20 Novembre 2023

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    Gates, Bezos e Musk: quanto inquinano i super ricchi

    Quanto pesano sull’ambiente i beni e gli affari dei super milionari come Gates, Slim, Bezos o Musk? C’è chi se lo è chiesto e, accedendo a dati disponibili pubblicamente e facendo delle stime relative ai consumi per beni personali, ha messo insieme una cifra: 17 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra l’anno, l’equivalente, per rendere il numero più masticabile, dell’energia consumata da due milioni di case persone in un anno. E si tratta probabilmente di stime al ribasso, che cozzano con gli impegni e gli investimenti dei miliardari nella lotta al cambiamento climatico e alla salute del pianeta. A rendere noto tutto questo è un’esclusiva del Guardian, che ha pubblicato i dati messi insieme da alcuni ricercatori statunitensi insieme all’organizzazione no profit Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief).

    L’analisi si è concentrata su dodici milionari, imprenditori attivi in molti casi nel mondo dei big tech e del lusso, ma non solo: Carlos Slim, Bill Gates, Jeff Bezos, Larry Page, Sergey Brin, Bernard Arnault, Michael Dell, Roman Abramovich, Larry Ellison, Elon Musk, Eric Schmidt e Laurene Powell (unica donna). Le analisi dei ricercatori hanno riguardato tanto gli impatti ambientali delle aziende e società partecipate dai milionari, pubblicamente disponibili dalle stesse, che quelli derivanti dall’utilizzo di beni di lusso privati. Ovvero, l’idea era di capire non solo le emissioni generate dai milionari nei loro affari, ma anche quelle riconducibili ai propri stili di vita. Così nel conto sono finiti anche elicotteri, superville e appartamenti e superyatch. Soprattutto i superyacht.

    Scrive infatti il Guardian che solo questi “hotel galleggianti”- come li ha definiti Richard Wilk, autore dell’analisi insieme a Beatriz Barros  – emettono da sole almeno più di 7000 tonnellate di emissioni l’anno. A questi si sommano l’utilizzo di jet privati, elicotteri, e tutti i costi per il mantenimento delle loro residenze. Nell’analisi riportata dal giornale brittannico, Slim, Gates e Bezos figurano in cima alla lista delle emissioni rilasciate (anche se Gates avrebbe fatto sapere di cercare di ridurre il più possibile il suo peso sull’ambiente).

    L’intervento

    Giorgio Parisi: “Contro la crisi climatica la soluzione è risparmiare risorse ma senza abbassare il tenore di vita”

    di Luca Fraioli

    20 Novembre 2023

    I dati messi a disposizione da Oxfam – che la lanciato, tra l’altro, la petizione Make Rich Polluters Pay – riguardano più in generale il divario tra ricchi e il resto del mondo, non solo quelli di cui sopra. Secondo le loro stime, rese note oggi nel report “Climate Equality: A planet for the 99%” nel 2019, infatti, l’1% della popolazione più ricca del pianeta ha inquinato in termini di emissioni come 5 miliardi di persone. Queste da sole saranno responsabili della morte di circa 1,3 milioni di persone per effetti legati all’aumento delle temperature. Allargano la quota al 10% della popolazione più ricca del pianeta, il peso sulle emissioni arriva al 50%. Il messaggio di Oxfam, alla vigilia della Cop28, è di lavorare per cercare di arginare queste diseguaglianze, rinunciando il prima possibile ai combustibili fossili, magari anche grazie alle risorse messe a disposizione di chi più oggi inquina. Riferito ai paesi più ricchi, e più inquinanti, ma anche alle persone, ritenute – citiamo il report – attori centrali nella lotta al clima anche per l'”indebita influenza” sui media, sull’economia e la politica. LEGGI TUTTO

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    Biocarburanti HVO – Le bioraffinerie di Venezia e Gela

    Filiere di agri-feedstock
    Eni ha firmato accordi di lungo periodo in sette paesi africani – Kenya, Congo, Angola, Costa d’Avorio, Mozambico e Ruanda – e ha avviato sperimentazioni e studi di fattibilità in altre nazioni, tra cui Italia e Kazakistan – con l’obiettivo di sviluppare filiere di agri-feedstock: cioè, un’agricoltura industriale orientata alla produzione di oli vegetali destinati alla bioraffinazione.
    Riduzione emissioni CO2
    Intanto, nella rete delle stazioni Enilive è disponibile HVOlution, il primo biocarburante prodotto con 100% da materie prime rinnovabili ai sensi della Direttiva Ue 2018/2001 “RedII”.

    Sempre ai sensi di questa direttiva, l’utilizzo di HVO in purezza consente una riduzione delle emissioni di CO2 su tutta la filiera, rispetto al fossile di riferimento, di percentuali che vanno dal 60 al 90%, a seconda della carica utilizzata per la loro produzione. Oggi il biocarburante HVOlution è già in uso da parte di primari operatori della logistica come il gruppo Spinelli, Lannutti e Fercam. Eni ha avviato test su autobus, mezzi pesanti e treni con 100% HVO che stanno dando ottimi risultati. In particolare, per quanto riguarda il trasporto ferroviario, a luglio ha viaggiato tra Sibari e Reggio Calabria, andata e ritorno, per circa 700 chilometri e 13 ore di servizio, il primo treno del gruppo FS Italiane alimentato esclusivamente con HVO in purezza fornito da Enilive. LEGGI TUTTO

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    Giorgio Parisi: “Contro la crisi climatica la soluzione è risparmiare risorse ma senza abbassare il tenore di vita”

    “Sono molto pessimista sulle Cop, le Conferenza Onu sul clima”. Lo confessa Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021, nel corso della serata conclusiva del Festival di National Geographic dedicato al “Capitale Naturale”. Parisi, intervistato dal direttore dell’edizione italiana di National Geographic Marco Cattaneo e accompagnato dal violoncellista Mario Brunello, confessa i suoi dubbi sulla Cop28 che inizierà tra pochi giorni a Dubai: “Per ottenere qualcosa di efficace, servirebbe una vera collaborazione fra tutte le nazioni. Ma, a parte i conflitti militari in corso, c’è una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, ed è chiaro uno scontro del genere impedisce di mettersi d’accordo seriamente sulla riduzione delle emissioni”. Il premio Nobel aggiunge che “per fermare il cambiamento climatico servono grandi risorse economiche e molti Paesi non ne dispongono, per questo è fondamentale un trasferimento di denaro dai Paesi ricchi a quelli in via di sviluppo: non possiamo pensare che si paghino da soli gli impianti fotovoltaici. Ho l’impressione che finché non si attiverà un meccanismo di trasferimento finanziario tutti gli impegni persi per il clima rischiano di rimanere lettera morta. A Dubai sono sicuro che se ne discuterà, ma finché non migliorerà il clima politico generale, temo che i risultati saranno scarsi”.

    Cambiamenti climatici

    Serena Giacomin: “Certezze scientifiche contro i mercanti di dubbi: la partita più importante per il clima”

    di Fiammetta Cupellaro

    16 Novembre 2023

    Parisi, come in altre occasioni, ha ribadito la centralità della scienza, anche nella lotta ai cambiamenti climatici e nella costruzione di un modello di sviluppo davvero sostenibile. “Anche se avessimo depositi infiniti di petrolio e gas naturale non li potremmo usare, perché c’è un’altra risorsa che sta finendo: l’atmosfera. Non possiamo più utilizzarla come discarica per la CO2, perché ora si sta riempiendo ed è a sua volta una risorsa in esaurimento. Abbiamo poi tutta una serie di problemi con il litio e con le terre rare. Ma la scienza su queste cose può aiutarci moltissimo: per esempio, non è affatto detto che il litio sia il miglior materiale per le batterie del futuro. Io spero che la ricerca scientifica possa produrre, non solo sistemi più efficienti dal punto di vista energetico, ma anche soluzioni meno impattanti per l’ambiente”.

    Perplesso anche sulla cattura e lo stoccaggio della CO2 (Ccs)e la geoingegneria, da alcuni indicati come possibili soluzioni, da altri come stratagemmi per prolungare la vita dei combustibili fossili. “Sono molto scettico sulla Ccs e sulla geoingegneria”, ammette Parisi. “Da un lato per i costi, dall’altro perché rappresentano un continuo rilancio. E più aumenti le risorse che stai consumando più crei ‘buchi’ che prima o poi andranno tappati. La soluzione secondo me è il risparmio, non solo energetico, ma in generale di risorse. Naturalmente si tratta di un risparmio che va praticato senza che comporti una decrescita del tenore di vita delle persone”.

    L’intervista

    Jacopo Bencini: “La Cop28 sarà di transizione. La vera svolta? Nel 2025”

    di Giacomo Talignani

    17 Novembre 2023

    Poi la critica del Nobel all’attuale sistema economico: “Trovo preoccupante che tutto il discorso politico si baso sul Pil, che non tiene conto di molte cose importanti, a cominciare dalla felicità delle persone. Tanti economisti hanno provato a fare degli indici che includono il Pil ma anche altre voci: l’aspettativa di vita, il tasso di criminalità, la felicità delle persone. Se il Pil rimane l’unico parametro guida, non verrano mai scelte delle strade che magari comportano un aumento del benessere e della felicità, ma un calo del Prodotto interno lordo”.

    Infine un commento sul perché parte della società abbia perso fiducia nella scienza: “Poco tempo fa”, ha raccontato Giorgio Parisi, “ho riletto il saggio del fisico Marcello Cini Un paradiso perduto, scritto circa vent’anni fa. L’ipotesi di Cini è che una volta c’era un ottimismo sul futuro, ottimismo che è andato perduto e la scienza, che una volta si prendeva i meriti del progresso ha finito per essere considerata una cattiva maestra che ci porta nella direzione sbagliata. Invece, abbiamo sempre più bisogno di scienza. Cini scriveva: prima ce ne accorgiamo meglio è. Il guaio è che non ce ne siamo ancora accorti”. LEGGI TUTTO

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    Il cambiamento climatico fa spostare gli alberi. In Toscana il patrimonio forestale più grande d’Italia, sperimentato il robot che mappa le piante

    Patrimonio forestale più grande d’Italia, 77 alberi monumentali, nuove tecnologie che misurano la posizione di faggi, querce e lecci. La Toscana risponde così alla giornata nazionale degli alberi. Davanti ai cambiamenti climatici che li mettono sempre più a repentaglio, oggi più che mai le alberature delle foreste rappresentano un capitale da proteggere e valorizzare. Anche […] LEGGI TUTTO

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    Cosa si vede nell’Atlante del mondo invisibile

    “Il brivido di vedere ciò che nessuno ha mai visto prima”, scrive il geografo inglese James Cheshire nell’introduzione di L’atlante del mondo invisibile che Mondadori ha appena pubblicato in Italia (pp. 218, 28 euro). Trentacinque anni, al suo terzo volume in collaborazione con il grafico Oliver Uberti, dei fenomeni non osservabili ad occhio nudo Cheshire ha fatto una professione. Migrazioni, cambiamento climatico, tecnologie, società, urbanistica, sono solo alcuni dei terreni nei quali il libro si muove. Vincitore del premio della Società cartografica britannica, del John C. Bartholomew per la cartografia tematica e dello Stanfords sempre per la cartografia, L’atlante del mondo invisibile è una rappresentazione suggestiva di quel che riusciamo a scorgere e a capire grazie alla raccolta capillare di informazioni che arrivano da satelliti, sensori, indagini. 

    “Poter visualizzare qualcosa in una infografica contribuisce a dare un certo livello di chiarezza rispetto a fenomeni complessi che vanno oltre la capacità dei nostri sensi”, racconta lo stesso Cheshire, che insegna Geographic information and cartography alla University College London. “La crisi climatica ad esempio, della quale avvertiamo direttamente solo una frazione, avviene su vari livelli e in diverse parti del mondo contemporaneamente. Raccogliere tutti questi dati, distillarli e farne una sorta di mappa, può aiutare a comprendere e a capire anche fenomeni astratti”.    LEGGI TUTTO