6 Marzo 2025

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    Il lichene “inatteso” scoperto nella Pianura Padana

    La Pianura Padana è considerata come uno dei luoghi più inquinati d’Europa, eppure anche qui esistono delle “isole verdi” in cui la biodiversità riesce a prosperare. Lo dimostra la recente scoperta di una nuova specie di lichene tra Lombardia e Piemonte, nella valle del Ticino. Il ritrovamento è frutto del lavoro di Gabriele Gheza, ricercatore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. La specie è stata poi analizzata nel dettaglio da un gruppo internazionale di ricercatori e ricercatrici, e i risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Lichenologist.

    “La scoperta è avvenuta per caso, durante il lavoro di campo per lo studio di un gruppo di licheni crostosi particolarmente complicati da classificare, dato che presentano caratteristiche morfologiche comuni a molte specie diverse”, racconta Gheza a Green&Blue. “In quell’occasione ho raccolto diversi campioni di una specie che però ad un’accurata analisi in laboratorio non ha trovato corrispondenze con nessuna tra quelle già note”. Gli studiosi dell’Università di Bologna hanno quindi avviato una serie di analisi genetiche, svolte in collaborazione con colleghi lichenologi delle Università di Graz (Austria) e Praga (Repubblica Ceca). E i risultati hanno confermato il sospetto iniziale: quei campioni appartenevano a una specie mai descritta prima.

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    Nell’Artico trovata una pianta che normalmente cresce in ambienti più caldi

    27 Febbraio 2025

    Ma facciamo un passo indietro: che cosa sono esattamente i licheni? Si tratta di organismi formati principalmente dalla simbiosi tra un fungo macroscopico e un organismo fotosintetico (un’alga o un cianobatterio), che svolgono funzioni ecosistemiche importanti in molti habitat terrestri. “Per esempio, i licheni che crescono su terreni particolarmente aridi hanno un’importanza fondamentale nel limitare l’erosione del suolo dovuta al vento o alla pioggia – spiega Gheza – Inoltre, i licheni svolgono un ruolo importante nei cicli dei nutrienti. L’organismo fotosintetico che vive in simbiosi col fungo, infatti, è in grado di fissare il carbonio e, quando si tratta di un cianobatterio, anche l’azoto presente in atmosfera. In questo modo, i due elementi possono entrare nella rete trofica e diventare quindi nutrimento per altri organismi”.

    Il lichene appena scoperto è stato chiamato “inexpectatum”, racconta il ricercatore, per rimarcare la sorpresa di scoprire una specie mai descritta in precedenza in quella che è una delle aree più modificate dall’essere umano e più inquinate di tutta Europa, ossia la Pianura Padana: “Non è certo il luogo in cui ci aspetteremmo di trovare nuove specie di licheni, che sono notoriamente organismi molto sensibili non solo all’inquinamento, ma in generale alle alterazioni ambientali causate dagli esseri umani”. Questa elevata sensibilità, continua Gheza, è dovuta al fatto che i licheni assumono praticamente tutte le sostanze di cui hanno bisogno dall’aria, senza però avere modo di selezionare quali assorbire e quali no. Ciò significa che dall’atmosfera che li circonda assorbono vapore acqueo, sostanze allo stato gassoso che servono per il loro sostentamento, ma anche agenti inquinanti. Inoltre, a differenza delle piante caducifoglie, che scartano i “rifiuti” attraverso le foglie che perdono, i licheni non hanno alcun sistema per eliminare le sostanze nocive. Di conseguenza, se si trovano in contesti particolarmente inquinati tendono a morire.

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    Dieci piante appena scoperte che rischiano di scomparire

    12 Gennaio 2024

    In questo senso, la scoperta della nuova specie di lichene è una buona notizia: “La valle fluviale del Ticino – aggiunge Gheza -, tutelata da due parchi regionali istituiti negli anni ’70 e caratterizzata da aree boscate che si sviluppano praticamente lungo tutto il corso del fiume, probabilmente fa da tampone per gli inquinanti che vengono dalle zone circostanti. Proprio per questo è un importantissimo serbatoio di biodiversità e corridoio ecologico”.

    Solo in Italia, ad oggi, sono segnalate oltre 2.800 specie di licheni, ma come dimostra l’inatteso ritrovamento nella valle del Ticino, non li conosciamo ancora abbastanza. “Questo potrebbe dipendere in parte da ragioni storiche – spiega Gheza – I naturalisti del passato si sono inizialmente concentrati su specie più appariscenti e lo studio dei licheni è iniziato quindi più tardi. E poi c’è anche un circolo vizioso che si autoalimenta: dato che sono meno conosciuti, anche gli studenti e le studentesse che intendono approfondire lo studio dei licheni sono di meno rispetto a quelli che scelgono invece di dedicarsi allo studio dei grandi vertebrati o delle piante vascolari”.

    Dopo il primo, inaspettato incontro, il nuovo lichene è stato individuato anche in altri luoghi, in val Camonica e sui colli pistoiesi: ulteriori indizi di quanto lavoro ci sia ancora da fare per raggiungere una conoscenza soddisfacente della diversità biologica complessiva che ci circonda. “È una missione di fondamentale importanza – conclude Gheza – Solamente conoscendo più a fondo la diversità biologica saremo in grado di sviluppare strategie per tutelarla in modo appropriato”. LEGGI TUTTO

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    Rinnovabili, l’Italia bocciata: “Ritardo di otto anni sugli obiettivi di decarbonizzazione”

    L’Italia che oggi rincorre il nucleare alla ricerca di più energia e di un sistema per abbassare le sue emissioni, a che punto è che con l’obiettivo delle rinnovabili? In ritardo, dicono due report paralleli usciti in queste ore sia da parte di Bankitalia, che riconosce gli sforzi fatti ma parla di misure insufficienti, sia di Legambiente che alla Fiera Key – The Energy Transition Expo di Rimini ha presentato il rapporto “Scacco matto alle rinnovabili 2025” (qui il .pdf) analizzando il percorso italiano verso gli obiettivi green europei.Entrambi i rapporti partono da un dato: gli obiettivi di decarbonizzazione europei nel ridurre le emissioni di gas serra che alimentano il riscaldamento globale prevedono che entro il 2030 si arrivi a una diminuzione del 55% di emissioni rispetto ai livelli del 1990 per poi arrivare al cosiddetto net zero, la neutralità carbonica, nel 2050. Tenendo conto che oggi la maggior parte delle emissioni climalteranti sono legate ai consumi energetici (rappresentano quasi l’80% delle emissioni) è dunque fondamentale, come ha riconosciuto anche il governo, ampliare la quota di rinnovabili nel nostro mix di approvvigionamento. La stiamo ampliando? Sì, ricorda Bankitalia, dato che come capacità produttiva di elettricità da fonti rinnovabili siamo passati da un quarto (nei primi anni Duemila) a quasi la metà di oggi, anche grazie ai costi di generazione diminuiti nel tempo.

    Uno sforzo fondamentale quello in atto, soprattutto nel fotovoltaico, ma che sempre secondo la Banca però è ancora sufficiente a raggiungere gli obiettivi europei e nel 2024 “l’aumento della capacità rinnovabile complessiva è stato ancora inferiore, di circa un decimo, rispetto a quello che si stima essere necessario per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec)”, questo anche per via di una modesta crescita dell’eolico.

    Il report di Legambiente, presentato oggi, va nella stessa direzione e quantifica in più il reale ritardo: si parla di almeno 8 anni in più, a questi ritmi, necessari per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione. Per l’associazione ambientalista, che nell’occasione ha anche diffuso il nuovo Osservatorio Aree Idonee e Regioni, raggiungeremo gli 80.000 Mw necessari alla transizione solo nel 2038, se non ci sarà la dovuta accelerazione.Una spinta che è quantificabile: negli ultimi 4 anni abbiamo installato in media ogni anno 4500 Mw di nuovi impianti “ma nei prossimi 6 dovremo accelerare, arrivando a oltre 10.000 MW all’anno”.

    Rinnovabili, a che punto siamo
    Nel bocciare la tabella di marcia italiana sullo sviluppo delle rinnovabili fissato dal Decreto Aree Idonee, Legambiente riconosce i risultati “parziali e positivi” di questi ultimi anni, spiegando come dal 2021 al 2024 siano stati installati per esempio quasi 18mila megawatt, numero che corrisponde al 22% dell’obiettivo necessario per centrare i patti europei. “Mancano all’appello 62.284 Mw da realizzare nei prossimi sei anni, pari a 10.380,6 all’anno, ma la strada da percorre è tutta in salita, sia a livello nazionale sia a livello regionale e comunale, anche a causa di decreti e leggi sbagliate, ritardi, ostacoli burocratici e opposizioni locali” sostiene l’associazione nella sua fotografia, consultabile online con una mappa interattiva.

    Le regioni più in ritardo
    Spesso, a frenare l’ascesa delle rinnovabili, sono iter burocratici, lentezza amministrativa, ma anche opposizioni e ostacoli a livello regionale. In particolare cinque regioni, più di altre, sono oggi indietro, con ritardi “stimati tra i 45 e i 20 anni” rispetto agli obiettivi fissati nel 2030. Al primo posto nella classifica dei ritardatari c’è la Valle d’Aosta “che impiegherà 45 anni per raggiungere l’obiettivo 2030 pari a 328 MW (ad oggi ha raggiunto solo il 7%)”. Seguono poi il Molise che “viaggerà sui 29 anni di ritardo (ad oggi ha raggiunto solo il 10% dei 1.003 MW richiesti al 2030), la Calabria che impiegherà 23 anni di ritardo (ad oggi ha raggiunto solo il 12% dei 3.173 MW al 2030), la Sardegna 21 anni di ritardo (ha raggiunto appena il 13% rispetto ai 6.264 MW al 2030) e l’Umbria 20 anni di ritardo (ha centrato solo il 13% dell’obiettivo di 1.756 MW al 2030)”. Anche in terre dove sono in atto importanti investimenti sulle fonti energetiche pulite bisogna accelerare: la Sicilia per esempio, ottava in classifica, raggiungerà i 10.485 MW al 2030 con oltre 13 anni di ritardo, ad oggi ne ha realizzati appena il 17%. Ci sono però anche esempi virtuosi di chi è sulla buona strada: il Lazio, se si osserva quanto realizzato negli ultimi quattro anni, è in linea con gli obiettivi e Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sono abbastanza vicini al traguardo, anche se con “due anni di ritardo stimati”.

    Quasi 100 casi di “blocchi alle rinnovabilI”
    Lo abbiamo visto con le opposizioni e le manifestazioni in Sardegna dove il 99% del territorio è stato dichiarato non idoneo per nuovi impianti rinnovabili, così come in molti comuni dello Stivale: la crescita degli impianti eolici e fotovoltaici è spesso ostacolata, tramite ricorsi in tribunale e non solo, dai cittadini, dalle soprintendenze e in alcuni casi dagli stessi Comuni e dalle Regioni, spaventate dagli impatti paesaggistici e turistici e da ciò che i cantieri possono comportare.Secondo la mappa di Legambiente solo negli ultimi tre anni si contano quasi 92 casi di storie di “blocchi”.

    Lo studio

    L’Italia è il Paese più dipendente dall’estero per il fabbisogno energetico

    a cura di Luca Fraioli

    28 Gennaio 2025

    In Veneto per esempio è noto “il caso dell’impianto agrivoltaico a Mogliano Veneto (TV), un progetto fatto bene e già approvato dalla Regione, che ha ricevuto forti opposizioni da parte del Sindaco, alla Toscana dove a Capalbio e Badia Tedalda, tra il grossetano e l’aretino, la Giunta Regionale sembra aver cambiato la propria opinione da positiva a negativa sul progetto dopo il clamore generato da partiti e comitati”.

    In Calabria invece “ad Acri (CS) Regione e Comune si scontrano sulle aree disponibili alla costruzione di impianti eolici con pareri opposti, per arrivare al prolungamento di moratorie (bocciate dalla Corte per incostituzionalità)”, lo stesso vale per il Lazio che ha recentemente “bloccato l’autorizzazione di impianti eolici e fotovoltaici”. A questo va aggiunta la questione “stalli”, ovvero quei progetti in via di valutazione ancora fermi: sono 2.109 quelli avviati a valutazione e non atterrati tra il 2015 e l’inizio del 2025.Di questi “115 i progetti sono in attesa della determina da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 85 quelli che hanno ricevuto il parere della Commissione Tecnica VIA PNRR-PNIEC ma che rimangono in attesa del parere del Ministero della Cultura (MIC), 1.367, pari all’79% del totale, quelli in fase di istruttoria tecnica da parte del Comitato PNRR-PNIEC (con 44 progetti risalenti al 2021, 367 al 2022, 505 al 2023 e 451 al 2024).

    Fisco Verde

    Detrazioni al 50% per chi vuole rinnovare o ampliare l’impianto fotovoltaico

    di Antonella Donati

    04 Febbraio 2025

    Tra i progetti che avrebbero già dovuto concludere l’iter autorizzativo ma che sono ancora in attesa di una decisione, il più datato è un piano di reblading in Campania che prevede la sostituzione delle pale dei 60 aerogeneratori del parco eolico situato nei comuni di Lacedonia (AV) e Monteverde (AV). Nell’agosto 2020 aveva ottenuto un parere favorevole preliminare sulla compatibilità ambientale da parte del MIC; ma che ad oggi, a quasi cinque anni di distanza, è ancora bloccato nella fase di istruttoria tecnica presso la CTVIA” si legge nel report.

    Ritardi sulla definizione delle aree idonee
    Per centrare la decarbonizzazione necessaria e implementare le energie rinnovabili in Italia un passaggio fondamentale è l’iter, da parte delle regioni, per definire le aree idonee dove realizzare gli impianti. La mappa di Legambiente svela però, anche in questo caso, ritardi e situazioni di stallo: solo la Lombardia, anche se il suo iter non è concluso, è promossa per gli sforzi fatti finora. Undici regioni (Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Liguria, Molise, Trentino e Alto-Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto) ad oggi invece “non hanno ancora avviato, almeno pubblicamente, l’iter di definizione delle Aree Idonee” e in quattro si riscontra invece forte opposizione, come ad esempio in Sardegna, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo, che Legambiente boccia.

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    Fotovoltaico gratis in base all’ISEE: come funziona il reddito energetico

    di Antonella Donati

    18 Febbraio 2025

    Parallelamente, però, in alcuni casi si registrano anche buone pratiche ed esempi positivi: in Toscana “nel Mugello, sono iniziati i lavori per l’eolico al Giogo di Villore” oppure “in Campania nel Comune di San Bartolomeo in Galdo (BV) verranno autorizzati 3 parchi eolici, dopo che per oltre 20 anni si è autodefinito de-eolicizzato”, così come in Basilicata “con apposita delibera della Giunta regionale nel 28 ottobre 2024, è stato approvato il processo di semplificazione per l’autorizzazione di progetti a fonti rinnovabili con valutazione d’impatto ambientale”.

    Dieci proposte per accelerare l’energia pulita
    Come fare dunque a cambiare rotta? Per Legambiente sono fondamentali 10 passaggi: snellire gli iter autorizzativi, rafforzare il personale tecnico, rivedere il Decreto Aree Idonee dando indicazioni univoche e meno ideologiche, lavorare sui sistemi di accumulo, rivedere il Decreto Agricoltura con più attenzione all’agrovoltaico, rendere obbligatoria l’installazione di impianti fotovoltaici nei parcheggi di superficie superiori a 1.500 metri quadrati come fanno in Francia, garantire il completamento dei percorsi avviati, agevolare una maggiore partecipazione attiva dei territori, accorciare i tempi di connessione degli impianti e infine sviluppare campagne informative.Come commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, “per rendere indipendente l’Italia e per aiutare famiglie e imprese, facendo diminuire la bolletta, occorre accelerare la diffusione delle rinnovabili, lo sviluppo delle reti e la realizzazione degli accumuli anche in vista del passaggio dal Prezzo Unico Nazionale dell’elettricità a quelli zonali, che porteranno maggiori vantaggi proprio alle Regioni con una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili”. LEGGI TUTTO

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    A caccia delle piante che attirano zanzare: la nuova strategia contro parassiti e virus

    Ci sono le zanzariere, gli insetticidi, i repellenti e alcune volte servono addirittura dei farmaci per proteggerci dalle zanzare e dalle malattie che trasmettono. Eppure sono sistemi che cominciano a non bastare più: questi insetti continuano a essere gli animali più pericolosi del pianeta e, secondo gli esperti, stanno sviluppando delle resistenze. Per questo bisogna trovare nuove strategie di intervento che ci aiutino a eliminarli o almeno a contenerli. Una nuova via, riferiscono i ricercatori del Royal Botanic Gardens di Kew (Londra) sulle pagine di Scientific Reports, potrebbe essere quella di identificare le piante preferite dalle zanzare e di ridurne la diffusione, eliminandole almeno nei pressi dei centri abitati. Ma come individuarle?

    Gli animali più pericolosi del pianeta
    Difficile che qualcuno ne sia ancora all’oscuro, ma ribadiamolo: molte specie di zanzare sono vettori di malattie. Significa che, mordendoci per succhiare il nostro sangue, trasmettono parassiti e virus responsabili di condizioni come malaria, dengue, Zika e altre ancora, che ogni anno fanno centinaia di migliaia di morti. Basti pensare alla malaria: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel solo 2022 le persone che sono state infettate dal plasmodio responsabile della malattia sono state 249 milioni e sono stati segnalati 608 mila decessi in 85 Paesi.

    Salute e ambiente

    Filippine, una taglia sulle zanzare: la ricompensa a chi le prende “vive o morte”

    di Giacomo Talignani

    19 Febbraio 2025

    Un grave problema di salute pubblica, dunque, che rischia di aggravarsi perché sembra che le zanzare stiano evolvendo resistenze ai sistemi tradizionali di repellenza che usiamo per difenderci. Insomma, servono nuove strategie di contenimento.

    Togliere il cibo alle zanzare
    Come spiegano i ricercatori del Royal Botanic Gardens di Kew, le zanzare hanno un fabbisogno energetico molto elevato, che non soddisfano nutrendosi solo di sangue. Anzi, buona parte della loro dieta è costituita dal nettare delle piante, da cui traggono gli zuccheri necessari al loro sostentamento e alla produzione delle uova. Precedenti ricerche hanno mostrato anche delle preferenze dietetiche, identificando alcune specie vegetali di cui le zanzare vanno ghiotte. Da qui l’idea: capire i gusti delle zanzare e togliere loro il cibo, così da diminuire le popolazioni e i tassi di infezione.

    Biodiversità

    Animali autostoppisti all’interno delle piante ornamentali. Così aumentano i rischi di “invasione”

    di Giacomo Talignani

    21 Gennaio 2025

    Quali piante mangiano le zanzare?
    Individuare le specie di piante più succulente per questi piccoli insetti, però, non è affatto semplice. Il metodo utilizzato finora consiste nella ricerca di DNA nel materiale vegetale ingerito, ma i campioni così ottenuti spesso non sono sufficienti per l’identificazione.

    Per questo gli autori della nuova ricerca hanno sviluppato un sistema alternativo: sono andati alla ricerca dei metaboliti secondari del nettare, una sorta di impronta unica per le diverse specie vegetali, che si è dimostrata efficace per distinguere fonti differenti di zuccheri. La tecnica è stata validata con tre specie precedentemente identificate tra le favorite dalle zanzare, cioè la salvia gialla (Lantana camera), la pianta di ricino (Ricinus communis) e l’oleandro giallo (Cascabela thevetia) – che sono, tra l’altro,molto diffuse nelle regioni tropicali del pianeta.

    “In questo lavoro abbiamo sviluppato un modo per identificare quali piante da fiore preferiscono le zanzare, così da poterle rimuovere dalle case delle persone e ridurre l’abbondanza delle zanzare e la trasmissione delle malattie che trasmettono”, ha spiegato Phil Stevenson del Royal Botanic Gardens di Kew. “Pensiamo che potrebbe anche essere utilizzato per comprendere e influenzare le dinamiche dell’infezione in altre importanti malattie trasmesse dalle zanzare, tra cui la dengue, il virus Zika e il virus del Nilo occidentale”.

    “L’unico modo per ridurre l’impatto delle malattie trasmesse dalle zanzare è trovare nuove vie per colpire i vettori – ha concluso Amanda Cooper, tra gli autori della ricerca – Gli interventi su piante ospiti note potrebbero essere la soluzione di cui abbiamo bisogno”. LEGGI TUTTO