11 Marzo 2023

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    Quanto inquinano gli pneumatici? Con i veicoli elettrici resta il problema: uno studio

    Quanto inquinano gli pneumatici? Secondo un gruppo di ricercatori dell’Imperial College di Londra urge che la comunità scientifica, e non solo, si ponga questa domanda. Occuparsi della riduzione delle emissioni di carburante è importante, ma lo è altrettanto limitare l’impatto ambientale legato al rilascio di sostanze tossiche a partire dagli pneumatici delle nostre auto e dei mezzi di trasporto. Lo riferisce attraverso un briefing paper – documento informativo rivolto alla comunità scientifica e a policy makers – un gruppo di esperti dell’Imperial, di cui fanno parte ingegneri, ecologi, medici e analisti della qualità dell’aria e che lavora al progetto Transition to zero pollution. Si tratta di un’iniziativa della rinomata università inglese che mira a informare e costruire collaborazioni fra l’ambito della ricerca scientifica, quello dell’industria e le autorità governative.

    Ricerca

    Inquinamento, due nuovi materiali in grado di catturare il benzene

    di Sandro Iannaccone

    06 Marzo 2023

    Secondo quanto riportato nel documento, solo a Londra ogni anno vengono rilasciate nell’ambiente circa novemila tonnellate di particelle derivanti dall’usura degli pneumatici. “I rifiuti di pneumatici non si degradano naturalmente, ma si accumulano nell’ambiente e possono interagire con altri inquinanti e con gli organismi biologici”, spiega Will Pearse, co-autore del documento, dal dipartimento di Life Sciences dell’Imperial.”Le nostre lacune nella comprensione rendono fondamentali ulteriori ricerche e lo sviluppo di nuove soluzioni per limitare tutti i tipi di inquinamento veicolare”. Proseguire la ricerca sui veicoli elettrici rimane di fondamentale importanza, scrivono gli esperti, ma è necessario migliorare le nostre conoscenze sul fronte dell’inquinamento dovuto agli pneumatici, che possono rilasciare particelle così piccole da essere in grado di raggiungere i nostri polmoni, ponendo un grave rischio per la nostra salute. “Le particelle di usura degli pneumatici inquinano l’ambiente, l’aria che respiriamo, l’acqua che defluisce dalle strade e hanno effetti aggravanti sui corsi d’acqua e sull’agricoltura.

    Fact checking

    Le auto elettriche non inquinano come quelle a benzina

    di Carlo Canepa (Pagella Politica)

    08 Marzo 2023

    Anche se alla fine tutti i nostri veicoli saranno alimentati da energia elettrica anziché da combustibili fossili, continueremo ad avere un inquinamento nocivo dovuto all’usura degli pneumatici”, spiega Zhengchu Tan del dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Imperial, primo autore del rapporto. “Esortiamo i responsabili politici e gli scienziati – prosegue – a intraprendere ricerche ambiziose sull’inquinamento da usura dei pneumatici per comprendere appieno e ridurre il loro impatto sulla biodiversità e sulla salute, nonché ricerche per ridurre la generazione di queste particelle”. Che possono infatti contenere sostanze molto tossiche, si legge ancora nel documento, fra cui idrocarburi poliaromatici, benzotiazoli, isoprene e metalli pesanti come zinco e piombo.

    Motori ed emissioni

    Cosa sono gli e-fuel: costi e limiti della benzina sintetica

    di Vincenzo Borgomeo

    22 Febbraio 2023

    Il gruppo quindi esorta da un lato gli scienziati a implementare ulteriori ricerche che aiutino a stabilire dei metodi standard per valutare i livelli ambientali di particelle di usura degli pneumatici e la loro tossicità, sia a breve che a lungo termine. Dall’altro, invita i policy makers a imporre limiti più severi nell’impiego di componenti tossici per la loro produzione. Fondamentale inoltre implementare delle strategie che riducano al minimo l’usura nel tempo, come ad esempio la riduzione del peso dei veicoli. LEGGI TUTTO

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    I “tetti verdi” sono un toccasana per la biodiversità nelle città

    A Utrecht, in Olanda, le pensiline alla fermata dei mezzi pubblici potrebbero a breve trasformarsi in un corridoio ecologico per i funghi sotterranei. Oltre trecento banchine sono state coperte con un tetto verde che potrebbe diventare un’oasi per le spore rilasciate da questi funghi per riprodursi. Detta così, sembra l’incipit di una storia di fantascienza ma non lo è.

     La biodiversità urbana, come quella in natura, dipende proprio dai questi microrganismi invisibili ai quali si associa il 70 per cento dei vegetali. Le piante e i funghi vivono in simbiosi da circa 400 milioni di anni scambiandosi nutrienti e creando enigmatici reticolati sotterranei che possono replicarsi anche nei tetti verdi così come nelle aiuole spartitraffico o nei parchi pubblici. Oggi alcuni campioni dei suoli delle coperture verdi di Utrecht sono sotto esame nei laboratori della Vrije Universiteit di Amsterdam dove ne stanno sequenziando il DNA per identificare quali specie di funghi possano sopravvivere in questi substrati così sottili. La campagna è stata promossa da SPUN (Society for the Protection of Underground Networks), un’organizzazione di ricerca scientifica fondata dalla biologa di origine americana Toby Kiers, e docente nella capitale olandese, per proteggere queste reti sotterranee.

    Giardini urbani

    Come sono fatti i tetti verdi e cosa bisogna fare per installarne uno a casa

    di Andrea Minoglio

    12 Marzo 2022

    Le simbiosi tra piante e funghi sotterranei si chiamano micorrize e sono lo specchio della biodiversità visibile. Le specie vegetali che possiamo osservare in superficie corrispondono a comunità di funghi ben specifiche. Ogni ambiente, dalle foreste alla giungla, ha la sua impronta biologica sotterranea.”Un suolo ricco di questi funghi sarebbe non solo in grado di incrementare la biodiversità dei tetti o delle pareti verdi ma di migliorare i servizi ecologici offerti in termini di assorbimento degli inquinanti e di capacità di isolamento dal calore – spiega Paola Bonfante, professoressa emerita di biologia all’Università di Torino e pioniera nelle studio di queste simbiosi invisibili – ogni singola pianta è colonizzata da più funghi e altri microrganismi che costituiscono quello che chiamiamo il microbiota, e ognuno di essi è legato a una funzionalità ecologica specifica della pianta come la tolleranza dello smog o della siccità”.

    Smart city

    Zero auto, meno rifiuti, ciclabili energetiche e giardini spugna: viaggio nelle città sostenibili

    di Flavia Carlorecchio

    16 Luglio 2021

    Uno studio effettuato in Canada ha dimostrato che alcune piante che in natura si associano ai funghi, come Solidago bicolor e le erbacee Poa compressa e Danthona spicata, conservano il loro microbiota di funghi anche nei substrati sottili dei tetti verdi. Queste opere, di norma sono costituite da substrati di terra di qualche centimetro in cui, per esigenze di manutenzione, vengono piantate succulente frugali come le crassule che non si associano ai funghi.”Per aumentare la biodiversità dei tetti verdi e replicare nelle aree urbane quello che avviene in natura bisognerebbe inoculare questi funghi direttamente nel terreno – prosegue Bonfante, autrice sul tema del libro “Una pianta non è un’isola” (Il Mulino) – la scorsa estate, in collaborazione con SPUN, abbiamo campionato i suoli di alcune zone poco antropizzate sulle Alpi e sugli Appennini per la valutarne la biodiversità fungina”. A breve, con i fondi del PNRR, si studieranno anche i suoli urbani dei parchi e delle aiuole per valutarne la ricchezza fungina.

    Il caso

    Funghi e zombie: nella serie tv “The Last of Us” la scienza che può aiutare la ricerca

    di Cristina Nadotti

    23 Febbraio 2023

    La simbiosi con i funghi migliora la crescita delle pianta perché le micorrize si comportano come un biofertilizzante che garantisce al suo ospite i nutrienti necessari per lo sviluppo come fosforo, potassio e azoto. Tutte sostanze che recupera nel sottosuolo circostante dove le radici non possono arrivare. In cambio la pianta assicura la sopravvivenza del fungo riservando una parte degli zuccheri prodotti con la fotosintesi clorofilliana al suo aiutante ipogeo. La biologa Toby Kiers, fondatrice di SPUN, ha dimostrato come la natura di questi scambi sia simile alle dinamica tra domanda e offerta che avviene nel libero mercato: quando i minerali scarseggiano i funghi, come scaltri commercianti, richiedono più zuccheri alla pianta aumentando il prezzo dei nutrienti. LEGGI TUTTO

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    Trucchi e novità sulle camelie in 10 punti

    È il momento delle camelie ed è impossibile resistere al fascino di questi fiori, tornati a destare grande interesse grazie ai nuovi incroci “Made in Italy” e alla valorizzazione delle antiche collezioni italiane, protagoniste di mostre e visite guidate. Di seguito, tutto quello che c’è da sapere per conoscere il loro mondo e per farle crescere al meglio.

    La prima Biblioteca della Camelia e un borgo

    Cominciamo con l’invito ad una full immersion tra questi fiori per conoscere tutto sul loro mondo. Da quest’anno, infatti, si potrà visitare la prima Biblioteca della Camelia al mondo, che sarà inaugurata il 26 marzo 2023 a Villa Maioni di Verbania, con accesso libero. “Sarà un museo vivente, con 350 specie e varietà di camelie in aiuole concepite con finalità didattica; le abbiamo suddivise per gruppi in modo da ricostruirne la lunga storia e far emergere molte curiosità. Una sezione, per esempio, è dedicata alle bizzarrie, cioè alle stranezze botaniche, quelle con i fiori variegati oppure con le foglie seghettate per esempio. Un’altra è dedicata alle corolle più grandi, come quelle di ‘Drama Girl’, fino a 15 cm di diametro”. Lo spiega Andrea Corneo, presidente della Società italiana della camelia e ideatore del progetto. “Oltre alle piante, ci saranno ben cinquecento volumi dedicati alle camelie, disponibili in consultazione”.

    Villa Maioni a Verbania con Camellia sasanqua  LEGGI TUTTO