Aprile 2022

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    Antonella Ferrari racconta la vita con la sclerosi multipla

    Sanihelp.it – Si è aperta l’ottava edizione di IO NON SCLERO, il progetto di informazione e sensibilizzazione sulla sclerosi multipla, sviluppato da Biogen e da Fondazione Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in collaborazione con l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) e con il patrocinio della Società Italiana di Neurologia (SIN).Quest’anno l’iniziativa chiama a raccolta le circa 130.000 persone che in Italia vivono con la sclerosi multipla e le invita a condividere le loro storie di vita, di straordinaria normalità, per raccontare qual è la risorsa inaspettata che hanno scoperto di avere dopo la diagnosi e che li ha aiutati ad affrontare la malattia: il loro super potere. Si tratta di un vero e proprio casting, che porterà, a luglio, alla nomina di 3 nuovi ambassador della community online cresciuta in questi anni, con oltre 78.000 fan su Facebook. Per partecipare basta andare sul sito www.iononsclero.it e inviare un testo accompagnato da un’immagine. C’è tempo fino al 13 giugno.

    I tre Ambassador affiancheranno l’attrice, scrittrice e madrina AISM, Antonella Ferrari, volto dell’iniziativa che commenta: «Per me è un onore rappresentare questa edizione di IO NON SCLERO. Da tantissimi anni parlo molto apertamente di sclerosi multipla, questa scomoda coinquilina che con il suo arrivo ci stravolge la vita. Ne parlo nei miei spettacoli, in tv, nelle mie rubriche e non mi stancherò mai di farlo con il sorriso sulle labbra. Non perché avere la sclerosi multipla sia un dono dal cielo, anzi! Ma è proprio dopo la diagnosi che ho scoperto di avere in me delle risorse inaspettate e ho voluto metterle a disposizione degli altri. La risata, l’ironia, la positività, mi piace pensarli come i miei super poteri e sono convinta che tutte le persone che come me affrontano la sclerosi multipla hanno un super potere, che non solo ci aiuta a superare le difficoltà, ma spesso riesce anche ad avere un’influenza positiva sugli altri. È questo il grande potere della condivisione e credo che sia proprio questa la grande risorsa di IO NON SCLERO».

    Condividere la propria esperienza con la sclerosi multipla, o semplicemente mettersi in ascolto, può  essere un passo fondamentale per sentirsi piu forti e affrontare ogni giorno nuove sfide, con la consapevolezza di non essere soli. Per questo l’attrice sarà anche protagonista, da maggio, di un’altra iniziativa parallela ospitata sulla App Cleo di Biogen, l’applicazione gratuita dedicata ad aiutare nella quotidianità chi vive con la sclerosi multipla e realizzata con il patrocinio di AISM e SIN: presterà la voce a chi è riuscito a raggiungere i proprio grandi e piccoli obiettivi nella serie di podcast One voice, one life, in 5 episodi, centrata su storie di convivenza con la malattia. «Raccontare la vita con la sclerosi multipla è per me una vera missione, per questo mi è da subito piaciuta l’idea di creare un filo conduttore tra queste due iniziative e mi auguro di poter raggiungere il maggior numero possibile di persone e portare un messaggio di forza e di positività» conclude Antonella. «Perché il sorriso è davvero un grande super potere che la sclerosi multipla non può sconfiggere». LEGGI TUTTO

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    Nuovo studio sulla leucemia mieloide acuta

    Sanihelp.it – La Leucemia Mieloide Acuta (LMA) è un tumore del sangue e del midollo osseo caratterizzato da una rapida progressione, motivo per cui è detta acuta. È la leucemia acuta più comune tra gli adulti, con circa 1200 casi tra gli uomini e 900 casi tra le donne in Italia ogni anno. È più frequente negli adulti con più di 60 anni. La maggior parte dei pazienti con LMA può andare incontro a recidiva, e in questo caso la prognosi è sfavorevole. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni è di circa il 29,5%. Le mutazioni IDH1 sono presenti nel 6-10% dei pazienti, che rappresentano un gruppo piuttosto difficile da trattare.
    Lo studio AGILE, pubblicato sul New England Journal of Medicine, riguarda l’associazione di ivosidenib e azacitidina nella terapia di adulti con leucemia mieloide acuta con mutazione del gene IDH1. Ivosidenib è un inibitore orale dell’IDH1 mutato.
    «I pazienti con LMA con mutazione di IDH1 hanno una prognosi infausta con poche, se non nessuna, opzioni di trattamento, soprattutto per i pazienti di nuova diagnosi che non sono idonei alla chemioterapia intensiva, » spiega Susan Pandya, Vice President Clinical Development & Head of Cancer Metabolism Global Development Oncology & Immuno-Oncology, Servier Pharmaceuticals «La pubblicazione dei risultati entusiasmanti dello studio AGILE sul New England Journal of Medicine rafforza l’importanza clinica di questi dati e supporta la continua ricerca di Servier, al fianco dei pazienti con LMA con IDH1 mutato». 
    Lo studio AGILE dimostra che ivosidenib è la prima terapia mirata specifica per la mutazione IDH1 che permette un miglioramento della sopravvivenza libera da eventi e della sopravvivenza globale in combinazione con azacitidina. LEGGI TUTTO

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    Cecchi Paone per l'aderenza terapeutica

    Sanihelp.it – Le cure sono efficaci solo quando vengono rispettate le prescrizioni del medico eppure scarsa aderenza e insuccesso terapeutico sono fenomeni ancora troppo diffusi: diversi studi hanno dimostrato infatti che più del 50% dei pazienti ipertesi non segue la terapia così come prescritta dal medico e la metà la sospende dopo un anno dalla prima prescrizione. Un problema in realtà trasversale a tutte le malattie: «Questo succede perché nella maggior parte dei casi i pazienti hanno la percezione del rischio solo di fronte alla malattia conclamata oppure perché, dopo aver assunto il farmaco per un certo periodo, si sentono meglio e ritengono di non averne più bisogno» spiega Pier Luigi Temporelli, cardiologo e Dirigente medico presso ICS Maugeri, IRCCS Gattico-Veruno. Per altro un paziente non ade­rente non significa solo perdita di efficacia te­rapeutica, ma anche spreco di risorse economiche per il Servizio Sanitario Nazionale.
    Tre anni fa è stata quindi istituita la Giornata Nazionale per l’Aderenza alla Terapia, con l’obiettivo di rendere consapevole il paziente sul suo ruolo da protagonista lungo il percorso di cura. In occasione dell’edizione 2022, celebrata lo scorso 12 aprile, il Gruppo Servier in Italia ha lanciato una nuova iniziativa digitale per sensibilizzare sull’importanza di una corretta assunzione dei farmaci: AAA – AscoltiAmo l’Aderenza! una serie di nove podcast informativi, realizzati con il coinvolgimento di specialisti dell’area cardiovascolare.

    Ad Alessandro Cecchi Paone, nel suo ruolo di divulgatore scientifico, è stato affidato il compito di raccontare e spiegare perché è così importante seguire correttamente le cure: «Credo che i pazienti possano comprendere l’importanza di seguire correttamente le terapie anche attraverso strumenti informativi come i podcast. Il ruolo della voce è stato riscoperto negli ultimi anni grazie ai nuovi device, che consentono di fruire di questi contenuti in qualsiasi momento della giornata. Per questo motivo sono entusiasta nell’aver dato voce, la mia voce, a questa iniziativa» ha dichiarato. «Mi ha colpito molto un’affermazione di uno degli specialisti che ho avuto modo di intervistare durante la realizzazione di questi podcast: i farmaci funzionano soltanto se li prendi. Nella sua ovvietà, questa frase esprime il significato profondo di aderenza terapeutica»  

    I podcast sono già disponibili sulle principali piattaforme come Apple Podcasts, Google Podcasts, Spotify, sugli assistenti vocali Alexa e Google Assistant e sono anche promossi attraverso l’ecosistema digitale del Gruppo Servier in Italia e dell’iniziativa Al cuore dell’Aderenza (YouTube, Facebook, LinkedIn, Twitter), Per maggiori informazioni: www.alcuoredelladerenza.it. LEGGI TUTTO

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    Nessun legame tra cellulari e tumori al cervello

    Sanihelp.it – Neppure un utilizzo prolungato del telefono cellulare, anche per oltre 10 anni, dimostra un legame con l’insorgenza di tumori al cervello. Lo dice uno studio condotto nel Regno Unito e pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute. Secondo una degli scienziati che hanno portato avanti la ricerca «questi risultati corroborano le evidenze crescenti secondo le quali l’uso del cellulare, nelle condizioni usuali, non aumenta il rischio di tumore al cervello».

    Lo studio ha però arruolato soltanto donne in età avanzata, cosa che costituisce un limite se si pensa che di solito gli anziani utilizzano il telefono molto meno rispetto ai giovani, uomini e donne. 
    776.000 donne, di età compresa tra i 50 e i 65 anni, sono state invitate nel 2001 a compilare un questionario che poneva domande sull’impiego del cellulare. Dieci anni dopo, a circa la metà di queste donne sono state poste le stesse domande, e le risposte hanno rivelato che con l’aumentare dell’età diminuisce l’utilizzo del cellulare. Durante questi anni le donne sono state seguite anche dal punto di vista sanitario, con particolare riguardo a eventuali tumori cerebrali, come glioma, meningioma, neurinoma acustico, tumori ipofisari e oculari. Lo 0,42% di queste donne nel corso degli anni ha sviluppato uno di questi tumori, senza però che venisse individuato un nesso tra l’insorgenza di questi tumori e l’uso del cellulare. A conferma di questo, l’insorgenza di tumori si è rivelata simile nella parte destra e sinistra della testa mentre, se fosse coinvolto l’uso del telefono, avrebbe riguardato il lato destro molto più che il lato sinistro.

    C’è però anche chi è scettico, e obietta che lo studio si è basato sui dati di diversi anni fa, mentre oggi l’utilizzo del cellulare è molto maggiore. Inoltre, altri studi evidenziano invece una correlazione tra i due eventi.
    Allora, dove sta la verità? Come ci dobbiamo regolare? Come sempre, la cosa giusta da fare è non esagerare, quando possibile usare gli auricolari e scoraggiare l’uso del cellulare nei bambini. LEGGI TUTTO

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    Trattamento dei Metameri, cos'è e a cosa serve

    Sanihelp.it – Si chiama Trattamento dei Metameri e si concentra sulla colonna vertebrale.
    Questo tipo di trattamenti, infatti, si collega ai Metameri, che sono delle fasce orizzontali che possiamo trovare lungo tutta la colonna vertebrale, tranne che a livello cervicale.

    Si indica come per ogni disco intravertebrale si individui un metamero.
    A livello generale, i metameri indicano lo stato non solo della colonna, ma anche degli organi che vi si trovano in prossimità. Un metamero teso, infatti, indicherà una sorta di sofferenza sia per l’area della colonna sia per organi e apparati vicini.

    Essenzialmente, il tessuto connettivale andrebbe a sporcarsi e a soffrire a causa di errati stili di vita ma anche di emozioni non espresse in modo adeguato.
    Ecco che, quindi, qui interviene il trattamento.
    Ma come viene eseguito?
    L’operatore si occupa di manipolare il tessuto connettivo e di disintossicarlo con manovre specifiche.
    Il trattamento, quindi, all’inizio può risultare un po’ doloroso, ma con il passare del tempo potrà essere sempre più efficace e piacevole, riportando il corpo all’armonia.
    E per chi è indicato questo trattamento?
    Si consiglia a coloro che soffrano di contratture e problemi muscolari, ma anche per chi abbia problematiche come l’ansia e la depressione. LEGGI TUTTO

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    Così Aurora Rufino ha sconfitto la paura di volare

    Sanihelp.it – «La paura di volare toglie il respiro, innesca una serie di reazioni incontrollabili e annichilenti e costringe, talvolta, a rinunciare a esperienze personali o a nuove opportunità lavorative. Per anni mi sono sentita intrappolata in questa fobia tanto che, pur sapendo che l’aereo è uno dei mezzi più sicuri per spostarsi, a ogni viaggio la ragione mi abbandonava per lasciare spazio a uno stato di angoscia estrema». Parola di Aurora Ruffino, tra i protagonisti della fiction Noi, remake della serie americana This is Us, che così ha svelato a Ok salute e benessere il proprio problema con gli aerei.Per l’attrice, classe 1989, sempre in viaggio per lavoro e anche per amore – avendo un ragazzo che vive in Francia – la paura di volare si faceva sentire già giorni prima della partenza, con pensieri ansiogeni e lacrime, per poi concretizzarsi con un malessere fisico il giorno del viaggio: « Arrivavo in aeroporto già con la tachicardia e le mani sudate, superavo i controlli con le gambe tremolanti ed entravo nel velivolo reggendomi in piedi a fatica» ha raccontato. «Al momento del decollo, e in generale durante l’intera tratta, mi girava la testa, avevo le palpitazioni, il fiato veniva a mancare, mi sentivo svenire, iniziavo a sudare. In caso di turbolenza mi veniva sempre un forte attacco di panico, che mi costringeva a chiedere aiuto al personale di bordo».

    La fobia poi è diventata quasi ossessione: «Continuavo sì ad avere paura, ma contestualmente non potevo fare a meno di informarmi sugli incidenti aerei del passato, fare ricerche sulle compagnie di linea più importanti, visitare i musei dedicati, leggere libri e guardare documentari ambientati ad alta quota. Probabilmente lo facevo perché avevo bisogno di capire questo mezzo di trasporto che tanto mi creava disagio» ha svelato. Del resto molto spesso la paura di volare affonda le radici nella paura di perdere il controllo (in volo, si sa, ci si deve affidare ad altri) e aumentare le proprie conoscenze del mezzo può aiutare ad acquisire sicurezza.

    Così Aurora ha scoperto che una importante compagnia aerea organizzava corsi online contro la paura di volare e si è iscritta, trovando sia suggerimenti di uno psicologo per gestire l’ansia in volo, sia lezioni più tecniche curate da piloti, che spiegavano tutto ciò che succede in un aereo. «Grazie a questo corso e alla pazienza del mio ragazzo, che per tre anni ha lavorato in una multinazionale produttrice di aeromobili svelandomi i segreti e i retroscena di questo mondo, sono riuscita a vincere il panico ad alta quota, trasformando l’ossessione che avevo sviluppato in una passione». E oggi ama volare. «Diversamente da prima, riesco a leggere, ascoltare la musica, guardare giù dal finestrino e, talvolta, anche ad assopirmi se il viaggio è particolarmente lungo. Non ho più avuto attacchi di panico in volo, niente gambe tremolanti o mani sudate, nessuna richiesta d’aiuto al personale di bordo». LEGGI TUTTO

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    Fanghi anticellulite, efficacia e fai da te

    Sanihelp.it – La cellulite colpisce più dell’80% delle donne, eppure tantissime la combattono ancora come un’acerrima nemica.In tanti casi, la cellulite è fisiologica, ereditaria ed è una parte del corpo che si dovrà accettare.

    Tuttavia, si potrà cercare di migliorare non tanto l’aspetto a buccia d’arancia, quanto ciò che si trova alla base di esso, dalla ritenzione alle difficoltà circolatorie, con i fanghi anticellulite.
    Questi rimedi, ormai famosi anche in Italia, consentono di ottenere buoni risultati, ma solo se utilizzati con costanza.

    Infatti, i fanghi sollecitano il microcircolo, consentendo di tonificare la pelle e di aumentare anche la circolazione periferica.
    Inoltre, riducono il gonfiore, eliminano le tossine e consentono anche di elasticizzare la pelle.
    Si potranno realizzare i fanghi anche in casa, basteranno alcuni semplici ingredienti, con un’accortezza: scegliete sostanze che non interferiscano con la tiroide e che, quindi, non contengano troppo iodio.
    Per realizzare a casa i propri fanghi anticellulite sarà necessario procurarsi:
    Argilla Verde
    Latte in polvere
    Olio essenziale di ginepro
    Olio essenziale di limone
    In una ciotola di legno si dovrà stemperare un bicchiere di argilla con acqua calda in parti uguali. Si farà riposare per almeno un’ora.
    Nel frattempo si potrà preparare il resto del mix, mescolando il latte in polvere con cinque gocce di ogni olio essenziale.
    Si aggiungerà la polvere con oli essenziali all’argilla, aggiungendo eventualmente dell’altra acqua, nel caso in cui il composto sia troppo solido.  
    Si applicherà il tutto sulle parti da trattare con una spatola, e si coprirà con della pellicola. Si lascerà agire per circa venti minuti, per poi risciacquare il tutto con acqua tiepida. LEGGI TUTTO

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    Willis: afasia forse conseguenza di un incidente sul set

    Linguaggio

    di Valeria GhittiPubblicato il: 05-04-2022

    Nel 2002 Bruce fu colpito alla testa da un ordigno pirotecnico sul set de L’ultima alba. Da allora sarebbero cominciato i problemi, peggiorati poi negli anni.

    © Instagram

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    Sanihelp.it – «Come famiglia, volevamo condividere che il nostro amato Bruce ha avuto problemi di salute e gli è stata recentemente diagnosticata l’afasia, che sta influenzando le sue capacità cognitive. Di conseguenza, e con molta considerazione, Bruce si sta allontanando dalla carriera che ha significato così tanto per lui». A pubblicare queste parole,  lo scorso 30 marzo, sul proprio profilo Instagram (ma a nome di tutta la famiglia allargata) è stata Rumer Willis, figlia della star hollywoodiana Bruce Willis.
    Una doccia fredda per i molti sostenitori dell’attore che, a soli 67 anni, si vede costretto a lasciare il cinema per colpa di un disturbo, l’afasia appunto, che deriva da danni alle strutture cerebrali responsabili del linguaggio. Un disturbo che compromette la capacità di esprimersi con le parole ma anche di comprenderle. Spesso l’afasia è conseguenza di un ictus o di un trauma cranico, ma può anche svilupparsi lentamente a causa di patologie neurologiche degenerative o tumorali.
    Al momento non ci sono maggiori informazioni ufficiali sulla malattia dell’attore: sulle caratteristiche (non tutte le forme di afasia sono uguali) né sulle cause individuate. Intanto però The US Sun, l’edizione online statunitense del famoso tabloid britannico, riporta fonti vicine all’attore che parlerebbero di un possibile collegamento tra la diagnosi attuale e un incidente di cui Willis fu vittima nel 2002, sul set di Tears of the Sun- L’ultima alba: egli fu infatti colpito alla testa da un ordigno pirotecnico, riportando ferite che lo spinsero anche a fare causa alla produzione nel 2004.
    Secondo la fonte citata dal magazine (un amico di lunga data dell’attore) l’annuncio della famiglia non sorprende chi davvero conosce l’attore, perché i segnali che qualcosa non andasse erano già presenti da tempo: «I cambiamenti sono diventati evidenti circa cinque anni fa. All’inizio non era niente di importante, solo piccole cose, come la necessità di assistenza con il copione usando gli auricolari».

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