La giornata di lavoro comincia alle 7, tra la gestione zootecnica delle stalle e quella agronomica della campagna. “E non sappiamo a che ora finisce”. Paolo Faverzani è un allevatore di 31 anni, che insieme alla famiglia dirige due aziende agricole nella zona di Stagno Lombardo, in provincia di Cremona. Nel descrivere le attività della propria impresa, dove viene prodotto il latte di alta qualità destinato alla realizzazione del Grana Padano Dop, parla di un “perfetto esempio di economia circolare”. L’azienda infatti produce i foraggi per nutrire le vacche, “tutto a chilometro zero”. E sta costruendo degli impianti di biogas per ricavare dalle deiezioni degli animali il metano per generare energia elettrica pulita.
La forte sensibilità alle tematiche ambientali e la passione per le tecnologie hanno portato Paolo Faverzani a innovare alcuni processi. L’introduzione di macchine connesse, l’adozione di nuove tecniche di irrigazione e di lavorazione dei terreni hanno reso più sostenibili le produzioni. Ma questi cambiamenti sono avvenuti nel rispetto della tradizione, perché è proprio il mix di esperienze e di valori tra vecchia e nuova generazione che permette di valorizzare e tutelare il nostro patrimonio agroalimentare. “Siamo allevatori a Stagno dal 1795 – ci spiega – fin da bambino ho amato queste attività: prima di fare i compiti, tornato da scuola, andavo con mio padre nei campi e nelle stalle. Anche mio nonno e mia madre mi hanno trasmesso questa passione”. E racconta che, dopo il liceo classico, ha conseguito una laurea magistrale in Agraria a Piacenza, all’Università Cattolica, completando la formazione con l’esame di stato di agronomo.
Il lavoro di allevatore
Dopo gli studi universitari, Paolo Faverzani ha seguito dei corsi di perfezionamento negli Stati Uniti, nello stato di Washington, organizzati da alcune aziende americane con la collaborazione di veterinari delle università: un insieme di conoscenze che ha poi portato nel suo lavoro in Italia. “Abbiamo seguito lezioni frontali con professionisti, veterinari e agronomi, che poi abbiamo messo in pratica. Un percorso che ci ha aiutato a entrare nell’ottica di gestione di aziende americane, che hanno dimensioni maggiori rispetto a quelle italiane – ci dice al telefono – Arrivano anche ad avere 7mila capi. La mia azienda, che è grande, munge mille vacche, mentre l’impresa media cremonese arriva a circa 300. Non ci consideriamo comunque un allevamento intensivo, ma moderno e collocato nel proprio tempo, attento al benessere animale, per il quale ogni anno facciamo importanti investimenti”.
Ogni mattina il giro di Paolo Faverzani comincia nelle stalle, per controllare gli animali e la loro alimentazione: “Il martedì e il venerdì ci sono anche un veterinario e un alimentarista che ci aiutano a gestire la parte sanitaria e dei foraggi. Più tardi, esco sui campi, dove dirigo le operazioni dei dipendenti”. L’allevatore ci racconta che anche le operazioni di semina e raccolta avvengono in autonomia nell’azienda, che possiede le attrezzature necessarie per la produzione dei foraggi per le stalle. “Serve tanta passione per fare questo lavoro e anche coraggio, considerando che con i costi in aumento di materie prime, energia e macchinari, i margini sono sempre più risicati: la spesa alimentare è stata anche del 40% più alta rispetto al 2021”.
Innovazione sostenibile
Una delle ambizioni di Paolo Faverzani, che è anche presidente provinciale di Cremona dei giovani di Confagricoltura, è far evolvere l’azienda, proiettarla nel futuro. Consapevole che “i passaggi generazionali sono complicati, soprattutto nel nostro settore”, il giovane allevatore ha introdotto alcune novità con l’appoggio del nonno e dei genitori. “In campagna siamo passati dal regime arativo a quello di minima lavorazione, una tecnica che consente di rispettare l’equilibrio del terreno evitando gli shock dovuti all’aratura”. Con l’agricoltura conservativa, infatti, si evita una lavorazione intensiva del terreno e i suoi strati non vengono invertiti: così mantiene una maggiore porosità, perché ossigeno e acqua passano meglio attraverso il suolo. “Si ottengono risultati più efficienti e si riesce a stoccare anche più carbonio”, ci spiega, facendo notare che “nel terreno ci sono insetti, microrganismi e un ph ben specifico, è un piccolo ecosistema. Con l’aratura è come se arrivasse un terremoto ogni anno. Grazie a questo metodo di lavorazione, l’azienda non acquista più concimi chimici”.
Anche a livello tecnologico, le macchine connesse e l’analisi dei dati consentono di registrare ed esaminare le operazioni che vengono fatte in campagna, in modo da evitare sovrapposizioni, ridurre i consumi e tagliare le attività inutili. “Con la tecnologia satellitare, ad esempio, conosciamo perfettamente il percorso fatto dal trattore e non c’è il rischio che si lavori sulla stessa zona due volte, evitando anche gli sprechi di gasolio. Inoltre abbiamo introdotto l’irrigazione goccia a goccia del mais, più efficiente di quella tradizionale: l’acqua viene depositata sulle radici e il terreno riesce ad assorbirla meglio”.
A livello energetico, infine, Paolo Faverzani ci dice che l’azienda si è dotata anche di un sistema fotovoltaico e sta costruendo degli impianti di biogas – che saranno in funzione il prossimo anno – per sfruttare le deiezioni animali: “Il digestato derivante dal processo verrà usato come concime organico per i terreni, mentre il metano prodotto servirà a generare energia elettrica”. LEGGI TUTTO