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Gli alberi e la loro salvezza: il nostro futuro passa da qui

Le foreste prima di tutto. Passa di qui, senza dubbio, il futuro del Pianeta. Coprono, del resto, un terzo delle terre emerse della Terra. Circa 1,6 miliardi di persone – tra cui oltre duemila culture indigene – ne dipendono direttamente o indirettamente. Custodi di biodiversità, ospitano, attraverso i loro ecosistemi, oltre l’80% delle specie terrestri di animali, piante e insetti. E sarebbero, più di tutto, cruciali nella lotta al cambiamento climatico: potenziali barriere naturali contro eventi climatici estremi, in primis tempeste e inondazioni; fondamentali per l’approvvigionamento idrico, ancor più critico con fenomeni siccitosi in crescita; essenziali, soprattutto, nel sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera.

Finanza climatica

Cop30, il piano di Lula per salvare le foreste del mondo

07 Novembre 2025

Secondo l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, basterebbe gestirle correttamente per registrare un contributo decisivo alle azioni di mitigazione della crisi climatica, con azioni che riducano o rallentino l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. Proprio così: da qui al 2030, le foreste potrebbero infatti arrivare ad assorbire tra 4,1 e 6,5 miliardi di tonnellate di gas serra, ossia tra il 7% e il 10% delle emissioni attuali, svolgendo un ruolo determinante per il raggiungimento degli obiettivi degli Accordi di Parigi del 2015.

Persi 12 ettari ogni anno

Ma le foreste non se la passano bene: mediamente, negli ultimi 50 anni, ne abbiamo perso 12 milioni di ettari l’anno. E anche se l’ultimo “Global Forest Resources Assessment”, il report quinquennale della Fao, mostra un rallentamento della deforestazione nell’ultimo decennio (dai 17,6 milioni del periodo 1990-2000 ai 10,9 milioni di ettari all’anno nel periodo 2015-2025), il tasso – che si attesta oggi sui 10,9 milioni di ettari all’anno di foreste perdute – resta ancora troppo elevato. Suggerisce cauto ottimismo, semmai, la percentuale (55%) delle foreste oggi soggette a piani di gestione (+365 milioni di ettari dal 1990). Insomma, un processo virtuoso è in atto e sta andando avanti a livello globale.

Ma basterà? L’urgenza del tema non può che tradursi in un’attenzione massima all’interno di Cop30, con i riflettori del mondo puntati in particolare sull’Amazzonia: qui risiede il 10% della biodiversità del Pianeta. Un suo “collasso” – rischio concreto alimentato da deforestazione, allevamento intensivo, incendi (oltre 50 mila nel 2024) e agricoltura su larga scala – accelererebbe la crisi climatica in atto su scala globale.

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Un miliardo di dollari di investimento

Anche per questo la Cop30 ha un valore, concreto e simbolico, importantissimo, ancor di più dopo l’annuncio del presidente brasiliano Lula alle Nazioni Unite di un investimento di un miliardo di dollari nel “Fondo foreste tropicali per sempre”, strumento finanziario destinato a sostenere i Paesi che proteggono le loro foreste. “Il Pianeta non può più aspettare: proteggere le foreste è un imperativo morale ed economico”, ha detto Lula, invitando le altre nazioni a fare altrettanto. Ma il Brasile è davvero determinato a invertire il trend della deforestazione?

Con la presidenza Bolsonaro, la lobby dell’agribusiness, rappresentata dal Frente Parlamentar da Agropecuária, aveva spinto affinché l’intero settore rurale, responsabile di parte consistente della deforestazione, potesse sottrarsi alla procedura di autorizzazione ambientale. Con Lula in molti hanno auspicato un cambio di paradigma, complice la nomina a ministra dell’ambiente di Marina Silva, originaria di un villaggio dell’entroterra amazzonico, icona dell’ambientalismo indigeno.

Le contraddizioni del Brasile

E con favore, dal mondo ambientalista, era stato accolto il piano “Amazon Security and Sovereignty Plan”, annunciato nel 2023: tra i pilastri, lo stop alla deforestazione illegale entro il 2030, anche grazie all’introduzione di certificazioni dei prodotti forestali, in particolare richieste dai Paesi esteri, e il recupero delle foreste degradate. Ma la partita è ancora in larga parte da giocare, e non mancano le contraddizioni: il Brasile ha riaffermato l’impegno di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, ma ha poi annunciato la sua entrata nell’OPEC+, il collettivo di Paesi estrattori ed esportatori di petrolio. Al punto che giornalisti come Jonathan Watts del Guardian hanno sottolineato una presunta, crescente vicinanza di Lula “al mondo degli affari e all’estrattivismo capitalista”. Ecco perché la Cop30 ha un significato profondo per le foreste del Sudamerica, e non solo.

A causa degli incendi cala la capacità di assorbire CO2

“La verità è che i sistemi forestali sono lontani da una efficace inversione del trend – denuncia Andrea Barbabella, responsabile scientifico di Italy For Climate – A causa della continua deforestazione e degli incendi, a loro volta alimentati dall’aumento delle temperature globali, oggi le foreste invece di assorbire CO2 dall’atmosfera, la stanno aumentando. Sono diventate degli emettitori netti: solo nel 2023 gli incendi hanno emesso circa 6,7 miliardi di tonnellate di CO2, il doppio di tutte le emissioni di gas serra dell’intera Unione Europea. E nello stesso tempo sono stati raccolti circa 4 miliardi di metri cubi di legname, la metà per usi energetici. E anche se i tassi di deforestazione negli ultimi anni si stanno riducendo, la strada per liberare il potenziale di mitigazione della crisi climatica delle foreste è ancora lunga”. Basta, in effetti, studiare le ultime stime del report del Global Carbon Budget: l’anidride carbonica emessa dalla deforestazione è due volte quella assorbita dai sistemi forestali in crescita. Ancora: il bilancio complessivo è di una emissione netta in atmosfera di circa 2 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno, pari al 3-4% delle emissioni mondiali di gas serra. Insomma, qualcosa non va.

Volontà politica e fondi

“Se gli impegni presentati dai firmatari dell’Accordo di Parigi venissero rispettati, in attesa di comprendere cosa accadrà a Belém, entro il 2030 potremo invertire la situazione e far sì che i suoli e le foreste di tutto il mondo siano assorbitori netti di gas serra per un miliardo di tonnellate all’anno”, spiega ancora Barbabella. Servono volontà politica e ingenti investimenti. Lo chiarisce lo stesso rapporto dell’Unep, che quantifica in 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 e quasi 500 nel 2050 gli investimenti necessari per salute e tutela delle foreste: andrebbero triplicati quelli attuali, stimati nel 2023 in 84 miliardi. Impensabile? Non proprio. Italy for Climate sottolinea come oggi i sussidi ambientali potenzialmente dannosi all’agricoltura, responsabili della perdita di 2,2 milioni di ettari di foreste ogni anno, superino i 400 miliardi di dollari. E gli scenari geopolitici, complici i dazi Usa, hanno rafforzato l’asse tra Sudamerica e Cina, in particolare nella produzione di soia: dietro l’angolo, il rischio di una nuova intensificazione della deforestazione.

Riflettori accesi, dunque, sulla Cop: all’esame l’articolo 6 degli Accordi di Parigi, che contiene regole condivise per misurare e commercializzare crediti di carbonio connessi agli assorbimenti forestali. “Serve, e non sarà semplice, un consenso trasversale sulle regole per contabilizzare la CO2 sottratta dall’atmosfera in modo trasparente, verificabile e reale”, dice Barbabella. E occorre anche il contributo del settore privato, sin qui ‘tiepido’ sulla questione: degli 84 miliardi di dollari destinati a iniziative in favore dei boschi, solo 7,5 – il 9% – derivano da finanza privata. Il resto? Fondi pubblici. Nessun dubbio: serve di più per salvare l’Amazzonia e le altre foreste. Ma soprattutto l’intero Pianeta.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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