Oogni Cop le sue lobby. Uno dei problemi principali delle Conferenze delle parti sul clima, soprattutto negli ultimi anni, è l’ingerenza dei rappresentanti del mondo industriale sui negoziati. Nelle ultime tre edizioni c’è stata una escalation, fra le sale Onu, di lobbisti: svolgendosi in petrol-stati o Paesi legati all’industria del gas, la maggior parte di questi proveniva dal mondo delle fonti fossili e puntava a mantenere un certo status quo e a permettere ancora la sopravvivenza di petrolio gas e carbone. A Baku, dove il presidente azero Ilham Aliyev in apertura lavori ha difeso il gas “dono di Dio”, i lobbisti dell’oil&gas per numero erano praticamente la quarta delegazione più numerosa, circa 1773 lobbisti.
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Un numero in calo rispetto a Dubai (circa 2400) ma comunque altissimo se si pensa che l’Azerbaigian ospitava circa 15mila persone in meno in confronto agli Emirati. Quest’anno in Brasile potrebbe cambiare la forma, ma non la sostanza. Quando il presidente Luiz Inácio Lula annunciò al mondo l’intenzione di tenere una Cop in Amazzonia dopo tre anni di vertici nei petrol-stati per molti addetti ai lavori fu il segnale di un potenziale cambiamento: ci si aspettava una Cop più inclusiva e soprattutto capace di allontanare l’ingerenza dei lobbisti.
Eppure, anche visti i costi esorbitanti degli hotel e le difficoltà logistiche di Belém, la Cop30 presenta nuove criticità più esclusive che inclusive: da una parte mancheranno delegazioni e membri della società civile dei Paesi meno ricchi – impossibilitati a raggiungere il Brasile – e dall’altra nonostante il numero totale dei partecipanti sarà inferiore alle passate edizioni (si attendono 45 mila persone, quasi la metà di Dubai) fra questi si teme ci sarà una fortissima presenza di lobbisti di un’altra industria decisiva, quella dell’agrifood. Nel Brasile a forte vocazione agricola, un settore che insieme all’alimentare è responsabile di oltre un terzo delle emissioni globali, i lobbisti dell’agrifood – lo ha fatto capire anche lo stesso Lula – non perderanno infatti l’occasione per far sentire la loro voce. Uno dei campi collegati in cui si gioca questa sfida riguarda per esempio anche l’Italia: noi ci presenteremo alla Cop30 per spingere il consumo di biocarburanti, un mantra del governo Meloni e del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin. Per questa operazione – che mira a far quadruplicare la produzione di biocarburanti entro il 2035 rispetto a dieci anni prima – l’Italia ha già trovato come alleato proprio il Brasile, secondo esportatore di etanolo al mondo. Ovviamente i lobbisti brasiliani, giocando in casa, si faranno sentire nell’interesse comune sui biocarburanti. Per la potente industria agricola brasiliana la Cop30 sarà poi una vetrina per provare a mostrare un’immagine verde e salvaguardare una filiera che rappresenta oltre un quarto del Pil del Paese anche se il suo impatto climatico, direttamente collegato alla deforestazione dell’Amazzonia, è difficile da ignorare.
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A Belém l’industria spingerà sulle parole “innovazione e sostenibilità”. In tal senso ci saranno lodi per esempio su crediti di carbonio e sistemi di cattura della CO2 come soluzione alle emissioni, nonostante recenti studi abbiano messo per l’ennesima volta in dubbio la loro efficacia. Inoltre, ancora lontani da quel transition away sui combustibili fossili concordato a Dubai, al centro della Cop tornerà nuovamente la questione petrolio. Anche qui, nel Brasile che a inizio anno è entrato nell’Opec+ (il cartello dei petrolieri) e dove a pochi giorni da inizio Cop sono state autorizzate nuove trivellazioni di Petrobras alla foce del Rio delle Amazzoni, è logico aspettarsi l’influenza del settore fossile. Tra l’altro, tra le tante contraddizioni della Cop30, va registrato il fatto che la comunicazione ufficiale della Conferenza è stata affidata alla stessa agenzia che fra i suoi clienti principali annovera il colosso petrolifero Shell. Ingerenze e incongruenze che hanno portato il gruppo “Kick Big Polluters Out” a fare un appello alla presidenza insieme ad altre 225 organizzazioni proprio contro i conflitti di interesse e greenwashing: “Quest’anno cacciate via i grandi inquinatori, non fateli sedere al tavolo“ dicono.
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Difficilmente però, come avvenuto finora, la richiesta sarà accolta. Infine, una nuova lobby è all’orizzonte: quella della disinformazione. Il 2025 in cui il negazionista Donald Trump ha definito “truffa” la questione climatica, ha registrato infatti una crescita esponenziale di disinformazione sul ruolo delle azioni antropiche e delle emissioni che alimentano il riscaldamento. Una tesi, in un contesto geopolitico fragile e dove molti leader saranno assenti al vertice di Belém, che rischia di infiltrarsi nel summit. Per questo il segretario generale dell’Onu António Guterres ha lanciato l’allerta: “Dobbiamo combattere disinformazione, greenwashing e attacchi alla scienza. Gli scienziati non dovrebbero mai aver paura di dire la verità”.

