Che cosa sarebbero le Alpi senza ghiacciai? La sola prospettiva di perdere un elemento così caratteristico del paesaggio naturale a cui siamo stati abituati ci lascia interdetti. Le conseguenze per gli ecosistemi e per la società sarebbero drammatiche. La realtà è che oggi la “situazione clinica” dei ghiacciai è a dir poco critica. Dal 2000 al 2019 ogni anno sono stati persi in media 267 miliardi di tonnellate di ghiaccio a livello globale e con l’aumento delle temperature la velocità con cui i ghiacciai fondono è destinata a crescere. Non è un caso che le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2025 “anno internazionale della conservazione dei ghiacciai”.
Da anni, in realtà, non mancano le iniziative che mirano a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’emergenza della fusione dei ghiacciai. Nell’agosto 2019 in Islanda, per esempio, si è svolto il funerale del ghiacciaio Okjökull. Sempre in Islanda, poche settimane fa un gruppo di ricercatori della Rice University ha dato vita al primo “cimitero dei ghiacciai” (con tanto di lapidi che si sciolgono a ricordare il loro declino inesorabile), accompagnato dalla Global Glacier Casualty List, una piattaforma in cui tenere traccia dei ghiacciai in grave pericolo e di quelli che sono già scomparsi negli ultimi anni. Per chi volesse conoscere meglio i ghiacciai da poco c’è anche un libro: “I ghiacciai raccontano”, edito da People e scritto da Giovanni Baccolo, ricercatore all’università di Roma Tre e membro del Comitato Glaciologico Italiano. Con spirito divulgativo e senza mai cadere nel tecnicismo, Baccolo ci porta dentro questo tanto fragile quanto affascinante mondo.
L’emergenza
La morte dei ghiacciai e il vuoto che lasciano
28 Agosto 2024
Partiamo dal titolo: che cosa raccontano i ghiacciai?
“È riduttivo vedere i ghiacciai soltanto come vittime del cambiamento climatico. Certo, confrontare una fotografia scattata oggi con una scattata 50 anni fa ha un forte impatto sullo spettatore. Ma i ghiacciai sono molto di più che dei giganti agonizzanti. La glaciologia va a toccare numerosi aspetti del mondo naturale e umano, perché la nostra storia è fortemente intrecciata con quella dei ghiacciai. Non sono solo un elemento che impreziosisce i paesaggi montani, ma sono anche degli autentici archivi che conservano la memoria del clima e dell’ambiente, con il loro carico di storie da raccontare. C’è poi da tenere in considerazione il fatto che i ghiacciai non sono tutti uguali. Il secondo capitolo del libro si intitola ‘glaciodiversità’ e ha proprio l’obiettivo di mostrare come ogni ghiacciaio racconti una storia diversa dal punto di vista scientifico. Le storie più antiche vengono dai ghiacci polari che sono più estesi e più spessi e dunque permettono di andare più indietro nel tempo”.
Se scomparissero i ghiacciai che cosa perderemmo?
Proprio perché i ghiacciai sono una componente fondamentale del mondo naturale, toglierli significherebbe sconvolgere una serie di equilibri. In prima battuta, tutta quella riserva di acqua dove andrebbe a finire? Si alzerebbe in maniera considerevole il livello dei mari e degli oceani e la geografia del Pianeta sarebbe sconvolta: molte zone diventerebbero inabitabili e milioni di persone sarebbero costrette a migrare. Molte comunità montane si ritroverebbero senza la loro fonte primaria di acqua dolce. O ancora, scomparirebbero quelle specie che si sono sviluppate e adattate agli ambienti glaciali. L’elenco potrebbe proseguire ancora a lungo”.
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Si tratterebbe anche di un’enorme perdita culturale.
“Certamente. Questo è un aspetto che ci tengo sempre a sottolineare anche se non è il più importante, visto che non va a toccare direttamente la sopravvivenza della specie umana. I ghiacciai, con il loro declino, hanno avuto un ruolo di primo piano nel plasmare la consapevolezza sugli effetti del cambiamento climatico. Fanno parte del nostro immaginario collettivo: se chiedi a un bambino di disegnare una montagna, senz’altro disegnerà in cima un cappello bianco. Chissà se un bambino lo continuerà a fare anche nel 2100. La vedo dura. Per la fine del secolo di ghiaccio sulle Alpi ne rimarrà davvero poco”.
Ma quindi i ghiacciai alpini sono spacciati? Non c’è più alcuna speranza di salvarli?
“Anche se saremo virtuosi nel contenere le emissioni di gas serra, sappiamo già che nei prossimi decenni perderemo una frazione considerevole del ghiaccio presente oggi sul Pianeta. I ghiacciai sotto i 3500 metri, ahimè, è quasi sicuro che scompariranno. Ma non voglio nemmeno essere catastrofista, perché dire ‘non c’è più niente da fare’ è un messaggio sbagliato e spinge all’inazione. Inoltre, per un contesto come quello dei ghiacciai alpini non utilizzerei il termine tipping point (punto di non ritorno, ndr). Diverso è il caso dell’Antartide o della Groenlandia dove la scienza ci dice di essere molto più cauti nel superare determinate soglie perché la risposta del sistema potrebbe essere non lineare e difficile da gestire una volta che il meccanismo si innesta. Insomma, sarebbe una vera e propria catastrofe ambientale”.
Il 2022 e il 2023 sono stati due anni difficilissimi per i ghiacciai alpini (basti pensare alla tragedia della Marmolada del 3 luglio 2022 che è costata la vita a 11 persone). Il 2024 sembra andare un po’ meglio: si può parlare di un anno positivo per i ghiacciai?
“Nel 2022 e nel 2023 si sono verificate le due peggiori condizioni per i ghiacciai, insieme: poca neve durante l’inverno e alte temperature durante l’estate. Nel 2024 i danni sono stati limitati dalle abbondanti nevicate primaverili, ma sarà un altro anno negativo per i ghiacciai. Anche quest’estate, infatti, è stata caldissima e per settimane la quota dello zero termico si è mantenuta al di sopra dei 4000 metri. Ormai la neve caduta la scorsa primavera è stata consumata quasi completamente”.
Nel capitolo conclusivo del libro dice che il futuro dei ghiacciai è nelle nostre mani. Che cosa dobbiamo fare per tentare di salvare il salvabile?
“È chiaro che la tutela dei ghiacciai va di pari passo con il contrasto ai cambiamenti climatici. L’unica soluzione possibile è dunque limitare l’aumento della temperatura terrestre. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi: occorre per esempio, come ripetono da anni gli scienziati dell’IPCC, abbandonare i combustibili fossili, con tutte le ricadute sociali ed economiche che possiamo immaginare. Ma i costi della transizione saranno comunque inferiori a quelli dell’inazione climatica”.
A proposito di soluzioni mirate per i ghiacciai, si sente spesso parlare dei teli geotessili, come quelli che vengono installati da diversi anni in estate sul Presena (in Trentino). Funzionano o sono parte del problema?
“Per funzionare, funzionano benissimo da un punto di vista tecnico: è stato verificato che coprire il ghiacciaio con i teli geotessili permette di ridurre il tasso di fusione del 50-60%. Tuttavia, questo intervento presenta alcuni aspetti di insostenibilità sia economica sia ambientale. Coprire un ghiacciaio è molto costoso. Economicamente parlando, ha senso solo dove è possibile ottenere un ritorno che ripaghi queste spese: quindi piste da sci, attrazioni turistiche visitabili a pagamento (come delle grotte di ghiaccio, per esempio) eccetera. E poi c’è un problema ambientale. Coprire un ghiacciaio richiede l’utilizzo di grandi quantità di combustibili fossili. Mi riferisco non solo al carburante per i gatti delle nevi, ma anche alle coperture stesse dei teli che sono realizzati con materie plastiche. Certo, qualcuno potrebbe dire che è una goccia nell’oceano in termini di emissioni, ma ai miei occhi rimane un controsenso”.
Quali sono gli strumenti per aumentare la consapevolezza sull’importanza dei ghiacciai?
“Il mio consiglio è quello di viverli in prima persona, senza filtri. Prendi una fotografia di qualche anno fa di un ghiacciaio a cui sei legato in qualche modo o che ti piace esteticamente e poi vai di persona a vedere con i tuoi occhi la differenza con il presente. Solo con un’esperienza del genere è possibile capire quanto velocemente i ghiacciai stiano reagendo al clima che cambia e quanto urgente sia la necessità di fare qualcosa per salvarli”.