13 Novembre 2023

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    L’intelligenza artificiale svela il potenziale delle foreste per catturare la CO2

    Con una eccezionale coincidenza, un gruppo di oltre 150 scienziati del Global Forest Biodiversity Initiative (GFBI) in meno di un mese ha pubblicato tre studi, due su Nature e uno su Nature Plants, che, con la collaborazione dell’intelligenza artificiale, permettono di comprendere meglio come le foreste mantengano la loro biodiversità, resistano ai disturbi antropogenici e svolgano un ruolo fondamentale per la cattura della CO2.

    Roberto Cazzolla Gatti, coautore dei tre articoli scientifici e professore di biologia della conservazione e biodiversità presso il dipartimento BiGeA dell’Università di Bologna, spiega l’eccezionalità di questi lavori: “Sono studi fondamentali perché grazie al contributo combinato di centinaia di ricercatori nel mondo e dell’Intelligenza Artificiale è stato possibile far fare alla scienza un grande salto in avanti nella comprensione dell’ecologia delle foreste del mondo e, così, evidenziare ulteriormente la necessità della loro protezione”.

    Il primo studio pubblicato su Nature ha permesso di determinare i fattori che favoriscono le invasioni di piante non autoctone, aspetto fondamentale per tutelare gli ecosistemi nativi e limitare la diffusione di specie invasive. Fino a oggi, le invasioni delle specie arboree sono state relativamente trascurate dalla scienza, pur avendo il potenziale di trasformare interi ecosistemi e influire sull’economia. In questo studio, sfruttando i database globali degli alberi, gli scienziati hanno analizzato come la diversità filogenetica e funzionale delle comunità di alberi autoctoni, la pressione umana e l’ambiente influenzano l’insediamento di specie di alberi non autoctoni e la conseguente gravità dell’invasione.

    Lo studio

    La deforestazione in Amazzonia ha effetti a lunga distanza sul clima

    di Sandro Iannaccone

    06 Novembre 2023

    “Abbiamo scoperto – dice Cazzolla Gatti – che i fattori antropici sono fondamentali per prevedere se un luogo sarà invaso, ma che la gravità dell’invasione è regolata dalla diversità nativa, dove una maggiore diversità riduce la gravità dell’invasione”.

    Secondo lo studio, la temperatura e le precipitazioni sono tra i fattori principali per prevedere la strategia di invasione, con specie non autoctone che invadono con successo quando sono simili alla comunità nativa in condizioni estreme di freddo o siccità. Tuttavia, nonostante l’influenza di queste forze ecologiche nel determinare la strategia di invasione, lo studio mostra forti evidenze che questi modelli possono essere superati di gran lunga dall’attività umana come, ad esempio, nelle foreste gestite o vicino a strade e porti marittimi.

    “Questa ricerca globale sull’invasione di alberi non autoctoni – sottolinea il biologo italiano – suggerisce che i fattori umani influenzano la presenza di alberi non autoctoni e quindi potenzialmente dannosi per la salute degli ecosistemi. Piuttosto che lottare contro le specie aliene quando è ormai troppo tardi e l’intervento dell’uomo non ne permette più l’eradicazione, dovremmo impegnarci a mantenere la salute (ovvero la loro complessità, diversità, i loro processi e dinamiche) delle foreste in buono stato e questo di per sé, come negli altri ecosistemi, renderebbe molto più difficile a una specie aliena la diffusione e l’invasività”.

    Nel secondo studio pubblicato su Nature (dal titolo “Integrated global assessment of the natural forest carbon potential”) lo stesso team di scienziati ha confrontato dati di campo e derivati dal satellite per valutare la portata del potenziale globale di carbonio delle foreste mondiali. Gli attuali approcci di telerilevamento per valutare le perdite di carbonio nelle foreste globali sono stati caratterizzati da una notevole incertezza e sino ad oggi non si disponeva di una valutazione globale effettuata con dati rilevati a terra per confrontare queste stime globali. “Nel nostro studio abbiamo potuto verificare, per la prima volta che, nonostante le variazioni regionali, le previsioni su scala globale hanno una notevole coerenza, con una differenza solo del 12% tra le stime effettuate da terra e quelle derivate dal satellite – conferma Cazzolla Gatti”.

    Le idee

    One Health Day: l’Intelligenza artificiale migliora la salute di uomo, animali ed ecosistemi

    di Roberto Cazzolla Gatti

    03 Novembre 2023

    Lo studio rileva che attualmente, il carbonio forestale globale è significativamente al di sotto del potenziale naturale, con un deficit totale di 226 Gt (intervallo del modello = 151-363) Gt in aree con una bassa impronta ecologica umana. Circa il 61% (139 Gt) di questo potenziale si trova in aree con foreste esistenti, dove la protezione dell’ecosistema può consentire alle foreste di recuperare fino alla maturità. Il restante 39% (87 Gt) si trova al di fuori dei terreni urbani e agricoli, ma in regioni in cui le foreste sono state rimosse o frammentate.

    Le foreste rappresentano un importante serbatoio di carbonio terrestre, ma i cambiamenti antropogenici nel clima e nell’uso del territorio ne riducono la capacità di assorbimento. “Sebbene le foreste non possano sostituire la riduzione delle emissioni – ammette il professore dell’Alma Mater -, i nostri risultati supportano l’idea che la conservazione, il ripristino e la gestione sostenibile di diverse foreste possano offrire contributi preziosi per raggiungere gli obiettivi globali per la tutela del clima e della biodiversità”.

    Il terzo studio pubblicato su Nature Plants ha, invece, permesso di comprendere meglio cosa controlla la variazione globale del tipo di foglia negli alberi per capire il loro ruolo negli ecosistemi terrestri, inclusi il ciclo del carbonio, dell’acqua e dei nutrienti. Tuttavia, la nostra comprensione dei fattori che influenzano le differenti tipologie di foglie delle foreste è rimasta incompleta sinora, lasciandoci incerti sulle proporzioni globali tra foreste di aghifoglie, latifoglie, sempreverdi e decidue.

    “Per colmare queste lacune – ha spiegato il prof. Cazzolla Gatti – abbiamo condotto una analisi con dati globali, ma su scala locale dettagliata, della variazione del tipo di foglia forestale, integrando i dati del GFBI con dettagli sulla forma delle foglie (latifoglie vs aghifoglie) e degli ‘stili di vita’ (sempreverdi vs decidue)”. Gli scienziati hanno scoperto che la variazione globale tra sempreverdi e decidue è determinata principalmente dall’isotermia e dalle caratteristiche del suolo, mentre la tipologia di foglie è prevalentemente determinata dalla temperatura.

    Date queste relazioni, hanno stimato che il 38% degli individui di alberi globali siano sempreverdi a foglia aghiforme, il 29% siano sempreverdi a foglia larga, il 27% siano decidui a foglia larga e il 5% siano decidui a foglia aghiforme. La distribuzione della biomassa sopra il suolo tra questi tipi di alberi è rispettivamente di circa il 21% (126,4 Gt), 54% (335,7 Gt), 22% (136,2 Gt) e 3% (18,7 Gt). “Abbiamo previsto inoltre – specifica Cazzolla Gatti – che, a seconda dei futuri scenari di emissioni di gas climalteranti, entro la fine del secolo il 17-34% delle aree forestali sperimenterà condizioni climatiche che attualmente supportano un diverso tipo di foresta e questo ci fa capire che fino a un terzo del polmone verde terrestre sarà sottoposto a un forte stress climatico”. Quantificando la distribuzione dei tipi di foglie degli alberi e la biomassa corrispondente e identificando le regioni in cui il cambiamento climatico eserciterà la maggiore pressione sugli attuali tipi di foglie, i risultati di questo studio possono aiutare a migliorare le previsioni del futuro funzionamento degli ecosistemi forestali e del ciclo del carbonio.

    “Senza la capacità di calcolo dei supercomputer, che abbiamo utilizzato di recente per scoprire il numero di specie arboree presenti sulla Terra, e dell’intelligenza aritificiale, che ci ha permesso di realizzare queste fondamentali ricerche appena pubblicate – conclude Roberto Cazzolla Gatti – avremmo avuto bisogno di decine di anni e migliaia di persone dedicate, senza nemmeno la certezza di ottenere delle stime e delle previsioni attendibili. Questo ci dimostra che piuttosto che essere in lotta contro l’I.A. dovremmo utilizzarla per velocizzare e rendere più efficaci le strategie di conservazione. È per questo che abbiamo di recente creato un gruppo di ricerca sul One Health (inteso come l’integrazione della salute degli ecosistemi, delle specie e dell’uomo) che si avvale dell’Intelligenza Artificiale  per essere più rapidi, più precisi e più efficaci nel tentare di guarire e, quando possibile prevenire, le malattie di un pianeta in rapido deperimento”. LEGGI TUTTO

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    Biocarburanti HVO, la sfida di Eni per la mobilità

    di VITO DE CEGLIA
    Per contribuire a decarbonizzare settori hard-to-abate come trasporto pesante, aereo e marittimo, considerati tra quelli più inquinanti e difficili da riconvertire, saranno i biocarburanti a giocare un ruolo chiave, soprattutto in questa prima fase della transizione energetica. A confermarlo, ancora una volta, sono i dati e le stime che gli analisti dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) hanno presentato al vertice di luglio del G20 di Goa, in India.
    I numeri dicono che nel 2022 i biocarburanti liquidi hanno permesso al settore dei trasporti di rinunciare a quasi due milioni di barili di petrolio al giorno. Secondo la Iea, si tratta di un dato significativo ma ancora al di sotto delle attese perché la domanda globale di biocarburanti è cresciuta solo del 5% nel 2022, per via dei timori legati alla sicurezza energetica, tornata in primo piano lo scorso anno a causa della guerra Russia-Ucraina. La Iea è convinta, però, che il futuro dei biocarburanti sia ormai segnato: da qui al 2027, le stime prevedono che la domanda potrebbe superare il 20%, cioè poco più di 35.000 Mlpy (Milioni di litri per anno). Questa crescita sarà concentrata soprattutto nelle economie avanzate e sarà sostenuta da una maggiore capacità produttiva di biodiesel e biojet fuel, il carburante sostenibile per l’aviazione (Saf), ottenuto in buona parte da materiale di scarto e residui organici. L’Agenzia assicura che le forniture di materie prime di origine bio, oltre a generare nuove opportunità economiche nelle aree rurali, già oggi sono sufficienti a triplicare la produzione di biocarburanti entro il 2030 per contribuire a decarbonizzare i trasporti e consentire il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050. Ad esempio, i biocarburanti avanzati, come l’HVO, ottenuti da rifiuti e residui organici, potrebbero supportare altre 2,4 migliaia di barili equivalenti di petrolio (Mboe) al giorno entro il 2030, più della capacità totale di biocarburanti prodotta nel 2022. Ma l’Agenzia avverte che l’obiettivo sarebbe raggiungibile solo investendo in tecnologie innovative capaci di migliorare la gestione dei rifiuti e dei terreni coltivati. LEGGI TUTTO

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    Buona qualità dell’aria in 4 comuni dell’Appennino: i dati Legambiente-Inwit

    Tira una buona aria nell’Appennino centrale. In un contesto italiano dove tra metropoli e Pianura Padana la qualità dell’aria continua a essere fortemente negativa e spesso con dati che sforano i limiti fissati dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), dal cuore dello Stivale e del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise arrivano però buone notizie: il monitoraggio di oltre un mese in diversi comuni del territorio mostra, con qualche piccola eccezione, come i valori di PM10, PM2.5 e NO2 siano inferiori o in linea rispetto ai riferimenti normativi, rimarcando  il buono stato della qualità dell’aria sull’Appennino. 

    Il monitoraggio ambientale avviato da Legambiente e INWIT, il primo tower operator italiano, fa parte di una nuova serie di raccolta dati nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, nel Parco Nazionale della Maiella e nella Riserva Naturale Zompo Lo schioppo. 

    I rilevatori hanno registrato i valori dei comuni di Picinisco (FR), Pescasseroli (AQ), Roccaraso (AQ), e Civitella Roveto (AQ), paesi che sono stati “tutti promossi per la qualità dell’aria”. Paesi come Picinisco, per esempio, mostrano infatti valori davvero incoraggianti: 9 PM2.5 (μg/mc) contro 25 che è il limite fissato dall’Oms, una concentrazione media di 21 PM10 (limite a 40) e di 7 NO2 (limite sempre a 40). LEGGI TUTTO

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    I dati sull’erosione, Ispra: “In 54 comuni su 644 si perde più di metà della costa”

    Individuati dall’ISPRA, tra i 644 comuni costieri italiani, quelli che presentano alti tassi di erosione: sono 54 quelli che ad oggi hanno visto arretrare il loro tratto di costa di più del 50% dell’intero tratto di competenza. Sono poi 22 i comuni che presentano un superamento compreso tra il 50% e il 60% della costa; sono 16 quelli tra 60% e 70%, 8 tra 70% e 80% e 7 tra 80% e 90%.

    L’ambiente costiero è un sistema altamente dinamico dove i fenomeni di erosione, e quindi di arretramento, o di avanzamento della linea di costa sono controllati da numerosi fattori meteoclimatici, geologici, biologici ed antropici. Sebbene in generale il clima sia da considerarsi come il principale motore degli agenti modificatori, localmente ciascuno degli altri parametri può assumere una prevalenza significativa

    Legambiente

    Spiagge a rischio, 712 eventi estremi dal 2010. Più colpito il Sud

    a cura di redazione di Green&Blue

    25 Luglio 2023

    Rotondella in Basilicata risulta essere l’unico comune caratterizzato da un’erosione diffusa sull’intero tratto costiero. Se il numero dei comuni appare limitato, a fronte di un numero totale di 644 comuni costieri, va considerato che le percentuali riportate riguardano l’intera costa di ciascun comune, occupata anche da tratti che non sono spiagge e che non possono quindi andare in erosione, come i tratti di costa rocciosa, le foci fluviali e tutte le opere antropiche.

    Inoltre, le percentuali non mostrano un andamento “naturale” della dinamica costiera, ma a valle di tutte le opere di difesa costiera e dei ripascimenti effettuati. Sono i dati aggiornati e pubblicati da ISPRA sull’erosione costiera relativi al 2020, che rappresentano un punto di riferimento per l’analisi ambientale di tutto l’assetto costiero nazionale. La nuova versione contiene l’integrazione dell’analisi spaziale rispetto al periodo 2006-2020 per tutto il territorio nazionale ed apporta alcune modifiche di dettaglio che riguardano sia “Linea di Costa”, sia lo strato “Linea di Retrospiaggia”, quella che separa la spiaggia dalla zona retrostante dove comincia la colonizzazione vegetale, oppure dove sono presenti opere antropiche.

    L’inchiesta

    Perché con la messa in sicurezza di Punta Giglio si rischia di non salvare la falesia

    di Paola Rosa Adragna

    28 Ottobre 2023

    La pubblicazione e la libera distribuzione della versione 2.0 rendono disponibili i dati per lo studio della dinamica litoranea su qualsiasi tratto costiero italiano, arricchiti dall’analisi spaziale. In seguito a questo ulteriore aggiornamento e attraverso il confronto fra i dati del 2006 e del 2020, ISPRA fornisce un quadro dello stato attuale della linea di costa nazionale a livello comunale, mettendo in relazione l’estensione del tratto in arretramento rispetto all’intera estensione del litorale costiero comunale.

    Qualche buona notizia: 16 sono i comuni che presentano tratti di costa in avanzamento di lunghezza superiore all’80% della costa di competenza: Altidona, Camaiore, Campofilone, Camporosso, Curinga, Grisolia, Mondragone, Montebello Jonico, Numana, Pietrasanta, Porto Viro, Sant’Alessio Siculo, Satriano, Stilo, Viareggio, Villafranca Tirrena. ISPRA arricchisce ed implementa le coperture pubblicate sul suo Portale delle Coste proprio a supporto della pianificazione e della programmazione, tanto piu’ necessarie oggi, in cui sono ben note le conseguenze sulle coste degli effetti dei cambiamenti climatici (erosione costiera, sfruttamento della “risorsa spiaggia”, artificializzazione delle coste, degrado del paesaggio) LEGGI TUTTO

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    Per colpa dell’inquinamento nascono sempre più tartarughe femmine

    Non è soltanto il cambio climatico, con temperature più calde, a determinare la nascita di più femmine che maschi nelle tartarughe marine. Uno studio australiano sulla Chelonia mydas, una tra le specie a maggiore rischio di estinzione, mostra che c’è anche l’inquinamento a influenzare il sesso dei nuovi nati, con conseguenze drammatiche per la riproduzione e quindi per la sopravvivenza della specie.

    I ricercatori australiani, che hanno lavorato in collaborazione con il WWF locale, sono partiti proprio dall’osservazione di una notevole diminuzione di maschi alla schiusa delle uova. La letteratura scientifica aveva già accertato che, poiché le tartarughe marine hanno una determinazione del sesso dipendente dalla temperatura, con il riscaldamento globale sempre più embrioni si sviluppano in femmine. Nella parte settentrionale della Grande Barriera Corallina australiana, nascono già centinaia di femmine per ogni maschio.

    La ricerca è stata portata avanti a Heron Island, una piccola baia di sabbia corallina nella Grande Barriera Corallina meridionale. L’isola, dove ogni anno vengono a nidificare tra le 200 e le 1.800 femmine, è un sito di monitoraggio a lungo termine per questa specie. Qui il rapporto tra i sessi è attualmente più equilibrato rispetto alla zona dell’equatore, con circa due o tre femmine che si schiudono per ogni maschio.

    Nell’ambito del Turtle Cooling Project del WWF-Australia, che studia come contrastare le influenze antropiche sulla procreazione delle tartarughe, i biologi hanno però voluto indagare se ci fossero altri elementi, oltre alle temperature, capaci di influenzare la determinazione del sesso delle tartarughe. Hanno così accertato che l’esposizione ai metalli pesanti come cadmio e antimonio, nonché  a contaminanti organici come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), i bifenili policlorurati (PCB) e gli eteri di difenile polibromurati (PBDE) accumulati dalla madre vengono trasferiti alle uova, possono causare la femminilizzazione degli embrioni.

    La storia

    Nell’ospedale delle tartarughe marine: 8 su 10 hanno mangiato plastica

    di Pasquale Raicaldo

    23 Maggio 2023

    Per dare un’idea di quanto tali inquinanti siano presenti nell’ambiente, basta pensare che i metalli pesanti come il cadmio e il piombo sono spesso presenti nell’aria come risultato di diversi tipi di attività industriale, mentre gli IPA provengono dalla produzione di distillati del catrame di carbone, dalla fuoriuscita del petrolio dalle raffinerie, dalle petroliere e dalle trivellazioni del petrolio in mare aperto. Gli effetti sulla salute di questi inquinanti sono noti: negli organismi modello (cioè le specie utilizzate dai ricercatori per studiare specifici processi biologici) sono infatti tutti noti o sospettati di funzionare come “xenoestrogeni”, cioè come molecole che si legano ai recettori degli ormoni sessuali femminili.

    “L’accumulo di questi contaminanti da parte di una tartaruga femmina avviene nel luogo in cui si foraggia – spiega Arthur Barraza, ricercatore presso l’Australian Rivers Institute della Griffith University e primo autore dello studio – Quando le uova si sviluppano al suo interno, assorbono i contaminanti che ha accumulato. Questi vengono poi sequestrati nel fegato degli embrioni, dove possono rimanere per anni dopo la schiusa”.

    I dati mostrano che la maggior parte dei nidi ha prodotto principalmente femmine. Maggiore è la quantità media dei metalli pesanti come antimonio e cadmio nel fegato dei piccoli, maggiore è la tendenza verso le femmine all’interno del nido. I ricercatori hanno concluso che questi contaminanti imitano la funzione dell’ormone estrogeno e tendono a riorientare i percorsi di sviluppo verso le femmine.

    Ambiente

    I fondali degli oceani come miniere, a rischio habitat e biodiversità

    di Alessandro Petrone

    27 Aprile 2023

    “Man mano che il rapporto tra i sessi si avvicina al 100% di femmine, sarà sempre più difficile per le tartarughe adulte trovare un compagno. Questo diventa particolarmente importante perché il cambiamento climatico continuerà a rendere le spiagge di nidificazione più calde e più orientate verso le femmine”, dice Barraza.

    “Determinare quali composti specifici possano modificare il rapporto tra i sessi dei piccoli è importante per sviluppare strategie che impediscano agli inquinanti di femminilizzare ulteriormente le popolazioni di tartarughe marine – aggiunge Jason van de Merwe, altro autore della ricerca – Poiché la maggior parte dei metalli pesanti proviene da attività umane come l’estrazione mineraria, il deflusso e l’inquinamento da rifiuti generici dei centri urbani, la strada migliore da percorrere è quella di utilizzare strategie a lungo termine basate sulla scienza per ridurre l’immissione di inquinanti nei nostri oceani”. LEGGI TUTTO

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    Austria: cresce l’attenzione al turismo sostenibile

    “Una delle prime condizioni di felicità è che il legame tra l’uomo e la natura non si rompa”, disse Lev Tolstoy. Voler bene al Pianeta significa rispettarlo e preservarlo per le generazioni future. Ognuno può essere parte del cambiamento impegnandosi a incentivare una crescita economica sostenibile salvaguardando il benessere umano e ambientale.

     Castello di Fuschl sull’omonimo lago ©Österreich WerbungCross Media Redaktion  LEGGI TUTTO

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    Decarbonizzazione, il dilemma delle aziende

    Il mondo si sta muovendo per cercare di contenere la crescita della temperatura e gli effetti negativi fisici ed economici che comporta. Post accordi presi a Parigi nel 2015 in occasione della Cop21 oltre l’85% delle  emissioni di CO2 legate alla produzione di energia sono divenute oggetto di dichiarazioni di riduzione per un successivo azzeramento. Solo le dichiarazioni che coprono un quinto di queste emissioni si sono tramutate in legge nel Paese che le produce, restando i rimanenti quattro quinti oggetto di politiche di indirizzo non vincolanti o, peggio, di dichiarazioni di un ministro o di un primo ministro. I semplici indirizzi e le dichiarazioni non sono oggetto di commento in questa sede, mentre un’analisi dei piani d’azione divenuti legge è di  interesse dato che le scelte intraprese sono molto differenti, con Usa e Ue che rappresentano casi paradigmatici dei diversi approcci. 

    Usa: 260 miliardi di dollari

    Gli Usa hanno varato l’Inflation Reduction Act (IRA) che, a dispetto del nome, rappresenta un grande piano di incentivazione di tecnologie sostenibili tramite la concessione di benefici fiscali. Si tratta di 260 miliardi di dollari a disposizione di chi decide di intraprendere iniziative nel campo delle energie rinnovabili, ma non solo (compresi anche nucleare e attività di cattura della CO2). A patto che, una rilevante quota delle iniziative venga realizzata sul territorio Federale. Requisito con cui l’IRA cerca di ridurre il rischio di una eccessiva concentrazione in mani estere delle forniture considerate strategiche e  fronteggiare le tensioni legate a perdite di posti di lavoro che si potrebbero generare nel passaggio da un assetto economico ad un altro. Di converso, l’IRA non fissa un target di riduzione delle emissioni, che qualcuno ha stimato potrebbe essere intorno al 40% al 2030 se tutti gli incentivi fossero utilizzati, ma stimola lo sviluppo di alcune industrie senza penalizzare, se non in via indiretta, le altre.

    Cambio di passo

    A fianco dell’IRA si rileva poi solo un’altra iniziativa “di sistema”. È la proposta in elaborazione presso la Security Exchange Commission (SEC) di pubblicazione obbligatoria a cura delle società delle loro emissioni di CO2. Nel quadro normativo Usa manca invece ogni coinvolgimento del settore finanziario al quale non è attribuito alcun compito di indirizzo del percorso di decarbonizzazione. Alcuni operatori finanziari Usa hanno comunque preso liberamente posizione sul tema, primo tra tutti Blackrock, anche se di recente l’espressione di tali posizioni è stata meno netta. Questo cambio di passo può essere stato determinato da diverse ragioni, tra cui le sfide poste all’economia dal conflitto russo-ucraino, il riconoscimento dei costi elevati associati alla transizione verde, ma anche l’opposizione e qualche ritorsione da parte di alcuni Stati al governo le cui Tesorerie hanno tolto a questi operatori il mandato di gestione dei propri fondi.

    Le politiche

    Net zero: le sfide dell’Europa

    di Luca Fraioli, illustrazione di Massimiliano Aurelio

    02 Novembre 2023

    Ue: norme e compensazioni

    L’approccio adottato dalla Ue è molto differente. Il “Fit for 55” europeo è un piano che nasce dalla volontà di conseguire una riduzione delle emissioni carboniche pari al 55% al 2030 attraverso una moltitudine di interventi  pervasivi in quasi tutti i settori dell’economia, compresi quelli finanziari. Nel piano sono previsti incentivi e sussidi per un totale di circa 250 miliardi di euro, ma in esso spiccano iniziative coercitive che impongono oneri aggiuntivi per attività emissive fino ad arrivare all’esclusione dal mercato di alcune di queste. E le iniziative coercitive necessitano a loro volta di compensazioni. Ne sono esempio il regime dei certificati carbonici (ETS) e la conseguente necessaria imposizione di una tassa perequativa sui prodotti importati nella Ue da Paesi dove una analoga tassa è inferiore o addirittura zero. Altra azione coercitiva è l’impedimento a vendere nel mercato europeo autovetture con motore a combustione interna a partire dal 2035.L’Unione Europea ha poi attribuito un ruolo centrale al sistema finanziario nella lotta al cambiamento climatico con l’obiettivo di orientare i flussi finanziari verso investimenti più sostenibili. La Tassonomia Ambientale e la Reportistica di Sostenibilità (CSRD) sono esempi emblematici in questo senso. Queste normative, molto più invasive della bozza in gestazione presso la SEC, introducono significativi obblighi di informazione e trasparenza a carico dei partecipanti ai mercati finanziari, incluse banche e assicurazioni, nonché a carico delle imprese industriali. 

    Le differenze di approccio

    A questo punto potremmo dire che le differenze tra gli approcci Usa e Ue sono chiare. Gli USA hanno scelto di concentrarsi sull’unico strumento degli incentivi fiscali destinati ad attività definite come “sostenibili” a patto che la loro filiera sia principalmente confinata nel territorio Federale. E con questa mossa si aspettano, ma senza definirlo obiettivo di legge, di ridurre in modo significativo le emissioni di CO2, di preservare l’occupazione e di stimolare la crescita del loro Pil. Nessuna scelta degli operatori economici viene “forzata”, tanto meno quelle del settore finanziario non interessato dall’IRA. L’Europa come detto ha deciso di operare all’opposto. Ha definito un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 che è divenuto legge e ha progettato per il suo raggiungimento una serie di innumerevoli interventi, alcuni espansivi ed altri coercitivi, estesi a industria e finanza.

    Lo studio

    Decarbonizzazione, un piano per l’Italia

    di Matteo Leonardi, illustrazioni di Paula Simonetti

    06 Novembre 2023

    Quale dei due risulterà più efficace nell’abbattimento delle emissioni? Viene da pensare che l’approccio Ue, così finalizzato al conseguimento dello specifico obiettivo, abbia probabilità maggiori a patto che si sappiano gestire gli effetti collaterali delle azioni coercitive, che evidentemente gli Usa non hanno, e che il complesso pacchetto di interventi, che sarà ulteriormente rafforzato per assicurarne il successo in un modo estremamente variabile, mantenga una coerenza con il contesto esterno.Una di queste azioni rafforzative è in fase avanzata di discussione e ci si aspetta possa essere approvata entro la fine di quest’anno. Si tratta della Corporate Due Diligence Directive (CDDD) che in massima sintesi prevede due nuovi obblighi a carico delle società di maggiori dimensioni (si vedrà se anche quelle finanziarie). Il primo riguarda l’adozione nella redazione della propria strategia di scenari climatici allineati all’obiettivo di crescita massima della temperatura di 1,5°C. Il secondo riguarda la rappresentazione in capo alla società e la sua responsabilizzazione (si vedrà nel testo finale in quali termini) sugli obiettivi strategici ambientali e sociali lungo la parte preponderante della catena del valore a cui partecipa. Superfluo rimarcare che nulla di tutto questo è presente, e ragionevolmente lo sarà mai, nelle politiche Usa. 

    Scenari climatici

    Le conseguenza di questa direttiva meriterebbero una trattazione a parte. Qui però vorremmo commentare il primo obbligo che la direttiva imporrà, ovvero l’adozione di uno scenario climatico che prevede la crescita della temperatura di non oltre 1,5°C rispetto al 1900. Ma cosa sono gli scenari climatici? Sono delle proiezioni che, considerato l’obiettivo dato a priori di non voler superare nel mondo la crescita di 1,5°C, indicano cosa sarebbe necessario fare per conseguirlo. Il più famoso scenario è quello predisposto dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) che ne ha pubblicato di recente un aggiornamento. Un punto a nostro avviso critico è che ad oggi questi scenari non possono essere considerati i più probabili, e ne abbiamo diffuso riscontro nel momento in cui constatiamo che opinione prevalente nel mondo scientifico ed economico è per una crescita della temperatura attesa di circa 2,5°C, se non superiore. Il che vuol dire che i parametri che caratterizzano uno scenario 1.5°C, ovvero la domanda di prodotti energetici carbonici e non, i loro prezzi, la velocità di crescita della capacità rinnovabile e altri ancora, non sono quelli che più probabilmente si verificheranno nell’orizzonte temporale di pianificazione di un’azienda. Proprio questa discrasia tra lo scenario imposto e gli scenari più probabili pongono, a nostro avviso, alcuni punti di attenzione. È possibile chiedere ad un’azienda di fondare la propria strategia, per quanto responsabile, innovativa e lungimirante possa essere, sulla base di uno scenario di mercato che oggi si stima non si verificherà se non in parte? In che misura può un consiglio di amministrazione, approvare un piano d’azione con questi presupposti? Può un amministratore delegato proporre di acquistare (con il rischio di sovra pagare) o vendere (con il rischio di svendere) beni immobili il cui prezzo basato su uno scenario 1.5°C è diverso dal prezzo di mercato? Può una società di revisione certificare un bilancio in cui la verifica sul valore dei beni immobili (impairment test) non si basa sugli scenari più probabili?

    Strategie aziendali

    Noi pensiamo che non si possa chiedere alle aziende Ue di operare “fuori mercato”. Non vi è ombra di dubbio che la loro responsabilità sociale le debba portare a disegnare strategie lungimiranti, innovative e determinate a sperimentare ogni soluzione che le porti ad essere più sostenibili, ma queste strategie devono essere collocate nello scenario più probabile di mercato, come per altro richiesto dai Principi Contabili Internazionali nel definire i fondamenti del requisito di correttezza e veridicità del bilancio. Quando ulteriori progressi nella lotta al cambiamento climatico saranno stati conseguiti, soprattutto nel mondo “non-Ue”, e una parte più consistente dei semplici indirizzi o dichiarazioni di ministri e primi ministri si saranno trasformati in vincoli di legge a copertura di una quota rilevante delle emissioni nel mondo, solo allora si potrà dire che uno scenario 1,5°C è il più probabile e potrà a tutti gli effetti essere preso come riferimento per le decisioni aziendali. 

    *(Gli autori sono docenti al dipartimento di Economia Gestionale del Politecnico di Milano) LEGGI TUTTO

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    A Bressanone le auto restano ferme perché si sceglie la bici

    Da tempo a Bressanone è iniziata la rivoluzione e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È rivoluzione per quanto riguarda la sostenibilità, con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’impatto sull’ambiente della località di 23.000 abitanti situata in uno scenario dalla bellezza mozzafiato, nell’interesse della collettività e per le generazioni future. Le autorità locali per prime si sono fatte carico dell’impegno di preservare tanta bellezza con una gestione sostenibile delle risorse naturali.

    Le auto restano parcheggiate

    La città altoatesina ha investito pesantemente nella promozione della mobilità sostenibile: la rete di trasporti pubblici è efficiente, negli ultimi anni è stato potenziata, per cui il numero di utenti è aumentato costantemente: un contributo importante per ridurre il trasporto motorizzato privato. E, grazie alla BrixenCard che viene consegnata ai turisti, che sono tanti, anche i visitatori posso utilizzarla gratuitamente insieme a quella di tutto l’Alto Adige. In quest’attitudine si colloca anche il recente investimento fatto dal gruppo di imprenditori nel settore dell’ospitalità Viertel Group per costruire un garage di design che già all’arrivo dei clienti invoglia a scendere dall’auto e dimenticarla per tutto il tempo del soggiorno, perché lì resta coccolata mentre loro non ne avranno bisogno. Il nuovo piano urbano della mobilità sostenibile ha messo le persone al centro della pianificazione: i cittadini sono stati chiamati ad esprimere desideri e esigenze e a commentare le proposte prima dell’approvazione del consiglio comunale e dell’attuazione, il che ha portato anche allo sviluppo della sicurezza e della qualità dei percorsi e dei servizi per la mobilità “attiva” in bicicletta e a piedi.Le esigenze dei ciclisti sono state premiate con un’espansione della rete ciclabile, l’implementazione del prestito di e-bike ai residenti (eBike2Work) e l’educazione alla mobilità sostenibile. E, da qualche mese, anche all’adozione di Bicibox, parcheggi coperti e chiusi a chiave prenotabili via app, per parcheggiare la bicicletta in sicurezza. Per chi si vuole muovere a piedi c’è un grande centro storico ad alta pedonabilità.

    Teleriscaldamento e gestione innovativa dei rifiuti

    La rivoluzione è passata anche dalla scelta di affidarsi al teleriscaldamento, scelta che ha migliorato enormemente la qualità dell’aria e il bilancio di CO2. Il legname delle foreste della regione, il calore di scarto dei processi produttivi di grandi aziende locali come la Barth, la Rubner Holzbau e Lignoalp/Damiani, e le reti interconnesse assicurano alla città un calore pulito mentre rafforzano il ciclo economico locale. LEGGI TUTTO