il primo focus, lunedì, sarà però dedicato alle città, straordinari laboratori in cui sperimentare le nuove soluzioni: dalla mobilità green, alla raccolta dei rifiuti, alle misure di adattamento contro l’innalzamento delle temperature. Progetti che vedono coinvolti, oltre alle aziende, università, enti di ricerca e amministratori locali. Ed ecco allora che sul palco degli Ibm Studios (oltre ad assessori all’Ambiente e alla Mobilità) si alterneranno i sindaci di Bologna, Lecce, Olbia, Legnano, Arezzo, Viterbo, per raccontare le loro esperienze, all’interno del Green City Network promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile guidata da Edo Ronchi. Il punto di partenza della discussione saranno i dati sullo “stato della transizione ecologica delle città” elaborati dal Censis: un modo per capire anche com’è cambiata la situazione rispetto a due anni fa, quando fu redatta la prima edizione del rapporto. A seguire, il capitolo mobilità sostenibile, dove si discuterà, con le aziende leader del settore, di auto elettriche ma non solo. L’organizzazione europea Transport & Environment presenterà infatti il suo ultimo rapporto.

    Sarà invece l’energia il tema centrale della seconda giornata, quella di martedì, con una sessione aperta dalla saggista Gaia Vince, che dopo il best seller “Il secolo nomade”, sta per pubblicare un nuovo libro dedicato proprio a combustibili fossili, fonti rinnovabili, nucleare. Sul futuro energetico del nostro Paese si confronteranno alcuni dei maggiori player nazionali, da Enel, a Edison, passando per Snam.

    Tra le “nuove professioni” green, fondamentale in questa fase per le aziende sta diventando il sustainability manager, il manager della sostenibilità: ora in Italia esiste anche un loro network, Sustainability Makers, che porterà sul palco alcuni professionisti perché raccontino il loro lavoro per rendere più sostenibili le rispettive imprese di appartenenza. Al termine, appuntamento con Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, che forte della sue esperienza spiegherà come il rispetto per la biodiversità e per il territorio, siano un “dovere” ma anche qualcosa di “bello” (From duty to beauty, il titolo del suo intervento), una risorsa da preservare pur capitalizzandola.

    Il festival chiuderà lunedì 5 giugno con l’economia circolare e le sfide che vanno affrontate per renderla una realtà anche in Italia. Un Paese che è in ritardo rispetto agli obiettivi europei, fissati per il 2030 e 2035, sul riciclaggio dei rifiuti e sul loro corretto smaltimento, come si evince dal rapporto Green Book 2024 realizzato e presentato dalla Fondazione Uilitatis e da Utilitalia, la federazione di chi gestisce i rifiuti urbani. Recuperare correttamente gli scarti e trasformarli in materie prime-seconde è un passo imprescindibile per una economia davvero circolare. Soprattutto in alcuni ambiti, come quello della transizione digitale, che richiederanno grandi disponibilità di materiali di cui l’Europa e l’Italia non dispongo in natura, ma che potrebbero essere recuperati dai rifiuti elettronici.

    Si confronteranno su come stanno mettendo in pratica la circolarità all’interno dei loto cicli produttivi grandi brand italiani e internazionali (McDonald’s, L’Oréal, Gruppo Cap, Caffè Borbone), mentre sulle sfide legate a raccolta differenziata e al recupero dei rifiuti farà il punto il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla).Oltre ai big, ci sarà molto spazio per le start up, grazie a un accordo con il PoliHub del Politecnico di Milano, che ha selezionato per Green&Blu i migliori esempi di giovani imprese italiane che propongono soluzioni innovative alla crisi climatica. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival 2024, Marianna Mirage: “Canto noi e la natura”

    La sua missione è “trovare un modo di vivere rispettoso nei confronti del Pianeta”. Marianna Mirage è una delle artiste più sensibili rispetto ai temi che riguardano la salvaguardia dell’ambiente e l’ecosostenibilità. La cantautrice romagnola (34 anni, vero nome Giovanna Gardelli) ha speso finora gran parte della sua attività artistica nel tentativo di trovare un equilibrio tra la musica, la natura e lo yoga. Il 3 giugno si esibirà sul palco del G&B Festival durante la serata.Laureata in Lettere e Filosofia, ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia come attrice e insegna arti olistiche. Salita alla ribalta nel 2017 con la partecipazione a Sanremo Giovani con “Le canzoni fanno male”, scritta da Francesco Bianconi dei Baustelle, ha aperto i concerti italiani di grandi star internazionali come Benjamin Clementine e Patti Smith. Ha vinto un Nastro d’argento nel 2018 con il brano “The place”, scritto per l’omonimo film di Paolo Genovese, ha scritto le musiche per la serie tv “I leoni di Sicilia”, ha inciso fino a oggi tre album ma non ha mai smesso di cercare un punto di equilibrio tra la musica e l’ambiente.

    “La natura non ragiona secondo le nostre categorie, buono, cattivo, giusto, sbagliato. La natura abbraccia qualsiasi forma di diversità, l’idea di bellezza e di unicità, e ho provato a cambiare il mio modo di pensare”. L’illuminazione, come ha raccontato lei stessa, è arrivata dall’album “Plantasia” di Mort Garson (1976): un disco concepito per essere ascoltato dalle piante.

    “Lasciandomi ispirare da chi era stato ispirato dalla natura, ho ragionato sul fatto che siamo noi che abbiamo bisogno di leggi, la natura ne ha una e funziona benissimo da sempre”. L’amore per le piante l’accompagna da sempre e lei stessa lo descrive come una fratellanza con la natura: “Mi affascina conoscerne i nomi, scoprirne le geometrie diverse, le meravigliose diversità, comprendere quanto la bellezza sia anche irregolare, sorprendente”.

    In questo suo percorso, Marianne Mirage ha cercato di ottimizzare anche le possibilità offerte dai social network, creando dirette su Instagram che potessero in qualche modo riuscire a mettere in armonia il suo pubblico e l’ambiente circostante. E in qualche modo, anche in questo tentativo ha fatto riferimento agli insegnamenti ricevuti dalla natura: “Perché dal mondo naturale possiamo imparare che l’unico modo per costruire un mondo migliore non è la competizione ma la convivenza, proprio come fanno le piante”.

    Anche nel suo disco del 2021, Mirage, l’artista romagnola ha messo insieme elementi diversi come il jazz, le colonne sonore dei film anni 60 ma soprattutto l’introspezione e la pratica yoga, di cui è anche insegnante. Un disco pensato per chi pratica yoga con diversi momenti: meditazione, rilassamento del corpo e risveglio dei chakra.

    “Qualcuno potrebbe pensare che non è possibile mettere insieme natura, yoga e musica, perché si ragiona per schemi. Ma se usiamo la sensibilità, scopriamo che le cose sono più connesse di quanto possa sembrare. L’armonia l’abbiamo presa in prestito, ma in realtà è ovunque”.Appassionata di artisti come Billie Holiday e Bob Dylan e delle band anni 60 (Marianne e Mirage sono i nomi di due gruppi di quegli anni), ha sfruttato il tempo del lockdown per approfondire il suo rapporto sempre più simbiotico con l’ambiente che la circonda: “Ho cambiato il mio punto di vista, attraverso la meditazione ho provato a scoprire cose nuove di me e del mondo e il lockdown mi ha guidato in una direzione nuova”. Tra canzoni e pensieri, il suo viaggio tra l’Io e l’universo continua. LEGGI TUTTO

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    Telare la materia

    Benetton Group è una delle aziende di moda più note nel mondo, presente nei principali mercati con una rete commerciale di circa 3600 negozi; un Gruppo responsabile che progetta il futuro e vive nel suo tempo, attento all’ambiente, alla dignità delle persone e alle trasformazioni della società. 

    Nel rispetto della sua storia costruita sull’innovazione – attraverso il colore, la rivoluzione del punto vendita, un network commerciale unico, una comunicazione universale da sempre fonte di dibattito culturale e sociale – Benetton Group affronta l’attuale contesto globale con uno sguardo sempre aperto e proiettato al futuro. 

    Fedele alla sua anima pionieristica e sperimentatrice l’azienda, attraverso il Dipartimento di Sostenibilità, crede nei giovani talenti che crescono a Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione, e supporta Telare la Materia: un progetto di design sostenibile nato e sviluppatosi a Fabrica durante la residenza artistica di Davide Balda dedicata al tema Co-ecologies. L’obiettivo: proporre una serie di applicazioni per fronteggiare l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente e favorire lo smaltimento di capi d’abbigliamento invenduti.  A partire dagli indumenti della linea Green B, Balda mostra come è possibile ridurre i capi in fibre tessili, sia sintetiche che organiche, che possono poi essere riutilizzate in diverse applicazioni. Per questa occasione, i materiali ottenuti dal processo di rigenerazione saranno anche protagonisti dell’allestimento del palco del festival, dove si alterneranno scienziati, attivisti, istituzioni e aziende impegnate nella sostenibilità. LEGGI TUTTO

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    G&B Festival 2024, Oscar Farinetti: “Saranno i ventenni a salvare l’Italia”

    “Viviamo in una specie di sonno sentimentale che ci ha avvolto. Non mi piace l’atmosfera egoistica e cinica che respiriamo in questo periodo, quest’immobilismo. Sono collegati.  Per decidere bene non servono regole e divieti, perché alla fine contano i buoni sentimenti. Noi italiani dobbiamo recuperare la fiducia reciproca e il coraggio. Ci hanno aiutato in un momento difficile come il Dopoguerra, ci aiuterà anche ora a superare questa crisi”. Oscar Farinetti, imprenditore, scrittore, ex proprietario di Eataly, fondatore ora di Green Pea, un polo per acquisti sostenibili nell’ex Lingotto a Torino e autore di un nuovo libro 10 mosse per il futuro in cui racconta il proprio punto di vista per affrontare un futuro che ci fa paura. “Bisogna progettarlo giorno per giorno seguendo dieci semplici mosse”, spiega. E non è un caso che il libro sia dedicato alla generazione Zeta “perché è quella che ci salverà”.

    Allora, come vede il futuro dell’Italia?”Io sono ottimista e penso che, se è vero che abbiamo una serie di problemi da risolvere, è anche vero che abbiamo una montagna di opportunità. Un paese così non può fallire. Non esiste un luogo ricco di biodiversità come l’Italia: ghiacciai al Nord e vulcani attivi al Sud, al centro di un mare chiuso. Eppure oggi, ad esempio, esportiamo solo il 2% dei prodotti agroalimentari: una percentuale che può soltanto crescere. L’importante però è credere in se stessi, smettere di essere immobili. Bisogna dedicare il 5% del tempo ai problemi e 95% alle soluzioni. Penso sia arrivato il momento di cambiare mentalità”.

    Da dove partire?”Dalla fiducia reciproca, dalla bellezza del nostro paese, dai giovani, dall’agricoltura. Se fosse per me dichiarerei tutta Italia “biologica”: bisogna trasformare tutta l’agricoltura in bio. Si può fare: siamo dentro un mare. Isolati e incontaminati. Invece, guardiamo al futuro con sfiducia. Vorrei ricordare che nel sondaggio di Win-Gallup sul tasso di fiducia di 130 nazioni, l’Italia è arrivata ultima. Sembra incredibile. Abbiamo la fortuna di vivere in un  territorio con 58 siti patrimonio Unesco, una manifattura che tutto il mondo ci invidia, una grande biodiversità dal punto di vista agroalimentare. Eppure, siamo il popolo più sfiduciato del mondo”.

    Davanti però abbiamo la sfida più complicata, quella dell’emergenza climatica e della sostenibilità?”Sono convinto che sono emergenze che supereremo, ma a condizione di cambiare strada in almeno quattro settori, la transizione verso le energie rinnovabili, la riduzione il più possibile dello sversamento di plastica in acqua. Ogni anno ne scarichiamo tra i 4 e i 12 milioni di tonnellate: distruggiamo l’habitat e poi ci ritroviamo le microplastiche nel pesce che mangiamo. Poi, dobbiamo smettere con le coltivazioni intensive, così come con gli allevamenti che inquinano. In Italia abbiamo sei milioni di bovini, 13 milioni di maiali, 500 di polli e oltre l’80% vive in allevamenti intensivi. Tutto questo è sbagliato sia dal punto di vista etico che ambientale. E c’è un altro tema. Bisogna cambiare il modo di consumare. Il 90% degli scienziati dice che il nostro modello di consumo è diventato insostenibile”.

    Come possiamo cambiare le nostre abitudini alimentari e di consumo?”Il punto vero della sostenibilità è la durata di un prodotto. A Green Pea abbiamo invertirto la rotta: i nostri prodotti, dall’auto ai vestiti, sono incentrati su un modo etico di consumare. Perché dobbiamo acquistare di meno, ma di qualità. I nostri frigoriferi sono pieni di cibo che non mangeremo e gli armadi pieni di vestiti che non usiamo. Lo spreco deve avere un limite”.

    Il problema però è il prezzo.”Bisogna mangiare metà dei cibi che consumiamo, ma che costano il doppio. Ad esempio, la frutta e la verdura biologica costano di più perché se scegli di non usare diserbanti, bisogna zappare di più la terra. C’è più lavoro da parte del contadino e va pagato. Cambiare le abitudini alimentari e dei consumi è una questione di cultura”.     In che senso? “Mi batto da decenni perché sia inserita a scuola l’educazione agroalimentare. Cominciamo dai bambini: studiano a scuola la sostenibilità e la riportano ai genitori a casa. In Italia 16 università hanno inserito scienze gastronomiche e lì si possono formare i docenti, L’educazione alimentare è fondamentale per creare valori come il rispetto dell’ambiente. E poi gli italiani leggono troppo poco”.

    Che attinenza ha con la sostenibilità?”Molto. Leggere significa non accettare i compromessi, l’ignoranza porta ad essere radicali. I francesi ci battono anche perché leggono più di noi”.

    Cosa ci salverà?”Possiamo dire ‘chi’ ci salverà. I ventenni, sono una generazione straordinaria. Nati con la crisi, sono pieni di idee ed entusiasmo. Quando vado nelle università dico che sono lì per imparare. Gli under 25 sono la prima generazione a non avere la certezza di crescere con più benessere rispetto ai genitori. Le guerre, la crisi climatica, toccherà a loro risolvere la maggior parte delle emergenze che lasciamo in eredità. Eppure, si stanno tirando su le maniche e sono certo faranno diventare grande l’Italia”.

    Ha parlato spesso della mancanza di valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ma concretamente cosa bisogna fare?”Le rispondo con un esempio. Il castello di Moncalieri, bellissimo, sede di importanti mostre è però poco visitato. Ma come potrebbe essere altrimenti? Ad indicarlo c’è solo un cartello sbiadito ricoperto da una enorme scritta che informa sul ‘controllo della velocità’, sicuramente importante. Ma se fossimo in Francia il castello sarebbe annunciato da decine di cartelli per chilometri, al punto che uno si sente un cretino a non andarlo a vedere. Ma la colpa non è degli amministratori locali. Ho conosciuto sindaci che sono eroi per quello che fanno con le risorse a disposizione. Piuttosto vedo una mancanza di governance”.

    Sembra un manifesto politico.”Mi sento un patriota. Nel senso che sono convinto che l’Italia, pur in questo momento complicato può diventare portabandiera della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico. Siamo i migliori in Europa per produzione di energia sostenibile, riciclo della plastica, aziende agricole biologiche. Dobbiamo puntare ad essere la prima nazione ad emissioni zero. Tutto questo creerà posti di lavoro, pubblici e privati. L’economia si riprenderà partendo dalla sostenibilità”.

    Lei è un inguaribile ottimista.  “Il pessimismo porta alla critica, l’ottimismo all’aiuto reciproco. Vorrei che tutti capissero quanto sia importante comportarsi bene l’uno con l’altro e verso l’ambiente. Mi piacerebbe che il rispetto venisse considerato un segno del successo, non il contrario. Che sia ‘figo’ comportarsi bene. Evadi le tasse? Non sei ‘figo’. Maltratti gli animali? Non sei ‘figo’. È invece ‘figo’ avere l’auto elettrica e usare la borraccia e l’energia rinnovabile. Un gesto etico e estetico. Come diceva Kant”. LEGGI TUTTO

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    Per le nostre città la transizione è un obbligo

    Nella sua storia millenaria su come il clima e l’ambiente abbiano plasmato la storia dell’umanità, Peter Frankopan nel suo libro Tra la terra e il cielo racconta come le prime città siano sorte in luoghi con abbondanti risorse e suoli coltivabili, ma circondati da ambienti non abitabili: deserti, montagne, mari.”Le prime città – osserva – in  sostanza, furono un prodotto della necessità, in cui la cooperazione si dimostrò decisiva per riuscire a sopravvivere”. Anche in questa nostra  epoca – della crisi del clima e della biodiversità – le città potrebbero avere un ruolo decisivo “per riuscire a sopravvivere”?   Le città sono fortemente esposte agli impatti della crisi climatica: alle ondate di calore in alcuni periodi dell’anno e  alle bombe d’acqua, ad allagamenti e alluvioni in altri. Nelle città si continua a generare gran parte delle emissioni di gas serra: con  un gran numero di auto alimentate da carburanti fossili, con edifici energivori, con modelli di consumo e di produzione lineari e dissipativi.Nelle città continuiamo ad avere un pessimo rapporto con la natura: la qualità dell’aria è, in molti casi, cattiva; le acque di falda sono spesso contaminate; i corsi d’acqua sono in genere cementati e in uno stato ecologico non buono; il suolo è sempre più consumato, asfaltato e cementato, mentre numerose  aree sono degradate e contaminate; le alberature e le aree verdi sono  poche e in sofferenza per  carenza di risorse, di gestione e di manutenzione.  Forse per questo, o forse nonostante questo addensamento di problematiche ambientali, nelle città si registra una maggiore sensibilità ecologica, una diffusa preoccupazione per la crisi climatica e, anche fra gli amministratori locali e i sindaci, una  maggiore disponibilità all’impegno ambientale. In diverse città c’è un positivo dinamismo sulle tematiche green e si discutono le misure che potrebbero essere prese per accelerare il cambiamento in direzione ecologica: troppo lento e inadeguato, a fronte di problematiche ambientali rilevanti e ampiamente percepite dai cittadini.Il Green City Network ha proposto una Carta – per  “Nature-positive cities”- che individua dieci misure chiave per accelerare e rendere più incisiva la transizione climatica ed ecologica: Carta che ha, rapidamente, raccolto l’adesione di  un consistente gruppo di città. La transizione climatica ed ecologica è un percorso obbligato: non ne esistono altri in grado di assicurare possibilità di benessere e di sviluppo, per noi e per le future generazioni.Come mai è così difficile portarla avanti anche nelle città, dove risulta più necessaria e dove gode dei maggiori consensi? Intanto perché non è una passeggiata, ma una sfida impegnativa. Promuove nuove produzioni e nuovi consumi, e ne penalizza altri. Mette in discussione abitudini e stili di vita, non più sostenibili, ma che a tanti non dispiacciono affatto. E quando avanza e richiede misure più incisive, non fa crescere solo i sostenitori, ma anche gli scontenti, in genere a scapito degli indifferenti.Gli interessi colpiti fanno maggior rumore, come l’albero che cade, rispetto alla foresta che cresce.  Specie se interviene una parte politica che, con scarsa lungimiranza, amplifica e sostiene gli scontenti, facendo del freno alla transizione climatica ed ecologica una bandiera elettorale.La conservazione dello status quo è facilitata perché segue la corrente. La transizione climatica ed ecologica  è un cambiamento di vasta portata: mette in discussione convinzioni e modi di pensare consolidati. Ci sono esempi clamorosi che dimostrano quanto sia difficile mettere in discussione pregiudizi diffusi. Elizabeth Kolbert nel suo La sesta estinzione, per esempio, dopo aver analizzato le grandi estinzioni di specie sulla Terra, osserva che “la scoperta dell’estinzione a opera di Cuvier – la scoperta quindi di un mondo precedente al nostro – fu una notizia sensazionale” e arrivò solo all’inizio del 1800. Benché da tempo si disponesse di numerosi fossili di mastodonti, il concetto scientifico di “estinzione” di specie, non era riuscito, per molti anni, a farsi strada perché era in contrasto con presupposti comunemente accettati e con opinioni consolidate e diffuse che negavano la possibilità di estinzioni di massa di specie viventi. LEGGI TUTTO